giovedì 26 aprile 2012

L'OMAGGIO DI WOODY ALLEN ALL'ITALIA CHE FU, nel film To Rome with love




       To Rome with Love [A Roma con amore],film di Woody Allen, Roma, 2012, 111 minuti.



 Nel recensire Midnight in Paris [cfr. il post su questo blog], scrivevo tra l’altro: “[…] si ha sempre più l’impressione che il grande regista si muova più a suo agio nella Manhattan di sempre e più in generale nell’habitat anglo-americano di cui conosce pregi e difetti, piuttosto che nella complessa e articolata realtà del continente europeo di lingua e cultura latina. Non è un caso infatti che egli realizzi quattro film in Inghilterra, tra cui Match Point, il suo miglior film degli ultimi anni, mentre dedichi per così dire un’opera soltanto alla Spagna, con Vichy Cristina Barcellona [2008], una alla Francia con questo Midnight in Paris [2011], una all’Italia, in programmazione nel 2012”.

 E questo ultimo film, per così dire turistico, dedicato all’Italia, mi spiace dirlo, è il peggiore di tutti.

 Un omaggio senza vita e senza anima, fatto di stereotipi e luoghi comuni, con la vista e l’udito di un americano medio, ancorché benevolo verso il nostro Paese.

 Si comincia con la voce di un grande artista come Domenico Modugno che canta Nel blu dipinto di blu, celebre brano più noto come Volare, e si finisce con la musica della stessa canzone eseguita da un’orchestra sulla scalinata di Trinità dei Monti.

 In mezzo, quattro vicende che procedono senza “incontrarsi”, tra vecchie canzoni italiane note oltre Oceano, come Ciribiribin che risale al 1898, Non dimenticar le mie parole di epoca fascista e Arrivederci Roma, relativamente più recente.  

 Uno degli episodi ricalca la trama dello Sceicco bianco, con un improbabile e maturo Antonio Albanese nel ruolo che fu del giovane Alberto Sordi, un omaggio al cinema di Federico Fellini, ma anche un modo per cercare di dire qualcosa quando scarseggia la fantasia. Con la presenza di una bella e grande attrice come Penelope Cruz, nei panni della prostituta Anna, che ha il pregio di ravvivare sequenze per lo più anonime.

 L’altro episodio, con Hayley, la turista americana dalla faccia di patata [Alison Pill], che s’innamora del romano Michelangelo [Flavio Parenti]. Con i soliti genitori americani di lei che giungono a Roma per conoscere il fidanzato della figlia e con Jerry, padre di Haylei, interpretato dal sommo Woody Allen che se non altro ci offre un “medaglione” di sé, ormai sempre più difficile da incontrare nei suoi film. Con qualche rara battuta che sa di vecchi tempi e che non a caso figura in tutti gli highlights: Jerry informa la moglie che il suo quoziente di intelligenza è molto alto, 150 o 160 e lei gli fa osservare che forse l’ha misurato in dollari, perché in euro sarebbe più basso… Jerry sembra aver paura dell’aereo, ma più ancora è spaventato dall’idea che a Roma ci siano ancora i comunisti: tutto l’episodio è un pretesto per sottolineare la grandezza della lirica italiana e farci ascoltare Nessun Dorma, E lucean le stelle e alcune delle più note “arie” dei Pagliacci di Leoncavallo.

 Poi c’è l’omaggio a quello che gli americani forse considerano, d’après l’Oscar per La vita è bella,  come l’ultimo grande artista italiano contemporaneo: Roberto Benigni. Un intero episodio che sa di poco e dove il tradizionale repertorio dell’attore e regista toscano è piuttosto in ombra, fatta eccezione per il solito cliché del togliersi i pantaloni o sollevare le gambe come una marionetta in movimento perpetuo.

