domenica 22 marzo 2009

THE MILLIONAIRE


L’oscar 2009 per il migliore film va a The Millionaire, diretto da Danny Boyle (oscar anche per la migliore regia), una favola indiano-statuninense dal gusto di saga popolare e con tanto d’amore drammatico e impossibile che evolve sino al lieto fine. Ma il film, tratto da un romanzo di Vikas Swarup è anche altro. I miti principali della nostra epoca vi sono tutti rappresentati, con i grandi quiz a premi in denaro che hanno fatto la fortuna delle TV, aprendo la strada della persuasione occulta di milioni di telespettatori o con l’idea che ci si possa riscattare persino dalla condizione di paria solo che lo si voglia con tutte le proprie forze, come nel caso di Jamal (Dev Patel), purché si resti nel giusto e nel buono e non si pretenda di usare la violenza, perché in tal caso si finisce male come suo fratello Salim. E ancora: l’impossibilità della lotta di classe come l’impossibilità di combattere le mafie, la possibilità invece di farsi strada da soli nella vita anche al costo di subire le ingiustizie del potere costituito, delle sue leggi e delle torture dei suoi sgherri, più o meno corrotti, preposti a difenderlo. E, sullo sfondo, il mito dell’amore unico e sempiterno, capace di resistere alla sfida del tempo come al destino avverso, purché la volontà del maschio franga gli ostacoli che trova sulla propria strada e si renda degno di meritare in premio la donna che ama, una creatura-oggetto debole e affascinante come la Latika (Freida Pinto) di Jamal. Perché il miracolo si compia, tuttavia, è necessario che il nostro eroe superi tutta una serie di prove che da ultimo si riassumono nella capacità di diventare milionario e popolare partecipando al Grande Quiz della televisione indiana. Come riuscirà Jamal, vissuto tra i paria di Mumbai, a rispondere alle domande pseudoculturali e ai trabocchetti che l’ambiguo e ottuso presentatore del programma gli sottopone? È semplice: egli troverà le risposte non già per averle tratte da libri che non ha letto, ma per aver fatto tesoro delle proprie esperienze. È questo l’ultimo mito che la favola propone, forse il più possente di tutti perché, in un mondo sempre più globalizzato che legge poco e molto vede e consuma, fa leva sull’idea diffusa in tutti gli strati sociali che libri e cultura siano balocchi di perditempo.





Ciò detto, non v’è dubbio che Danny Boyle abbia realizzato un prodotto di successo e di largo consumo, attingendo oltre che alla mitologia occidentale e alla ricca tradizione indiana di canti e danze (avvalendosi della collaborazione della regista indiana Loveleen e soprattutto di Allah Rakha Rahman, famoso compositore indiano di soundtracks ), alla ormai consumata abilità dei cineasti americani (ancora ignota purtroppo alla maggior parte di quelli italiani) di imporre al film un ritmo capace di dissuadere lo spettatore dal compulsare il proprio orologio e/o di sbadigliare, creando al tempo stesso effetti capaci di stupire e di imporre concetti mediante la forza dell’immagine, come nel caso delle riprese di Boyle che schiacciano ripetutamente le masse indiane su oggetti che le sovrastano, siano questi templi o grattacieli, piazze monumentali o binari dove stazionano lunghi e grossi treni affiancati, a manifestare la scarsa significanza nell’attuale società indiana (solo nell’indiana?) dell’individuo in quanto tale a meno che…egli non sia capace di diventare milionario e popolare come Jamal.




In tale prospettiva, non suscita meraviglia l’attribuzione a The Millionaire di ben otto celebri statuette compresa quella più importante di tutte, ottenuta spuntandola su film come The Reader e Il curioso caso di Benjamin Button, più inclini a sedurre lo spettatore attraverso la mente che rivolgendosi alle sue viscere.

venerdì 20 marzo 2009

IL SORTEGGIO INTELLIGENTE (asterisco di calcio)

Fatte fuori le italiane, compresa l'Inter, non benedetta dagli dei come nel campionato nostrano, prosegue il sorteggio intelligente dei Signori del calcio per i quarti di finale e le semifinali di Champions League. Le inglesi vengono fatte spareggiare con rara sapienza e i campioni in carica del Manchester United sono virtualmente prenotati per la finale di Roma, mentre i loro avversari s'individuano facilmente nel Liverpool o nel Barcellona per una finalissima suggestiva e soprattutto dai larghi incassi.

