giovedì 25 febbraio 2010

LA LUNA E I SIMBOLI DELL'INCONSCIO


Com'è difficile parlar della luna con discrezione! E' così scema, la luna. Dev'essere proprio il culo quello che ci fa sempre vedere”(Samuel Beckett, Molloy”)





 Autorevoli studiosi attribuiscono alla Luna la rappresentazione simbolica dell’inconscio.


 Quale il significato del socratico “conosci te stesso”? Innanzi tutto vuol dire scavare nel rimosso della coscienza, essere costretti a visitare continuamente le profondità della terra, secondo il ben noto “vetriolo” della tradizione alchemica (V.I.T.R.I.O.L.: “Visita interiora terrae rectificandoque invenies occultum lapidem”)


 Senza questa lucida e angosciosa discesa agli inferi nessuna autentica trasformazione è possibile. Questa consape­volezza, d'altra parte, non ci difende dal pericolo dell'illusione.


 Questo pericolo è di tutti, ma più che mai è presente nel santo, nell'eroe, nell'ini­ziato. I quali tutti, per mestiere sono portati a rifiutare l'inconscio oppure a costruirse­ne uno di comodo cui relazionarsi con lo scopo sublime di sottometterlo o di razionalizzarlo. Queste anime belle spesso si coprono gli occhi per non vedere e si turano il naso per non sentire il fetore che viene dalla “stanza accanto” della loro coscienza illuminata. Insomma, tra Alto e Basso, bisogna trovare - come già auspicava MarsilioFicino - un luogo intermedio dove sia possibile incontrare il cosiddetto mondo interiore.

 Nell'articolo “Das Unbevust” ("L'Inconscio") del 1915, Freud dichiara che i con­tenuti dell'inconscio sono sostitutivi di pulsioni che non possono divenire oggetto di coscienza.

 Pertanto, le rappresentazioni inconsce sono organizzate in “fantasmi” (dal greco: visioni, apparizioni) o trame immaginarie alle quali le pulsioni si fissano e che pos­sono essere concepiti come "vere messe in scena del desiderio". In tale prospettiva, il contenuto dell'inconscio è assimilabile a ciò che è stato rimosso, con in più, osser­va Freud, "un nucleo originario di contenuti filogenetici".
 Per la verità gli antichi, oltre alla distinzione puramente mentale o intellettuale di ragione-sragione possedevano già il concetto di inconscio. Solo che lo chiamavano Heimarmene cioè fatalità o destino e il loro modo di cercare di com­prenderlo non era sul lettino dello psicoanalista ma di fronte al tema natale tracciato con gli strumenti dell’astrologia giudiziaria.

 Il problema che si poneva allora era se l'uomo potesse conoscere il proprio desti­no e, una volta conosciutolo, se gli fosse possibile mutarlo nei suoi aspetti più drammatici. Per altro verso è ciò che avviene dallo psicoanalista: portare alla luce il rimosso generatore di nevrosi e vedere se ciò possa servire a lenire il dolore della persona.

 Jung, al quale va il merito di aver ampliato il concetto freudiano di inconscio, sottolinea la quasi totale identificazione di inconscio e destino. In “Psicologia e Al­chimia” egli osserva che, quando parliamo del nostro destino, mettiamo in campo una volontà che non coincide con quella dell'io e, poiché tale volontà si oppone all'io, noi vi scorgiamo un potere divino o infernale, a seconda dei casi.

 La stessa cosa accade con l'inconscio. Noi cogliamo in esso una volontà non coincidente con la nostra. L'accettiamo, allora, come volere divino o combattiamo contro questa volontà che ci appare ingiusta e diabolica e quasi sempre di sesso opposto al nostro. Nessuna di queste risposte è in realtà adeguata a comprendere quello che Jung chiama "processo di individuazione" e "ampliamento di coscienza".

 Nella tragedia greca, il mito, quale archetipo universale, è la chiave che ci consente di entrare nella psiche dei personaggi e di cogliere il filo che sorregge la trama di tutte le loro azioni. La stessa guerra tra gli dei - che i miti raccontano - è finalmente intesa come la guerra che gli individui combattono con loro stessi. La cieca fatalità che spesso sembra dar corso agli eventi, secondo il principio che le colpe dei padri ricadono sui figli, si colora infine di senso. Liz Greene, la nota psicoanalista e cultrice di astrologia afferma che, per com­prendere il tema natale di un singolo, occorre tracciare la carta di nascita dei suoi genitori e che forse non basta, perché bisognerebbe anche conoscere il tema natale degli antenati. (L.Greene, The Astrology of Fate,1984, trad.it., “Astrologia e Destino”, Armenia, Milano 1995, pp.98-132). Quale il significato di tale affermazione? Lo psicoanalista-astrologo e ricercatore è convinto che il proprio paziente sia vittima, oltre che dei suoi, anche dei conflitti inconsci rimasti irrisolti nei genitori e nella famiglia d’origine.