 E infine l’episodio di Jack, il giovane architetto americano [Jesse Eisenberg] a Roma con la fidanzata Sally [Greta Gerwig], un alibi per ammirare le piazze e le strade di Roma e le vestigia di un antico e glorioso passato che peraltro non sembra emozionare Woody Allen più di tanto... Forse il più riuscito di tutti, per la presenza di una sorta di super-io o vaga rappresentazione del fato, nelle sembianze di John [Alec Baldwin], un maturo e famoso architetto, una sorta di alter ego di Jack. E per l’ottima interpretazione di Ellen Page nella parte di Monica, una giovane mezza attrice e mezza intellettuale, dotata di grande sensibilità [ma solo per se stessa!], che tutto sembra sapere e di tutto appassionarsi, incapace in realtà di conoscenze autentiche e sentimenti profondi, superficiale e preoccupata solo di attirare l’attenzione, come nell’occasione in cui fa innamorare di sé il fidanzato della sua migliore amica, per poi piantarlo in asso. Una figura di donna giovane e intrigante, ben costruita, non c’è che dire, ma più uscita dagli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso che dai giorni nostri… almeno in Europa.

 In Midnight in Paris, la “trovata” del sogno di Gil dà un certo sapore alla narrazione, altrimenti ricca di stereotipi “francesi”. Se non altro, la morale del film si basa sul presupposto che nessuno è felice nel tempo in cui si trova a vivere, ma che bisogna sforzarsi di trovare la felicità lì dove si vive e che “la chiave” di questa ricerca è l’amore, perché solo l’amore può far scordare la paura della morte… Di qui l’impianto del film: il bel mito di Parigi con la celebrazione dell’amour e il romantico finale.

 Quale “la filosofia” di questo To Rome with love? Verrebbe quasi da rispondere che Woody Allen, per rendere omaggio a Roma e all’Italia, sia stato costretto a guardare al passato. Necrologia dunque, più che filosofia. Un Paese senza presente e senza futuro, per il quale può valere solo una massima ovvia, cinica, edonistica, come quella che si annuncia nell’episodio di Leopoldo Pisanello [Roberto Benigni]: Fama e fortuna vanno e vengono ma è meglio essere ricchi e conosciuti piuttosto che poveri e sconosciuti.

 Sergio Magaldi    






martedì 24 aprile 2012

ULTIME SCOPERTE DELLA FISICA COMPARATA, articolo di Alberto Zei


LE QUALITÀ   PSEUDO CRISTALLINE DELLA MEMORIA DELL’ ACQUA
                                 IN MEDICINA OMEOPATICA

Le diluizioni della medicina omeopatica


 Molto è stato detto sulle diluizioni omeopatiche dallo scopritore Samuel  Hahnemann  sino ad oggi.  Dall’inizio della omeopatia, infatti, si è tentato di dare una spiegazione plausibile, nei limiti delle conoscenze scientifiche, sin da quando si riteneva che il processo  omeopatico liberasse  al proprio uso e in misura prima sconosciuta, il potere medicinale contenuto all’interno delle sostanze gregge di  base attraverso un processo grazie al quale esse diverrebbero tutte incredibilmente potenti e attive.  Si cominciò a parlare di materia   e   di energia. “Le scosse impresse alla soluzione   - scriveva  Hahnemann  su Organon - sviluppano gradualmente  energie medicamentose latenti che essa racchiude e le porta alla luce dove,per così dire, spiritualizzano per la disintegrazione della materia stessa”

 Il paradosso dell’ “Unicismo”


 Su questa linea due secoli fa, J.T. Kant, valido professore di anatomia, fu incaricato, pare dall’ Ordine dei Medici, di scoprire le presunte imposture del dott. Hahnemnann. Questi rilevando invece, la correttezza professionale di Hahneman, ne condivise i principi fino a esercitare egli stesso l’omeopatia ed ad elaborare una filosofia mistico-esoterica su basi illuministiche che influenzò molti medici di allora e che anche attualmente, annovera qualche seguace. Il concetto è imperniato su una sorta di “unicismo” spiritualista secondo cui tutto è spirito, compreso la materia.

 La energia vitale, ossia, l’essenza di tutte le forme viventi, a parere di Kant, verrebbe disturbata  dalle  patologie   che traggono origine da una perturbazione delle stato originale di equilibrio dell’ organismo.

 Secondo tale assunto negli esseri viventi vi sarebbe una dimensione trascendente che non consente di ridurre la vita stessa a processi quantitativi molecolari e interazioni fisico-chimiche. Questi sosteneva, infatti, che soltanto qualitativamente potrà essere colta l’essenza delle cose. Per queste ragioni anche la terapia, secondo questa scuola di pensiero, è impostata sul piano della perturbazione che lo stato patologico provoca essenzialmente nella psiche. Basterebbe dunque, trovare un farmaco omeopatico, anche uno soltanto, che si armonizzi per similitudine con il disagio mentale provocato dalla malattia, che questa verrà debellata in modo radicale.  Quantunque strano possa apparire un tale assunto, vi sono alcuni medici omeopati che adottano questo principio, così detto “unicista” ma che se non funzionasse, molto probabilmente non annovererebbe alcun proselite: né medici e né pazienti.  