Quarti: 1 Villarreal - Arsenal
2 Manchester United - Porto
Semifinali: vincente 1 _ vincente 2

Quarti: 3 Liverpool - Chelsea
4 Barcellona - Bayern Monaco
Semifinali: vincente 3 _ vincente 4

Finale: vincente (1-2) _ vincente (3-4)

domenica 15 marzo 2009

LE SCARPE ROSSE, romanzo di J.HARRIS


JOANNE HARRIS, THE LOLLIPOP SHOES, Frogspawn 2007, trad. it., LE SCARPE ROSSE, 1.a ristampa, Garzanti, 2008, pp.491.




Dal 31 Ottobre al 25 Dicembre di un anno del nostro tempo si svolge la storia narrata da Joanne Harris in questo suo nuovo romanzo, soffice e fragrante come una sfoglia di cioccolato. Attraverso una sorta di diario, tre donne raccontano le medesime vicende secondo punti di vista e significati diversi. Vianne Rocher, la protagonista di Chocolat (romanzo e film), l’adolescente Anouk, sua figlia, e Zozie de l’Alba una donna affascinante, sempre in cerca d’identità e il cui unico tratto fermo e caratteristico è quello d’indossare scarpe rosse e luminose dagli alti tacchi.



Ormai da quattro anni Vianne ha lasciato Lansquenet, la provincia francese sulla quale s’era concentrata l’attenzione dei lettori e degli spettatori di Chocolat. Il vento che sin qui ha costretto lei e Anouk a girovagare di qua e di là, sembra aver cessato di soffiare, facendola approdare a Montmartre, nel cuore di Parigi. Lontana finalmente dalla provincia e dalle anime belle, Vianne ha cambiato nome (ora si fa chiamare Yanne Charbonneau), ha aperto di nuovo una cioccolateria, ma ha rinunciato per sempre ad ogni forma di magia e si è addirittura fidanzata con un uomo maturo, benestante e ben posizionato che la circonda di premure. Una garanzia soprattutto per il futuro delle figlie: Anouk (ora divenuta Annie) e la piccola Rosette che subito immaginiamo essere il frutto di una passione nata a Lansquenet.



La vicenda si dipana lentamente, in un ambiente che sa di provincia e che invece sappiamo appartenere al centro cittadino della metropoli forse più affascinante d’Europa. La Montmartre di Joanne Harris non conosce però della provincia i piccoli intrighi quotidiani e il clamore delle anime belle che s’intuisce tuttavia facilmente restarsene acquattate nell’ombra. E compaiono infatti sullo sfondo, nella persona delle compagne di scuola di Annie e più ancora nella proiezione di un modello di vita “normale” e rassicurante al quale l’antica Vianne ha deciso ormai di sottomettersi e che forse ha riconosciuto appartenerle di diritto, in virtù di certi segni che il tempo non ha cancellato e che reca con sé dall’infanzia, sottoforma di piccoli oggetti e di ritagli di giornale. Persino Roux, sorta di zingaro affascinante e inconsapevole padre di Rosette, una volta catapultato a Parigi sembra incline a subire un’insospettabile metamorfosi. Le uniche a resistere al soffio di normalità che spira su Montmartre sono Anouk e Zozie. L’adolescente, mossa da nostalgia e desiderio di autenticità e dal bisogno di tenerezza che la madre (ora Yanne e non più Vianne) ai suoi occhi non è più in grado di offrirle. Zozie, che ha scelto il volto speculare e solo in apparenza alternativo a quello dei cosiddetti benpensanti e che ha in mente di portare a compimento il progetto che da sempre dirige le sue azioni e ne oscura l’orizzonte limitato della coscienza. Il piano che Zozie ha in mente prevede una duplice strategia: la complicità di Annie-Anouk , che dovrà essere gestita sino alla fine, e l’iniziale stima di Yanne-Vianne che le sarà grata per l’inaspettato successo della chocolaterie, in poco tempo trasformata, da piccolo negozio riservato a pochi eletti clienti, in un vero e proprio centro per gustare le gioie del cioccolato.



