venerdì 26 febbraio 2010

LA PRIMA COSA BELLA

LA PRIMA COSA BELLA, film di Paolo Virzì, 116 minuti, 2010








L’ultimo film di Paolo Virzì sta raccogliendo in Italia unanime consenso di pubblico e di critica, almeno a giudicare dagli incassi e dalle recensioni della stampa e degli internauti. Né poteva essere diversamente. Già il titolo, La prima cosa bella – preso in prestito dalla omonima canzone popolare che, nell’interpretazione dell’allora esordiente Nicola Di Bari e dei Ricchi e Poveri, si classificò al 2° posto del Festival di Sanremo del ’70 – ricorda agli italiani, nati di donna, che “la prima cosa bella” che hanno ricevuto dalla vita è il “sorriso giovane” della propria madre. Del resto, la colonna sonora del film, nel canto dolce di Malika Ayane, risuona di quei versi sinceri, belli e per nulla retorici: “La prima cosa bella che ho avuto dalla vita è il tuo sorriso giovane, sei tu […]”


Appare dunque naturale che la narrazione si svolga tra il 1971 e il 2009, in un ritmo da sistole e diastole che finisce per interessare le viscere e che rimanda di continuo dal presente al passato senza soluzione di continuità e senza una vera e propria tecnica di flashback, ciò che avrebbe facilitato nello spettatore distratto dalle prime multicolori sequenze, la comprensione che non si stia parlando di due famiglie dello stesso condominio ma di un'unica famiglia rivisitata quarant’anni dopo.

La storia narrata da Virzì utilizza tutti gli strumenti utili a far risuonare le corde del cuore e della pancia, organi particolarmente sensibili negli spettatori attratti dai numerosi programmi nazional-popolari della TV, sia “classici”, tipo “Ballando sotto le stelle”(non a caso citato nel film) che vagamente “trasgressivi”, del genere “Grande fratello”. Senza voler considerare l'utilizzo dell’accento della sua terra, il livornese, che dalle labbra del sempre più accigliato e introspettivo Valerio Mastrandrea e ancor più da quelle di Claudia Pandolfi si diffonde suscitando più di una perplessità in chi ascolta.

Nondimeno, il tutto appare congegnato con mestiere e non c’è dubbio che alcuni personaggi siano convincenti, come la “madre giovane” – così solare e materna, così vittima del maschilismo di sempre – interpretata in modo più che convincente da Micaela Ramazzotti, che via via che procede la narrazione cerca sempre più di avvicinarsi alla “madre più che matura”, rappresentata da un'impeccabile Stefania Sandrelli. Anche se l’ingenuità della “prima madre” fa un po’ da contrasto con l’eccessiva arguzia e disinvoltura della seconda. E lo stesso Valerio Mastrandrea dimostra ancora una volta di trovarsi a proprio agio nei panni di un personaggio al quale non sia richiesta eccessiva mobilità espressiva, al di fuori del volto corrucciato, simbolo del disagio dell’anima (un po’ come in Giulia non esce la sera). Bravi i registi che così lo utilizzano.

Per il resto, la vicenda risente di una costruzione di maniera, con ingredienti garbatamente attinti dalla cucina popolare, con contrasti, liti e tradimenti familiari, con maldicenze di provincia e tradizionali luoghi comuni, con situazioni paradossali che dovrebbero emozionare lo spettatore, come nel matrimonio e nel trapasso consumati nella stessa giornata, a meno che non si tratti di un tributo a Jean-Jacques Roussseau che nel matrimonio vede la tomba dell’amore!

Un “polpettone”, dunque? Non proprio o non del tutto, perché alla fine la pietanza offerta appare comunque più discreta e misurata delle sostanze utilizzate.

sergio magaldi

MAZAL TOV. L'ASTROLOGIA NELLA TRADIZIONE EBRAICO-CABBALISTICA


Introduzione



Sprezzata nelle Accademie, riguardata con sospetto persino nei ‘circoli esoterici’, l’astrologia non è tuttavia lo spettro inquietante che si aggira nella cultura occidentale. [1] Al contrario! Presente in carne e ossa manifesta sempre più una vocazione ‘serenatrice’, socializzante e mediatica: dai salotti privati ai talk show televisivi passando per la carta stampata di rotocalchi e quotidiani di ogni tendenza e celebrando oggi più che mai il proprio dominio nelle molteplici rubriche on line e sui telefoni cellulari. Né vale parlarne come di una moda risorgente, perché l’astrologia non è stata mai veramente estranea alla cultura occidentale. In passato, al centro di grandi dispute nelle religioni e tra gli spiriti eccelsi divisi in fautori e detrattori, [2] oggi relegata al silenzio sprezzante della dottrina e resa un gioco per tutti i cervelli e per tutte le borse, ignorando Pietro Pomponazzi [3] che insinua trattarsi forse del gioco di Dio.

Come si spiega allora la rimozione che la cultura occidentale fa dell’astrologia? Non è mia intenzione sciogliere l’enigma, d’altra parte per rispondere a questo interrogativo occorrerebbe almeno un trattato. Mi basti individuare qui, per così dire, alcune direttrici fondamentali: l’astrologia residuo del paganesimo antico, la fatalità dei suoi assiomi contrasta con la libertà dell’uomo e con l’onnipotenza di Dio, il mancato fondamento epistemologico delle sue leggi e dei suoi risultati. Ciascuna di queste asserzioni, nel corso del tempo, è stata ampiamente vagliata e talora, dai fautori moderati e non dell’astrologia, addirittura falsificata. Persino la Bibbia –si è detto- distingue tra idolatria astrologica e astrologia che manifesta, sottoforma di segni, l’onnipotenza divina. Quanto alla fatalità, si tratta di una concezione legata allo stoicismo,[4] mentre si viene sempre più affermando l’idea che ‘gli astri inclinano ma non necessitano’ e addirittura che ‘l’uomo saggio domina le stelle’. Si è infine tentato di fare dell’astrologia una scienza sperimentale,[5] neotolemaica e/o neostoica, col risultato spesso di perdere, dell’antica arte dei Caldei, la dimensione intuitiva e di rinunciare ad una ricerca molto più complessa che, per esempio, combina il destino individuale con quello dei membri di una stessa famiglia. [6]

La scienza e le grandi religioni monoteistiche hanno combattuto nell’astrologia la presunta vocazione a farsi scienza e religione, e anche se singoli scienziati e teologi ne hanno subito talora il fascino, nemmeno tanto discreto, la posizione ufficiale di tutte le chiese è stata sempre quella della condanna. Ma, per uno strano paradosso, è potuto accadere che la più antica delle religioni monoteistiche finisse addirittura per essere influenzata dall’astrologia, né la cosa appare tanto sorprendente: non è Abramo, il padre dell’ebraismo, della città di Ur dei Caldei? [7] E ‘l’astrologia era grande nel suo cuore’ commenta il rabbino Salomon Thein. [8]



La Torah scritta



Nel Pentateuco [9] il riferimento più importante è in quei noti versetti del Genesi (15:5-6) in cui Dio rassicura Abramo che negli astri aveva visto la mancanza di discendenza:

Lo fece uscire all’aperto e gli disse: ‘Osserva il cielo e conta le stelle, se puoi contarle. E soggiunse: così numerosa sarà la tua discendenza’. Egli ebbe fiducia nel Signore che gliela ascrisse a merito

Nel successivo versetto si consuma il definitivo distacco dall’astrologia: “… Io sono il Signore, io ti ho fatto uscire da Ur, città dei Caldei, per darti questa terra” (15:7). La terra promessa è la terra di Israele dove le leggi dell’astrologia sono superate dalla Legge del Signore. Distacco, dunque, superamento ma non rifiuto dell’astrologia e, anzi, da questo momento si aprirà una polemica in seno all’ebraismo: solo Israele si sottrae all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel), non altrettanto possono tutte le altre nazioni. Pure, in questa separatezza dichiarata del ‘popolo eletto’, che tanti argomenti di comodo ha fornito all’antisemitismo, si può cogliere una legge universale. Non si tratta di credere o non credere nell’astrologia, argomento in sé futile e privo di interesse, ma di riconoscere che al di sopra dei pianeti, degli astri e delle sfere rotanti nel cosmo, c’è un principio ‘sottile’ che governa l’universo e che a chiunque è dato di uscire da Ur dei Caldei… a patto naturalmente che vi sia entrato una volta e abbia scrutato profondamente nei cieli. La Pompeo Faracovi assimila questa concezione all’esortazione contenuta negli Oracoli Caldaici di ‘non aumentare il destino’ (non creare altro karma direbbe un orientale)e anzi di oltrepassare la natura che del destino è l’interprete fatale. [10] Più ancora l’avvicina alle concezioni gnostiche ed ermetiche per le quali le ferree leggi degli astri governano i corpi ma non lo spirito. Scrive: “La fatalità incombe sul mondo materiale, ma il popolo di Dio ne è immune; nella prospettiva del singolo, ciò significa che la pratica esemplare dei comandamenti (mitzvoth) ha l’effetto di una forma di emancipazione dal destino, parallela, dunque, all’illuminazione degli gnostici e alle mistiche esperienze rigeneratrici degli ermetici.” [11] Affermazione, questa, sicuramente non proponibile per lo gnosticismo che tanto rigidamente distingue tra spirito e materia e che può proporsi con molte perplessità nei confronti dell’ermetismo. Esseri a più piani, per i seguaci di Ermete, sul piano fisico gli uomini dipendono interamente dalle leggi planetarie e se non si esercita la libertà dei ‘piani superiori’, si resta invischiati nella fatalità del ‘piano astrale’. Zosimo di Panopoli [12], l’inventore dell’alchimia greca, interpretando la lezione di Ermete Trismegisto, si pone il problema se l’opera di trasformazione dell’uomo non cominci proprio con la trasformazione del proprio destino. Occorre cioè oltrepassare l'Eimarméne, la fatalità cosmica che governa la materia. Solo coloro che approfondiscono la conoscenza di sé, si liberano dalle catene della necessità astrologica e, al tempo stesso, ridestano la scintilla divina che è in loro. Tutti coloro -osserva ancora Zosimo, nel Commentario alla lettera Omega- [13] che subordinano l’inizio dell’Opera alla buona disposizione degli astri, individuando il kairos o momento opportuno, consacrano le proprie energie all’Eimarméne che governa il mondo corporeo, cioè proprio a quel mondo che dovrebbero trasformare per scoprire l’oro della condizione originaria. Costoro sono uomini senza intelletto, solo pupazzi nel corteo della Fatalità. Dal canto suo, l’uomo pneumatico o spirituale lascia che la Natura agisca secondo Necessità preoccupato solo della propria e dell’altrui trasformazione, né ritiene che conoscendo le cose spirituali (asomata) possa facilmente governare quelle materiali (somata) perché, al contrario, più egli si avvicina alla realtà noetica e all’Uno, più diventa incapace di intrattenersi con il mondo in cui regna l’Eimarméne e l’avvicendamento degli opposti. Ciò che l’uomo pneumatico scopre in questa ricerca è bensì l’uomo originario, l’Adam-Theuth della tradizione ebraico-egizia.

