mercoledì 31 ottobre 2012

ALCHIMIA E QABALAH nel I Capitolo di AESH MEZAREPH

Aesh mezareph, Fuoco purificatore, prefazione, traduzione e note di Sergio Magaldi,
in appendice "I quadrati magici" di Federico Pignatelli, Roma, 2004, pp.207.




Dopo il post del 5 Ottobre u.s. con la pubblicazione della Prefazione del libro in immagine, presento di seguito il Primo Capitolo di Aesh mezareph, l’unico trattato conosciuto di alchimia cabalistica. L’autore è ignoto e l’originale aramaico è andato perduto. La traduzione, arricchita di note esplicative, è condotta dal testo latino [con inserti di greco ed ebraico], ricostruito sulla base degli sparsi frammenti contenuti nella monumentale opera di Knorr von Rosenroth, La Kabbala Denudata, pubblicata nel 1677.


 Edito in lingua inglese nel 1714, mai pubblicato in italiano, Aesh mezareph  fonde in mirabile sintesi i segreti della dottrina esoterica degli Ebrei [Qabalah], con la tradizione ermetico-alchemica nota in Occidente.


Avvertenza: Per leggere le lettere dell’alfabeto ebraico, potrebbe essere necessario installare il font Hebrew truetype, reperibile e scaricabile da internet.

 

 

Aesh mezareph

              [Fuoco purificatore]

                  



 Capitolo I  


u c y l a  Eliseo [1] fu profeta notissimo, esempio di naturale saggezza, sprezzante dei beni mondani, come dimostra la storia della guarigione di Naaman, II Re 5, 6, [2] e dunque veramente ricco, secondo quanto è detto in Pirque Aboth, [3] cap. 4: “Chi è ricco? Colui che si rallegra di ciò che gli appartiene.

Così, infatti, colui che è realmente capace di risanare i metalli impuri non fa sfoggio di ricchezze, ma è piuttosto simile al Tohu [4]  w h t  della natura primordiale, libero e vuoto. Questa parola [Tohu] ha lo stesso valore numerico di Eliseo  u c y l a  cioè  411 [5]. Verissimo è infatti il detto che si trova in Baba Kama, 6 fol. 71, col. 2: “Le cose che fanno ricchi (come la saggezza naturale) stanno al posto della ricchezza.  

Impara pertanto a purificare Naaman che proviene dal nord della Siria [7], e riconosci i poteri del Giordano che è, come era, Yar  Din 
 } y d   r a y  il Fiume del Giudizio [8] che scorre dal nord [9]. E ricorda quel che è detto in Baba Bathra, fol. 25, col. 2: “Colui che vuol diventare saggio, lascialo vivere al sud; e  quello che vuole arricchire, lascia che si diriga verso il nord, etc.” Sebbene nello stesso passo Rabbi Joshuah Ben Levi dica: “Lascialo per sempre al sud perché nel farsi saggio egli si farà ricco al tempo stesso; com’è detto (Proverbi, 3, 16): “Longevità è nella sua  destra, ricchezza e gloria nella sua sinistra”. Così, non avrai desiderio di altre ricchezze.

Sappi poi che i misteri di questa sapienza non sono diversi dai supremi misteri della Qabbalah: [10] qual’è infatti nella Santità l’ordine degli elementi, tale è nell’Impurità. E le Sephiroth che si trovano in Aziluth sono le stesse che si trovano in Assiah [11], e anche in quel regno che è comunemente detto minerale, benché naturalmente il loro potere sia maggiore quando si eserciti nei piani superiori.

Pertanto la Radice metallica occupa qui il luogo di Kether, che ha una natura occulta, avvolta in una grande oscurità e dalla quale tutti i metalli traggono origine: allo stesso modo è occulta la natura di Kether e da lei emanano tutte le altre Sephiroth.

Il Piombo si trova nel luogo di Chokmah, perché, come Chokmah è prossima a Kether, così il piombo discende immediatamente dalla radice metallica, e in altre simili rappresentazioni enigmatiche è detto il Padre delle nature che vengono dopo.

Lo Stagno occupa il posto di Binah: col suo colore grigiastro mostra il Tempo e col suo stridore adombra  la severità e il rigore del giudizio.[12]

L’Argento viene posto da tutti i maestri della Qabbalah sotto la Sephirah Chesed a causa del suo colore e del suo uso.
Fin qui sulle nature bianche; seguono ora le rosse.