 È interessante osservare che per secoli l'astrologia giudiziaria ha considerato pezzi privilegiati per l'ascolto dell'inconscio il luminare della Luna e Lilith, la sua zona oscura, talora erroneamente identificata con la Luna Nera. Né, d'altra parte, erano noti altri simboli spazio-temporali per descrivere l'inconscio.

 In proposito, occorre appena accennare che sulla stessa esistenza fisica della Luna Nera si continua ancora a dubitare, tanto che è stata spesso diversamente interpretata: 1. Come Luna non visibile o Luna nuova al momento della sua congiunzione col Sole (Ecate o Artemide dei Greci); 2. Come secondo satellite della Terra, scoperto nel XVII Secolodal gesuita Giovanbattista Riccioli e con un passo giornaliero di 3 gradi, ma di cui l'esistenza non è stata ancora provata; 3. Come un punto fittizio dell'orbita lunare.

 Che la Luna rappresenti la fantasia, il sogno, l'immaginazione è perfettamente accettabile; che l'inconscio possa essere identificato con ciò che solitamente definia­mo irrazionale è certamente improbabile. Dane Rudhyar ha chiaramente dimostrato che è proprio la dinamica Saturno (l'io, la forma) - Luna (l'energia) a rendere conto del nostro io cosciente. (Dane Rudhyar, “Astrologia della personalità”, trad.it., Roma, 1986, pp.205-209).

 Inoltre, la Luna è talmente veloce nello spazio che male rappresenta un contenuto psichico altamente cristallizza­to quale l'inconscio, la cui trasformazione richiede un processo lentissimo, addirittura generazionale, prima di poter avvertire un significativo mutamento.

 Bisogna riconoscere, d'altra parte, che la figura di Lilith-Ecate è presente tanto nella mitologia ebraica che in quella greco-romana con la funzione di rappresentare gli istinti più riposti della personalità, ma a parte il dubbio sul potersi giovare di un suo corrispettivo fisico nello spazio, resta, questo rappresentato da Lilith-Ecate, anche solo come concetto, un po' troppo angusto per una reale connotazione dell'incon­scio.

 L'idea di un inconscio come controparte di polarità sessuale appare infatti inade­guata ad esprimere le profondità e le complessità del rimosso. Questo ruolo di con­troparte sembra più che altro spettare all'Anima per l'uomo e all’Animus per la donna. E “anima e “animus appartengono alla coscienza o tutt’al più al subconscio.

 Ciò premesso, la tentazione di sottomettere o redimere l’inconscio è quanto mai ardua e pericolosa.

 Che c'è, in realtà, di così difficile e inquietante nel tentare di sottomettere o redimere l'inconscio? L'ener­gia che sprigiona questa forza invisibile è talmente grande che l'esigua energia della coscienza rischia di esserne travolta. La coscienza può uscirne mutilata nel suo processo di individuazione che presuppone, appunto, il coraggio del confronto con l'inconscio non la sua sottomissione o redenzione. Il dialogo può essere spiacevole, doloroso, forse pericoloso, ma è l'unico mezzo che abbiamo per rompere le cristal­lizzazioni saturnine, allargando progressivamente le frontiere della coscienza e im­parando finalmente a conoscere, vista la sostanziale omogeneità di Inconscio ed Heimarmene, la trama del nostro destino.
 Non è un caso che all'inizio del secolo, proprio quando appare “L’interpretazione dei sogni” di Freud, l'astronomo Percival Lowel, per spiegare le perturbazioni del­l'orbita di Urano, calcoli la posizione di un invisibile pianeta, all'estremo del siste­ma solare. Neppure è un caso che Jung nel 1929 congedi il suo saggio di commento al “Segreto del fiore d'oro”, antico testo di alchimia taoista, prospettando una visione dell'inconscio che riprende e amplia la stessa concezione freudiana di inconscio e che, pochi mesi più tardi, con l'ingresso del Sole in Acquario (febbraio 1930), un astrono­mo americano riesca per la prima volta a fotografare il pianeta “invisibile”: Plutone.

