giovedì 16 aprile 2009

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI, romanzo di Paolo Giordano








 Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondadori, 2008, pp.304


 È l’evento che ne marchia in modo indelebile l’infanzia ad accomunare Alice e Mattia nella diversità, oppure è la natura stessa a creare un pretesto per giustificare la loro estraneità?
 L’interrogativo per la verità non sembra appassionare più di tanto il giovane autore del romanzo, preoccupato piuttosto, nelle prime pagine, di descrivere le cause oggettive che hanno prodotto in entrambi gli adolescenti un comune senso di disagio nei confronti di tutti gli altri. I fatti sono eloquenti, ancorché distanti tra loro e con conseguenze diverse. La zoppia di Alice nasce incidentalmente dall’incapacità di trattenere feci e urina ed ha un corrispettivo fisico nella violenza che Mattia impone ripetutamente a se stesso in virtù del tremendo rimorso che lo accompagna costantemente. Mentre Alice tenta di colmare il proprio complesso d’inferiorità e di farsi accettare dagli altri, anche a costo di sopportare le angherie di amiche cosiddette normali, Michele cerca scampo in un’intelligenza di gran lunga superiore alla media che lo porta naturalmente a vivere la propria diversità rispetto agli altri. Alla radice di eventi tanto differenti e che pure ne hanno così pesantemente caratterizzato l’infanzia, Alice e Mattia hanno tuttavia in comune il medesimo malessere nei confronti dei genitori. L’incomprensione degli uni nell’imporre scelte non condivise quanto addirittura penose, fa da contrappunto all’incapacità degli altri di riconoscere la diversa sensibilità dei propri figli: Mattia intellettualmente superdotato e Michela sua sorella gemella, mentalmente ritardata.

 Forte è la tentazione di spiegare le scelte di Alice e Mattia col linguaggio della psicoanalisi, non paghi di una facile lettura psicologica che veda unicamente nella ribellione la risposta agli inadeguati comportamenti parentali. Gli argomenti di una simile indagine non mancano nel libro di Paolo Giordano: l’amore-odio che Alice nutre verso il padre, allorché per esempio la ragazza s’intrattiene sul water per espellere anche l’ultima goccia di urina dalla vescica, mentre il padre bussa alla porta del bagno, oppure la foto che, divenuta più grande, vuole a tutti i costi nell’abito da sposa di sua madre accanto a Mattia in veste di marito-padre o ancora una mai veramente superata concezione della nascita legata alla teoria della cloaca che la induce quasi a non mangiare per timore, ormai sposata, di restare incinta e più in generale quella particolare attrazione-repulsione che esercita su di lei lo sporco, sia che si presenti nella sudicia caramella che l’amica-nemica Viola la costringe a leccare o nell’incidente occorsole nel bagno di Fabio, suo futuro marito, dove questa volta troviamo il vomito a rinnovarle l’angoscia e il doloroso ricordo del passato. E per quanto riguarda Mattia, benché il lettore conosca chiaramente di che egli voglia punirsi, esercitando violenza su se stesso, resta il dubbio che la componente narcisistica della sua personalità, alimentata dalla mancanza di affetto parentale, sia la vera causa della pulsione di morte che in passato l’ha portato inconsciamente a distruggere quella parte di sé mentalmente non all’altezza dell’altra e che oggi lo induce a comportamenti autodistruttivi.

 Da matematico e direi anche da vero narratore, tuttavia, Paolo Giordano, non si pone questioni filosofiche né improbabili indagini psicoanalitiche. Elenca fatti, avanza ipotesi circa la diversità di Alice e Mattia, ma poi risolve il tutto con la certezza dei numeri. Una risposta filosofica, suo malgrado, una modalità scanzonata per dirci quello che pensa veramente. Alice e Matteo segnati da un destino che li accomuna, li avvicina e li tiene distanti, sono in realtà come i numeri primi, numeri naturali cioè maggiori di uno, divisibili solamente per 1 e per se stessi e, per giunta sono numeri primi gemelli, cioè numeri primi separati da un unico numero (per esempio: 3 e 5, 11 e 13, 17 e 19, 41 e 43 etc…), vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero. Sarei curioso di sapere se, nello scrivere questo suo primo, ottimo romanzo, Paolo Giordano sia stato sfiorato dalla tentazione di fare di Alice e Mattia il 2 e il 3, cioè i soli numeri primi gemelli che si toccano davvero!

sergio magaldi 

giovedì 2 aprile 2009

NASCE IL POPOLO DELLA LIBERTA' MA IL FIORE ALL'OCCHIELLO APPASSISCE...