Come si vede, molti punti di contatto ma anche molte differenze: nell’ermetismo permane una sorta di dualismo anche se l’iniziato (l’uomo pneumatico) non se ne cura, nell’ebraismo, al contrario, lo spirito che fa uscire Abramo, l’eletto, da Ur dei Caldei è lo stesso spirito che muta le leggi della natura.

Concetti analoghi a quelli già espressi in Genesi 15:5-7, sono contenuti in un altro brano della Torah. Questa volta però in modo molto più esplicito e che non lascia adito a dubbi:

Guardatevi parimente, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna e le stelle, tutte le schiere celesti, di non traviarvi prostrandovi loro e servendoli, poiché il Signore tuo Dio li ha assegnati a tutti gli altri popoli che abitano sotto tutti i cieli; mentre il Signore prese voi e vi fece uscire dal crogiuolo del ferro, dall’Egitto perché foste per Lui un popolo Suo possesso speciale come siete oggi[14]

E’ dunque ribadito il principio di Ein mazal le Israel e ‘l’uscita dall’Egitto’ prende qui il posto dell’uscita da Ur dei Caldei, nel senso cioè di un invito ad abbandonare comportamenti e leggi che regolano il destino di tutti le altre nazioni e di cui l’astrologia è certamente il simbolo più importante. Quel che mi preme sottolineare, tuttavia, è che neanche qui è negata la verità dell’astrologia, tant’è che tutti i popoli della terra ne sono sottoposti. Tutti, tranne il ‘popolo eletto’. Ma anche ora l’apparente separatezza e faziosità addita la strada dell’universale: l’ebreo si affranca solo in quanto è parte di un popolo che esce da Ur dei Caldei e dall’Egitto, in quanto cioè si fa iniziato in un popolo di iniziati. Infine, la condanna dell’astrologia formulata nel passo biblico è in realtà la condanna dell’idolatria.

Altri passi della Torah non modificano i concetti già esposti: in Levitico 19:26 e ancora in Deuteronomio 18:10 si esprime la condanna di maghi e indovini che solo con una certa approssimazione possono essere assimilati agli astrologi.


La Bibbia


In altri passi biblici, tuttavia, l’assimilazione è più esplicita. Così è in Isaia (47:13-15):

“… hai cercato fino a stancarti il consiglio degli indovini! Si presentino ora a salvarti quelli che osservano le stelle e consultano la mappa del cielo, per dirti ogni mese quello che accadrà. Essi sono come paglia: il fuoco li brucerà! Non scamperanno alle fiamme. Non resterà un po’ di brace per cuocere il pane, o un semplice fuoco per sedersi accanto. Così diverranno i tuoi consiglieri che ti preoccupi di consultare fin dalla tua giovinezza! Ognuno se ne andrà per i fatti suoi; non resterà nessuno a salvarti.”

Naturalmente, la condanna degli astrologi si lega a quella più generale contro l’astrolatria. Si legge nel II Libro dei Re (17:16-20):

Trascurarono tutti i comandamenti del Signore, il loro Dio. Si costruirono due immagini di vitelli in metallo fuso e un palo sacro della dea Asera. Adorarono gli astri e servirono il dio Baal. Bruciarono in sacrificio i loro figli e le loro figlie. Praticarono magie per conoscere il futuro. Si abbandonarono a pratiche contrarie alla volontà del Signore, tanto da esasperarlo. Il Signore si sdegnò molto contro gli abitanti del regno d’Israele, e perciò li scacciò lontano da sé; rimase soltanto la tribù di Giuda. Ma anche gli abitanti del regno di Giuda non osservarono i comandamenti del Signore, loro Dio; seguirono invece le consuetudini introdotte dal regno d’Israele. Perciò il Signore respinse l’intero popolo d’Israele. Per umiliarlo lo abbandonò al saccheggio di briganti. Alla fine lo scacciò lontano da sé.

Nell’ Antico Testamento, la condanna dell’astrolatria è contenuta in molti altri passi: sempre nel II dei Re (23:3-5) allorché è detto che Manasse, re di Giuda praticò il culto degli astri e li adorò e costruì altari in loro onore persino all’interno del Tempio di Gerusalemme e nei due cortili di accesso. E ancora in Ezechiele (8:16):

Poi il Signore mi trasportò nel cortile interno del tempio. All’entrata del santuario, tra il porticato e l’altare, c’erano circa venticinque uomini. Con le spalle al santuario e il viso rivolto a oriente si inchinavano sino a terra per adorare il sole.

Di nuovo, esortando gli ebrei a non vivere al modo degli altri popoli, come in Geremia (10:2-3):

“… Non imitare il modo di vivere delle altre nazioni: esse sono atterrite da fenomeni insoliti che accadono in cielo, ma voi non dovete averne paura. La religione degli altri popoli non vale niente…”

E ancora, annunciando lo sterminio del Regno di Giuda, in Sofonia (1:5): “Sterminerò quelli che salgono sui tetti , per adorare le stelle…” e in Geremia (8:2): “Queste ossa non saranno più raccolte per essere sepolte, ma diverranno letame per la terra. Le lasceranno sparse al sole, alla luna, alle stelle che essi hanno amato e servito, che hanno onorato e consultato, e davanti ai quali si sono prostrati.

Non è un caso che il rifiorire del culto degli astri, tra gli ebrei, coincida con la distruzione di Israele. Perché Israele è fuori da Ur dei Caldei, fuori dall’Egitto, fuori dalla condizione in cui vivono tutti gli altri popoli della terra e quando gli ebrei si comportano proprio come tutti gli altri, Israele non ha più ragione di essere, perché Israele nasconde nel nome, anzi è la totalità delle porte della conoscenza di questo universo. Infatti, distanziando tra loro le lettere ebraiche che formano la parola l a r c y Israel e invertendo di posto la Alef a e la Lamed l si ha a l r c y Iesh relà che significa ‘è 231’ con chiaro riferimento alle 231 Porte della Conoscenza.

Le Porte si conoscono utilizzando le 22 lettere, di cui si compone l’alfabeto ebraico, in connessione al Galgal o ruota celeste (che nel Talmud designa la ruota dello zodiaco), com’è scritto nel Sepher Yetzirah(2:4): “22 lettere…Le collocò in circolo come un muro con 231 Porte”. Applicando una formula basata sul principio seguente: dato un certo numero di punti (n) in una circonferenza, il numero delle linee (L) che si ricavano connettendo tra loro tutti i punti è L=n (n-1) / 2. Se n sono le 22 lettere si ha: L= 22x21/2=231.

Tornerò in seguito su quest’ultimo aspetto che riguarda sia gli insegnamenti del Talmud sia aspetti non secondari della Qabbalah ebraica. Per ora mi limito a sottolineare che l’alfabeto sacro agli ebrei, col quale Dio ha creato il mondo, si coniuga qui addirittura con la ruota dello zodiaco per formare le porte della conoscenza. C’è dunque un sapere legato agli astri da cui non si può prescindere e che, anzi, è condizione essenziale della conoscenza del divino.

Continuando, intanto, la disamina del testo biblico, nella Lettera di Geremia 59-66, si può cogliere la notevole differenza che intercorre tra astrologia e astrolatria, tra astri e idoli:

Il sole, la luna e le stelle brillano e sono mandati a illuminare, essi fanno volentieri il loro servizio. Anche il lampo, quando guizza, si fa vedere perfettamente; così pure il vento: soffia per tutta la regione. Quando Dio comanda alle nubi di coprire la terra, esse ubbidiscono. Anche il fulmine, quando è mandato dall’alto a devastare montagne e foreste, fa quello che gli è comandato. Gli idoli invece non assomigliano a queste cose né per l’aspetto né per la forza. E’ chiaro dunque che non si deve pensare o dire che sono dei; infatti non sono in grado di fare giustizia o di far del bene agli uomini. Sapete che non sono dei, quindi non temeteli! Gli idoli non possono né benedire né maledire i re. Non mostrano ai popoli nessun segno in cielo: non illuminano, come fa il sole; non rischiarano la notte, come fa la luna.

Nella Bibbia, gli astri sono dunque per l’uomo il linguaggio dei cieli, i segni della volontà di Dio. Ne potrebbe essere diversamente, considerando che furono creati da Dio nel quarto giorno e furono cosa buona (Genesi 1:14-19). E addirittura nei versetti di Daniele 12:2-3, è detto che i saggi, dopo la resurrezione, brilleranno nel cielo come stelle. “E tu –dice il Signore a Daniele, nel successivo versetto (12:4)- conserva segreto questo messaggio, non svelare il contenuto di questo libro prima del tempo della fine. Allora molti lo consulteranno e la loro conoscenza crescerà.” Di nuovo il concetto, anche se diversamente formulato, cui accennavo prima: c’è un sapere collegato agli astri che apre le porte della conoscenza.