L’Oro, secondo l’opinione più diffusa tra i cabbalisti, viene posto sotto Gheburah e, anche Giobbe 37, 22, [13] lo attribuisce al nord, non solo per il colore ma anche a causa del suo calore e dello zolfo.

Il Ferro viene posto in relazione con Tiphereth: è infatti simile a un guerriero, com’è detto in Esodo 15. 2, [14] e ha il nome di Ze’eir Anpin [15], pronto all’ira, secondo Salmi, 2, ultimo verso.[16]

Netzach e Hod, le due parti mediane del corpo nonché ricettacoli seminali, sono la sede della natura androgina del Bronzo. Allo stesso modo, le due colonne del Tempio di Salomone, in relazione a queste due Sephiroth, erano fatte di bronzo, com’è detto in I Re 7. 15.[17]

Yesod è l’argento vivo [mercurio] e a lui soltanto, infatti, per caratterizzarlo, è dato il nome di “vivente”; e quest’acqua di vita è per intero il fondamento di tutte le nature e dell’arte metallica.

A Malkuth, d’altra parte, per molte ragioni, si riferisce la vera Medicina dei metalli; giacché l’una e l’altra ci pongono davanti agli occhi ciò che resta delle nature quando sia avvenuta la trasformazione dell’oro o dell’argento, della destra o della sinistra, del Giudizio o della Misericordia. [18] Di tutto ciò si parlerà più diffusamente altrove.

Ti ho così fornito la chiave per disserrare molte porte chiuse e ti ho aperto la porta dei più intimi recessi della natura. Se tuttavia qualcuno ha disposto queste cose con un altro ordine, non avrò discussioni con lui, tutto infatti tende ad un unico fine. Si potrebbe dire infatti che le tre [Sephiroth] superne [19] sono le tre fonti delle cose metalliche: l’Acqua densa è Kether, il Sale Chokmah e lo Zolfo Binah per ragioni ben note. E ugualmente le sette [Sephiroth] inferiori [20] rappresentano i sette metalli: Ghedulah [o Chesed] e Gheburah l’argento e l’oro, Tiphereth il ferro, Netzach e Hod lo stagno e il bronzo, Yesod il piombo, mentre Malkuth sarà la femmina del metallo e la Luna dei saggi, nonché il luogo in cui dovrebbe essere deposto il seme dei minerali secreti, cioè dell’Acqua Aurea, con questo nome compare infatti in Genesi 36, 39 [21]. Ma sappi, figlio mio, che in queste cose sono nascosti misteri tali da non poter essere proferiti da bocca umana: io pertanto più oltre non peccherò con la mia lingua, ma terrò chiusa la bocca, come sta scritto in Salmi 39.2. [22]

y z j y g  Ghechazi [23] servo di Eliseo è il tipico rappresentante degli studenti volgari della natura che si dispongono ad osservare la valle e le profondità della natura ma non penetrano i suoi segreti, per cui si affaticano invano e restano servi per sempre. Essi forniscono consigli su come procurare il figlio del saggio, la cui generazione è impossibile in natura (II Re 4,14, [24]) ma non sono in grado di fare nulla per generarlo (per la qual cosa si richiede un Uomo come Eliseo). La Natura, infatti, non svela i suoi segreti a costoro (ibid., 26 [25]), ma li disprezza (ibid., 30 [26]), e per loro è impossibile resuscitare il morto alla vita (ibid., 31 [27]). Per cui sono avidi (5, 20 [28]), bugiardi e imbroglioni (ver. 22 e 25) [29], garruli e propalatori dei fatti altrui (II Re. 8, 4-5 [30]), e invece delle ricchezze acquisiscono la lebbra, cioè le malattie, il disprezzo e la povertà (II Re, 5, 27 [31]). Inoltre, la parola Ghechazi  y z j y g  e la parola Chol  l j  profano o comune, hanno lo stesso valore numerico [32].