Altre scuole di pensiero


 Nella metà nel secolo scorso si comincia a concepire la soluzione del problema in modo più aderente alla realtà scientifica. Con il costante tentativo di portare su un piano razionale il successo dell’ omeopatia, si è cercato di dare comunque una spiegazione farmacologia ai prodotti omeopatici, ammettendo l’esistenza di una forza chimico- fisica nelle diluizioni ultramolecolari.

Tali convincimenti trovavano maggior supporto con sperimentazioni in vitro, eseguite nel 1928 da H. Junker il quale operò con diluizioni fino a 10 elevato a -27, ottenendo sotto il profilo pratico modificazioni apprezzabili sulla crescita di colture batteriche,  pur ignorando sotto il  profilo teorico  la ragione per la quale tutto questo avveniva.

 Nel 1939 con  Fortier-Bernoville e la scuola omeopatica francese, si comincia ad abbandonare il concetto esoterico dell’energia vitale, cercando nella concretezza scientifica la risposta ai quesiti che al momento si ponevano sul tema. L’essenza delle cose - si affermava - se esiste non può essere spiegata né con la religione né con la metafisica ma solo nei limiti dell’attuale conoscenza, con l’ausilio di idonei sistemi scientifici.

Principi teorici


 Per il medicamento omeopatico non si può propriamente parlare di affinità o di incompatibilità farmacologiche e quindi di pericolose interazioni di sostanze chimiche differenti.

 A parere di chi scrive, come sarà detto in seguito, l’omeopatia trae il suo fondamento terapeutico soprattutto dagli stimoli elettrici di architetture ioniche “messaggere” delle sostanze omeopatiche somministrate che si armonizzano con i recettori cellulari dei cosiddetti, organi bersaglio affetti da malattia.  Questi aggregati ionici, tipici dei prodotti omeopatici provenienti da un particolare trattamento delle sostanze grezze di base, sono dei composti pseudo cristallini di molecole di acqua.  Infatti, le sostanze iniziali che dopo aver perso con una serie di diluizioni in acqua la specificità chimica che all’inizio possedevano, vengono progressivamente sostituite da complessi quasi cristallini dello stesso diluente. Questi, giunti per diffusione e per elettività sugli organi bersaglio, ossia, sugli organi ammalati, si vincolano ai loro recettori cellulari in virtù della compatibilità geometrica della loro architettura e dei potenziali elettrici periferici che li caratterizzano. 

Qualche precisazione


 Questo fatto merita un approfondimento in quanto varie sono le scuole omeopatiche che usano approcci terapeutici differenti che spaziano dalla somministrazione di un sol farmaco estremamente diluito, a una a sequenzialità di prodotti diversi, differiti nel tempo. Vi è infine, chi ritiene di somministrare una notevole quantità di sostanze omeopatiche mescolate in un unico prodotto da assumersi ripetutamente.

 Tra queste scuole la più ortodossa, così detta “unicista”, ritiene invece, che il trattamento  terapeutico debba avvenire attraverso  la assunzione di  un unico farmaco ad altissima diluizione che abbia per qualità di scelta tra quelli della farmacopea omeopatica e per la corrispondenza con il paziente delle sensazioni psichiche  e comportamentali  determinate dalla malattia,  la prerogativa di indurre   un rapido e in equivoco risanamento del sistema  biologico dell’ intero organismo.   Al   momento della scelta di una sostanza di base allo stato puro che viene destinata all’ omeopatia si può parlare di una purezza al 99,9%, dove però, è anche ovviamente presente il restante 0,01% a sua volta composto di un numero relativamente alto di prodotti spuri e disparati; i più significativi tra questi  stanno con la sostanza di base in rapporto da 1 * 10 elevato  a – 3  a 1 * 10 * elevato a -4.

