giovedì 9 luglio 2009

IL POTERE AL FEMMINILE


Olimpia Maidalchini Pamphilj, una delle protagoniste del mio ultimo romanzo (Sergio Magaldi, LA TINOZZA DI RAME, EdiGiò, Pavia, 2009,pp.272,euro 18. Si può acquistare anche in rete su http://www.unilibro.it/ . Maggiori notizie sul libro si trovano nel precedente post di narrativa), governò Roma per 10 anni sostituendosi di fatto al cognato Innocenzo X. E' forse venuto il momento di rivalutare la figura di questa donna disprezzata dal popolo, che la chiamava Pimpaccia, e dalla Storia.
La vicenda di Olimpia si lega più in generale alla "questione femminile"apertasi in Europa con la crisi del modo di produzione feudale, allorché tra il XV e il XVIII secolo si assiste ad una serie interminabile di Querellas e Tertulias (Dispute e Chiacchiericci) cosiddette dalle spagnole Christine de Pisan e Teresa de Cartagena, vere e proprie pioniere di una "battaglia al femminile".
Tra il XVI e il XVII secolo, molte donne salgono sui troni europei, come regine o come reggenti di sovrani ancora fanciulli. E, se per un verso, col diffondersi dei valori dell'Umanesimo e della Riforma si viene sempre più accentuando negli strati più illuminati della società l'idea di un'educazione femminile per nulla diversificata da quella maschile; per altro verso resta del tutto estranea, non solo nell'Europa cattolica ma anche in quella protestante, la tesi di un potere esercitato dalle donne con pieno diritto. Persino un giusnaturalista come Jean Bodin (1529-1596) che si adopera per fare dello stato rinascimentale uno stato di diritto e per dare alla monarchia assoluta un fondamento giuridico, persino lui che nei Sei libri della Repubblica si batte contro ogni forma di machiavellismo e sostiene la necessità della tolleranza religiosa, quando si tratta di discutere sul "potere al femminile", diviene intransigente, sostenendo con forza che la ginocrazia -intesa come degenerazione del potere in quanto gestito dalle donne- è contraria alle leggi di natura.
Nel fatto, tuttavia, il potere femminile entra non di rado nella Storia, dando costantemente prove di sé non inferiori, se non addirittura superiori, a quelle offerte dal modello maschile, soprattutto se si tiene conto delle difficoltà oggettive che talora impediscono persino l'affermazione di un'identità femminile. Questo fu appunto il caso di Olimpia Maidalchini Pamphily. Il giudizio della critica mi è sempre apparso ingeneroso verso di lei, sia per le scelte della donna nel privato che per la sua conduzione del potere pubblico. Ma questa è storia del XVII secolo. La questione del potere al femminile può dirsi oggi completamente risolta? Che ne pensate?

LA VENERE LESA DI MARILYN MONROE




  La mitologia di Afrodite, divinità d’origine orientale, si fonde presto con quella di un’antica dea italica, l’ALMA VENUS dei latini. Tre erano in Roma i santuari di Venere: presso il Circo Massimo, ai piedi dell’Aventino, sorgeva il tempio di Venere Murcia o Murtea che addolcisce la vita dell’uomo e ne asseconda le voglie, ma anche dea del mirto, simbolo di amore casto; nell’area dove la Cloaca Maxima entrava nel Foro, il tempio dedicato a Venere Cloacina a ricordo della pace tra Romani e Sabini dopo il famoso ratto delle donne sabine; e infine, in un luogo ignoto, l’edificio sacro a Venere Libitina, divinità del piacere (libet) ma anche della morte, per l’associazione che da sempre la psiche umana fa tra amore e morte. S’aggiunse poi il culto di VENUS VICTRIX (vincitrice) onorata in un tempio sul Campidoglio e più tardi quello di VENUS GENITRIX (genitrice), venerata da Giulio Cesare, che da lei faceva discendere la propria famiglia tramite l’eroe troiano Enea, e celebrata dal poeta latino Lucrezio nell’invocazione che apre il DE RERUM NATURA:

“Aeneadum genetrix,hominum divomque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quondam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis:
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum…”