In altri libri dell’Antico Testamento si descrive la bellezza del firmamento e la sua utilità per l’uomo: “Il firmamento tutto limpido è un vero splendore e guardare il cielo è uno spettacolo affascinante. Il sole, quando spunta all’orizzonte, proclama a tutti che l’opera dell’Altissimo è stupenda. A mezzogiorno brucia la terra e niente può resistere al suo calore. Per certi lavori ci vuole il fuoco di una fornace, ma il sole sui monti scalda tre volte di più: manda vampe infuocate e acceca coi suoi raggi di fuoco. Ma il Signore, che ha creato il sole, è ancora più grande e con la sua parola dirige il corso del sole. La luna, col suo ciclo, stabilisce le stagioni ed è il punto di riferimento per calcolare il tempo. Per fissare la data delle feste si ricorre alla luna che prima cresce e poi cala. Anche il mese prende il nome dalla luna che cresce in modo meraviglioso e ha fasi diverse; essa che brilla nel firmamento, è come un segnale per tutto quello che si muove nel cielo. Le stelle, con la loro luce, fanno più bello il firmamento e con il loro splendore adornano il cielo dove il Signore abita. Esse ubbidiscono a Dio che è santo, stanno dove le ha collocate e non abbandonano il loro posto di veglia. Ammira l’arcobaleno e loda chi lo ha fatto: com’è bello nel suo splendore. Nel cielo traccia un arco di colori, l’ha teso il Signore con le sue mani.[15]

Nel libro della Sapienza, il discorso sulla bellezza del firmamento si coniuga insieme a quello sulla struttura del creato, argomento questo che sarà ripreso anche nel libro di Giobbe. E’ la conoscenza degli astri che fa comprendere il mondo manifesto:

Dio stesso mi ha fatto conoscere come sono veramente le cose, mi ha insegnato la struttura del mondo e il gioco dei suoi elementi, la divisione del tempo in passato, presente e futuro, le diverse posizioni del sole e l’alternarsi delle stagioni. Ho conosciuto il ciclo dell’anno e la posizione delle stelle.” [16]

Al di sopra del sole e della luna, tuttavia, c’è la sapienza che è più bella del sole e di ogni costellazione perché è luce che non conosce tenebra (Sapienza 7:28-30). Gli astri, inoltre, come ogni altro elemento della natura, non possono sostituirsi al creatore:

Tutti quelli che non conoscono Dio, nella loro debolezza, si illudono. Vedono le cose buone ma non sanno risalire alla loro fonte; prendono in considerazione le opere, ma non sanno riconoscere l’artista che le ha fatte. Essi ritengono divinità il fuoco, il soffio vitale, l’aria leggera, le costellazioni, l’acqua impetuosa, i lumi celesti che reggono il mondo. Ma se affascinati dalla loro bellezza arrivano a considerarli dei, sappiano che il Signore di queste cose è ancora più grande: colui che le ha fatte è la sorgente stessa della bellezza.” [17]

Il Signore ha creato gli astri, il Signore li domina secondo il proprio volere ma anche secondo giustizia e per il bene dell’umanità. E’ un concetto questo che si ripete costantemente nella Bibbia e in Malachia 3:20 e nel Salmo 37:6 il sole è addirittura il simbolo visibile della giustizia divina e i suoi raggi hanno potere terapeutico. Ma la collera divina si annuncia con l’oscuramento o col cangiamento di colore degli astri, così è in Ezechiele 32:7 dopo la morte del faraone:

Quando cesserai di vivere, coprirò il cielo, oscurerò le stelle, velerò il sole di nuvole e la luna non brillerà più. Per causa tua non renderò più luminose le luci del cielo e tufferò la tua terra nell’oscurità. Lo affermo io, il Signore.

Così ancora, annuncia il terribile giorno dei reprobi il profeta Gioele:

Il sole si oscurerà e la luna diventerà rossa come il sangue, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e terribile. Ma chi invocherà il mio Nome sarà salvo. Sul monte Sion e in Gerusalemme sopravvivranno quelli che io ho scelto.[18]

Gli fa eco il profeta Isaia:

Il giorno del Signore si avvicina implacabile. Giorno di paura, di ira e di furore: la terra sarà tutta un deserto, e saranno distrutti tutti i peccatori. Stelle e costellazioni smetteranno di brillare, il sole si farà oscuro fin dal mattino, e la luna non splenderà più.” [19] e poco dopo: “ il sole, la luna e le stelle si sgretoleranno in polvere. Il cielo si avvolgerà come un rotolo, le stelle cadranno come le foglie del fico e della vite.[20]

Ma quando giunge il giorno del perdono e della misericordia, allora la luce dei luminari diviene molto più forte: “Quando il Signore curerà e fascerà la ferita del suo popolo, la luna brillerà come il sole. La luce del sole sarà come la luce di sette giorni[21] oppure tale luce sarà sostituita da Dio stesso: Ormai non avrai più bisogno della luce del sole durante il giorno, né di quella della luna durante la notte. Infatti io, il Signore, tuo Dio, t’illuminerò per sempre con il mio splendore. Il tuo sole e la tua luna non tramonteranno più, perché t’illuminerò per sempre, io il Signore…” [22]

Insomma, anche se a fin di bene, Dio usa gli astri a proprio piacimento. E’ il solo a poterlo fare? Sembrerebbe proprio di si, perché la natura dell’uomo è assai più debole di astri e costellazioni:

C’è qualcosa di più luminoso del sole? Ma se anche il sole si oscura durante l’eclissi tanto più l’uomo che è solo carne e ossa può essere oscurato dal male. Dio sa anche controllare gli astri, gli uomini invece sono solo terra e cenere.[23]

E Dio stesso chiede a Giobbe[24]: “Sei capace di incatenare le costellazioni o di sciogliere le stelle? Puoi farle apparire al tempo giusto e trascinare l’Orsa Maggiore con tutto il suo seguito? Conosci le leggi degli astri? Sei tu che li metti in relazione con le stagioni?[25]

Pure, si conoscono due eccezioni: davanti a Giuseppe, in sogno, si prostrano i due luminari e undici stelle [26] e sempre, ‘Deo concedente’, Giosuè ferma il sole e la luna per un giorno intero:

Quel giorno, quando il Signore diede a Israele la vittoria sugli Amorrei, Giosuè pregò il Signore e gridò alla presenza di tutti gli Israeliti: ‘Sole fermati su Gabaon! E tu, luna, sulla valle di Aialon! Il sole si fermò, la luna restò immobile, un popolo si vendicò dei suoi nemici’. Questo avvenimento è descritto nel Libro del Giusto; per quasi un giorno intero il sole restò in alto nel cielo, senza avviarsi al tramonto. Un giorno come quello non c’è mai stato né prima né dopo di allora, quando il Signore ubbidì a un essere umano e combatté a fianco d’Israele.[27]


Il Talmud


Dall’analisi del Pentateuco (Torah scritta) e degli altri libri dell’Antico Testamento è emerso l’atteggiamento biblico nei confronti dell’astrologia. Non condanna, come spesso si è impropriamente affermato, perché la condanna riguarda unicamente l’adorazione degli astri, ma, certo, neppure riconoscimento di un ruolo autonomo dell’astrologia. In tale generale contesto dove –come abbiamo visto- si giunge addirittura ad esaltare la bellezza e la bontà di stelle e costellazioni in quanto creature divine, si delinea con sufficiente chiarezza, per chi voglia vedere, la veridicità degli astri come segni celesti. Ciò significa che le previsioni degli astri, nel bene e nel male e sino a quando non siano smentite dalla volontà di Dio, sono attendibili. E’ il caso, per esempio, della discendenza di Abramo. La natura stessa sembra confermare ciò che Abramo ha visto con ‘la sua astrologia’, ma un intervento straordinario di Dio consente di superare sia limiti naturali che previsioni astrali.

Nel Talmud, [28] il discorso è completamente diverso, perché numerosi trattati contengono l’esposizione dettagliata delle influenze astrali sulla vita degli uomini [29] e il principio stesso del Ein mazal le Israel è talora messo in discussione. Così, per esempio, in Berachoth 64a è detto che se si conoscono i segni del destino si è in grado di prolungare la vita, sempre che il proprio comportamento non contrasti con la Torah. Del resto, nella comunità ebraica di Babilonia, all’interno della quale fu redatto il Talmud babilonese, non si dubitava che l’astrologia fosse una scienza e che agli ebrei fosse lecito consultarla. Restava solo qualche dubbio sulla questione se Israele fosse o no soggetta alle influenze astrali. [30] ‘Il destino dell’uomo è strettamente legato alla sua costellazione’ recita il trattato Meghillah, 3a e come unico rimedio si consiglia la recita dello Shemà. [31] E il trattato Moèd Katan, 28a afferma: “Longevità, discendenza e mezzi di sussistenza non dipendono dal merito ma dai pianeti. Considerate l’esempio di Rabbah e di R.Chisdà, i quali erano ambedue uomini giusti. L’uno usava invocare la pioggia e quella discendeva, mentre la preghiera dell’altro non aveva tale risultato. R. Chisdà raggiunse l’età di novantadue anni, mentre Rabbah morì a quaranta. Nella casa del primo furono celebrati sessanta matrimoni, mentre nella casa di quest’ultimo sessanta funerali. Nella casa di R.Chisdà i cani mangiavano pane del migliore fior di farina e nessuno se ne curava, mentre nella casa di Rabbah non c’era neppure pane d’orzo per gli uomini” [32] Nel trattato Baba Bathra,16b si racconta che Abramo portasse sul cuore una tavola astrologica e che tutti i re d’oriente e d’occidente si recassero da lui per consultarla. La fama di Abramo astrologo è riportata anche in Nedarim I,4 ma in Nedarim 32a è detto che a colui che si astiene dalla divinazione è assegnato un posto in cielo dove neanche gli angeli possono entrare.

Il trattato talmudico che maggiormente si occupa favorevolmente di astronomia, di astrologia e di astri è Shabbat, dove la conoscenza dei cicli (solstizi ed equinozi) e dei segni zodiacali (tequfot ve-mazalot) è addirittura sollecitata in adempimento alle Scritture (75a). Chi dispone del sapere di stelle e segni zodiacali (chokmat ha kokhavim ve ha mazalot ) e non lo usa, non osserva l’opera del Signore né vede il lavoro delle sue mani, secondo il versetto di Isaia (5:12): ‘ (guai a coloro) che non riguardano l’opera del Signore e non vedono il frutto delle sue mani’.