La insignificanza delle presenze infinitesime di sostanza


 Se in un milionesimo di una certa quantità di una sostanza, comprendessimo tutte le impurità presenti, troveremmo come ospiti indesiderati, un numero importante di sostanze o elementi i quali entrerebbero, come in effetti entrano, nel così detto processo di dinamizzazione, (energici scuotimenti delle soluzioni omeopatiche)   senza però,  apportare alcun sostanziale contributo farmacologico  a causa  della loro irrilevante presenza  iniziale,  rispetto alla preponderanza molecolare della sostanza di base.

 Con i cibi consumati nell’arco della giornata si trovano presenti, come sostanze complementari spurie, un numero rilevantissimo di elementi o prodotti chimici più o meno tossici in dosi infinitesime. Non crediamo però, che questi possono in qualche modo interagire   terapeuticamente sulla salute dei consumatori.

 Analogamente risulta infatti, che non sono tutte le sostanze fisicamente presenti  nella sostanza di base del farmaco omeopatico ad essere detentrici del potenziale terapeutico ma soltanto quelle che all’ inizio del trattamento di preparazione  esprimono una presenza percentuale significativa, prima della loro dinamizzazione attraverso il procedimento delle succussioni. Si ricorda a proposito che le  succussioni sono una serie di sbattimenti  all’interno di un contenitore, che trasferiscono  al diluente il potere terapeutico della sostanza di base anche se alla fine,  quest’ ultima risulta completamente scomparsa a seguito della progressione delle diluizioni. Tutto ciò fa evincere, al contrario di quanto comunemente è ritenuto, che non sono le sostanze infinitesime in quanto tali che agiscono in omeopatia. Vi è ben altro.

 Succussioni e trasmissione del potenziale omeopatico                

 Approfondendo l’argomento, sembra corretto ritenere che le molecole della sostanza omeopatica di base diluita producano per mezzo della successione, come prima accennato, degli aggregati ionici insolubili nello stesso solvente. Questi a loro volta assumono per la loro caratteristica fisica, geometrica ed elettrica, la funzione di vere e proprie matrici capaci di creare per ogni ulteriore scossa, una miriade di stampi sulle  molecole del solvente acquoso.

 Il procedimento va avanti con progressione esponenziale ad ogni scossa, generando un numero di corpi acquosi temporaneamente cristallizzati dalla perturbazione  i quali si alternano  tra  stampi e matrici  per ogni succussione.  

 Il trattamento continua con le diluizioni successive che trasmettono per stampo alle molecole acquose limitrofe ed in modo sempre più preciso (per la minore presenza di corpuscoli spuri in soluzione) la forma e i potenziali ionici di uno dei fronti molecolari della sostanza di base.

 Durante questo procedimento può esserci alcol nel solvente (acqua)  ma l’ alcol ha soprattutto lo scopo di impedire al prodotto finito di alterarsi per opera  batterica.

 Lo stato molecolare della dinamizzazione

 Le molecole componenti le sostanze primarie del prodotto omeopatico ad ogni nuova diluizione si riducono fino ad essere completamente sostituite nell’aggregato ionico semicristallino che si è formato nell’acqua ad opera delle successioni.

 La eventuale presenza di tossine contenute nella sostanza di base usata per la produzione di certi preparati omeopatici,  comporta anche in questi casi una progressiva esclusione dell’intero soluto dalla soluzione. In osservanza della legge di Avogadro, infatti, non si ha più alcuna presenza di una sostanza disciolta in un solvente oltre ad una diluizione dell’ordine di 1 * 10 alla -24, equivalente a 12 CH omeopatico.

 Sono dunque, le composizioni ionico-molecolari  formatesi in soluzione per opera delle  compressioni  esercitate sul solvente, che perpetuano attraverso la cosiddetta memoria dell’acqua il processo matrice-stampo-matrice e così via; processo che clona  in modo  esponenziale la sostanza di base con strutture acquose irrigidite,  priva però,  di ogni effetto chimico indesiderato sull’organismo. La configurazione architettonica dei composti ionici della soluzione finisce dunque, per sostituire completamente e senza alcuna controindicazione, la sostanza primaria mantenendo il solo potere terapeutico  di questa.

 

Il confronto di metodo 


 Nessuna medicina potrà avere la pretesa di essere in grado da sola di far gettare le stampelle al paziente, si fa per dire, ma la complementarità con altri approcci terapeutici può talvolta,  determinare o completare il risanamento biologico che poi è  ciò che di più importa.