In questo clima rarefatto, condito più di sensazioni che di fatti, la narrazione improvvisamente si anima e il lettore è trascinato in un vortice che la maestria narrativa di Joanne Harris mantiene vivo sino alle pagine finali. Si fronteggiano senza esclusione di colpi, da una parte la stregoneria malvagia e senza regole, che non siano quelle della sopraffazione e del delitto, dall’altra la magia buona, fatta di innocui e piccoli accorgimenti, profumata come i tartufi di cioccolato o come una tazza di cioccolata “bevuta nera con zucchero e rum”.






lunedì 2 marzo 2009

GIULIA NON ESCE LA SERA, FEBBRAIO 2009, regia di Giuseppe Piccioni

Il nuovo film di Piccioni mi lascia sperare sul futuro del cinema italiano. Nel generale panorama di mediocrità in cui si muovono da tempo i registi nostrani, con la sola eccezione di Gabriele Muccino, ormai sempre più "americano", Giulia non esce la sera rappresenta il tentativo, in parte riuscito, di un discorso nuovo sia sul piano dei contenuti che sotto il profilo stilistico, semplice ma efficace almeno per tutto il primo tempo. C'è ritmo e ci sono effetti visivi e sonori che accompagnano l'azione, anche se nel secondo tempo vengono spesso a mancare l'uno e gli altri e a tratti riprende, per così dire, la narrazione all'italiana, aritmica e didascalica, ripetitiva e moraleggiante che induce lo spettatore a compulsare di frequente l'orologio al polso.

Uno scrittore, che Valerio Mastrandrea interpreta con mestiere ma senza slanci, si lascia vivere in una dimensione che si direbbe non appartenergli tanto la riguarda con distacco e in punta di disprezzo: moglie, figlia, casa e la sua stessa professione, con tutto ciò che comprende di contatti editoriali e mondani, di premi letterari e di rituali per compiacere i lettori. Del resto, egli ammette di non possedere la vocazione di scrittore (sic) e di aver cominciato a scrivere per confessare un amore che non ha avuto il coraggio di vivere. Un po' come il racconto dell'uomo degli ombrelli che faticosamente egli cerca di portare avanti mentre attende il responso della giuria per l'assegnazione di un premio letterario che potrebbe assicurargli un successo non più soltanto di nicchia. Ma la trama del racconto stenta, come pure quella di un prete combattuto tra il fascino che una parocchiana gli ispira e la volontà di redimerla dalle lusinghe del mondo. Un solo racconto appare all'editore autentico e originale, quello dell'insegnante di nuoto e di sua figlia. Una storia che sta scrivendo e che trae alimento dalla vita stessa del suo autore. Per esigenze di copione, regista e sceneggiatore fingono qui di ignorare ciò che ognuno intuisce: è arduo, se non impossibile, raccontare efficacemente una storia mentre la si vive. Solo ponendola di fronte a sé e a distanza di tempo, lo scrittore può farne oggetto di narrazione.