Com’è noto astri e costellazioni sono parte dell’opera di Dio, essi furono fatti nel quarto giorno della creazione. Calcolare cicli e segni zodiacali (tequfot ve-mazalot) è dunque per l’ebreo addirittura una mitzvà (precetto religioso) secondo l’interpretazione che i dotti del Talmud danno alle parole di Mosé: ‘Vedete, io vi insegno le leggi e le norme che il Signore, mio Dio, mi ha incaricato di darvi, perché le mettiate in pratica (…) Osservatele con impegno: mostreranno la vostra saggezza e la vostra intelligenza di fronte agli altri popoli…[33]

Nello stesso trattato si raccontano aneddoti a sostegno della veridicità dell’astrologia: i decreti degli astri trovano la strada per realizzarsi anche nelle circostanze più difficili ed imprevedibili: “Joseph, celebre per la maniera con cui onorava lo Shabbat, aveva per vicino un pagano ricchissimo. I Caldei (cioè gli astrologi) dissero a quest’ultimo che le sue ricchezze sarebbero passate in potere di Joseph. Allora egli vendette tutte le sue proprietà, comprò col ricavato una perla, che mise nel suo berretto. Mentre stava traversando un traghetto, il vento gli fece volar via il cappello, la perla cadde nell’acqua, e un pesce la inghiottì. Il pesce fu pescato e fu messo in vendita il Venerdì. I pescatori cercavano chi volesse acquistarlo, furono consigliati di portarlo a Joseph, lo scrupoloso osservante dello Shabbath, che era solito acquistare quel genere di pesce. Glielo portarono ed egli lo acquistò. Quando lo aprì, vi trovò dentro una perla, che vendette per una immensa somma di denaro” [34]. Tuttavia, la recita dello Shemà, l’osservanza della Torah o la pratica della carità, come si racconta in un altro aneddoto, possono modificare il destino sfavorevole indicato dagli astri: “Due discepoli di R.Channina uscirono a tagliar legna. Un astrologo li vide e disse: ‘Ecco due uomini che sono usciti ma che non rientreranno’. Mentre erano in cammino, incontrarono un vecchio, che disse loro: ‘fatemi la carità, chè da tre giorni non mangio’. Avevano un pezzo di pane, lo tagliarono in due parti e gliene dettero una. Quegli mangiò e pregò per loro, dicendo: ‘Possiate salvarvi oggi la vita, come oggi avete salvato la mia’. Andarono in pace e tornarono in pace. Si trovarono per caso colà alcuni che avevano udito la predizione dell’astrologo, al quale allora domandarono: ‘Non avevi detto che questi due uomini sarebbero andati ma non sarebbero tornati?’ ‘C’è qui un mentitore (alludendo a se stesso) –egli rispose- poiché le sue previsioni sono false’. Perciò andarono e investigarono sulla questione; e trovarono un serpente tagliato in due, mezzo nel carico di legna di uno, mezzo nel carico di legno dell’altro discepolo. La gente chiese loro: ‘Che vi è capitato oggi?’ Quelli riferirono l’incidente e l’astrologo esclamò: ‘Che cosa posso fare io se il Dio degli Ebrei si placa con la metà di un pezzo di pane?’ ” [35]

I dotti del Talmud discutono spesso tra loro se, ad influenzare la vita degli individui, sia il pianeta del giorno o piuttosto quello dell’ora di nascita. Le preferenze vanno al pianeta dell’ora e le influenze sono quelle tradizionali della mitologia greca e dell’astrologia classica. Così, chi nasce nell’ora del Sole sarà indipendente, agiato e di carattere aperto e chiaro, chi nasce nell’ora di Venere sarà di natura sensuale, chi in quella di Mercurio sarà saggio e di buona memoria e così via… [36]

E’ proprio il discorso sull’astrologia oraria che mi induce a riprendere la tesi cui ho già accennato nelle pagine iniziali di questo scritto e cioè quella del comune atteggiamento di ebraismo ed ermetismo nei riguardi dell’astrologia. [37] L’accettazione delle tecniche di interrogazione e di elezione dell’astrologia oraria, proprie dell’ermetismo, da parte di autorevoli Rabbi della comunità di Babilonia non modifica, a mio giudizio, le similitudini e le differenze esistenti tra le due concezioni. [38] Al più, induce l’ebreo ad accostarsi all’astrologia senza tema di peccato. Intanto perché, come osserva Abraham bar Hiyya [39] solo all’ebreo in stato di purità è dato emanciparsi dal fato e poi perché solo a lui è dato legittimamente interrogare le stelle per conoscere ore favorevoli e ore nefaste [40]

C’è anche chi attribuisce notevole importanza al giorno della nascita, ma qui l’influsso favorevole o sfavorevole non dipende più dai pianeti, bensì dai giorni della creazione: “Chi nasce di Domenica sarà interamente buono o interamente cattivo, perché in quel giorno furono create la luce e l’oscurità. Chi nasce di Lunedì sarà di cattivo carattere perché in quel giorno furono divise le acque. [41] Chi nasce di Martedì sarà ricco e sensuale perché in quel giorno furono create le piante. Chi nasce di Mercoledì sarà saggio e dotato di buona memoria, perché in quel giorno furono sospesi gli astri nel firmamento. Chi nasce di Giovedì sarà benefico, perché in quel giorno furono sospesi gli astri nel firmamento. Chi nasce di Venerdì sarà attivo, o secondo un’altra versione, zelante nell’adempiere i precetti (mitzvoth). Chi nasce di Shabbat morirà di Shabbat perché per causa sua fu profanato il giorno sacro”.[42] C’è infine (Shabbat, 156a) chi aggiunge che il nato di Shabbat, sarà colmo di zelo religioso (Rabbi Nachman ben Ytzchak) e che sarà chiamato uomo grande e santo (Rabbi bar Shila).

Il dibattito infinito sulla legittimità dell’astrologia, sulla possibilità che l’ebreo ha di conciliarla con la Torah, porta qualcuno a chiedersi: Dio avrebbe creato gli astri se questi rappresentassero davvero un rischio per la fede? [43] A questa domanda, per così dire, conciliativa, si danno spesso risposte in chiave umoristica, come quella contenuta nel Midrash Rabba (Genesi X:3-4): “Questo si può comparare a un re che è entrato in una provincia ed è stato sedotto dall’entusiasmo con cui gli abitanti lo hanno accolto. Per ringraziarli, egli decise di farli divertire con la corsa dei carri. Ecco perché c’è un pianeta che percorre la sua orbita in dodici mesi ed è il Sole, un altro in dodici anni ed è Giove, un altro in trenta giorni ed è la Luna, un altro ancora in trenta anni ed è Saturno etc…” [44] Fuori del suo contesto, la risposta del Midrash fa venire in mente Piero Pomponazzi e la sua concezione dell’astrologia come ‘gioco di Dio’ [45]


Gli autori


La rassegna che segue prende succintamente in esame alcuni tra i più importanti autori e/o pensatori ebrei che si occuparono di astrologia. Inizia con Filone alessandrino e termina con Maimonide, più o meno in coincidenza col diffondersi della Qabbalah storica, alla quale dedicherò, per ciò che si riferisce all’astrologia, il successivo e ultimo paragrafo di questo scritto.



Filone, vissuto tra il 13 a.C e il 54 d.C nell’ambiente ebraico ellenizzante di Alessandria, coglie il significato simbolico della ‘doppia’ migrazione di Abramo: una prima volta dalla Caldea, una seconda da Haràn che significa ‘caverna’. L’uscita dalla Caldea, con riferimento al Genesi, significa l’abbandono dell’astrologia. Infatti –scrive Filone- “I Caldei, più degli altri popoli, sembrano aver praticato l’astronomia e l’arte di fare oroscopi, connettendo i fenomeni terrestri con quelli atmosferici e i fenomeni celesti con quelli che riguardano la superficie della terra. In tal modo hanno dimostrato attraverso rapporti musicali la perfetta armonia del tutto, in forza del (principio della) comunanza reciproca e della simpatia delle parti, le quali, se risultano separate dal punto di vista spaziale, non lo sono certo dal punto di vista dell'affinità sostanziale. Costoro hanno ipotizzato che il nostro mondo di fenomeni sia il solo essere che è veramente, ossia che esso è Dio, oppure che in sé include Dio, (inteso) come l’anima del tutto. E (per ciò stesso), avendo divinizzato il fato e la necessità, hanno riempito la vita umana di una molteplice empietà, insegnando che al di fuori dei fenomeni non c’è nulla, che non c’è alcuna causa, ma che sono i movimenti del sole, della luna e di tutti gli altri astri a dispensare a ciascuno degli esseri i beni e i loro opposti (…) Né il cosmo, né l’anima del mondo sono Dio in senso eminente; e neanche gli astri e i loro movimenti sono le cause originarie delle vicende umane, ma tutto questo, nella sua totalità, è tenuto insieme dalle Potenze invisibili che l’Artefice ha disteso dagli estremi lembi della terra fino ai confini del cielo, provvedendo saggiamente che esse restassero come legami indissolubili; e, effettivamente, le Potenze sono i legami saldissimi del tutto (…) o gente stravagante, com’è che vi siete così d’improvviso alzati da terra e, sospesi ad altezze strabilianti, al di là del cielo, vagate per l’aria a studiare da vicino i moti del sole, i corsi della luna e le danze armoniose e musicali di tutti gli astri? Queste cose sono più grandi delle vostre menti e la condizione che esse hanno in sorte è certo più felice e divina. Scendete, dunque, dal cielo e, una volta scesi, non tornate ad esaminare la terra, il mare, i fiumi e le specie animali e vegetali. Piuttosto studiate voi stessi e la vostra natura, non abitando in altro luogo che dentro di voi. Esaminando le cose di casa vostra -a quale parte di essa spetta il comando, a quale l’essere sottomessa, qual è la parte animata e quella inanimata, quella razionale e quella irrazionale, la parte mortale e immortale, migliore e peggiore-, subito avrete con chiarezza la scienza di Dio e delle Sue opere.” [46]


La maggiore polemica di Filone è però diretta, nel De Providentia, contro la Genetliologia (anticipazione della cosiddetta astrologia giudiziaria). Più che mai –osserva Filone- il giudizio degli astri nei confronti dei singoli non si addice al popolo ebraico: la circoncisione, l’osservanza della Legge, lo Shabbat, l’alimentazione kasher e tanto altro ancora sono la scelta comune di tutto un popolo, come ciò –egli si domanda- può interferire con i differenti destini individuali proposti dalle tecniche genetliologiche?