 La medicina allopatica, grazie soprattutto alla scientificità delle sue composizioni chimiche di sintesi ha natura antagonista, in grado soltanto di inibire, sostituire o sbloccare gli organi bersaglio con quelle stesse sostanze, generando talvolta però, come è noto, effetti indesiderati e malattie da farmaco,  cosiddette iatrogene.

 La medicina omeopatica non è chimica e non fa alcunché di tutto questo poiché ha natura reattiva in grado soltanto di stimolare in modo selettivo gli organi bersaglio a riprendere la loro naturale funzione.  In altri termini la sostanza omeopatica si connette per elettività di organo  con i recettori cellulari dei presidi biologici  affetti da patologia verso  i quali le sostanze  omeopatiche elettivamente si indirizzano

Conclusioni


 Molto vi sarebbe da dire sul meccanismo di aggregazione e sulle modalità attraverso le quali avviene lo stimolo cellulare per il risanamento dello stato patologico degli organi interessati.

 Per non dilungare questo articolo però, si preferisce soltanto porre nel giusto rilievo che l’input di risanamento che i recettori cellulari ricevono nel caso di malattia, sono rappresentati da messaggeri   terapeutici naturali endogeni creati dallo stesso organismo (guarigione naturale) o esogeni come nel caso dei prodotti omeopatici. Questi messaggeri armonizzano la loro struttura con la configurazione architettonica ed elettrica degli stessi recettori che, a loro volta, trasmettono agli organi interessati gli stimoli elettrici od ormonali od enzimatici per il loro   risanamento endogeno.

 ALBERTO ZEI



Rappresentazione dell'aggregato acquoso del recettore







                             

martedì 17 aprile 2012

I Signori della Lega Calcio ovvero "i soliti noti"





 Nel post di ieri UN POPOLO DI RETORI…” auspicavo una decisione non di parte per dirimere la querelle tra i sostenitori dello slittamento al prossimo fine settimana della giornata di campionato, soppressa per la morte di Pier Mario Morosini, e sostenitori del recupero nei giorni del 24 e 25 Aprile.

 Non di parte, sarebbe stato il rispetto del calendario, per non alterare l’equilibrio del campionato di calcio a sei giornate dalla conclusione. Contro tale eventualità si è subito levata l’Inter tirando, come spesso accade, la volata al Milan che ha ostentato indifferenza.

 Le “anime belle” del nostro calcio si sono dette disgustate: di fronte alla morte mettersi a discutere di simili bassezze. Slittamento o recupero? Quale stupidità e insensibilità! Così ha prevalso il parere della Lega Calcio o meglio dei soliti noti.

  A chi giova il recupero e non lo slittamento? All’Inter, che rimanda di un turno lo scontro decisivo con l’Udinese, squadra temibile soprattutto quando gioca in casa. Al Napoli che incontra tra mura amiche il Novara, ormai retrocesso, invece di andare a Lecce contro una squadra  che si batte per la salvezza. Al Milan soprattutto, che invece di trovarsi di fronte il Genoa che lotta per non retrocedere, se la vedrà con il più tranquillo Bologna, mentre la Juve, in luogo di incontrare il Cesena, ultima in classifica e già matematicamente retrocessa, dovrà vedersela con la Roma, ancora in corsa per la Champions League, in una partita che sa di classica.

 Chi danneggia? La Juventus, com’è facile comprendere da quello che si diceva sopra, e la Roma, costretta forse a giocarsi le ultime possibilità di entrare in Champions, non in casa contro la Fiorentina, ma a Torino contro una squadra prima in classifica e che si batte per lo scudetto.

 Non bastava al Milan il vantaggio di giocare in casa ben cinque delle ultime sei partite del campionato? Non bastavano i dieci rigori di differenza accordati al Milan, né il fatto di giocare quattro volte su sei prima della Juve, con i bianconeri costretti sempre a rincorrere il risultato degli avversari…?

 Ho già detto in altro post che se la Juventus, e non il Milan, dovesse vincere questo scudetto, si potrebbe parlare di un vero e proprio miracolo sportivo…



sergio magaldi
    

lunedì 16 aprile 2012

UN POPOLO DI RETORI...


