lunedì 27 settembre 2010

SOMEWHERE,regia di Sofia Coppola, Settembre 2010


Somewhere, ma dov’è il film? Una serie di “quadri” di maniera senza ritmo perché la lentezza con cui vengono presentati forse ti aiuti a riflettere sul “grande” tema esistenziale proposto: “Come puoi vivere se sei un attore di successo che gira in Ferrari, dorme in suite dotate di piscina privata, si addormenta grazie allo spettacolo di due professioniste gemelle, con tanto di pertiche smontabili, puoi avere tutte le donne che desideri, non sei neanche bisessuale, ma al tempo stesso sei amato teneramente da una figlia undicenne?”.



All’inizio del film si ha come l’impressione di un difetto nel montaggio, con la Ferrari che passa e ripassa davanti agli occhi dello spettatore, poi si comprende che difetto non è, perché un analogo ritmo si ripete quasi per ogni altra scena. Una scelta giustificata per predisporre il pubblico alla riflessione, come si diceva sopra o magari alla noia, foriera di interrogativi metafisici.



Johnny Marco [Stephen Dorff], l’attore italoamericano di successo, è considerato anche bello, ma la regia è abile nel mostrarci, con ripetuti primi piani del volto e del corpo [stomaco e pancia dilatati], i segni incipienti della decadenza fisica che s’accompagna al turbamento esistenziale. Frequenti lavaggi, oggetti e situazioni che si ripresentano ossessivamente sullo schermo per dare un’idea dell'angoscia che attanaglia il protagonista [vassoi della prima colazione, interni di alberghi lussuosi a cominciare dal celebre Chateau Marmont di Hollywood, bagagli caricati e scaricati su e da auto di grossa cilindrata etc…]. E, a parte Cleo [Elle Fanning] la ragazzina undicenne, dal volto iperanglosassone, che sa preparare appetitose prime colazioni e che naturalmente è gelosa delle donne che circondano il padre, tutti gli altri personaggi nel ruolo di fantasmi [compresa Laura Chiatti “la ragazza italiana” e il “medaglione nostrano” di cattivo gusto con Simona Ventura, Nino Frassica e Valeria Marini], chiamati alla vita unicamente a sostegno della tesi tacitamente annunciata: “Chi siamo veramente? Dove andiamo?”.



Il paradosso è evidente: se a porre la domanda fosse un povero cristo, non lo prenderemmo sul serio, ma qui ci troviamo di fronte ad uomo di successo, ancora giovane e bello, che può avere tutto ciò che desidera e che la provvisoria convivenza con la figlia ha messo in crisi. Quale la soluzione? Telefonare alla ex-moglie, chiederle aiuto tra le lacrime sperando che lei si commuova e corra in soccorso? Niente di tutto questo, perché il pianto del bell’uomo di successo non ha il potere né di commuovere la donna né i sempre più annoiati spettatori. E allora non resta che salire sulla Ferrari, farci un bel giro con opportune accelerazioni, uscire su una strada secondaria che costeggia una campagna reticolata e desertica, scendere dall’auto, lasciando la chiave inserita nel quadro per la gioia dei ladri e proseguire a piedi col sorriso sulle labbra.



Insomma, si può vincere il Leone d’oro del Festival di Venezia, anche con questi ingredienti, soprattutto se ci si chiama come la regista e se un amico intimo, un personaggio come Quentin Tarantino, presidente della giuria, così si esprime: “È un film che ci ha incantato fin dalla prima scena e che poi è cresciuto nei nostri cuori e nelle nostre analisi”.



Tutto bene, purché il film serva alla Ferrari per aumentare le vendite in USA e nel mondo.