Un medievalista insigne come Emile Bréhier osserva, tuttavia, che Filone tratta l’astrologia con molta benevolenza tanto da sembrare di averla addirittura praticata lui stesso e un altro studioso, il Wendland, sottolinea l’interesse di Filone per l’astrologia allorché si tratta di interpretare le undici stelle del sogno di Giuseppe in analogia con altrettanti segni zodiacali e del dodicesimo (cioè il segno dei Pesci) simbolicamente rappresentato dallo stesso Giuseppe [47]

La verità è che Filone nega agli astri di essere ‘cause prime’ ma gli riconosce il merito, in quanto opera di Dio, di fungere da segnali dotati di quel certo potere che Dio stesso gli ha concesso. E’ da escludere comunque che gli astri siano divinità e che godano di una qualche autonomia. [48] E’ abbastanza comprensibile che la concezione degli astri come segni della volontà di Dio abbia poi avuto fortuna in ambiente cristiano e talora goduto di qualche apprezzamento persino tra i maghi-filosofi del Rinascimento.

Il primo vero grande astrologo ebreo, sia pure di nome e di lingua araba, fu Mashallah vissuto nel secolo ottavo e all’inizio del nono, autore di numerosi trattati tra cui un De significatione Planetorum in Nativitatibus e un commentario del famoso Tetrabiblos di Tolomeo, [49] nonché di un trattato sulle Grandi Congiunzioni planetarie che fece molto discutere. Mashallah, il cui nome ebraico pare fosse Gioele o Giobbe, fu chiamato a decidere insieme all’astrologo arabo Al–Naubacht, sul momento migliore per fondare la grande città di Bagdad (anno 762). Nel suo trattato sulle congiunzioni, egli sostiene che gli eventi del mondo sono scanditi dalle congiunzioni tra i pianeti, in particolare dalla congiunzione Saturno-Giove ( o congiunzione maggiore), Saturno-Marte (media) e Giove-Marte (minore).

In particolare, la venuta di un profeta, sarebbe annunciata da un intero ciclo di congiunzioni attraverso le quattro triplicità (cioè tre segni zodiacali per ognuno dei quattro elementi della tradizione empedoclea). Nell’ambito della congiunzione cosiddetta maggiore (Saturno-Giove) si hanno poi ulteriori distinzioni in piccole, medie e grandi congiunzioni: l’incontro di Saturno con Giove, che si verifica ogni venti anni (piccola congiunzione), produce la congiunzione media ogni 240 anni circa allorché si passa da una triplicità all’altra e la grande congiunzione ogni 953 anni, nel momento del ritorno di Saturno e di Giove sullo stesso grado dello zodiaco [50]

Sulla questione conviene ascoltare Abraham bar Hiyya, astrologo e studioso di Torah (già ricordato a proposito dell’astrologia oraria), che in Meguilat Hamegalé o Sefer Haqtzim riprende il tema delle congiunzioni planetarie di Mashallah e del suo discepolo arabo Abu Mashar: dalla congiunzione Saturno-Giove nel segno di Ariete e dal momento del suo passaggio nelle quattro triplicità: del Fuoco (Ariete, Leone, Sagittario), della Terra: (Toro, Vergine, Capricorno), dell’Aria (Gemelli, Bilancia, Acquario) e dell’Acqua (Cancro, Scorpione, Pesci), trascorrono 953 anni e il tempo di 48 congiunzioni. Dopo tale periodo, caratterizzato dunque da 953 anni e 48 congiunzioni (12 per ciascuno dei 4 elementi), la congiunzione si ripresenta nel fuoco secondo del Leone e dopo altrettanto nel fuoco terzo del Sagittario. Perché la congiunzione Saturno-Giove ‘esaurisca’ la triplicità di fuoco occorrono in tutto 2859 anni (953 x 3) e 144 congiunzioni (48 x 3).

In riferimento alla storia ebraica, con l’anno 2365 del calendario ebraico e la prima congiunzione Saturno-Giove nella triplicità d’acqua (segno zodiacale dei Pesci), si ha la nascita di Aronne e tre anni dopo quella di Mosé e tutto questo periodo dei segni d’acqua corrisponde all’esodo e ai 40 anni trascorsi nel deserto. L’entrata della congiunzione nella triplicità del fuoco corrisponde al periodo dei Giudici. La triplicità d’aria inizia nel 2841 e nel 2854 nasce David. La distruzione del I Tempio sarà opera dei babilonesi, all’epoca del ripresentarsi della congiunzione Saturno-Giove nella triplicità di acqua. [51]

Tra Mashallah e Abraham bar Hiyya, cronologicamente, si colloca Ibn Gabirol detto Avicebron (1020-1057), poeta e filosofo di Saragozza che nel poema Kether Malchuth (“La Corona del Regno”) esalta la bellezza degli astri senza entrare nel merito dei loro effetti benefici o malefici. Più o meno contemporaneo di Abraham bar Hiyya è invece Yehudah ben Samuel ha Lewi (1075-1141), castigliano, medico, teologo, filosofo e poeta. Scrisse in arabo il notissimo Il re dei Kùzari, tradotto in ebraico solo trent’anni più tardi. I Kùzari erano una popolazione situata nella regione compresa tra il Caucaso, il Volga e il Don. Il re dei Kùzari si convertì all’ebraismo nell’ottavo secolo e a un suo discendente riuscì di diffondere la religione ebraica tra le classi aristocratiche. Nel libro, che si articola sottoforma di un dialogo tra un re dei Kùzari e un saggio, l’autore si occupa di astrologia soprattutto esponendo il contenuto del Sepher Yetzirah, di cui parlerò più avanti. Nel dialogo seguente, Yehudah dichiara incomprensibile per l’uomo comune una reale e autonoma influenza dell’astrologia:

“Re dei Kùzari: Se è così, vedo che riconosci il dominio delle ore e dei luoghi come fanno gli astrologi.

Saggio: Forse neghiamo loro che le cose superne abbiano influenza sulle cose terrestri? Noi ammettiamo che la materia della generazione e della corruzione proceda dalle sfere; però le forme sono di colui che le governa, e che stabilì come strumenti per la conservazione di tutte le cose che Egli vuole che esistano senza che noi possiamo conoscere i loro particolari, mentre l’astrologo dice che le comprende, ma noi gli neghiamo ciò, e stimiamo che una creatura di carne e di sangue non le può comprendere; e se di questa scienza si trovasse qualcosa che fosse fondata nella scienza legale divina, l’ammetteremmo; e la nostra mente è soddisfatta per ciò che riguarda le cose della scienza degli astri delle parole dei nostri savi, perché crediamo che le abbiano ricevute per virtù divina, e che perciò sono vere; e se non è così, tutte le cose (che dicono gli astrologi) sono (soltanto) considerazioni, e le sorti (tratte dall’osservazione) del cielo sono meno ancora attendibili di quelle dei geomanti” [52]

In conclusione, Yehuda ha-Lewi sembra avere una certa riluttanza nei confronti dell’astrologia e sente come un privilegio il fatto che Israele non sia soggetta all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel).

Al contrario, Abraham ben meir Ibn Ezra (1092-1168), ritenuto il più noto astrologo ebreo e autore tra l’altro di una Enciclopedia astrologica, non considera una fortuna che Israele sia senza mazal (astro) e gli attribuisce invece il pianeta Saturno e il segno dell’Acquario, [53] mentre la Palestina è per lui collegata a Marte per via dei sacrifici cruenti, il capro espiatorio, la circoncisione ecc…, tutte pratiche volte ad esorcizzare il sentimento della collera. Ezra è convinto che astri e pianeti non fanno altro che compiere la volontà divina e che, d’altra parte, la loro posizione nel cielo determini il destino materiale degli individui, ma non quello spirituale. [54] L’atteggiamento di Ezra mira, in definitiva, a conciliare l’astrologia con la Torah ed egli arriva addirittura a collegare i comandamenti divini (ad eccezione del primo: Io sono il Signore tuo Dio) alle orbite celesti.

Un atteggiamento anti- astrologico e talora anti- talmudico, per ciò che diversi trattati del Talmud considerano l’astrologia con una certa benevolenza, è invece quello di Maimonide.[55] Sull’astrologia, egli scrisse due Epistole. La prima, diretta alla comunità yemenita, mira a sconfiggere l’idea, allora assai diffusa in quella comunità, di un’influenza delle grandi congiunzioni planetarie negli accadimenti storici. Egli così scrive agli yemeniti: “ Noto che siete inclini a credere nell’Astrologia e all’influenza delle congiunzioni planetarie, passate e future, sugli eventi umani. Dovete scacciare tali idee dalla vostra testa (…) I veri saggi, che siano o no religiosi, rifiutano di credere nella verità di questa scienza. I suoi postulati possono essere respinti con vere prove e su base razionale…” [56]


Nell’Epistola ai rabbini di Provenza del 1194, Maimonide polemizza con l’astrologia oraria la cui pratica era diffusa nelle comunità ebraiche del Mediterraneo e rispolvera l’idea che, in fondo, l’astrologia altro non sia che astolatria. [57]



La Qabbalah



Il Sepher Yetzirah o “Libro della Formazione” [58] è alla base dell’astrologia cabbalistica. Sin dal I Capitolo allorché si parla delle 22 lettere dell’alfabeto con cui Dio creò il mondo. Tre di queste lettere: Shin-Alef-Mem m a c sono dette madri e rappresentano i tre elementi della tradizione empedoclea: acqua-aria-fuoco, altre sette di queste lettere rappresentano i sette pianeti (considerando i due luminari e i cinque pianeti della tradizione): Bet- Dalet- Ghimel- Kaf- Phe- Resh- Taw t r p k d g b mentre le restanti dodici lettere rappresentano i 12 segni zodiacali.