 Per la verità, Rudhyar attribuisce la rappresentazione simbolica della funzione inconscia a tutti e tre i pianeti trans-saturnini: Urano (scoperto nel 1781, poco prima della Rivoluzione francese), Nettuno (scoperto nel 1846) e Plutone (scoperto esatta­mente 84 anni dopo Nettuno, ad un ciclo completo di Urano), ma egli osserva che Urano rappresenta la forza “proiettiva” dell'inconscio,Nettuno quella “dissolvente”, e Plutone quella “rigenerante(cit., pp.209-220).

 In conclusione, dunque, il concetto più compiuto e al tempo stesso più produttivo con cui siamo oggi in grado di rappresentare, nella sua dinamica spazio-temporale, l'inconscio è Plutone. Signore di tutto ciò che è segreto e in particolare del segreto iniziatico iniziatico, Plutone governa i Misteri Eleusini ai quali, come ricorda Aristotele si andava non per apprendere, ma per provare, attraverso un'esperienza mistica vissuta attraverso il rito, una profonda emozione religiosa. Ad Eleusi gli era dedicato un Tempio e sembra, almeno a partire da una certa epoca, che in quei luoghi l'iniziato rivivesse l’esperienza del rapimento di Persefone.

 Greci e Latini conoscevano bene la storia della figlia di Demetra che, china su di un prato a cogliere fiori, è ghermita dal dio e trascinata sotto terra. Demetra si dispera, poi si vendica, impedendo alla vegetazione di crescere. Interviene Zeus e manda Ermete con un messaggio per Plutone. Il dio a malincuore rinuncia all'idea delle nozze con Persefone. Egli è pronto a restituirla, ma c'è una legge di Necessità che non può essere violata neppure dagli dei: se la fanciulla ha già gustato del cibo dei morti, non può più riprendere la vita di prima. Persefone non ha toccato cibo, può quindi risalire sulla terra, ma ecco che Ascalafo, uno dei giardinieri di Plutone, rivela di aver visto Persefone raccogliere un melograno nell'orto e assaggiarne sette chicchi. Alla fanciulla è cosi preclusa la via del ritorno e Demetra si vendica tramutando Ascalafo in barbagianni. 

 Con “ascalafo” i Greci indicavano sia il gufo che il barbagianni. Ovidio nelle “Metamorfosi” ricorda l'episodio che giustifica la cattiva fama di questo uccello.

 Questo sapere arcaico, terribile e iniziatico di Plutone per tradursi in “sapere dell'inconscio” ha avuto bisogno dei secoli, ha avuto bisogno che nei cieli qualcuno avvistasse questo nuovo pianeta del quale - si badi bene - gli astronomi sanno ancora poco e del quale, comunque, sono consapevoli che c'è da sapere molto di più.

 Il mito poetico, l'astronomia. E l’astrologia come vede Plutone? Lo collo­ca nel segno dello Scorpione, opposto alla Terra prima del Toro, lui che è il Signore del sottosuolo. Come forza rigenerante nel bene e nel male, Plutone non può che appartenere a questo segno zodiacale dove lo scorpione può evolversi sino al serpente e all'aquila solare. Il Sole è il principio di individuazione capace di assimilare i contenuti dell'inconscio. Non a caso Plutone è anche definito “Sole di mezzanotte

 Cosa accade quando in un tema natale Plutone s'incontra con gli altri dei? Si manifesta sia la polarità di Eros e Thanatos (Amore-Morte) che in astrologia si riconnette all'aspetto Venere-Plutone, sia la dialettica di Plutone-Saturno-Marte, capace di illuminare lo psicoanalista sugli istinti autodistruttivi della persona. Da quest'ultima configurazione è facile comprendere come il dia­logo tra Plutone e Saturno sia abbastanza diffìcile. Saturno protegge l'io,  e la forma, impedendo che i contenuti rimossi, rappresentati da Plutone possano filtrare. Nel migliore dei casi il risultato è la più completa cristallizzazione dell'io, la sua sclerosi e distruzione. Se tra i due interviene anche Marte, principio dinamico dell'azione, il risultato sarà l'inutile tentativo di rompere la cristallizzazione attraverso un attivi­smo tutto esteriore e poco interiorizzato, con il risultato della frustrazione e di un'azio­ne distruttiva verso se stessi. Poco importante è poi stabilire se il riflesso di questo processo autodistruttivo sia un tumore o la morte per arma da fuoco. Di fronte ad una simile trama dell’inconscio-destino, non resta che attivare la forza di Marte o quella del Sole o di un pianeta altrettanto potente, capace di costringere Plutone e Saturno al dialogo, almeno sino a quando la tensione non si sia alleggerita in virtù di una parziale conoscenza di se stessi.