Come sempre accade in queste occasioni, la retorica nazionale s’è data convegno per celebrare degnamente la morte sul campo di gioco del calciatore Pier Mario Morosini, un ragazzo sfortunato, orfano dei genitori, con un fratello suicida e una sorella disabile. Per tre giorni di seguito giornali sportivi e non, radio, tv in chiaro e a pagamento, si sono gettati sull’evento e non certo per riflettere sulla morte, che è il vero e ultimo senso della condizione umana, né sui disegni del destino, che appaiono imperscrutabili anche laddove, forse come in questo caso, l’uomo ci mette del suo.

 Sospesi naturalmente i campionati di calcio, non soltanto Sabato, giorno del tragico evento, ma anche Domenica, con tutte le partite del campionato di serie A ad eccezione delle due previste appunto per il giorno prima. Una decisione giudicata ineccepibile e meritoria dagli addetti ai lavori, dagli opinionisti e, a quanto si dice, dalla maggioranza del pubblico. Una decisione neppure tanto rara, quella presa dalla Federcalcio, e che quasi non trova riscontro nel resto del mondo, dove in simili casi, ad eccezione di catastrofi collettive, si preferisce fermare le competizioni per qualche minuto e ricordare sul campo l’atleta scomparso anche con il comportamento esemplare del pubblico, almeno per i novanta-cento minuti che dura un incontro, non solo perché la vita continua, ma anche per togliere spazio ai soliti “sciacalli” della notizia.

 Comprensibile, d’altra parte, la sospensione di Sabato. Con quale animo gli ex compagni dell’Udinese [Pier Mario Morosini in prestito al Livorno stava giocando a Pescara, nel campionato di serie B] avrebbero potuto scendere in campo contro l’Inter? Incomprensibile invece fermarlo anche la Domenica, con il risultato di scatenare una “querelle”, davvero poco opportuna, tra le squadre che giustamente vogliono lo slittamento al prossimo fine settimana della giornata persa di calendario e quelli che vorrebbero recuperarla Mercoledì 25 Aprile, con il risultato di alterare l’equilibrio del campionato.

 Il buon senso è nemico della retorica e la retorica nasconde spesso l’ipocrisia, lo sciacallaggio e l’inefficienza. Tutte qualità messe in mostra durante il tragico evento che ha colpito Pier Mario Morosini: mancanza di un defribillatore che avrebbe potuto salvargli la vita, ritardo dell’autoambulanza nel partire dallo stadio di Pescara per l’ostruzione del varco da parte di una macchina dei vigili urbani!

 Perché la Federcalcio non obbliga le società di calcio a munirsi di un defribillatore, che costa poco più di mille euro e può essere manovrato da un comune massaggiatore? Perché non multa le società che non si curano di osservare che i varchi per le autoambulanze siano lasciati liberi? Come in ogni tragedia della vita, anche in questa non manca la commedia: i vigili urbani, così solerti nel multare i privati cittadini per le auto lasciate in divieto di sosta, sono i primi a non osservare le regole, con conseguenze che potrebbero essere state fatali! “Nulla di nuovo sotto il sole”, in un paese dove la retorica sostituisce il buon governo e l’autorità è corrotta o latitante.

 Ora mi aspetto che la Federcalcio sospenda ancora il campionato, per la notizia di questa mattina della morte improvvisa di Carlo Petrini, l’ex attaccante della Roma, mentre alle 18 di oggi si saprà se, come sempre, prevarrà l’interesse di parte, con il recupero delle partite di Sabato e Domenica nel giorno della festa della Liberazione e non nel prossimo fine settimana come sarebbe logico.

 Ora mi aspetto una serata con Bruno Vespa, con i soliti esperti e le solite competenti autorità, perché il popolo dei retori celebri la sua ennesima “festa”.


sergio magaldi

mercoledì 4 aprile 2012

TABU' RELIGIOSI, MASCHILISMO E POTERE in "Una separazione", film di Asghar Farhadi





Una separazione, film di Asghar Farhadi, Iran, 2011, 123 minuti


 Con il pretesto di raccontare una lite tra famiglie, Asghar Farhadi, il regista iraniano che nel 2009 ha vinto a Berlino l’Orso d’argento per About Ely, pone una serie di quesiti sulla società iraniana e sulle responsabilità del regime che la governa. Lo fa con garbo, necessariamente costretto da una censura che ha già condannato il regista Yafar Panahi, al quale Asghar non ha mancato di esprimere la propria solidarietà.