 

Madre della stirpe di Enea, che il desiderio susciti
negli uomini e negli dei, alma Venere,
tu che rendi navigabile il mare con celesti segni,
e rechi alla terra abbondanti messi,
tu che causi la vita d’ogni essere animato
che nascendo si rallegra dei raggi del sole:
te, dea, fuggono i venti,
dileguano le nubi del cielo al tuo apparire,
per te la terra lucente fa spuntare fiori,
per te la distesa del mare sorride
e brilla di luce splendente il cielo sereno…” (trad. mia)


 I significati generali della Venere astrologica sembrano dunque ormai delinearsi nelle principali caratteristiche di Venere-Afrodite. La dea configura genericamente in astrologia i valori della vitalità e della cosiddetta solarità di una persona, le sue eventuali doti di fascino, bellezza, capacità d’amare, maternità, paternità, fecondità, dolcezza, tenerezza ed una carriera tendenzialmente votata all’arte, alla musica e alla danza (ma anche alle “minori” professioni di ostretica, estetista, parrucchiera, commerciante di abbigliamento intimo e così via). In omaggio a Venus Victrix (Venere vittoriosa) il pianeta è anche considerato simbolo di FORTUNA MINOR in rapporto alla FORTUNA MAIOR, per l’astrologo, a quanto pare, dispensata da Giove e di cui parleremo più avanti. Naturalmente purché non si tratti di una VENERE LESA, come gli astrologi definiscono l’infelice posizione di Venere in un tema di nascita, perché in tal caso tutte le qualità positive del pianeta si mutano come per magia nel loro contrario, e la grande capacità di amare diventa frigidità, gelosia e possesso, o intrigo di cortigiana, la vitalità si volge in malattie frequenti, la solarità in tetraggine o pratiche segrete di magia, la fortuna nelle piccole cose della vita in sfortuna ecc… Un esempio letterario al riguardo lo fornisce un romanzo di Paolo Maurensig che per l’appunto s’intitola VENERE LESA, edito da Mondadori alcuni anni fa. Nel risvolto di copertina del romanzo si trova scritto tra l’altro:

 




 “Questo amore che si nutre del possesso come della sottrazione, dell’attaccamento come della rivalsa, trova il suo simbolo in una figura dell’astrologia, quella Venere LESA cioè incrinata, afflitta, ferita, che allude a un’ansia immedicabile, all’impossibilità della durata, a un gioco straziante che di eterno ha solo le regole che la governano".


L’autore del romanzo premette poi alla narrazione una citazione di J. Péladan che bene esemplifica la condizione per eccellenza di una Venere FORTE (così l’astrologo definisce un pianeta presente in un oroscopo, in positivo o in negativo, per la molteplicità degli aspetti e/o la sua particolare presenza in determinati e significativi luoghi del tema di nascita) e LESA in un tema femminile:

 “La sua sfrontatezza viene immediatamente rivelata, a meno che non sia nata nell’ambito di un’alta classe sociale e che l’educazione non l’abbia fornita di una potente capacità di dissimulazione. La si incontra a tutte le gradazioni della galanteria professionale che è il suo vero destino. Cortigiana per vocazione, sa risvegliare i sensi e identificarsi in essi con un’arte prodigiosa. Ella chiama il fango che si nasconde nell’uomo e l’incatena attraverso un sapiente uso della lussuria. È lei che si ama fino ad uccidersi e che si disprezza fino all’omicidio…”


 Farò ora solo qualche esempio pratico d’interpretazione. Quando, in un tema zodiacale, Venere non sia in esilio o in caduta (nei segni dello Scorpione, di Ariete e Vergine, né in una casa astrologica decisamente sfavorevole, cioè Ascendente, Sesta e Ottava casa) e si trovi congiunta al Sole, e la Luna nell’oroscopo non sia decisamente ostile, si può ragionevolmente argomentare da parte dell’interprete che il soggetto avrà vita lunga. D’altra parte, la presenza di Venere in Scorpione o nella Ottava casa, induce a far pensare a forti appetiti sessuali ancorché distorti (naturalmente anche in funzione di altri aspetti), come pure Venere Ascendente o nel segno dell’Ariete, fa pensare al fascino del nativo. Esemplare per quest’ultimo riguardo il cielo di nascita di Marylin Monroe.