Si è appena conclusa la celebrazione del nuovo partito unificato di centrodestra, nato dalla fusione di Forza Italia e Alleanza Nazionale. Premesso che nel nostro paese simili operazioni hanno goduto sempre di scarsa fortuna (vedi fra tutte la fusione che ha dato vita all’attuale Partito Democratico), resta il problema più importante di considerare se le promesse fatte in campagna elettorale dai due partiti alleati, oggi unificati, siano state mantenute.

Per la verità, il governo Berlusconi, espressione di quell’alleanza oltre che della Lega Nord e di altre forze minori, ha dato subito l’impressione questa volta (senza la palla al piede dell’UDC) di voler fare sul serio. Abolizione per tutti dell’ICI sulla prima casa, detassazione del lavoro straordinario per alcune categorie di lavoratori e risoluzione del vergognoso problema dei rifiuti di Napoli e dintorni è stato il fiore all’occhiello con cui la coalizione di governo s’è presentata agli italiani guadagnando il consenso anche dei più scettici. Subito dopo, la mera gestione dell’esistente, con misure economiche la cui efficacia è ancora tutta da verificare e l’annuncio a tutto tondo, come nella migliore (o peggiore?) tradizione italiana, di una serie di riforme così complesse e generali che, c’è da scommettere, come sempre resteranno sulla carta delle buone o cattive intenzioni o finiranno (di certo quelle che più da vicino interessano i cittadini) nelle strette maglie della rete di una burocrazia il cui motto per eccellenza è da sempre nel nostro paese quello del “non fare e non far fare”.

Occorre in proposito sottolineare che tra le riforme attualmente allo studio c’è quella del federalismo fiscale ma non l’abolizione delle province che ne è il naturale corollario se non si vuole aumentare il peso e i costi della cosiddetta democrazia rappresentativa. Pure, il ridimensionamento della CASTA POLITICA che incide per miliardi di euro sulle nostre risorse (basti pensare alle spese per mantenere rappresentanti circoscrizionali, comunali, provinciali, regionali, federali e nazionali, i loro clienti, segretari e segretarie, portavoce e portaborse, le relative spese elettorali, i rimborsi ai partiti, il costo degli edifici, degli uffici e del personale ad essi preposti e così via…) sembrava aleggiare in spirito nel programma del centrodestra e L’ABOLIZIONE DELLE PROVINCE ERA ESPRESSAMENTE DICHIARATA.

E l’annunciata politica di un contenimento dell’immigrazione clandestina che fine ha fatto? Se c’è, i cittadini non ne vedono i frutti, mentre aumenta a dismisura la presenza di extra-comunitari sul territorio nazionale, nelle grandi città, come a Roma, per esempio, dove ormai occupano stabilmente più d’uno dei Sette Colli (l’Esquilino è cinese, dicono i romani), ma forse anche in modo più appariscente nelle medie: girando di recente a piedi di domenica mattina per Modena-centro ho creduto di trovarmi all’estero, neppure una parola d’italiano è salita alle mie orecchie per diverse ore. Intendiamoci, la cosa di per sé non mi dispiace ma – mi chiedo – in che consiste la conclamata diversità su questo punto con la sinistra? Lo stesso discorso valga per le tasse. D’accordo, non sono state aumentate come da sempre ha dimostrato di saper fare la sinistra, ma neppure sono state abbassate come nelle promesse della campagna elettorale del centrodestra.