Sergio Magaldi

lunedì 6 settembre 2010

LA TINOZZA DI RAME

LA RECHERCHE -RIVISTA LETTERARIA LIBERA

http://www.larecherche.it/



Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

La tinozza di rame

Romanzo

Sergio Magaldi
EdiGiò

Recensione di Giuliano Brenna
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La tinozza di rame del titolo è un dono fatto da un cardinale all’avo del protagonista e nel corso del romanzo più che luogo deputato alle abluzioni appare come una mistica alcova in cui il destino prende forma, una sorta di crogiolo in cui la vita del protagonista si ricongiunge con la vera essenza di sé al riparo dalle tribolazioni del mondo. Il romanzo inizia con uno stratagemma che introduce la narrazione vera e propria e narra la vita di un confessore agostiniano nel XVII secolo, narrata da lui medesimo. Nel corso della vicenda si vede il protagonista avviarsi alla carriera ecclesiastica grazie al sostegno di un augusto benefattore, ma la vita in seno alla Chiesa risulta assai travagliata per il povero frate, che conoscerà maldicenze, trame nascoste e perfino il carcere. Ma l’occhio acuto dell’autore getta, attraverso il protagonista del romanzo, un pungente, ed aggiungerei poco ortodosso, sguardo sulla Chiesa dell’epoca. Infatti il frate, nel corso della sua vita incontrerà riti pagani, la Qabbalah, seguaci del Grande Nolano, ed altre situazioni che ben poco hanno, apparentemente, di cristiano, ma che, unite nel contesto socio-culturale dell’epoca hanno dato linfa con cui la Chiesa è cresciuta e si è ramificata. Nel romanzo non mancano gli intrighi politici, soprattutto nel personaggio di Olimpia Maidalchini Pamphili, detta la “Papessa”, che vediamo molto attiva nel pilotare i Conclave, alla faccia dell’ispirazione santa, i papi erano eletti seguendo criteri tutti umani e di convenienza. Donna Olimpia inoltre risanerà conti dello stato Pontificio tassando il meretricio, e qui, considerazione personalissima, noterei una certa assonanza con i traffici che spesso hanno come fulcro i possedimenti vaticani. Il romanzo scorre godibilissimo, raccontato con linguaggio che risuona come dell’epoca, ma che non appesantisce la lettura, anzi la rende più realistica e a tratti alleggerisce e rende divertente quanto si va raccontando. L’autore dà prova di grande preparazione mescolando nella trama, come già accennato, elementi appartenenti a religioni antiche, per esempio nella descrizione di riti pagani, o parlando della Qabbalah, e dimostra come anche quelli che si considerano santi uomini vivono di incertezze e di tentennamenti, e che il fervore religioso, l’umiltà o il desiderio di aiutare il prossimo albergano spesso – e benissimo – in cuori che, al di là dell’abito, continuano a rivestire tratti del tutto secolari. Sono assai significativi i passi in cui il protagonista cede alle tentazioni della carne, o addirittura vive una relazione d’amore con una donna, pur senza rinunciare alla purezza del suo animo e continuando ad essere un buon frate. La miopia della Chiesa invece lo condanna per un fatto che non commette, solo per una supposizione; l’Inquisizione, dimostra tutta la sua assurdità e dimostra come l’ignoranza dei suoi propugnatori abbia causato tante sofferenze, senza riuscire in nessun modo a fermare lo svilupparsi delle idee di modernità, tanto avverse alla Chiesa, ma anzi, chi si ergeva a moralizzatore era colui che più aveva da nascondere, viene spontaneo pensare che nulla è cambiato nel corso dei secoli all’ombra del cupolone. Come si nota il romanzo è assai complesso, su di una trama lineare e molto ben costruita si innestano tanti spunti di riflessione su fatti storici, su come le antiche culture hanno dato linfa alla Chiesa nel suo evolvere, non è un caso che il protagonista, prima di diventare frate, ha un intreccio con il paganesimo; sembrerebbe quasi che nella vita del protagonista l’autore abbia voluto dispiegare la vita stessa della Chiesa con i suoi travagli e compromessi per giungere ad essere universale, e dicendo che in fondo gli uomini che la reggono sono sostanzialmente – e solo – degli uomini. Concetto che potrebbe sembrare lapalissiano, ma in realtà dire che un uomo di fede, di Chiesa, un alto prelato è soprattutto un uomo, capace di amore, di dubbi, di tentennamenti talvolta sembra sacrilego. Il romanzo è veramente ben costruito e ben raccontato, descrive in modo efficace un’anima alla ricerca della sua strada nel mondo, racconta la vita del confessore in modo complesso ma senza funambolismi, in modo colto e schietto. Questo “Tinozza di rame” è stato veramente una bella scoperta, assai piacevole, a tratti perfino spassoso, quando narra di amplessi un po’ casuali, un po’ “bizarre”, e serba una bellissima sorpresa nel finale, con un autentico colpo di scena che corona la bellezza del romanzo e lo rende ancor più vivo e palpitante di profondo sentimento. Un romanzo che dimostra una notevole capacità narrativa dell’autore, unita a una grande cultura ed a una notevole sagacia che non mancherà di deliziare i lettori più esigenti.


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