 Ne nasce un film intenso per ritmo, contenuti e valori, degno dell’Oscar 2012 per il miglior film straniero e meritevole di quattro riconoscimenti alla sesta edizione degli Asian Film Awards: miglior film, regia, sceneggiatura e montaggio.

 Dopo lunghissima attesa, Simin [Leila Hatami] che insegna e appartiene alla buona borghesia, ottiene per sé e per la propria famiglia il permesso di espatrio: il marito Nader [Peyman Moadi] che lavora in un ufficio e la figlia undicenne Termeh [Sarina Farhadi] che frequenta la scuola. Ma Nader non vuol saperne di lasciare il vecchio padre malato di Alzheimer. Si giunge così alla separazione [che in Iran può essere solo consensuale] davanti ad un giudice che parlerà nascosto alla macchina da presa. Nader non ha difficoltà a separarsi e a lasciar partire la moglie, ma è irremovibile sulla figlia. Quando Simin chiede al giudice di poter partire con Termeh, “[…]Perché qui non c’è futuro per i giovani”, il magistrato diventa minaccioso e la incalza: “Perché signora cosa c’è che non va in questo paese?”.

 La separazione si conclude con un nulla di fatto, ma Simin va a vivere nella casa dei genitori, lasciando figlia, marito e suocero malato di Alzheimer. In realtà, Simin ha confidato a Termeh che sarà per poco tempo e che aspetta solo il momento che suo marito le dica di tornare. Ma Nader, i cui valori sono improntati di laicismo e buoni principi, ha però un carattere inflessibile e determinato e non vuole “umiliarsi”. Per assistere il padre assume Razieh [Sareh Bayat], una donna devota di Allah che lavora di nascosto a suo marito, oppresso dai creditori e con problemi depressivi.

 Il giorno dopo la partenza della nuora, peggiorano le condizioni di salute del padre di Nader che improvvisamente non è più nemmeno in grado di regolare le proprie necessità fisiche. La badante, combattuta tra l’umana pietà e i tabù imposti dalla fede, per risolvere il dilemma chiamerà al telefono l’ufficio preposto ai comportamenti conformi alla religione. D’ora in avanti, sarà proprio Razieh la causa involontaria che scatenerà il conflitto tra due famiglie, l’una discretamente agiata e culturalmente elevata, l’altra povera e la cui unica ricchezza sembra essere la fede. E, nonostante tutto, sarà proprio la fede, o meglio il timore che Dio la castighi, ad evitare che la donna commetta un’ingiustizia che, pure, avrebbe riportato la pace tra le famiglie!

 Lo sguardo del regista si muove impietoso tra le contraddizioni dei protagonisti: le donne [Razieh, Simin e sua figlia] sono migliori degli uomini ma neppure loro, in una realtà soffocante dove per sopravvivere c’è bisogno del compromesso, rifuggono dal pregiudizio e dalle piccole menzogne. Gli uomini sono anche peggio: tra laicismo, orgoglio e senso di giustizia, Nader cerca la pietà e l’amore solo come forme di potere, e il marito di Razieh è violento, maschilista, incapace di comprendere e di vivere. Certo, non solo per colpa sua.

 Un’indagine, quella di Asghar, non solo sulle condizioni della società iraniana, ma più in generale sulla convivenza umana.


sergio magaldi

martedì 3 aprile 2012

LE VERITA' INTERMILANISTE AL "PROCESSO DI BISCARDI"




 Anche ieri sera la comunità di giornalisti-opinionisti del “Processo” si è esercitata nel solito gioco: sempre Milan e Inter, Juve contro, niente Roma, Napoli e così via, tanta moviola inutile e poco altro. Non è mancata però la ciliegina finale, con la lettura di quel comunicato Ansa nel quale è scritto che Masiello, il calciatore arrestato, ha chiamato in causa due giocatori della Juventus che, al tempo dei fatti in questione giocavano rispettivamente con l’Udinese [Pepe] e col Bari [Bonucci]. Per quanto si sia chiarito che al momento i due sono stati ascoltati dal tribunale solo come persone informate dei fatti, resta da sottolineare “la gioia” con cui è stata data una notizia che, per carità, è giusto dare per dovere di informazione.