Ancora in 1:8 del Sepher Yetzirah si fa riferimento, oltre che alle dieci Sephiroth [59] che molti cabbalisti considerano in analogia coi pianeti, [60] alle Hayot o ‘creature viventi’ della visione di Ezechiele e che Ibn Ezra considera in analogia coi segni zodiacali.

In 2:4, in relazione alle 231 Porte della Conoscenza di cui ho già accennato, è nominata la ruota dello Zodiaco o Galgal e da 4:7 a 4:14 si parla dei sette pianeti. In 5:4 sono citate le 12 costellazioni dell’universo (i cui nomi corrispondono ai 12 segni zodiacali). Unendo la lettera del segno zodiacale col proprio rispettivo elemento (Aria-Fuoco-Acqua-Terra), avremo 12 radici per ciascuno dei 12 segni zodiacali. Da queste radici e talora dalle loro ghematrie [61] è possibile raccogliere qualche indicazione sul significato del segno zodiacale. Per i segni di Terra, mancando la corrispondente lettera ‘madre’, varrà l’unione di ciascuna lettera della triplicità di Terra con la lettera Mem (acqua).

Abbiamo così, unendo la Alef a alle lettere dei tre segni di Aria: z a Az (Gemelli) che significa ‘allora’, l a El (Bilancia) che è uno dei nomi di Dio, x a Atz (Acquario) che significa ‘affrettarsi’.

Unendo poi la lettera Shin c alle tre lettere dei segni di Fuoco: h c Sheh (Ariete) che è il capo del gregge e il cui valore numerico, 305, forma significative ghematrie: j x r w a Or Tzach ‘Luce ripulita’ e h l r u Orlah ‘Prepuzio’. Dall’unione delle lettere corrispondenti agli altri due segni di fuoco abbiamo: f c Shat (Leone) che significa ‘ribelle’ e s c iShas (Sagittario), le cui due lettere rappresentano Shishah Sidrey (‘Sei ordini’), cioè l’abbrevazione dell’intero Talmud e la cui principale ghematria, con valore di 360, è y l k c Sikhli ‘intellettuale’.

L’unione della Mem m con le lettere della triplicità di Acqua forma rispettivamente: J j Cham (Cancro) che significa ‘caldo’, Min (Scorpione) cioè ‘sesso’ o ‘specie’ e q m Mem-Quf (Pesci) radice che indica lo ‘stare in piedi’, il ‘sostenere’.

Infine, l’unione della stessa lettera madre, la Mem, con le lettere della triplicità di Terra forma: w m Mu (Toro) cioè il suono onomatopeico dell’animale, y m Mi (Vergine) che significa ‘Chi?’ e bene indica la curiosità dei nativi di questo segno zodiacale, e ancora:  Am (Capricorno) che vuol dire ‘popolo’.

Concludendo sul Sepher Yetzirah (6: 1), oltre allo zodiaco viene nominato l’asse del mondo o Teli y l t conosciuto anche come Drago e che in astrologia riveste particolare importanza in riferimento alla testa e alla coda cioè ai nodi lunari come più spesso vengono chiamati. Questi punti nodali rappresentano l’intersezione dell’ Equatore con l’eclittica e secondo il grande cabbalista Abulafia [62] ‘la testa del Drago’ significa merito mentre la coda significa responsabilità e in tutte le tradizioni ha un significato ‘malefico’ soprattutto quando, nel cielo di nascita (il cosiddetto oroscopo) è congiunta al Sole. Analogamente gli Esseni, [63] nel tracciare gli oroscopi, davano molta importanza ai nodi lunari che insieme ai 5 pianeti, al Sole e alla Luna formavano le ‘nove parti’. Il pronostico, fatto sul tema di nascita, era favorevole quando la luce prevaleva sulle tenebre, quando cioè le ‘nove parti’ erano in prevalenza nel cosiddetto emisfero di luce, individuato al di sopra dell’orizzonte. Nessun uomo, naturalmente, era interamente nella luce o interamente nelle tenebre perché il nodo lunare nord (testa del Drago) si trova di necessità sopra l’orizzonte e il nodo lunare sud (coda del Drago) sotto l’orizzonte. Il più puro o ‘illuminato’ era dunque colui che aveva ‘sette parti’ (oltre alla testa del Drago) sopra l’orizzonte, il più impuro quello che aveva le ‘sette parti’, cioè i 5 pianeti e i due luminari (oltre alla coda del Drago) al di sotto. [64]

L’interesse per l’astrologia fu presente anche nelle prime scuole di Qabbalah storica, che si diffusero in età medievale, sulle rive del Mediterraneo, tra le fiorenti comunità ebraiche. Alcuni scolari del grande Isacco[65] se ne occuparono in particolare: Azriel di Girona, [66] Nachmanide suo discepolo, e i meno noti Ezra di Girona, forse fratello di Azriel, e Jacob ben Sheshet.

Nei suoi commentari, Azriel sviluppa la tesi che l’uomo saggio e pio può correggere ciò che nel suo destino è sfavorevole, mentre l’uomo malvagio finisce con l’annullare ciò che il destino gli ha riservato di favorevole. Egli sottolinea l’interrelazione dei destini umani e ritiene che per coloro che si siano pentiti durante lo Yom Kippur, o giorno di espiazione e di purificazione, si danno due possibilità: se, dopo il pentimento, cadono nuovamente nel peccato, ciò che di positivo c’era nel loro destino si realizza ugualmente senza tuttavia che possano approfittarne. Se, invece, non si sono pentiti nel giorno stabilito (Yom Kippur) ma lo fanno successivamente, ciò che di negativo c’era nel loro destino si verifica ma per loro non produce effetti malefici.

Il discepolo di Azriel, Nachmanide si occupa di astrologia nel Commentario del Deuteronomio, 18:9, riconoscendo che per volontà divina gli astri esercitano la loro influenza sugli uomini e che agli angeli è assegnato il compito di regolare tale influenza. Egli raccomanda comunque di tener conto delle indicazioni di astri e costellazioni e soprattutto di fare penitenza nei giorni cosiddetti sfavorevoli. Di un anonimo cabbalista è il Sepher Halevana o ‘Libro della Luna’, citato da Nachmanide e dove sono esaminate le 28 dimore della Luna, quelle favorevoli e quelle sfavorevoli, nonché i relativi talismani.

Il rapporto angeli-astri è invece ripreso da Jacob ben Sheshet il quale sostiene che il destino di ognuno è simbolicamente descritto nel suo tema natale e che gli angeli eseguono il volere di Dio, scritto negli astri sin dai giorni della Creazione. Gli angeli, tuttavia, nell’eseguire la volontà divina, scritta negli astri, possono sfumare i significati del destino perché se gli astri garantiscono l’ordine dell’universo e rappresentano, usando il linguaggio aristotelico, la ‘Potenza’ di ciò che deve accadere, gli angeli sono gli strumenti della Provvidenza e gli artefici del passaggio dalla ‘Potenza all’Atto’. Nel commentario al trattato talmudico Moed Katan, Jacob ben Sheshet sostiene che se il giusto può annullare o modificare il decreto degli astri, su tre cose gli riesce difficilmente intervenire: sul numero dei figli, sulla lunghezza della vita e sulla ricchezza. Può solo sperare di modificarle supplicando e moltiplicando le sue preghiere, in aggiunta all’osservanza dei Mitzvoth (precetti) e al merito personale. [67]

In diversi passi dello Zohar [68] è ripresa la problematica talmudica sull’astrologia, in particolare per ciò che riguarda la discendenza di Abramo. Nel trattato Lekh Lekha 78a la questione è risolta al modo di Filone di Alessandria [69] e in Pinhas (Numeri)216b è detto chiaramente che il destino di Abramo fu modificato dall’aver egli cambiato di residenza (le ‘migrazioni’ di cui parla Filone) e dall’aver aggiunto la lettera He h al suo nome, perché tale lettera simboleggia i 5 libri del Pentateuco e della Torah. Analogamente, se, in passato, il numero dei figli, la durata della vita e la ricchezza erano determinati dagli astri, da quando Israele ha ricevuto la Legge tutto ciò è stato modificato.

Nel trattato Vayéshev 180b è detto che i nati nel giorno della Luna nuova, quando il luminare scompare dal cielo e Ghevurah, [70] il Rigore si afferma nell’universo, dovranno sopportare povertà e ogni genere di sofferenza e ciò prescindendo dal fatto che siano giusti o empi. Tuttavia, la preghiera potrà migliorare la loro sorte. Al contrario, chi nasce di Luna piena godrà di ogni bene, di figli e di buona salute. Il rapporto angeli-astri è invece contenuto in un altro trattato zoharico (Teroumah, 171b-172b) col dire che ogni stella, pianeta o costellazione ha il suo angelo in grado di governare gli eventi e il destino.

Infine, in Jethro, 76a-b è detto che gli astri lasciano sul viso e sul corpo dell’uomo i segni del destino [71] così come li lasciano nel firmamento: “Così come nel firmamento sono incisi gli astri e altri segni leggibili ai saggi, sulla pelle che ricopre ogni uomo sono incise rughe e linee che non hanno segreti per i saggi, soprattutto rughe e linee del viso…” [72]



Sergio Magaldi





[1] ‘Uno spettro ci inquieta: lo spettro dell’astrologia.’ Così, polemicamente, esordisce Ornella Pompeo Faracovi nel suo pregevole Scritto negli astri. L’astrologia nella cultura dell’Occidente, Marsilio, Milano, 1996, p.13


[2] Cfr., oltre al cit. Scritto negli astri…, le note bibliografiche contenute in fondo al volume, pp.281-288. Di notevole interesse: E. Garin, Lo zodiaco della vita. La polemica sull’astrologia dal Trecento al Cinquecento, Laterza, Bari, 1976


[3] Pietro Pomponazzi (1462-1525) medico e filosofo nato a Mantova. Pubblicò nel 1516 il Tractatus de immortalitate animae, nel quale, sulla scia di Aristotele e di Alessandro di Afrodisia, negava l’immortalità dell’anima. Pur condannando la magia superstiziosa, difese l’astrologia naturale sino al punto di sostenere, nel De fato, libero arbitrio, praedestinatione et providentia Dei, le tesi dello stoicismo circa l’ineluttabilità del fato, governato dalle stelle.