  La famosa attrice – vero e proprio mito di bellezza femminile anche ai nostri giorni – nasce a Los Angeles alle 9.30 del 1 Giugno 1926, con Venere agli ultimi gradi di Ariete, in Nona casa, posizione questa non sfavorevole e addirittura stimolante per trovarsi in analogia col segno di FUOCO TERZO del Sagittario. Venere, inoltre, è congiunta al Mediocielo in Toro dove il pianeta ha il suo domicilio, il che rafforza ulteriormente il fascino della donna e rende comprensibile per l’astrologo anche la sua fortunata carriera di attrice (Com’è noto, infatti, il luogo privilegiato dall’interprete per osservare lavoro, carriera ed eventuale successo è appunto la Decima casa di nascita o Mediocielo). 



  Tuttavia, la non felice posizione della Luna (opposta a Nettuno, quadrata a Saturno ecc…) nonché la dominante Marte-Plutone, Nettuno Ascendente e altre configurazioni planetarie rendono probabile anche e purtroppo la brevità della vita di Marylin e le tristi modalità della sua fine.





  Il grafico astrologico di Venere-Afrodite, formato di un cerchio che sovrasta una croce, sul piano meramente figurativo fa pensare ad uno specchio e/o ad una chiave T. È lo specchio con cui la dea rimira la propria bellezza e si compiace di sé. “Chi è la più bella del reame?”. Quale la dea che a buon diritto può fregiarsi del titolo di regina dell’Olimpo? Di sicuro è lei, che si vide assegnare da Paride la mela d’oro della più bella fra le dee.


 Com’è noto, nella mitologia greca, i miti sono tutti collegati tra loro. La mela, seconda per fama solo a quella che il serpente offre ad Eva nell’Eden, colta dal giardino delle Esperidi (e a questo punto si dovrebbe parlare della dodicesima e ultima fatica di Ercole), fu gettata al banchetto nuziale di Peleo e Teti da Eris, dea della discordia e sorella del dio della guerra (Marte) per vendicarsi di non essere stata invitata alle nozze. Eris accompagnò il lancio con la dichiarazione che dovesse essere assegnata alla più bella tra tutte le dee convenute al banchetto. Il risultato fu l’immediata contesa fra: Era-Giunone, Atena-Minerva ed Afrodite-Venere. Arbitro del giudizio fu designato il troiano Paride che assegnò il pomo a Venere. Scelta che avrebbe provocato più tardi la guerra di Troia, per la ricompensa accordatagli dalla dea che lo premiò con l’amore di Elena, considerata la donna più bella dell’epoca sua, moglie di Menelao e cognata del re greco Agamennone.


 Significati astrologici collegati al glifo dello specchio di Venere si trovano nei due domicili del pianeta e cioè la terra prima del Toro e l’aria seconda di Bilancia, ma anche una Venere dominante nel tema di nascita rimanda agli stessi significati. 

 Per DOMINANTE s’intende in astrologia quell’elemento (pianeta, casa o segno) particolarmente forte nell’oroscopo, come per esempio può esserlo un pianeta che posto in una casa angolare, e particolarmente al Medio Cielo o all’Ascendente, intrattenga rapporti (con aspetti più o meno benefici) con tutti gli altri pianeti o con la maggior parte di essi. I significati sono quelli del fascino, della socievolezza, della buona fortuna, dell’amabilità, del talento artistico, del buon eloquio etc… in positivo (qualora cioè non sia collocata in posizione disarmonica con gli altri pianeti), ma anche: narcisismo, pigrizia, futilità, infedeltà, lussuria, dilapidazione di beni o denaro etc… in negativo.


 Quanto all’altra immagine della chiave, non c’è dubbio trattarsi della “chiave di vita” dell’immortalità, perché dall’amore che Venere rappresenta nasce e si riproduce di continuo la vita nel nostro universo.


