giovedì 21 maggio 2009

LA TINOZZA DI RAME, romanzo di Sergio Magaldi


Sergio Magaldi, La tinozza di rame, EdiGiò 2009, pp. 272

In cerca d’ispirazione per scrivere la trama di un film storico, uno sceneggiatore s’imbatte in un volumetto scritto in latino, edito nel 1659 da un frate agostiniano. Si tratta proprio della storia che egli ha in mente di raccontare: eventi che ruotano attorno alle figure di Innocenzo X e di sua cognata Olimpia, la “papessa” da sempre maltrattata dalla storiografia ufficiale. Alla donna, il frate agostiniano, testimone e protagonista della vicenda, riconosce il merito d’essersi battuta con coraggio contro il dispotismo parentale e sociale, ma anche di aver esercitato il potere con non minore spregiudicatezza ed efficacia di un uomo.

La tinozza di rame è il dono di nozze del cardinale Matthäus Schiner all’avo del frate, per aver combattuto valorosamente nell’esercito svizzero che nel 1512 contribuì a cacciare i francesi dall’Italia. Emblema familiare e vero e proprio “vitello d’oro”, accompagna il frate sino alla fine.

Romanzo storico solo all’apparenza, in realtà narrazione intima di un’anima in cerca di riscatto. La cornice è quella tradizionale del XVII secolo, fatta di ombre e luci, fede e superstizione, magia e scienza.
DI SEGUITO LA PREFAZIONE DEL ROMANZO. SE VI INTERESSA IL LIBRO POTETE ORDINARLO IN LIBRERIA OPPURE DIRETTAMENTE ALLA CASA EDITRICE: http://www.edigio.it/ o alla EdiQ DISTRIBUZIONE: http://www.ediq.eu/ telef.029689323 OPPURE IN RETE SU http://www.unilibro.it/

Prefazione

Una produzione mi aveva commissionato la sceneggiatura di un soggetto cinematografico su Donna Olimpia Maidalchini Pamphili e suo cognato Innocenzo X.

Passavo le mie giornate in biblioteca, ma sulla carta bianca tracciavo solo punti, linee e figure geometriche sempre più complesse. Era sin troppo chiaro che quei lontani personaggi, vissuti nella prima metà del XVII secolo, stentavano a prendere corpo e anima attraverso la mia penna.

Girando a piedi nel centro di Roma, mi fermo spesso davanti alle bancarelle dei libri oppure entro nei negozi degli antiquari, alla ricerca di qualche edizione interessante. Rifuggo dai libri costosi, messi in bella mostra dal venditore come fiori all’occhiello, frugo piuttosto tra opere dimenticate e dalla veste tipografica dimessa, per le quali ho anche maggiore possibilità di contrattare il prezzo.

Quella mattina, uscendo dalla Casanatense, riflettevo che mi mancava un’idea direttrice per iniziare a scrivere e pensando che, al momento, fosse preferibile lasciar decantare la cosa, mi avviai in direzione del Pantheon. Di lì, giungendo a Piazza Navona, avrei studiato alcuni particolari, utili alle riprese, a cominciare dalla Fontana dei Fiumi del Bernini.

Quasi senza accorgermene, infilai un vicolo dopo l’altro. Le vetrine di una libreria antiquaria richiamarono la mia attenzione. Entrai nella bottega. Ignorando volutamente la visione di preziosi volumi, collocati con cura sul bancone principale, mi diressi verso un’altra saletta, dove centinaia di pubblicazioni erano gettate alla rinfusa sui tavoli. A prima vista, la maggior parte delle edizioni mi sembrò vecchia solo di qualche decennio.

Era il mio giorno fortunato. All’improvviso scovai un libretto rilegato, di largo formato e poche pagine, un prezzario “delle droghe e preparazioni medicinali da valere in tutte le spezierie dello Stato Pontificio”, stampato in Roma nel 1845, dalla Tipografia della Reverenda Camera Apostolica. Lo aprii e mi trovai di fronte l’Ordine Circolare N.9922 della Congregazione Speciale di Sanità:

Trascorso ormai un decennio da che per organo della Segreteria per gli affari di Stato interni fu pubblicato sotto il 15 Novembre 1836 l’Ordinamento sulle Farmacie dello Stato Pontificio, ha dovuto la Congregazione Speciale di Sanità convincersi essere necessario di rinnovare non solo la Tariffa dei prezzi delle Droghe, e preparazioni medicinali, ma eziandio la Nota “rerum petendarum” delle quali ogni Officina dev’essere costantemente fornita. Due ragioni hanno condotto il superiore Consesso a questo divisamento; la prima il progresso costante della Chimica che viene sviluppando presidii più efficaci all’egra umanità nelle varie malattie cui trovasi soggetta, la seconda il movimento del Commercio, per il quale in un periodo così esteso hanno luogo notabili variazioni nei prezzi di tanti, e diversi articoli…

Alla lunga circolare, faceva seguito l’elenco alfabetico delle droghe e delle altre preparazioni: dall’acciajo limato offerto a quattro bajocchi l’oncia, sino allo zucchero di latte polverizzato proposto a sei bajocchi.