Giulia, l'insegnante di nuoto, interpretata da Valeria Golino con la bravura che già le conoscevamo, è lo specchio in cui si riflette l'animo dello scrittore. Dove lei è risoluta e decisa a tutto pur di vivere nella dimensione in cui maggiormente si sente a proprio agio, lui è irresoluto e si lascia vivere nel compromesso e nell'equivoco pur con qualche riluttanza. L'incontro tra i due segna il momento della verità. Lui che in acqua sa soltanto tenersi a galla, vorrebbe finalmente lasciarsi andare e imparare a nuotare, lei che è scossa da rimorsi e risentimenti (il cui simbolo è il tatuaggio di uno scorpione sulla spalla che la macchina da presa lascia appena intravedere), anela incosciamente alla terraferma. Giacché Giulia non esce la sera perché non è stata capace di dominare se stessa e benché dichiari di trovarsi a suo agio nell'acqua, proprio da questo elemento, simbolo di emotività e di passione, è stata ripetutamente travolta.
L'interferenza (volontaria e attiva quella di lui, involontaria e passiva quella di lei) della vita dell'uno nell'altro avrà come come risultato il reciproco scacco. Lo scrittore perde la pace domestica, l'opportunità forse di aggiudicarsi il premio letterario, e si consegna al rimorso per l'iniziativa non del tutto disinteressata (l'editore gli ha fatto sapere che il carattere della figlia dell'insegnante di nuoto va meglio tratteggiato nel racconto) di scrivere alla figlia di Giulia perché dopo tanti anni sia disposta finalmente a rivedere la madre. La donna impara a proprie spese che l'acqua non si lascia dominare, ancorché sia possibile, con la giusta respirazione e la corretta posizione del corpo, sopra di lei "navigare".
In conclusione, un film da vedere e da apprezzare e che ci fa consapevoli, a torto o a ragione secondo il giudizio di ognuno, che il proprio destino, sapendolo intravedere, si può a malapena controllare, mai impunemente sfidare.

L'INTER IMBATTIBILE IN ITALIA (CONTRO LE SQUADRE ITALIANE)

Nell'ennesima puntata settimanale della fiction interista, occorre prendere atto dell'imbattibilità dell'Inter. Neppure una Roma strepitosa sul campo di San Siro è riuscita nell'impresa di battere i neroazzurri. In vantaggio di 2 goals alla fine del primo tempo, sul 2-1 dopo cinque minuti del secondo tempo, ma di nuovo sul 3-1 e nel pieno controllo della partita più tardi, i giallorossi capitolini si sono lasciati raggiungere su un 3-3 che ha dell'incredibile se non fossimo in Italia dove, com'è noto, la religione è della massima importanza. E, infatti, dopo il 3-1 della Roma, mi sono chiesto se gli dei si fossero ormai rassegnati alla sconfitta dello squadrone interista o se avessero in serbo ancora un braccio per l'opportuna rimonta. Mi sbagliavo, niente braccio, ma un comunissimo rigore, concesso dall'incolpevole quanto bravo Rizzoli (almeno bravo quanto il suo collega Rosetti, numero uno dei fischietti italiani), dal cognome milanese ma dalla caratura sicuramente internazionale, tradito nel giudizio dalla caduta in area giallorossa del pur bravo Balottelli senza che alcuno lo toccasse, catapultandosi in mezzo a due giocatori avversari e facendo leva col gomito sul petto di Motta per scivolare platealmente a terra. Inutile dire che il 3-2 ha fatto precipitare nel panico la Roma che ha finito così per subire anche il prevedibile pareggio. Ed è altrettanto vero che i giallorossi, prontamente riavutosi, hanno comunque rischiato ugualmente di vincere 4-3 se De Rossi (dopo aver segnato uno splendido goal) non avesse calciato fuori una palla più facile da mettere in rete. Possiamo forse opporci alla volontà degli dei? Ancora una volta abbiamo ascoltato i commenti dei soliti Casarin e Ferri a Controcampo, entrambi risoluti nel sottolineare l'errore di Rizzoli, pur riconoscendogli nel complesso un buon arbitraggio. Tanto buono e tollerante - aggiungerei - da non punire col cartellino giallo (come del resto a differenza di altri colleghi egli è solito fare in ogni partita) almeno per la prima mezz'ora di gioco i calciatori che l'abbiano meritato, con ciò graziando, naturalmente per puro caso, l'interista Zanetti che a seguito di un secondo cartellino avrebbe dovuto poi essere espulso.
Quale altro insegnamento trarre da Inter-Roma, oltre a quello della presa di coscienza dell'imbattibilità dell'Inter nel campionato italiano? Forse che il c.t. della nazionale italiana dovrebbe cominciare a prendere in considerazione giocatori come Santon, Balottelli, Brighi, oltre ad Amauri (burocrazia permettendo) e Santacroce, in luogo di riproporre stancamente ex-campioni del mondo ormai logori. Ma questo è un altro discorso e lo farò a suo tempo e luogo.