E gli sprechi? Perché il governo di centrodestra non dice chiaramente quanti ne siano stati eliminati e in quali settori? Forse perché in realtà tutto è rimasto come prima. Valga, sia pure come modesto esempio, quanto accade nella capitale, dove i nuovi mezzi pubblici (progettati da chi non è mai salito su un auto perché altrimenti non li avrebbe dotati di corridoi tanto angusti dove si accalcano in fila indiana decine e decine di passeggeri) costati milioni e milioni di euro sono offerti gratuitamente (o quasi) ai cittadini in un comune che ha un deficit di bilancio pari a 8 miliardi di euro. Unico caso in Europa dove il biglietto della corsa non è presentato al conducente salendo in auto, ma lasciato alla cosiddetta obliterazione delle macchinette sparse lungo la vettura, spesso non funzionanti o alle quali è talora arduo accostarsi per via dell’affollamento. Ci sono le squadre di controllori – è vero – che in ragione di tre o quattro unità salgono sui mezzi nei primi 3 o 4 giorni del mese, ma siamo sicuri che il denaro ricavato dalle multe che in tal modo si riescono ad incassare sia almeno pari al costo di questo personale itinerante?

Il governo mena ora gran vanto per la ventilata politica della casa, ma a parte le norme da valutare meglio e che a lume di naso sembrano favorire più che altro i soliti noti, c’è da chiedersi che fine ha fatto una misura tanto semplice quanto efficace, già presente in Europa, richiamata anche in campagna elettorale e che sicuramente non sarà mai attuata. Si tratterebbe di far pagare ai proprietari di civili abitazioni, studi e altro, una tassa secca del 20% sul reddito del bene locato in luogo di far gravare il profitto sul reddito complessivo imponibile che riduce spesso a zero il guadagno, considerando anche le tasse aggiuntive e le spese di manutenzione. Tale misura indurrebbe i proprietari a mettere in circolazione i propri immobili senza ricorrere al mercato nero che – di contro – produce altissimi affitti esentasse oltre che cause civili a non finire, determinando altresì sicuramente un aumento del gettito fiscale e maggiore possibilità di trovare una casa per i cittadini.

L’elenco delle promesse non ancora mantenute potrebbe continuare a lungo, mi limiterò soltanto all’auspicio che il governo del cavaliere che ha il suo principale sostegno nel nuovo partito del popolo della libertà sappia presto rinverdire il fiore all’occhiello con cui s’è presentato agli italiani all’indomani del voto che gli ha assicurato una larga maggioranza. Sarebbe un errore limitarsi alle celebrazioni, ai canti ineffabili di “Silvio c’è…” o alle immagini del sorriso a tutti denti delle giovani “ministre” che circondano grate ed entusiaste l’uomo nuovo della provvidenza.

GIOCANDO ALLA TRAPATTONI NON SI BATTE IL TRAP

Pareggiando a Bari contro l’Irlanda di Trapattoni e Tardelli, l’Italia si complica la vita nelle qualificazioni ai prossimi mondiali di calcio. Di più, latitante il gioco, impostato sulla difesa ad oltranza della porta di Buffon. Gli addetti ai lavori ci spiegano che tutto è dipeso dall’ingiusta espulsione di Pazzini al terzo minuto di gioco che ha costretto gli azzurri in dieci per ben 90 minuti. Nulla di più falso, perché l’Italia ha giocato esattamente come nel primo tempo col Montenegro, cioè male e in pratica senza attacco, costretta a difendersi dalla maggiore velocità e intraprendenza degli avversari. La verità è che l’Italia gioca col reparto offensivo dell’Udinese, squadra di centro classifica del nostro campionato. Pepe, Quagliarella e Di Natale, infatti, titolari della nazionale con l’Udinese al vertice della classifica, sono poi rimasti tali anche dopo, anche se Pepe è ormai raramente titolare in campionato, Quagliarella è più una speranza che una certezza e Di Natale, con i suoi 32 anni, ha sempre alternato prestazioni superlative a prove scialbe soprattutto nelle partite decisive. Ed ecco pronto l’altro alibi del non-gioco italiano: il recente infortunio di Di Natale e l’assenza forzata di Tony e Giardino i quali ultimi, per la verità, quando scesero in campo contro il Brasile a Febbraio, toccarono ben poche palle e l’Italia perse per 2 a 0, pur con l’alibi di un goal regolare annullato sullo 0-0, ma con l’evidente incapacità di impostare un gioco offensivo degno di questo nome.

