mercoledì 17 novembre 2010

Narrativa e Soprannaturale: W.S. MAUGHAM

William Somerset Maugham s'interessò del soprannaturale per quel che di satanico e misterioso c'è in esso. Quando nel 1908 pubblica "Il Mago" è forse nel suo momento migliore, con la rappresentazione contemporanea a Londra di ben quattro commedie tutte accolte da grande successo di critica e di pubblico. A ispirargli il romanzo non è solo l'interesse popolare per l'occulto, assai diffuso all'inizio del secolo, né è solo la propria personale curiosità, l'occasione propizia gli è offerta dalla conoscenza del famoso mago Aleister Crowley.

Nel romanzo, il Crowley è divenuto Oliver Haddo e il ristorante parigino, 'Le Chat Blanc', (Il Gatto bianco) nel quale avvenne il primo incontro del Maugham con Crowley, diviene 'Le Chien noir' (Il Cane nero), luogo dal quale prende forma la trama del libro.

L'intreccio del romanzo è piuttosto semplice: Arthur Burdon è un chirurgo inglese in visita a Parigi per studiare i metodi operatori dei francesi, ma anche per rivedere Margaret, la fidanzata che a Parigi studia pittura e che per reciproco accordo diverrà sua sposa dopo aver compiuto i 19 anni. Un amico di Arthur, il dottor Porhoet si incarica di sottolineare, nelle prime pagine del romanzo, la profonda diversità esistente tra i due innamorati, come tra loro lo sono il Sole e la Luna. E' qui evidente come Maugham voglia preparare i lettori alle successive e inquietanti trasformazioni della personalità di Margaret.

Prima di approfondire l'intreccio narrativo, sarà bene ricordare quanto lo stesso Crowley osserva sull'autore del romanzo che lo vede protagonista sotto le spoglie del mago Oliver Haddo. Nelle sue "Confessioni", Crowley dichiara che le battute spiritose del protagonista erano quasi tutte sue, come sua era la casa descritta dall'autore del romanzo. In un' altra opera, "Magick", pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1929, egli chiama il libro di Maugham 'un divertente pasticcio di materiale rubato'.(1)

Ecco la descrizione di Oliver Haddo alias Aleister Crowley che Maugham fa nel romanzo: “Per un attimo Oliver Haddo riprese la sua posa ad effetto, e Susie lo osservò, sorridendo. Era un uomo di mole notevole, alto sul metro e ottantacinque; ma la cosa che più lo caratterizzava era un'incredibile obesità. Il ventre era di dimensioni imponenti, il volto grosso e carnoso. Aveva assunto l'atteggiamento arrogante del ritratto di Del Borro, di Velasquez, al Museo di Berlino; e volutamente sfoggiava lo stesso sorriso sprezzante.”(2)

Una sera, la discussione dei convitati di ‘Le Chat Blanc’ s'incentra sul rapporto magia-scienza. Di fronte allo scetticismo di Arthur Burdon per tutto ciò che non è rigorosamente scientifico, interviene Oliver Haddo con la sua ironia e con la sua definizione di magia:

“[…] la magia non è altro che l'arte di impiegare consapevolmente mezzi invisibili per produrre effetti visibili. Volontà, amore, immaginazione, sono poteri magici che chiunque possiede; e chi sa come svilupparli appieno, è un mago. La magia ha un solo dogma, ovvero, che il visibile è la misura dell'invisibile”.

“Ci dica quali poteri possiede un adepto”.

“Sono elencati in un manoscritto ebraico del XVI secolo, che è in mio possesso. Ventuno sono i privilegi di colui che stringe nella mano destra le chiavi di Salomone e nella sinistra i rami del mandorlo in fiore. Costui può scorgere il volto di Dio senza morire e conversare con i sette geni che comandano l'armata celeste. E' superiore a qualsivoglia afflizione e paura. Regna in cielo e gli inferi lo servono. Detiene il segreto della resurrezione dei morti e la chiave dell’immortalità”.(3)

La narrazione continua introducendo progressivamente il lettore alla conoscenza degli strani poteri di Oliver Haddo: egli atterisce gli animali domestici e resta insensibile al morso di una vipera nota come aspide di Cleopatra. I suoi occhi hanno uno speciale magnetismo e Margaret dichiara rabbrividendo ai suoi amici: “Non ho mai incontrato nessuno che mi riempisse di tanto disgusto...Non so cosa c'è in lui che mi spaventa. Anche ora sento quei suoi occhi che mi fissano in modo strano. Spero di non rivederlo mai più”. (4) E invece Margaret subirà ben presto il fascino e la seduzione del mago sino a diventarne, agli occhi del suo fidanzato e dei suoi amici, la vittima predestinata.