La lunga lista dei prezzi si concludeva con le cosiddette fatture, preparati di particolare impegno del farmacista, come quella di decotto di vipera, per la quale si richiedevano ben dieci bajocchi. Chiudeva il bizzarro libretto la nota delle rerum petendarum, ovvero l’elenco dei medicinali che ogni farmacista aveva l’obbligo di tenere nella propria Officina.

Quel lungo e prezioso elenco avrebbe fatto la felicità di un erborista contemporaneo. C’era veramente di tutto, ordinato secondo un disegno che pareva provvidenziale per le esigenze del malato.

Semplici e preparati d’ogni genere erano catalogati per facilitare le ricerche dello speziale: “sostanze vegetali”, “frutti e semenze”, “foglie ed erbe”, “cortecce”, “legni”, “radici”, “bulbi”, “tuberi”, “crittogame”, “alghe”, “sostanze zuccherine”, “gomme”, “resine”, “gommo-resine”, “balsami”, “sostanze animali”, “olj essenziali”, “olj fissi”, “tinture”, “sciroppi”, “estratti”, “pastiglie”, “elettuari”, “unguenti”, “acidi”, “alcaloidi”, “ossidi e solfuri”, “eteri”, “sali” etc…

Almanacco tra quelle ricette d’altri tempi e m’interrogo sulla composizione dell’elexir di lunga vita, offerto a soli cinque bajocchi l’oncia. M’incuriosisce anche l’elexir di proprietà di Paracelso che, a ventiquattro bajocchi l’oncia, è il prodotto più caro del prezzario. E mentre cerco di ricordare in quale trattato di Paracelso ho letto la composizione dell’elisir, sono attratto dal titolo latino di un altro libro.

Occhio e croce lo si poteva tradurre “Vita di un confessore agostiniano e vicende di cui fu testimone, narrate da se medesimo

Noto che l’autore è anonimo ed osservo che è stato stampato nel 1659 presso una tipografia napoletana. Lo sfoglio e con stupore vedo ricorrere più volte al suo interno il nome di Olimpia Maidalchini, la protagonista del mio soggetto cinematografico.

Cos’è una coincidenza? Due fatti che s’incrociano fortuitamente o piuttosto un sapere sottratto alla coscienza che ci guida da un evento all’altro?

Il libro del frate agostiniano, finito misteriosamente tra le mie mani, dimostra anche un’altra verità:

“Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato”, come scrive Kafka nel suo Terzo quaderno in ottavo.

Avevo trovato ciò che volevo, quando avevo smesso di cercarlo.

Afferro il volume, lo poso sopra il prezzario farmaceutico dello Stato Pontificio e mi presento al venditore per contrattare il costo dei due libri. La trattativa non dura a lungo. Mi contento di un piccolo sconto sulla somma richiesta e mi affretto a casa.

Trascorro il resto del giorno, leggendo il libro del frate agostiniano. Alle tre del mattino seguente, termino quella prima lettura, affrettata e superficiale, ma fatta con l’entusiasmo e la consapevolezza di aver messo le mani su qualcosa di prezioso per il mio film. Decido che la prima cosa da fare sia tradurre il libro.

Traducendo, mi rendo subito conto che, per dare efficacia e significato al testo latino, devo di necessità utilizzare un italiano un po’ arcaico, badando tuttavia a non cadere nella trappola del “classico”, come il dottor Armando del romanzo di Policarpo Quaresima.

Il compito non sarebbe stato dei più facili, anche perché avrei dovuto tener conto dell’intelligibilità del lettore e, soprattutto, dello spettatore futuro. Della traduzione, infatti, mi sarei servito più tardi per la sceneggiatura.

L’autobiografia del frate agostiniano segue una cronologia che tralascia alcune parti, giudicate da me ripetitive o semplicemente poco adatte alla trasposizione cinematografica. In tale ottica, anche i relativi capitoli conservano solo in parte la numerazione originaria.

Per quanto arcaico possa apparire il mio linguaggio, ho evitato – tranne che per designare qualche oggetto o riportare certi documenti – una traduzione che ricalcasse l’italiano del ‘600, più affascinante ma certamente meno comprensibile.

Ho trovato qualche difficoltà nel rendere in italiano i numerosi appellativi con i quali il frate agostiniano si rivolge all’ipotetico lettore, chiamandolo nell’ordine: diligente, inquieto, paziente, solerte, ingenuo, indelicato, sennato, sagace, disinformato, ragionevole, memore, sprovveduto, zelante, giudizioso, benevolo, arguto, disilluso, morboso, non dimentico, pietoso, scettico, malizioso, divertito, affezionato, fantasioso, impaziente, devoto, sospettoso, ignaro, indiscreto, ameno, confidente, intrigante, tediato, incredulo, complice, puntiglioso, diffidente, stupefatto, mordace.

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