martedì 21 dicembre 2010

Narrativa e soprannaturale: F.M.DOSTOEVSKIJ

In Dostoevskij l'indagine psicologica dei personaggi non è mai fine a se stessa, né è solo capace di intuire la psiche anormale, come suggerì Sigmund Freud. Neppure ci appare come il frutto sublimato e realistico della nevrosi dello scrittore, come nel giudizio di alcuni critici. La scoperta del protagonista dell'Idiota circa la natura duale del pensiero ha valore universale. Così, nel romanzo, il principe Myskin parla a Keller:

'Due pensieri, come spesso avviene, si sono fusi insieme. A me succede di continuo. Del resto, penso che è male, e sapete, Keller, il più delle volte me lo rimprovero. Ora voi mi avete come descritto me stesso. Mi è perfino accaduto qualche volta di pensare...che tutti gli uomini siano così, tanto che cominciai ad approvarmi, perché è tremendamente difficile lottare contro questi doppi pensieri: io l'ho provato. Dio sa come ci vengono e germogliano in noi...'

Nel Sosia pubblicato nel 1846, venti anni prima dell'Idiota, poi rielaborato e che conobbe fortuna postuma, Dostoevskij aveva descritto l'angoscia metafisica di Jakov Petrovic Goljadkin alle prese con il proprio doppio.

La rivelazione dell'alter ego è lungamente e razionalmente preparata sin dalle prime pagine del libro. Goljadkin s'infila in discorsi a dir poco sconclusionati con conoscenti e colleghi di lavoro. In realtà sono discorsi sconclusionati per gli interlocutori che ignorano il processo mentale non privo di logica che li ha posti in essere. Poco a poco il consigliere titolare è preda di un attivismo febbrile quanto inutile e maniacale. Un'altra caratteristica appartiene a Jakov Petrovic: il continuo rimuginare della mente che lo costringe ad oscillare tra doppi pensieri, uno disinteressato e l'altro utilitario, uno di benevola assoluzione, l'altro di condanna sin quasi ad una totale paralisi dell'azione oppure ad un agire improvvisato e come fuori del tempo e dello spazio.

In una notte di tempesta e di neve, il consigliere titolare s'imbatte finalmente nell'altro se stesso. Si direbbe ormai che dopo tanta ruminazione interiore e tanta interna conflittualità la scissione sia avvenuta. Un nuovo io è nato, e presto lo conosceremo come parassita e opportunista. Nel vederlo la prima volta, Jakov Petrovic si chiede se per caso non sia uscito di senno. Nel rivederlo ancora egli sente le gambe mancargli, le ginocchia piegarsi e si abbatte sul marciapiede. L'angoscia più grande, tuttavia, lo sorprende al suo rientro in casa:“L'eroe del nostro racconto irruppe, fuori di sé, nella propria abitazione; senza togliersi il paltò né il cappello attraversò il piccolo corridoio e, come colpito dal fulmine, si arrestò sulla soglia della sua camera. Tutti i presentimenti del signor Goljadkin si erano completamente avverati. Tutto ciò che egli paventava e presagiva avveniva ora nella realtà. Il suo respiro si spezzò, la testa cominciò a girargli. Lo sconosciuto era seduto davanti a lui, anche lui con il cappotto e con il cappello, addirittura sopra il suo letto; e sorridendo leggermente e socchiudendo un po’ gli occhi, gli faceva amichevoli cenni con la testa. Il signor Goljadkin avrebbe voluto mettersi a gridare, ma non poté; protestare in qualche maniera, ma gli mancarono le forze. Gli si rizzarono i capelli in testa e, mezzo svenuto per il terrore, si accasciò lì dove si trovava. E ce n'era ben donde, del resto. Il signor Goljadkin aveva perfettamente riconosciuto il suo amico notturno. Il suo amico notturno non era altri che lui stesso, il signor Goljadkin in persona, un altro signor Goljadkin, ma esattamente identico a lui, insomma, quel che si dice il suo sosia sotto tutti i riguardi...” Superato lo stupore, il consigliere titolare cerca di adattarsi alla nuova situazione e presume di poter convivere pacificamente con il proprio sosia, persino quando lo vede sedersi di fronte a lui in ufficio o quando Anton Antonovic, suo immediato superiore gerarchico, gli confessa che anche una sua zia, prima di morire, vide il proprio sosia. In realtà, la convivenza si rivela impossibile: il signor Goljadkin junior, infatti, con l'inganno lo sostituisce nelle grazie dei superiori, si fa beffe di lui e lo sfrutta come nel gustoso episodio dei pasticcini. E' interessante notare che quanto più il vero Goljadkin è schivo, serio, lento, pieno di scrupoli e di rimorsi l'altro è compagnone, allegro, privo di scrupoli, untuoso e ridanciano. Questo sosia è certamente il prodotto di una scissione psicologica ma con implicazioni metafisiche, rimanda infatti a quel rapporto col duale e a quell'intrattenersi col mentale che è divieto assoluto dell'adepto di ogni tradizione iniziatica e che André Gide coglie come motivo ispiratore dell'opera di Dostoevskij: “L'inferno -scrive Gide- secondo Dostoevskij è la regione superiore della mente, la regione intellettuale (...) Dostoevskij non afferma mai, ma lascia capire, che ciò che si oppone all'amore non è tanto l'odio quanto le ruminazioni del cervello...”

“L'inferno sono gli altri” fa dire Jean Paul Sartre a un personaggio di A porte chiuse ma chi ci consegna all'inferno siamo noi stessi, sembra affermare Dostoevskij, quando nel finale del Sosia il povero Goljadkin è costretto a salire su una carrozza per essere trascinato in manicomio.

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