[4] Scuola filosofica di età ellenistica fondata intorno al 300 a. C. da Zenone di Cizio presso un portico (stoà in greco). Per gli stoici, una ragione divina governa il cosmo secondo un ordine necessario e perfetto.


[5] In questo senso il tentativo operato dal medico tedesco H.Freiherr Von Klockler e dai ricercatori della rivista Sterne und Mensch, fondata a Lipsia nel 1925.


[6] Cfr. L.Greene, Astrologia e Destino, trad.it., Armenia, Milano, 1995, cap.4, pp.98-132.


[7] Cfr. sui Caldei e l’astrologia, O. Pompeo Faracovi, cit., nota 4, pp.25-26


[8]cit. in J. Halbronn, Le mond juif et l’astrologie, Arché, Milano, 1985, p.20. Circa l’nfluenza dell’astrologia sull’ebraismo ibid. pp. 8-25


[9] La Torah scritta si compone dei libri del Pentateuco (Genesi o Bereshit, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio). Inizia con la lettera Bet di Bereshit e termina con la lettera Lamed di Israel con cui si chiude il Deuteronomio. Insieme, le due lettere formano la parola Lev b l cuore, a indicare che la vera conoscenza della Torah è una conoscenza del cuore e non dell’intelletto, il che, naturalmente, non significa che la Torah non debba essere studiata, come invece raccomanda espressamente la tradizione ebraico-cabbalistica. Lev b l cuore ha valore numerico 32 come i trentadue sentieri dell’Albero della vita.


[10] Cfr.O. Pompeo Faracovi, cit., p. 96


[11] ibid., p. 97


[12] Zosimo nativo di Panopoli, città della Tebaide egizia dell’alto corso del Nilo, visse tra il III e il IV secolo d. C. . Padre dell’alchimia greca, fu definito dall’alchimista Olimpiodoro ‘la corona dei filosofi, lingua feconda come l’Oceano, il nuovo interprete delle cose divine…’ (cfr. Zosimo di Panopoli, visioni e risvegli, testi a cura di A. Tonelli, Coliseum editore, Milano, 1988, Introd., p.2 ). L’intento alchemico di Zosimo, presente in tutte le opere, è ben visibile nel trattato sull’acqua divina. Egli scrive (CAAG III 143,20 – 144,7): ‘E’ questo il mistero divino e supremo, l’oggetto delle ricerche. Questo è il Tutto. Da esso viene il Tutto e per mezzo di esso il Tutto è. Due nature, una sola essenza: l’una trascina l’altra, e l’una domina l’altra. Questa è l’acqua d’argento, la maschio-femmina che sempre fugge, attratta verso ciò che è proprio. E’ l’acqua divina che tutti hanno ignorato. Non è facile contemplare la sua natura. Non è metallo, né acqua che sempre scorre, né è un oggetto corporeo: non può essere dominata. E’ il tutto in tutte le cose. Ha vita e spirito ed è distruggitrice. Chi intende queste parole, possiede l’oro’


[13] La lettera Omega è l’ultima lettera dell’alfabeto greco e in quanto tale rappresenta il termine estremo di espressione della materia. E’ il Saturno-piombo dell’opera alchemica, non troppo dissimile da ciò che nell’alfabeto ebraico rappresenta la lettera Taw


[14] Deuteronomio, 4:19-20


[15] Siracide, 43:1-12


[16] Sapienza, 7:17-19


[17] ibid.,13:1-3


[18] Gioele, 3:4-5


[19] Isaia, 13:9-10


[20] ibid.,34:4


[21] ibid, 30:26


[22] ibid, 60:19-20


[23] Siracide, 17:31-32

[24] Giobbe che non riesce a spiegarsi la sventura che d’improvviso si è abbattuta su di lui dice, tra l’altro, a Dio (Giobbe 31:26-27):‘La vista del sole splendente o l’avanzare maestoso della luna non mi hanno tentato. Non ho mai adorato gli astri’


[25] Giobbe, 38:31-33


[26] Genesi, 37:9


[27] Giosué, 10:12-14


[28] Il Talmud è una raccolta enciclopedica della tradizione ebraica, compilata durante un periodo di circa ottocento anni, dal 300 a. C. al 55 d.C., in Palestina (Talmud di Gerusalemme) e in Babilonia (Talmud di Babilonia). Il suo contenuto si può suddividere in Halakhah (‘via’ da seguire, precetti della Torah da osservare) e in Haggadah (materiale narrativo di genere vario). Dell’Halakhah fa parte la Mishnah (insegnamento dei Dottori della Legge e sorta di Torah orale, si compone di numerosi trattati) e la Ghemarà (commentario a completamento della Mishnah). Dall’Haggadah si sviluppò, in tutta la sua complessità, la letteratura rabbinica dei Midrashim o raccolta delle interpretazioni rabbiniche.

29 J. Halbronn in op.cit., pp. 241-2, riferisce che il rabbi Jonathan Hacohen capo della comunità di Lunel verso la fine del 1100, vedeva una contraddizione del pensiero ebraico nei confronti dell’astrologia. ‘Perché –egli si chiede- nessun pensatore ebreo ha preso posizione contro l’astrologia se è vero che questa è condannata dalla Bibbia? E come è possibile trovare nel Talmud (Moèd Qatan, 28a), espressione della Legge orale, esposizioni così dettagliate sull’influenza degli astri?’

30 Cfr. J. Halbronn, cit., p.245

31 E’ una delle preghiere più importanti degli ebrei: d j a   h w h y   w n y h l a    h w h y    l a r c y    u m c

Shemà Israel Adonai Elohenu Adonai Echad… Ascolta… Israele… il Signore è il nostro Dio… il Signore è uno… Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze e saranno queste parole che io ti comando oggi nel tuo cuore… le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Le legherai per segno sul tuo braccio e saranno come frontali in mezzo agli occhi e…


32Il Talmud, 4.a ediz.anastatica, a cura del Dr.A. Cohen, trad. it. di A. Toaff, p.335


[33] Deuteronomio, 4:5-6


[34] Shabbat, 119a, in Il Talmud, cit., p.333. L’evidenziato in corsivo è mio.


[35] P. Shabbat, 8d in op.cit., p. 334


[36] Cfr.Shabbat, 156a


[37] Tesi sostenuta da O. Pompeo Faracovi, op.cit., p.97


[38] ‘Alle prospettive dell’ermetismo –scrive O. Pompeo Faracovi, tornando sulla tesi già esposta in op. cit.,p.97- (…) si riallaccia la strutturazione delle tecniche dell’astrologia oraria, volte nella pratica delle interrogazioni, a predire l’esito delle azioni intraprese, e, in quella delle elezioni, a individuare il momento propizio per le nuove iniziative. In correlazione con queste tecniche, riemerge, come già nell’ermetismo antico, il motivo del superamento o, quanto meno, del ridimensionamento, del destino. Da una parte, infatti, l’universo materiale appare governato da una necessità che non tollera eccezioni; dall’altra, si lascia spazio a un’emancipazione dal fato, riservata alle anime che, superando una difficile iniziazione, divengono capaci di elevarsi fino all’unione con il divino. Con questa ricerca di emancipazione possono far nodo le tecniche dell’astrologia oraria, che predicendo il corso cui gli eventi sarebbero sottoposti per effetto della necessità naturale, aprono spazi a una iniziativa consapevolmente volta alla liberazione dalla fatalità.

E’ sulla base di questo assunto –continua O. Pompeo Faracovi- che le tecniche delle interrogazioni e delle elezioni sono legittimate dai dotti ebrei, che discutono le pagine del Talmud babilonese, dedicate al tema dell’immunità di Israele dall’influsso astrale. Particolare importanza rivestono, alle radici del dibattito medievale sul talmudico Ein Mazal le Israel, i responsi di rabbi Sherira (906-1006), gaon dell’Accademia babilonese di Pumbedita, e del suo successore e figlio Hayy ben Sherira (939-1038). In essi si afferma infatti formalmente che l’uomo nella sua sapienza fa cose che non sono gli astri a determinare, e che, con la sua competenza, egli può modificare quel che gli astri hanno determinato’ ibid., p.176-177


[39] Ebreo barcellonese, astrologo e studioso di Torah, vissuto nella prima metà del XII secolo, autore, tra l’altro, di una lettera sull’astrologia in risposta a quella inviatagli dal rabbi di Barcellona, Yeudah ben Barzilai, che lo rimproverava di aver consigliato un amico di rinviare il momento delle nozze in attesa di un tempo migliore (cfr. J.Halbronn,cit., p.122)


[40] O.Pompeo Faracovi, cit., p.177.


[41] E’ il secondo giorno della creazione, l’unico del quale Dio non dice che fu ‘cosa buona’ (cfr. Genesi,


[42] Shabbat, 156a in op. cit., pp.335-336


[43] J. Halbronn, op.cit., p.252


[44] ibid., p.253


[45] Cfr. supra


[46] Filone di Alessandria, De Migrat. Abr., XXXII:178-179 e 181, XXXIII:184-185 Rusconi, Milano, 1988, p.395-396. Circa il significato della ‘seconda’ migrazione di Abramo da Haran (caverna), che non è oggetto di questa specifica trattazione, mi limito a osservare che, secondo Filone, si tratta di uscire dalla propria interiorità sensibile per accedere, mediante l’intelletto, alla chiara visione dell’intellegibile (Ibid., da XXXIV a XXXIX, pp.397-405).


[47] Cfr., J. Halbronn, cit., p.266. Come si ricorderà, il sogno di Giuseppe si riferisce a Genesi 37:9. Circa l’attribuzione dei dodici segni zodiacali ai dodici figli di Giacobbe e alle dodici tribù di Israele, esiste un’abbondante letteratura in merito e le differenti attribuzioni si basano su criteri diversi e non sempre attendibili. Sulla questione cfr. J. Halbronn, cit., pp.74 e ss.