 Di che si è parlato in particolare? Il goal milanista aveva superato la linea di porta del Catania, ve lo assicura il moviolone [Non s’è mai capito in che si differenzi dalla comune moviola!] facendovi vedere strisce gialle e macchie bianche e il commento che quella era la prova che il pallone era entrato di 3 centimetri, proprio come ha detto Galliani in tribuna, contro la moviola ben visibile della TV di Stato e contro i miei occhi che, guardando attentamente la diretta e rivedendola più volte, escludono che il pallone abbia oltrepassato completamente la linea di porta come vuole il regolamento per la validità di un goal.

 “Non basta” incalzano gli intermilanisti: due “fuorigioco” fischiati al Milan che non c’erano mentre è stato giusto annullare il goal del Catania perché il marcatore era più avanti di una formica rispetto al difendente, e il goal “buono” del Catania andava annullato per un fallo tanto evidente che ad occhio nudo non si vedeva. Il primo goal della Juve contro il Napoli non era valido per il disturbo in sospetto “fuorigioco” di un altro giocatore e senza quella rete irregolare chissà come sarebbe finita la partita invece che col 3-0 per la Juventus! Il goal annullato ai bianconeri all’inizio del primo tempo non era valido [contro lo stesso parere del moviolista del “Processo” che giustamente vedeva un piede del difendente più avanti di Vucnic] e il rigore non dato su Borriello, strattonato in area mentre sta per colpire di testa davanti alla porta, non c’era per nessuno, tranne che per il figlio di Biscardi, bontà sua.

 In tale contesto, si levavano gli strepiti del solito Tiziano Crudeli per dire che il Milan è sempre danneggiato dagli arbitri [sic!], spalleggiato dagli altri intermilanisti e dall’ineffabile pseudoromanista avv. Taormina sempre in prima linea quando c’è da attaccare la Juve. E gli juventini presenti? Bernardi poverino è sempre preso in giro anche quando tenta di difendere [male!] la squadra bianconera, Ricci è vago e alla fine si dice sempre d’accordo con gli intermilanisti, salvo sostenere, nella sua ingenuità, che la Juventus vincerà il Campionato [fino a che punto è tanto ingenuo?], il terzo, il giovane Igor [?] è il più gradito alla direzione del “Processo” perché si dichiara “tifoso obiettivo” e dà sempre ragione agli “avversari”.

 Nessuno dei cosiddetti juventini ha avuto il coraggio di parlare dei tanti rigori assegnati quest’anno al Milan, contro uno solo della Juve, nessuno ha replicato allo “scandalo” della rete annullata a Mountari, su cui gli intermilanisti tornano sempre, e cioè che anche il goal annullato a Matri era regolare, per unanime giudizio dei media, e che quindi la partita sarebbe finita 2-2 invece che 1-1 e che i rossoneri sul 2-0 non è detto che avrebbero vinto, perché la Juve di quest’anno ha dimostrato di saper rimontare i risultati, così come ha fatto col Napoli [da 3-1 a 3-3] per di più giocando in trasferta su un campo ostico per il grande entusiasmo dei tifosi.

 La paura degli intermilanisti è tale che si comincia a costruire l’alibi che se la Juve dovesse vincere il Campionato sarebbe unicamente perché il Milan viene danneggiato dalle sviste arbitrali! Ci vuole proprio coraggio a sostenerlo! Ma stiano tranquilli, se sviste ci sono state, sono sempre state a sfavore della Juventus e non credo proprio che i bianconeri vinceranno uno scudetto che in fondo meriterebbero, anche per aver incontrato il Milan quattro volte ottenendo due vittorie e due pareggi. A me questo Campionato ricorda quello perso dalla Roma per le troppe sviste a favore dell’Inter… C’è da giurare che alla fine prevarrà come sempre “la ragion di Stato”. Se non dovesse essere così, se la Juve dovesse vincere lo scudetto, sarà il segno di un miracolo sportivo in un paese come il nostro che a tutto ci ha abituato tranne che ai miracoli!

 Intanto, per questa notte, non può mancare il mio augurio al Milan perché superi il Barcellona, anche solo pareggiando con reti, ed entri in semifinale di Champions League. L’impresa è ardua ma non impossibile.


sergio magaldi