 Se guardiamo poi ai significati che hanno ispirato la costruzione del glifo di Venere, notiamo subito che il cerchio che sovrasta la croce (impugnatura dello specchio, ma anche simbolo del quaternario, dei quattro elementi: fuoco-aria-acqua-terra, del sesso femminile, tratto orizzontale, e di quello maschile, tratto verticale) può rappresentare il Sole cioè lo spirito che sovrasta la materia oppure il cerchio della Luna che si lascia dominare da passione, emotività e accidia.


  Sul piano astrologico valgano qui le stesse considerazioni fatte sopra. Quando i luminari (Sole-Luna) sono in aspetto armonico con Venere è lecito parlare di longevità, giusto equilibrio di materia e spirito, di emozioni e ragione etc…, quando non lo sono, può essere vero il contrario...

sergio magaldi

DIVINITA' FEMMINILI NEL MITO E NELL'ASTROLOGIA




DIVINITA' FEMMINILI NEL MITO E NELL'ASTROLOGIA

   Non c’è dubbio che l’astrologia sia niente altro che astronomia cui si decida di prestare un’anima, traendola soprattutto dalla ricca e complessa mitologia degli dei olimpici, le divinità pagane decadute con l’avvento delle religioni monoteistiche.

 Sarebbe d'altra parte errato, sotto questo profilo, sostenere, per esempio, che essendo Venere un pianeta mirabile per lucentezza e splendore, si è inteso dedicarlo alla dea della bellezza e dell’amore. L’astrologia nasce dal presupposto di descrivere e interpretare le energie cosmiche che si muovono nell’universo, a cominciare dai luminari Sole e Luna che, come osserva Tolomeo nel Tetrabiblos, di tali energie sono i principali artefici e i responsabili. Dai Caldei e sino ai Greci, e ancor prima, non ci volle molto perché le forze o le energie dei corpi celesti dello spazio circostante la terra fossero personalizzate e identificate con altrettante divinità. La religione olimpica dei Greci ne è, da questo punto di vista, la sublimazione più evoluta e al tempo stesso più complessa. Gli dei pagani rappresentano così la personificazione di poteri cosmici presenti nella realtà manifesta, costituendo l’architettura stessa dell’universo, il “piano divino” concepito da un demiurgo o grande architetto che i Greci chiamavano “Ananche” o Necessità, ritenendolo superiore e inattaccabile da parte di tutti gli altri dei, Zeus-Giove compreso.

 In tale prospettiva, dunque, per tornare all’esempio precedente, Venere non è la dea dell’amore e della bellezza in virtù dello splendore del suo corpo celeste: è piuttosto vero il contrario. L’energia, motore del mondo, che induce i terricoli (uomini animali e piante) a riprodursi piacevolmente e a godere di tutto ciò che di bello e di sublime offre l’esistenza e che al tempo stesso è simbolo della natura, della giovinezza e della primavera, ha la sua veste fisica nel pianeta o corpo celeste più luminoso (Ésperos, Eosfóros, Fosfóros o portatrice di luce è stata volta a volta chiamata questa “stella”) e la sua anima nella dea della mitologia classica. Ma la veste fisica di Venere, oltre alla luminosità offre altri elementi a coglierne gli aspetti animici e le analogie astrologiche. È il pianeta più vicino alla Terra e dunque il più visibile ed è capace di riflettere circa il 70% della luce che riceve dal Sole. L’albedo di Venere, infatti, ovvero il suo potere riflettente è il più elevato dell’intero sistema solare. Venere è avvolta in una fitta coltre di nubi, che ostacolano la penetrazione della luce del Sole all'interno e la riflettono invece all'esterno, rendendola, oltre che splendente e luminosa, capace di un “effetto serra” che porta la temperatura in superficie a circa 475°centigradi. "La dea", allorché si libera delle vesti (la fitta coltre di nubi), suscita l’ammirazione “magica” di chi le sta attorno, persone animali e cose, e l’effetto serra che produce il suo corpo è il calore della passione che è in grado di suscitare. Attenzione, però, perché il pianeta alle altezze superiori, per via della radiazione solare, dissocia l'acido solforico (H2SO4) in acqua (H2O) e biossido di zolfo (SO2). Questi, insieme all'anidride carbonica, formano una nebbia uniforme che circonda le nubi. In questa regione esterna, la pressione è di circa 0,2 atmosfere e la temperatura precipita a - 83°C. La dea, sensibile al calore ed alle passioni, può all’occorrenza mostrare tutta la freddezza di cui è capace nei confronti dell'amante. Di contro, le sue “attenzioni” possono rivelarsi eccessive ed estremamente pericolose: il mito di Paride ne è l’esempio. Le sonde dei nostri giorni inviate su Venere hanno subito notevoli danni prima di poter trasmettere dati alla Terra, a causa delle alte temperature e della corrosività del pianeta, la cui atmosfera è composta per il 96 % di anidride carbonica e per il 4 % di azoto, con tracce di biossido di zolfo, argon e vapore acqueo. Sulla superficie di Venere, inoltre, sono presenti vaste depressioni e insieme grandi altopiani e monti di natura vulcanica, alcuni dei quali tuttora attivi: la dea a seconda che conceda i suoi favori o meno è in grado di suscitare emozioni possenti come eruzioni vulcaniche, vaghe aspettative o soltanto lacrimevoli depressioni.