[48] Cfr.,O. Pompeo Faracovi, cit., pp.164-166


[49] Claudio Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C., forse nativo di Alessandria, fu il più grande astronomo-astrologo dell’antichità. Le sue opere principali sono l’Almagesto, nome arabo di un trattato di astronomia chiamato Sistema matematico o Massimo sistema, e il Tetabiblos o Apotelesmatikà un’opera di astrologia che ebbe grande fortuna e che ancora oggi esercita la sua influenza tra gli studiosi del campo.


[50] Cfr. J. Halbronn, cit., pp.139 e ss.


[51] Cit. ibid., pp. 141-142


[52] Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Boringhieri, Torino, 1991, p.209. Di seguito si fornisce qualche dato sul contenuto del libro: Divisione dell’opera (pp.10-12)- Il re (p. 19)- I Kuzari (nota 4 pp.8-9)- Critica della concezione aristotelica dell’eternità del mondo (pp.37-38-193-212-272)-La materia prima dei filosofi aristotelici (p.246-7)- Contro Epicuro e la casualità del mondo (p.250 e cfr. Salmo 104)- L’essere ebreo(p.63)- la lingua ebraica (p.111)- prescrizioni rituali (p.132)- I Caraiti (nota 1 p.9 e tutta la parte III)-Il nome di Dio: Elohim-Tetragramma-Adonai (pp. 193-195-197-214-215-216-217)- astrologia(p.209-218-235)- Il Sepher Yezirah (pp.223 e ss.)


[53] Cfr. J. Halbronn, cit., p. 214. Sulla figura e sull’opera di Ibn Ezra cfr. ibid., p. 163 e ss.


[54] Cfr. O.Pompeo Faracovi, cit., p.178, nota 20 compresa


[55] Mosè Maimonide (1135-1168) cordovese, medico e filosofo di grande fama. La sua maggiore opera è La Guida degli smarriti, terminata di scrivere in arabo nel 1190 e tradotta in ebraico nel 1204. La sua vasta opera è in realtà l’interpretazione della legge ebraica (Halakhah) e dei fondamentali concetti biblici secondo il metodo aristotelico, anche se egli non concorda con Aristotele circa l’esistenza ab aeterno del mondo. Nella maggior parte dei casi –dice Maimonide- non c’è contraddizione tra fede e ragione, in altri casi anche se la ragione non è in grado di provare alcune verità di fede, può almeno provare l’infondatezza delle tesi opposte. “Io credo –dice Maimonide- (Guida, I, 71) che il vero metodo che elimina il dubbio consiste nello stabilire l’esistenza di Dio, la sua unità e la sua incorporeità coi procedimenti dei filosofi, procedimenti fondati sull’eternità del mondo. Ciò non perché io creda all’eternità del mondo o faccia a questo proposito qualche concessione; ma perché soltanto con questo metodo la dimostrazione diventa sicura e si ottiene certezza su tre punti: 1) che Dio esiste 2) che è uno 3) che è incorporeo, senza che importi decidere nulla rispetto al mondo cioè se esso sia eterno o creato…” Più avanti, tuttavia (Guida II, 19), Maimonide nega la necessità dell’Essere e dunque l’eternità del mondo dicendo che il mondo avrebbe potuto essere diverso da quello che è e se, dunque, è quello che è, ciò è dovuto ad una libera scelta di Dio, una scelta creatrice:“Se al di sotto della sfera celeste vi è tanta disparità di cose, nonostante la materia sia una, tu puoi dire che tale disparità è dovuta all’influenza delle sfere celesti e alle posizioni differenti che la materia assume di fronte ad esse, come ha insegnato Aristotele. Ma la diversità che esiste tra le sfere stesse, chi ha potuto determinarla, se non Dio?(…) Dio ha determinato la direzione e la rapidità del movimento di ciascuna sfera, ma noi ignoriamo il modo in cui, nella sua saggezza egli ha effettuata la cosa”.


[56] Mosé Maimonide, Epistola allo Yemen, cit. in J. Halbronn, op.cit.,p.235. La traduzione dal francese è mia.


[57] Cfr. sull’Epistola ai rabbini di Provenza, J. Halbronn, cit., pp.237 e ss.


[58] Per la bibliografia e per la data di composizione, che secondo gli studiosi, oscilla tra il II e il VI secolo d.C., si rimanda a G. G. Scholem, Le Origini della Kabbalah, Bologna, 1990, pp.32-44. Circa i contenuti si rinvia allo stesso volume nonché a G. G. Scholem, La Cabala, Roma, 1989, pp.14, 30-61, 70-72, 96, 101 e ss.


[59] Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’, facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico r p s Safor che significa contare e che delle sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Le sephiroth sono perciò ‘luci’ o ‘pure forme’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, le sephiroth si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. Ad ogni sephirah è attribuito un nome. Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether corona, 6 Tiphereth bellezza e armonia, 9 Yesod fondamento o generazione, 10 Malchuth regno o terra. Alla colonna di destra: 2 ‘Hochmah sapienza, 4 ‘Hesed grazia 7 Netzach vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah intelligenza, 5 Gheburah forza e rigore, 8 Hod splendore.


[60] Cfr. J. Halbronn, cit., pp.304-312


[61] S’intende per ghematria il medesimo valore numerico dato dai cabbalisti a singole parole o intere preposizioni in base al principio che nell’alfabeto ebraico ogni lettera è numero e ogni numero è lettera.


[62] Abraham Abulafia (1240-1291) è il maggior rappresentante della Qabbalah estatica o mistica che si basa essenzialmente sulla contemplazione e sulla meditazione. Sulla vita, l’opera, il pensiero cfr. M. Idel, L’Esperienza mistica in Abraham Abulafia, trad.it., Jaca Book, Milano, 1992. Di rilevante interesse su Abulafia anche il IV capitolo di G.G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Il Saggiatore, Mondadori, Milano, 1965 e edit. il melangolo, Genova, 1990. Su Teli e i nodi lunari cfr. A. Kaplan, Sefer Yetzirah, commento, ediz. Spagnola, Edit., Mirach, S.L., Madrid, 1994, pp. 265-274


[63] Setta ebraica di ispirazione ascetica (II sec. A. C – I sec. d.C) che risiedeva a Qumran sulla riva occidentale del Mar Morto. La comunità essenica conosceva una rigida organizzazione sociale e si caratterizzava per gli ideali di purezza con cui cercava di vivere la fede ebraica.


[64] Cfr. J. Halbronn, cit., pp.332-333


[65] Isacco(1160-1235), detto il Cieco, paradossalmente, perché possedeva luce in eccesso (era un ‘illuminato’), fu il primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah che operarono in Provenza e in Catalogna in un clima di grande sviluppo culturale e sociale delle comunità ebraiche. Si occupò di indagini sul nome di Dio, di preghiere, di luce e di tenebre, delle Sephiroth dell’Albero della vita e dei 32 Sentieri, di Kavanah (meditazione) e di Deveqùth (communio), della catena degli esseri, di simpatia universale. Assai prima della Qabbalah luriana, sembra abbia parlato di trasmigrazione delle anime, limitandola a tre ritorni, come si annuncia in Giobbe 33:29: ‘Tutto ciò Dio la fa tre volte in un uomo:ricondurre l’anima dalla sua putrefazione, affinché essa brilli nella luce della vita’. Isacco anticipò, inoltre, il tema dei cicli cosmici o shemittoth del Sepher Temunah (con riferimento anche alla trasmigrazione animale) e il tema della luce del Sepher Iyyùn.Tra le sue opere: un commento del Sepher Yetzirah, circa 70 frammenti sulla mistica della luce e sui segreti (sodot) della Torah, e qualcuno gli attribuì anche il Sepher Bahir. Sotto la spinta di Isacco il cieco, nel 1230 sorge il gruppo cabbalistico di Girona: la Chaburah qedoshah o ‘Associazione Sacra’, vero e proprio punto di riferimento per la diffusione dell’ebraismo e della Qabbalah in tutto il Mediterraneo.


[66] Azriel visse a Girona nella I metà del XIII secolo. Le sue opere più importanti sono diversi commentari (Commento al Libro della Formazione, Commentario sull’unificazione del nome, Commentario sulle leggende talmudiche ecc…) Il Portico dell’interrogante nel quale si pone domande sulle sephiroth, sull’infinito En Soph, sulla creazione dal nulla, sul tempo, sull’Uno, sui colori, sull’anima e sul corpo. A lui è attribuito anche il libro Le 18 benedizioni, più che altro un testo di preghiere ma anche di contemplazione e di meditazione sull’acqua e sui colori, sulla postura durante le preghiere e sul significato dello Shemà Israel.


[67] Cfr. sull’intera questione, J. Halbronn, cit., pp.294 e ss.


[68] Il Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Sugli argomenti, la data di composizione, l’autore: cfr. G.G. Scholem, La Cabala, trad.it., Roma 1989, pp.215-244 e G.Busi, La Qabbalah, Laterza, Bari, 1998, pp. 70-75. Per un maggiore approfondimento cfr. i capitoli V e VI di Le grandi correnti della mistica ebraica, cit., di G.G. Scholem. L’edizione dello Zohar attualmente in commercio è quella della versione francese a cura di C. Mopsik pubblicata dalla casa editrice Verdier.


[69] Supra


[70] Ghevurah o Din o Pachad (Potenza e Rigore, Giudizio e Terrore) sono gli attributi della quinta sephirah dell’Albero della vita. Sull’Albero della vita nel pensiero ebraico-cabbalistico, cfr. G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999, soprattutto le pp. 53-58.

71 La Fisiognomica o arte di individuare le caratteristiche psichiche e morali delle persone dal loro aspetto fisico, è oggetto di una specifica trattazione nello Zohar

72 La traduzione del passo, dall’edizione francese, è mia. Sull’astrologia nello Zohar, cfr. J. Halbronn, cit., pp. 321 e ss.