 Per quanto attiene alla polarità di Amore e Morte rappresentata dall'incontro di Venere e Plutone, una duplice e contrastante pulsione può condurre sino all'ossessione sessuale: da una parte il desiderio di emozioni e di estroversione di Venere, dall'altra l'istinto introverso e indagatore di Plutone che spinge a cercare in ogni donna la Femmina primordiale e assoluta, la Grande Madre che è insieme vita e morte. La tensione può essere attenuata con uno spostamento dell'eros dalla sessualità alla creazione artistica o all'ascesi mistica, ma perché ciò avvenga, è necessario un vero e proprio viaggio iniziatico. Ricompare qui il rapporto tra l'anima e l'incon­scio, tra Persefone e Plutone, come nel mito rivissuto dall'iniziato di Eleusi.

 Del resto, il tema della discesa agli inferi e del contatto con la zona oscura della coscienza era presente in ogni antica iniziazione. Nei Misteri di Dioniso, l'iniziato lasciava addirittura che il rimosso filtrasse alla luce del sole e nell'ebbrezza del delirio, reso più facile dalla musica e dal vino, sperimentava la totalità delle proprie energie.

 Nelle Baccanti”, Euripide ci rappresenta il delirio dionisiaco delle origini. La tragedia è altrettanto illuminan­te nel presentare l'indomabile e divina forza dell'inconscio. Ecco come Tiresia parla di Dioniso: 

 “ […] E questo dio è anche profeta. Perché il furore bacchico e il delirio hanno virtù profetica. E quando il dio entra negli uomini a grande impeto, li dissenna e predicono il futuro(“Il Teatro greco”, Sansoni, Firenze, 1970, p.1017). Allorché Penteo cattura Dioniso, si svolge tra i due questo interessante dialogo:

Dioniso: L'ho visto [Zeus]faccia a faccia e mi ha trasmesso i riti e i misteri.
Penteo: Che riti sono e quale è la forma ch'essi hanno per te?
Dioniso: Sono dei riti su cui vige il silenzio: nessuno che non sia iniziato può conoscerli.
Penteo: E quale bene ne ha chi li celebra?
Dioniso: A te non si può dire, ma è un bene che un uomo deve farne esperienza”. (cit. p. 1022).

 Inutile, d'altra parte, è la pretesa di Penteo di ignorare il dio e le forze che egli rappresenta. Avrà un bell'ordinare alle guardie: "E voi andate a chiuderlo nelle stalle qui accanto, perché veda solo il buio e la tenebra!” (p.1024). L'inconscio non si può incatenare. Ben presto Dioniso si libera: "In questo io l’ho beffato, ch'egli credevad’incatenarmi ma non mi ha sfiorato, non mi ha toccato, la sua è stata un'illusione” (p. 1027).

 Al primitivo carattere orgiastico di questi 
Misteri, subentrò una ritualità mag­giormente 
simbolica dove, il fine era il raggiungimento 
dell'estasi, intesa come unificazione di 
conscio e inconscio e come medesimezza
ascetica col divino.

 Dioniso è figura centrale anche nei Misteri Orfici. Solo che la prospettiva è qui capovolta. Dioniso non è più la rappresentazione gioiosa della vita nel dispiegamento totale degli istinti e delle energie. Nella teologia orfica, egli è Zagreo, il lacerato, creatura infera nata da Zeus e da Persefone. La totalità uomo-dio si è nuovamente frantumata. Aizzati da Era, eternamente gelosa di Zeus, i Titani hanno fatto a pezzi il dio e lo hanno divorato. Dal cuore sottratto al banchetto, Zeus forma un altro Dioniso, poi fulmina i Titani. Dalla cenere dei Titani, nascono gli uomini, in cui l'elemento dionisiaco e spirituale della luce e del bene si fonde con quello titanico e materiale dell'oscurità e del male.

sergio magaldi









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