 La bellezza, sorriso della terra, e l'amore, sorriso della vita, presero forma umana e femminile nel mito di Afrodite. La Dea dell'amore, figlia del Mare e del Cielo, nacque nei pressi dell'isola di Cipro dalla spuma galleggiante sul mare, frutto dei genitali recisi di Urano, a sua volta personificazione della volta celeste. Il suo nome greco [Afrodite], significa appunto nata dalla spuma:


“[...] E
rraron a lungo sul mare e d’intorno bianca spuma s’alzava dai membri immortali; dentro la spuma una fanciulla crebbe. E prima alla santa Citera fu spinta, donde poi giunse a Cipro cinta dal mare. Lì emerse adorabile e bella dea; sotto i suoi passi leggeri l’erba fioriva d’attorno. L’hanno chiamata Afrodite uomini e dei perché nacque da spuma…”
(Esiodo, Teogonia)

 In un mattino di primavera splendente di sole, apparve una meravigliosa creatura stillante rugiada, da un placido gorgo azzurro e ritta sopra una conchiglia iridata. La brezza marina faceva fremere i suoi capelli biondi e sbattere i veli che avvolgevano il suo corpo candido. Due Zefiri in forma di giovinetti alati e incoronati di fiori, la spinsero col soffio verso la riva. Le Ore [divinità minori] le vennero intorno in un molle ritmo di danza [nei suoi significati astrologici la danza e le arti sono sotto il governo di Venere] e detersero le sue membra dalla salsedine, pettinarono le sue chiome dorate e le intrecciarono di perle; poi le misero indosso una veste profumata e fecero brillare sul suo collo una splendida collana. Un carro d'alabastro tirato da candide colombe apparve all'improvviso e Venere-Afrodite vi salì sorridente.  Attraversando gli spazi luminosi giunse in breve alla reggia degli immortali.

 Non vorrei essere frainteso. È chiaro che gran parte dei significati che l’astrologia attribuisce a Venere derivano dai miti collegati alla dea ed è altrettanto vero che tali significati sono la proiezione fantastica che il corpo celeste, ovvero la sua veste fisica, ha generato nella psiche umana sin dai primordi e che la tradizione ha successivamente contribuito ad implementare. Naturalmente, non si tratta di miti isolati perché vanno sempre considerati in relazione alla complessa mitologia degli altri dei-pianeti e/o luminari ed alla particolare posizione che ciascuno di tali corpi celesti occupa nello spazio. Così, l’astrologo parlerà diversamente di un aspetto Venere – Marte piuttosto che di uno Venere – Giove e questo stesso aspetto sarà diversamente considerato in funzione del segno zodiacale in cui si colloca, delle cosiddette case di reciproca pertinenza, nonché della distanza espressa in gradi che intercorre tra i due astri e/o pianeti e dall'osservazione dei rapporti che ciascuno dei due intrattiene con altri corpi celesti. In proposito, per ciò che riguarda lo zodiaco, ricordo che Venere ha domicilio nel Toro e nella Bilancia, è esiliata nei segni opposti rispettivamente dello Scorpione e dell’Ariete, si esalta nei Pesci ed è in caduta nell’opposto segno della Vergine. Domicilio (o governo o maestria) ed esaltazione sono posizioni genericamente favorevoli di Venere, mentre l’esilio e la caduta genericamente sfavorevoli. 

