mercoledì 5 settembre 2012

PER ALFRED ROSENBERG MA NON PER HITLER ESISTEVA UN "PROBLEMA SPINOZA"...

Irvin D. Yalom, Il problema Spinoza, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2012, pp.441



 Benché  Il problema Spinoza  sia solo il titolo di un romanzo di Irvin D. Yalom, non c’è alcun dubbio che contenga una verità: per Alfred Rosenberg, teorico del nazismo, esisteva un problema collegato all’ebreo Spinoza. La fonte viene dal rapporto ufficiale dell’incaricato dell’ ERR [Einsatzstab Reichleiter Rosenberg] che  durante l’occupazione tedesca dell’Olanda, nel corso della Seconda guerra mondiale, operò il saccheggio dei libri della biblioteca di Spinoza e annotò quanto riferitogli  dal suo comandante:

 “Contengono opere giovanili preziose, di grande importanza per l’esplorazione del problema Spinoza”.

 Che il filosofo portoghese, ebreo sefardita, vissuto in Olanda, costituisse un problema per Hitler e per i gerarchi del nazismo, appare poco credibile, ma che lo fosse per Rosenberg, filosofo e ideologo del regime, non deve sorprendere più di tanto. Perché, se è vero che l’episodio del preside della Petri-Realshule di Reval [Estonia] – che costringe il giovane Alfred ad imparare a memoria le citazioni di Spinoza, contenute nell’autobiografia di Goethe – è solo un espediente narrativo, resta dimostrata la grande ammirazione che Rosenberg nutriva per Goethe, a sua volta grande estimatore di Spinoza.

 Com’è possibile che il più geniale degli spiriti tedeschi si riconosca, per il suo modo di pensare, addirittura debitore di un ebreo? Si chiederà Rosenberg per tutta la vita. Incredulo, cercherà inutilmente di trovare la risposta nelle opere di Spinoza:  Etica Trattato teologico-politico. Oscillerà poi tra posizioni diverse: ritenere il grande filosofo un non-ebreo, un uomo che ha voluto con forza il cherem e l’estraneazione dalla comunità ebraica di Amsterdam, e, al contrario, uno spirito forte ma capace di “infettare”, come ogni altro ebreo, anche la più geniale mente tedesca.
B.Spinoza, Etica, Laterza, 2009
B. Spinoza, Trattato teologico-politico, Einaudi,1997
  
  











  
  Alfred Rosenberg non fu soltanto ammiratore di Goethe e dei più grandi poeti e filosofi tedeschi, egli fu anche seguace e divulgatore di Houston Stewart Chamberlain [1855-1927], un inglese naturalizzato tedesco, autore di Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts, “I fondamenti del XIX Secolo” e genero del musicista Richard Wagner. Chamberlain sosteneva nel suo libro la superiorità della cosiddetta razza ariana e la predestinazione del popolo tedesco a governare l’Europa. Le sue idee, combinate con quelle dell’antisemitismo più viscerale, fruttificarono nella mente del giovane Rosenberg sino a materializzarsi nei numerosi articoli che scrisse per Wölkischer Beobachter, il periodico diretto da Dietrich Eckart [1868-1923]. Era costui drammaturgo e giornalista, definito da Hitler “l’amico paterno”, fondatore del Deutsche Arbeiterpartei, successivamente divenuto il National Sozialistische Deutsche Arbeiterpartei,  NSDP, cioè il partito nazionalsocialista tedesco.
  
H.S. Chamberlain, l'autore di I fondamenti del XIX Secolo
  
Dietrich Eckart, "l'amico paterno" di Hitler


 In questo stesso periodo avviene la conoscenza tra Hitler e Rosenberg. Il complesso rapporto tra i due è descritto da Yalom con acume psicologico: l’ideologo del nazismo che, sulla scia di Chamberlain, scrisse un libro di grande successo, Il mito del XX Secolo, conservò sempre per Hitler una sorta di venerazione congiunta al desiderio di essere da lui ascoltato e considerato. Il Führer, dal canto suo, se pubblicamente manifestò sempre la sua ammirazione per l’ideologo del regime, in privato era solito disprezzarlo così come lo disprezzavano, per la verità ricambiati, i più alti gerarchi del nazismo. Gli conferì incarichi prestigiosi, ma lo emarginò sempre dalle scelte politiche del partito, ritenendolo troppo sofisticato per il suo palato plebeo di autodidatta.

Rosenberg e Hitler
  

 A tratti, Yalom sembra voler considerare Rosenberg con qualche indulgenza, persino all’oscuro che la “soluzione finale” del problema ebraico consistesse nella soppressione fisica di milioni e milioni di ebrei, invece della loro “semplice” espulsione dal suolo tedesco, come Rosenberg sembrava auspicare. L’autore tende a presentarlo come una natura problematica e tormentata, un solitario complessato dalla prematura scomparsa della madre, un uomo mediamente colto e intelligente, ma dalla mente ottusa, a caccia di “idee forti” per padroneggiare se stesso e la propria nevrosi.

  In parallelo, con capitoli che si alternano rigorosamente con quelli dedicati a Rosenberg, si svolge nel libro la vicenda di Spinoza, vissuto circa tre secoli prima. Al dato storico mancante si sostituisce spesso la fantasia o l’intuizione probabile della verità, ma il filo della narrazione si dipana attorno a eventi certi della vita del filosofo, come per esempio nella  celebrazione del cherem pronunciato dal rabbino capo della comunità sefardita di Amsterdam e riportato fedelmente nel testo originale [pp.200-201] o nel racconto di Franciscus van den Enden, suo maestro di greco e di latino, e di sua figlia Clara Maria, di cui Spinoza pare fosse innamorato ma che andò sposa al suo amico Dirk.

 I dialoghi abbondanti, di cui Baruch, Bento o Benedictus Spinoza è protagonista nel romanzo, benché non avvenuti nella realtà e/o scambiati con personaggi di fantasia, sono tratti dalle opere più importanti del filosofo e dalla sua corrispondenza. Anche lui, come Rosenberg, appare un individuo solitario, persino misogino, ma la scelta di Spinoza fu di segno esattamente contrario: se l’ideologo del nazismo, per placare l’ansia di vivere e i forti sentimenti che lo agitano, ha bisogno di far parte di un gruppo di facinorosi, in cui peraltro non si troverà mai a proprio agio, Spinoza, anche se a malincuore, abbandona la comunità di cui è parte e in cui sarebbe naturalmente destinato a primeggiare, per un bisogno di libertà del pensiero e nella ricerca della pace interiore.

  Se si vuole trovare un difetto nella ricostruzione romanzata che Yalom fa di Spinoza, si può forse parlare di una certa pedanteria che traspare dalla figura del grande filosofo, la cui breve vita, tuttavia, non per colpa dell’autore, scarseggia, a quel che se ne sa, di episodi documentati in grado di movimentarne le gesta a beneficio dei lettori. Il libro è comunque di lettura scorrevole ed è non solo per gli appassionati di storia e di filosofia, ma veramente per tutti.

sergio magaldi 

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