Così prosegue nel romanzo la descrizione di Crowley-Haddo: “Oliver Haddo era attratto da tutto ciò che era insolito, deforme, mostruoso, da quadri che rappresentavano l'orridità dell'uomo, o che rammentavano la sua mortalità. Egli rievocò alla mente di Margaret l'intera serie degli gnomi mostruosi di Ribera, con il loro sorriso astuto, la luce folle dei loro occhi, la loro malizia: si soffermò, con orrida fascinazione, sulle loro malformazioni, sulle gobbe, sui piedi deformi, sulle teste idrocefale […] Descrisse il quadro di Valdes Leal, conservato da qualche parte a Siviglia, che rappresenta un prete davanti a un altare sontuosamente decorato d'oro e riccamente scolpito. Il prete indossa una splendita cappa e una cotta di meraviglioso pizzo, ma si ha l'impressione che il loro peso sia più di quanto può sopportare; e dalle sue mani scarne e tremanti, dal suo volto bianco, cereo, dalla scura cavità dei suoi occhi, traspare la terrificante corruzione del corpo […] Poi, come seguendo un piano preciso, egli analizzò con intensità inquisitoria, veemente, lo strano talento di quel francese moderno, Gustave Moreau. Poco tempo prima, Margaret aveva visitato il Luxembourg e i quadri visti erano ancora vivi nella sua mente. Vi aveva trovato poco più che un gusto decorativo guastato da un'imperfetta abilità nel disegno. Ma Oliver Haddo riuscì d'un sol tocco a conferire a essi un nuovo, esoterico significato. Quegli effetti tipici d'un gioiello fiorentino, grappoli di colore, smeraldo e rubino, l'azzurro profondo dello zaffiro, l'atmosfera di stanze profumate, i mistici che sembrano sempre impegnati in riti segreti, religiosi; tutto ciò si fondeva nelle sue labili frasi, per creare nell'anima di lei quasi un disegno dall'intreccio morboso e misterioso”.(5)

Alla vigilia delle nozze con Arthur Burdon, Margaret fugge col mago e lo sposa. L'incredulo fidanzato della ragazza si dice convinto che un demonio deve essersi impadronito del corpo di Margaret. La sua fede nella sola verità della scienza sembra ormai vacillare. Susie, l'amica di Margaret, corre in Europa sulle tracce degli sposi e finalmente li scova a Montecarlo davanti a un tavolo da gioco. Il libro si chiude con l’esplicito richiamo alle fanciulle vergini che, per opinione diffusa, erano utilizzate nelle operazioni di magia pratica:

“ Susie fissò la sua attenzione su Margaret...Ciò che più la colpì in quel momento fu il fatto che l'espressione di Margaret aveva una curiosa rassomiglianza con quella di Haddo. Nonostante la sua squisita bellezza, c'era in lei un'aria stranamente viziosa, come a suggerire che in qualche modo vedeva letteralmente con gli occhi di Oliver. Quella sera avevano vinto forti somme ed erano in molti ad osservarli. A quanto pareva giocavano sempre in quel modo, Margaret che puntava e Haddo che le diceva cosa fare e quando fermarsi. Susie sentì due francesi che parlavano di loro. Si fece tutta orecchi: Arrossì sentendo uno di loro che faceva un'osservazione su Margaret, a dir poco volgare. L'altro rise: 'E' incredibile', disse.

“Ti assicuro che è vero. Sono sposati da sei mesi, e lei è sua moglie ancora solo di nome. Da sempre i superstiziosi credono nel potere della verginità, e la Chiesa ha sfruttato l'idea per i suoi fini. Quell'uomo la usa semplicemente come mascotte…”. (6)

Dalla magia sessuale alla Qabbalah e all’Alchimia: non mancano i riferimenti di Maugham. Resta l’incapacità dello scrittore, al di là di certe note erudite o di certi luoghi comuni, di presentare ai lettori, con qualche attendibilità, antiche dottrine e pratiche magiche e, soprattutto, di far comprendere il reale significato che questo sapere iniziatico ebbe nell’operare del Crowley. Per la Qabbalah, ci si limita a qualche dato, tra storia e metastoria, (7) mentre le citazioni sull’alchimia mirano a sbalordire e incuriosire il lettore, come nelle dichiarazioni del dottor Porhoet o come nel successivo dialogo tra lo stesso dottore e Susie. (8)

____________________________________________________________________.

(1) In Magick il famoso mago inglese tratta di Yoga, della magia cerimoniale insegnata nella Golden Dawn (ordine iniziatico di cui fu membro tra il 1898 e il 1900), nonché del suo occultismo pratico. Nell’edizione italiana del libro (Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1976), è riportata, nella Premessa del volume (pp.15-16), parte della poesia del Crowley intitolata “Aha!”. Ci sembra utile riproporla per i lettori, unitamente a due note esplicative, perché costituisce una sorta di ‘manifesto’ dell’operare magico di Crowley:

Sette sono le chiavi della grande porta (I sette chakra o ruote di energia occulta nell’anatomia sottile dell’uomo. La grande porta è la porta della Liberazione) / Essendo otto in una ed una in otto (Quando i sette chakra sono pienamente destati, creano una sintesi, che può essere considerata come l’ottavo chakra). / Per prima cosa, sia immobile il tuo corpo, Avvolto nel sudario della volontà / Rigido come cadavere; così potrai abortire / I bimbi nevrotici che solleticano il pensiero / Poi, regola il tuo ritmo del respiro: /Sia basso, agevole, regolare e lento; / Così che l’esser tuo sia in sintonia / Con il sonno del grande Mare Pacifico. / Terzo: sia pura e calma la tua vita, / Ondeggi dolcemente come una palma in assenza di vento. / Quarto: la volontà di vivere sia legata / All’unico, grande amore del profondo. / Quinto: lascia che il tuo pensiero, divinamente libero / Dai sensi, osservi la sua entità. / Sorveglia ogni pensiero che scaturisce: accresci ora per ora la tua vigilanza! / Intensa e acuta, volta all’interno, non si lasci / Sfuggire un solo atomo d’analisi! / Sesto: su di un solo pensiero ben fissato / Arresta ogni bisbiglio del vento! / Come una fiamma eretta e immota, / Brucia l’essere tuo in una parola! / Acquieta poi quell’estasi, prolunga / La tua meditazione salda e forte, / Uccidendo anche Dio, s’Egli distrae / La tua attenzione dall’atto prescelto! / Infine, soverchiate tutte queste cose, / E’ tempo che fiorisca il fiore di mezzanotte! / L’unità è compiuta. Eppure, persino in questo, / Figlio mio, tu non ti sbaglierai / Se freni l’espressione, se lanci / Lo sguardo alla radice oscura dell’estasi, / Obliando nome, forma, vista, tensione, / Anche di tale alta coscienza; / Penetra fino al cuore! E qui ti lascio. / Tu sei il Maestro. Io rendo omaggio / Al tuo splendore che lontano irraggia, / O Fratello dell’Astro d’Argento!

(2) Cfr. W.S. Maugham, Il Mago, trad. it. di P. Faini, B.E. Newton, 1995, p.40

(3) Ibidem, pp.46-47

(4) Ibid.,p.50

(5) Ibid., p.91

(6) Ibid., p.123

(7) ‘Avevo quasi dimenticato il più splendido, il più misterioso di tutti i libri che trattano di scienza occulta. Avrà certo sentito parlare della Khabbala , ma dubito che per lei sia qualcosa più d’un nome.’ ‘Non ne so assolutamente nulla’ disse Susie ridendo, ‘se non che è tutto molto romantico, straordinario, ridicolo.’

‘Ecco dunque la sua storia. Mosè, che conosceva a fondo tutta la saggezza dell’Egitto, fu in un primo tempo iniziato alla Khabbala nella sua terra di nascita; ne divenne esperto durante il suo girovagare per terre selvagge. In quei luoghi, per quarant’anni, egli non solo dedicò il suo tempo libero a questa scienza misteriosa, ma fu istruito da un angelo misericordioso (…) Egli celò i principi di quella dottrina nei primi quattro libri del Pentateuco, ma non consentì che fossero inseriti nel Deuteronomio. Mosè iniziò a questi segreti anche i settanta saggi ed essi li trasmisero a loro volta. Di tutti coloro che formavano la linea ininterrotta della tradizione, Davide e Salomone furono i più dotti nella Khabbala. Nessuno, tuttavia, osò mettere per iscritto questi segreti, fino a Schimeon Ben Jochai, che visse al tempo della distruzione di Gerusalemme; dopo la sua morte, Rabbi Eleazar, suo figlio, e Rabbi Abba, suo segretario, raccolsero i suoi manoscritti e da essi composero il famoso trattato chiamato Zohar

‘E quanta parte di questa meravigliosa storia ritiene che sia vera? Chiese Arthur Burdon.

‘Neanche una parola’ rispose il dottor Porhoet, con un sorriso. I critici hanno dimostrato che lo Zohar è di origine moderna (…) Fu qualche tempo dopo il 1291 che alcune copie dello Zohar cominciarono a esser diffuse da un ebreo spagnolo, un certo Moses de Leon, il quale dichiarava di possedere un manoscritto autografo del famoso autore Schimeon Ben Jochai…’ Cfr. op.cit., pp.60-61

(8) ‘Prendi la Tintura Physicorum, che né papi né imperatori avrebbero potuto comperare, nonostante tutte le loro ricchezze. Fu uno dei più grandi misteri alchemici, e sebbene sia menzionata in molte opere di occultismo con il termine di Leone Rosso, in realtà, prima di Paracelso era nota a ben pochi, se si escludono Hermes Trismegistus e Alberto Magno. La sua preparazione era estremamente complessa, essendo necessaria la presenza di due persone perfettamente in armonia e di pari competenza. Si diceva che fosse un fluido rosso ed etereo. La meno meravigliosa delle sue virtù era il potere di trasformare tutti i metalli vili in oro.’ (…)

‘Ma quello che preferisco è il Primum Ens Melissae. Per la sua preparazione viene data un’elaborata ricetta. E’ un rimedio per prolungare la vita, e non solo Paracelso, ma anche i suoi predecessori Galeno, Arnoldo di Villanova e Raymond Lulli, si erano tormentati nella sua ricerca’

‘Riuscirà a farmi tornare a diciotto anni?’, esclamò Susie.

‘Sicuramente’, rispose serio il dottor Porhoet. Cfr. op.cit., p.79

Nessun commento:

Posta un commento