 Molti sono coloro che oggi credono ciecamente nell’astrologia, pari almeno a quanti la considerano vana superstizione. Poi ci sono quelli che distinguono e che, sulla scia di una vaga suggestione rinascimentale, ritengono gli astri influenti ma non determinanti e infine chi, osservando che l’astrologia nell’antichità era praticata unicamente per avere lumi sui grandi eventi cosmici e magari sui principali accadimenti mondiali, dirige i suoi strali contro l’astrologia giudiziaria e la sua pretesa di fotografare per così dire, attraverso il tema zodiacale, tracciato al momento della nascita, il destino degli individui. Nella schiera di coloro che sopra ho appena nominato, c’è poi chi la condanna in pubblico ma la pratica in privato e chi si limita ad utilizzare il discorso astrologico per fini meramente simbolici o come succedaneo di altre tradizioni. Ora, benché l’astrologia ubbidisca – come già dicevo – ad una certa filosofia e ad una concezione, certo datata storicamente (ma cosa non è datato?), basata sulla corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, si deve tuttavia ammettere che non è una fede alla quale credere o non credere e che nel campo di sua pertinenza è possibile realizzare una verifica sperimentale che, se non è scienza propriamente intesa, può almeno lasciarsi apprezzare per la bontà o meno delle sue previsioni. Circa poi la diffusione dei pregiudizi contro l’astrologia giudiziaria va riconosciuto che una discreta mano l’ha data in tal senso la Chiesa allorché, con Bolla del 5 Gennaio 1586, Coeli Et Terrae Creator, Sisto V condanna oltre alla divinazione, non l’astrologia tutta, ma per l’appunto l’astrologia giudiziaria. Quanto ad altri pregiudizi si consideri quanto nel II Secolo d. C. scriveva Tolomeo:
 E poi, sotto il nome di astrologia i più ne gabellano un'altra per lucro; ingannano infatti i profani arrogandosi previsioni anche tecnicamente impossibili, mentre inducono chi ha la testa sul collo ad una condanna indiscriminata anche di pronostici effettivamente possibili. Anche qui non tornano i conti: non è la scienza astrologica da sconfessare, ma i ciarlatani che se ne fanno schermo. Va però detto che, anche a praticare l’astrologia in maniera, per quanto possibile, critica e legittima, spesso capita di prendere abbagli: non per i motivi suddetti ma per la natura della previsione e per la sua fragilità rispetto alla grandezza delle promesse.(Tetrabiblos, I,2, 13-14).

 Ancora una considerazione: tra i detrattori ci sono anche quelli che accusano l’astrologia di basarsi sulla concezione geocentrica e dunque su una teoria costruita sulla falsità dei suoi presupposti. Ma ci sono anche quelli che, da veri raffinati, sostengono che per una previsione attendibile del destino individuale si dovrebbe tracciare la carta del cielo al momento del concepimento, non della nascita. A tutti mi limito a rispondere che l’osservazione astrologica inizia con l'apparire del soggetto sulla Terra, che dunque è presa come simbolico punto di riferimento, a prescindere dalle verità dell'eliocentrismo. Aggiungo inoltre che, potendo conoscere con esattezza il momento esatto del concepimento, non sarebbe inutile disporre di entrambe le mappe: quella di nascita e quella dell'istante in cui siamo stati concepiti, come pure sostiene ancora Tolomeo:

 L’inizio della vita dell'uomo è, conforme a natura, l'istante in cui viene concepita, ma di fatto, e accidentalmente il momento del parto. Quando - per caso o anche per osservazione — c’è dato conoscere il tempo esatto del concepimento, per pronosticare le particolari caratteristiche del corpo e dello spirito sarà bene riferirci ad esso, analizzando l'influenza attiva degli aspetti dei corpi celesti in quel periodo. Infatti, al momento del concepimento il seme riceve in dote celeste una volta per sempre una sua peculiare fisionomia e, se pure subirà delle modifiche nei tempi successivi della formazione del feto, assimilando durante la crescita soltanto la materia che gli è naturalmente affine, assomiglierà sempre più strettamente al tipo della sua primigenia fisionomia. Se invece, come più sovente accade, non si conosce il tempo preciso del concepimento, bisognerà partire da quello della nascita, pure importantissima e secondaria solo al concepimento, in quanto esso permette di conoscere anche gli eventi anteriori alla nascita stessa. (Tolomeo, cit., III, 2, 1-3).

 Riprendendo il discorso che si faceva sopra, preciso che le case astrologiche sono una partizione dello zodiaco, resa necessaria dall’esigenza di determinare il momento dell’ascendente cioè del segno e del grado zodiacale che sorge ad est, là dove l’eclittica s’interseca con l’orizzonte al momento della nascita. L’ascendente è dunque il segno zodiacale che sorge all’orizzonte al momento della nascita, rappresentando il punto di partenza o cuspide della I Casa dal quale procede poi la cosiddetta domificazione del cielo di nascita. Le case si sovrappongono ai segni zodiacali avendo in analogia con loro i relativi significati (la I Casa con l’Ariete, la seconda col Toro ecc…) ma non necessariamente la stessa ampiezza. Sono 12 come i segni ma le case angolari sono considerate più importanti delle altre (I o Ascendente – IV – VII – X o Mediocielo). Per aspetti s’intendono invece le distanze che intercorrono tra i pianeti e quelle che ciascun pianeta intrattiene con i luminari (Sole-Luna), con Ascendente e Mediocielo e altri punti sensibili del cielo di nascita. L'aspetto principe, l'aspetto per eccellenza, è la congiunzione che si ha quando i due o più pianeti hanno la medesima longitudine zodiacale, quando, cioè, insistono su uno stesso grado zodiacale. La congiunzione può esser positiva a seconda della natura dei pianeti che si congiungono e del segno e della Casa entro i quali si produce la congiunzione stessa. Gli altri aspetti maggiori o principali si usano distinguere in aspetti armonici e aspetti dissonanti.


 Gli aspetti armonici maggiori sono il sestile ed il trigono. Il sestile corrisponde ad una distanza di 60° ed il trigono ad una distanza di circa 120°. I principali aspetti dissonanti, sono invece il quadrato (o quadratura) e l’opposizione. Il quadrato corrisponde ad una distanza angolare di 90° e l’opposizione ad una di 180°. La teoria degli aspetti si basa sulla concezione pitagorica che costruiva poligoni regolari all'interno del cerchio: gli aspetti appaiono fondati sui rapporti numerici per cui se la congiunzione vale 1, l’opposizione vale 2, il trigono 3 ed il quadrato 4. I pitagorici, attenti ai rapporti tra suoni e relazioni geometriche consideravano disarmoniche le divisioni del cerchio a base 2 e 4, ed armoniche quelle a base 3 e 6. Su questa impostazione di base intervenne in seguito Keplero considerando il cerchio zodiacale come una corda di strumento musicale corrispondente ad un'ottava, e studiandone la partizione dei toni ripartiti su 360°. Alla congiunzione rispondeva l’ottava, all’opposizione la quinta, al trigono la quarta e al quadrato la mediante maggiore.
 
 Rispetto alla distanza esatta dell’aspetto è tollerato un certo scarto d’orbita. Per la congiunzione e per l’opposizione tale scarto è di circa 10° (aumentando nel rapporto con i luminari Sole e Luna), per il trigono di 6°, per la quadratura di 5° e per il sestile di 4°. Così, per esempio, si considerano in opposizione due pianeti che sono distanti l'uno dall'altro da 170° a 190° (l'aspetto esatto è di 180°). Non mancano aspetti minori come il sesquiquadrato (135° di distanza), il quinconce (150°); il semisestile (30°) e il semiquadrato (45°). Ma qualsiasi distanza tra i pianeti, che si ottiene continuando a dividere il cerchio di 360°, può avere o non avere una sua significatività nella complessità dell’interpretazione.