Tornando alla partita di ieri contro l’Irlanda del Trap, la scelta di non far giocare Cassano, al momento il miglior attaccante italiano, nel “suo” stadio di Bari poteva avere persino qualche giustificazione, tenuto conto del carattere “difficile” del talento barese, ma ci si sarebbe almeno aspettato di vedere in campo Giuseppe Rossi in veste di fantasista. La difesa ad oltranza del “golletto” di Iaquinta ha invece maturato l’idea di privarsi nel secondo tempo anche di Pirlo, l’unico centrocampista italiano in campo capace di “aprire” al gioco offensivo e, puntualmente, a due minuti dalla fine è arrivato il pareggio degli irlandesi con un’Italia zeppa di difensori veri e improvvisati e che negli ultimi secondi ha rischiato addirittura di perdere.

La verità è che questa nazionale, così com’è concepita, ha scarse possibilità di difendere il titolo mondiale conquistato nel 2006, sempre che riesca a qualificarsi per la fase finale, come peraltro è probabile. Si ha l’impressione che Lippi attenda con fiducia il rientro dei tanti assenti (Bonera(!), Legrottaglie, Gattuso, Perrotta, Tony, Gilardino etc…) piuttosto che operare i necessari innesti: Balotelli (se non gli riesce di “gestire” Cassano, vorrà il nostro commissario cimentarsi con l’irrequieto giovane campione?), Amauri e Rossi in attacco (e se in forma nella primavera del prossimo anno perché no anche Totti, Del Piero e lo stesso Cassano?), Santon e Santacroce in difesa e per il centrocampo tenere sotto costante osservazione i vari Brighi e Marchisio (interditori), Giovinco, Montolivo, Aquilani, Maggio (propulsori di gioco assieme a Pirlo e Camoranesi) etc…

Qualche timida apertura in tal senso per la verità Lippi l’ha già fatta. Occorre peraltro riconoscere al nostro commissario tecnico il merito non solo di aver vinto il titolo mondiale ma – a quel che se ne dice – di ritenere insostituibile in questa nazionale Camoranesi, allorché (si spera) sarà completamente ristabilito e di valutare seriamente la possibilità di servirsi di Amauri divenuto italiano. Almeno sotto questo punto di vista, sono sicuro che Lippi abbia personalità e carisma per “sfidare” le tante vestali pronte a difendere la “purezza della razza italica” qualora, oltre all’italo-argentino Camoranesi, già campione del mondo, entrino a far parte della nazionale Amauri (brasiliano ma calcisticamente italiano) e persino Balotelli già nazionale under 21 e italiano per adozione. In un mondo sempre più multi-etnico, sorprende infatti il lamento delle sempre più numerose vestali che ritenendosi depositarie di una visione autenticamente nazionale, non si rendono conto del malcelato provincialismo che le anima. Basta fare un giro per l’Europa calcistica per rendersi conto di come le più importanti nazionali (ma anche le meno importanti calcisticamente parlando) abbiano da tempo fatto ricorso ad abbondanti “contaminazioni”. Vedi la Francia, vice-campione del mondo, con l’abbondanza dei suoi tanti campioni africani, coloni o nazionalizzati, vedi l’Olanda e l’Inghilterra che tra le loro file non ne contano di meno, vedi la Germania che ha nazionalizzato persino alcuni giocatori polacchi, vedi la Spagna, campione d’Europa, la cui fonte di gioco scaturisce da un giocatore brasiliano o il Portogallo e i suoi oriundi venuti dal Brasile.