 Ciò che dicevo a proposito di Venere vale per ogni altro corpo celeste e direi in modo ancora più manifesto per la Luna. Il luminare della notte dovette subito imporsi alla fantasia degli antichi per il candore della sua veste fisica, suscettibile tuttavia di cambiare velocemente nel colore e nella forma, determinando così una vasta scala di immagini cromatiche, ricche di significato. Né ci volle molto perché la mente primitiva proiettasse su altrettante divinità il fluttuare perenne dell’astro così simile al flusso della vita: nascita, crescita, pienezza, decadenza e morte. Unico satellite della Terra, chi coltiva i campi ne scopre subito l’influenza per la semina, chi naviga ne coglie la corrispondenza con le maree e l’intero ciclo femminile appare cadenzato su quello della Luna.
 
 È la casta Artemide (o Diana) al suo candido e primo apparire, protettrice delle partorienti e al tempo stesso custode del principio femminile che deve essere mantenuto intatto per essere preservato. Pronta ad uccidere e/o a generare la follia nelle menti di chi attenti all’equilibrio della natura (Orione colpito da uno scorpione, Atteone mutato in cervo e via dicendo). Così, tra i vari significati, l’astrologia attribuisce ad una certa configurazione del luminare nel cielo di nascita le morti improvvise e/o l’insorgere della follia.
 
 È Selene nella pienezza del suo fulgido splendore, a simboleggiare la bellezza delle forme femminili, che protegge le donne in gravidanza, favorisce la fecondazione; è Atena o Minerva dagli occhi di civetta che vede nel buio della notte ciò che altri non vedono e nella sua sapienza conosce ogni segreto; è Ecate la terribile, quando nel cielo scompare alla vista e si lega alle ombre degli spiriti e alle pratiche di magia nera. Insomma è il principio femminile nella varietà delle sue sfumature positive e negative. In qualche raro caso è però anche divinità maschile (è il caso di Shin, il dio assiro-babilonese), perché non più considerata per rapporto al Sole dal quale riceve la luce, ma in relazione alla Terra da fecondare. Sotto il femmineo e bianco manto l’astro cela infatti il rosso dardo della passione, per cui talora fu anche identificato con Venere-Afrodite.

 Gli dei rappresentano in forma personalizzata le forze gravitanti nell’universo e nella psiche umana, i miti raccontano di questi dei, attribuendo loro fatti reali e accadimenti umani. L’astrologo traduce miti e simboli in un universo di significato che differisce non solo in funzione di una molteplicità di variabili, ma in ragione di una complessità di cui è l’interprete, in definitiva, il solo responsabile. Giacché, per quanto egli si sforzi di considerare con oggettività le diverse energie dei corpi celesti presenti nel tema di nascita considerato, spetta sempre a lui ricomporre in sintesi ciò che a prima vista appare contraddittorio. Tanto per fare qualche esempio: la nascita con Luna nuova, crescente, calante o piena, al primo quarto, all’ultimo, in domicilio, in esilio, in esaltazione o caduta, in questo o quel segno, in questa o quella casa, armonica o disarmonica col Sole e con i pianeti ecc… assumerà significati diversi potendo idealmente richiamarsi a questa o quella divinità del mito lunare. Così, se congiunta a Marte, egli non avrà difficoltà, almeno a prima vista, a identificare la Luna con Artemide e i suoi significati guerrieri, se congiunta a Venere con la stessa Afrodite e la dolcezza venusina, se a Giove con Selene, cioè la possibilità di successo, l’immaginazione benefica, ma anche il rischio d’ingrassare...

 Per il rapporto tra musica-astrologia, infine, è chiaro che la musica, esprimendo nel linguaggio che le è proprio, le armonie o le disarmonie del reale, può ben rappresentare una metafora dell’astrologia, non solo per gli aspetti correlati agli accordi e ai toni musicali, ma più in generale per tutti i corpi celesti  simbolicamente presenti nella scala musicale.

sergio magaldi