 


[1] Nell’Antico Testamento, il nome di Eliseo, profeta del regno di Israele, appare nel I e nel II Libro dei Re e nel Siracide. Appare anche nel Nuovo Testamento, al v. 27 del 4 cap. del Vangelo di Luca : “ Anche ai tempi del profeta Eliseo vi erano molti lebbrosi in Israele, eppure Dio non ha guarito nessuno di loro, ma soltanto Naaman, uno straniero della Siria [Aram] ”. E la guarigione di Naaman ad opera del profeta Eliseo è per l’appunto l’episodio dal quale prende avvio Aesh mezareph.
[2] Tutta la storia della guarigione di Naaman è narrata nel cap. 5 del II Libro dei Re. Naaman, valoroso comandante dell’esercito del re di Aram [Siria], era malato di lebbra. Dopo una razzia degli Aramei in terra d’Israele, fu catturata una ragazza che divenne serva della moglie di Naaman. La giovane israelita confidò alla sua padrona che Naaman sarebbe guarito dalla lebbra se si fosse recato in Samaria dal profeta Eliseo. Il re di Aram scrisse una lettera di presentazione per il re d’Israele : “ Con questa lettera ti presento il mio servitore Naaman : guariscilo dalla sua malattia ” (II Re, 5, 6 : il versetto citato in Aesh mezareph). La storia prosegue con l’invito del profeta Eliseo a Naaman di immergersi per sette volte nelle acque del Giordano e con la guarigione di Naaman.
[3] Pirquè Aboth o « Lezioni dei Padri » comprende gli ultimi cinque capitoli del V Ordine della Mishnah, più un sesto capitolo detto Barajtah  cioè « Insegnamento non incluso » in quella raccolta. Il testo – compilato da Rabbi Jehudah (II secolo d. C.) e, limitatamente all’ultimo capitolo, dalla sua scuola – raccoglie massime di morale ebraica di autori compresi tra il V secolo av. C. e il II d. C.
[4] Tohu  w h t  vuoto, si trova menzionato ad apertura del Genesi (I, 2) per dire che [In principio] « La terra era sterminata e vuota, le tenebre erano sulla faccia dell’abisso [in ebraico  w h t  Tehom, dalla stessa radice di Tohu] e lo spirito di Dio si librava sulla superficie delle acque »
[5] Eliseo e Tohu hanno in ebraico lo stesso valore numerico [411] in virtù del fatto che ogni lettera dell’alfabeto ebraico è in realtà anche un numero:  u c y l a  [Eliseo] = 1+30+10+300+70 = 411 da destra a sinistra secondo la scrittura ebraica,  w h t [Tohu] = 400+5+6= 411. E’ ciò che nella Qabbalah si chiama ghematria, con ciò intendendo il valore numerico e mistico-concettuale dato ad una parola o a un’intera frase in forza del corrispondente valore numerico di ogni lettera dell’alfabeto ebraico. A maggior chiarezza dei lettori si riporta di seguito il valore numerico delle lettere ebraiche :

Aleph  1, Beth  2, Ghimel  3, Daleth 4, He  5, Waw  6, Zain  7, Chet  8, Teth  9, Yud  10, Kaf  20, Lamed  30, Mem  40, Nun  50, Samech   60, Ayin 70, Phe  80, Tzadeh   90, Qof  100, Resh  200, Shin  300, Taw  400.

[6] Il trattato talmudico Baba Kama « Prima Porta » appartiene al IV Ordine della Mishnah, Nezikin, « Danni » e tratta dei danni alle cose e alle persone.
[7] Per purificare i nostri metalli impuri, occorre fare come Naaman che, provenendo dal nord della Siria [Aram], andò a bagnarsi per sette volte nelle acque del Giordano.
[8] Yar Din, Giardino o Fiume del Giudizio. Ci si riferisce alla quinta Sephirah dell’Albero della vita o Albero delle Sephiroth. Gheburah Potenza, la quinta Sephirah, ha altri due nomi : Din (Giudizio) e Pachad (Terrore). Nella tradizione cabbalistica, le Sephiroth sono i numeri primordiali della creazione e rappresentano le ‘luci’ o le ‘forme pure a priori’ della molteplicità. Alla colonna centrale dell’Albero appartengono : 1 Kether Corona, 6 Tiphereth Bellezza o Armonia, 9 Yesod Fondamento, 10 Malkuth Regno. Alla colonna di destra: 2 Chokmah Sapienza, 4 Chesed Grazia o Misericordia, 7 Netzach Eternità o Vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah Intelligenza, 5 Gheburah Potenza, 8 Hod Gloria o Splendore.
In Genesi (2,10) si parla del fiume di Eden che bagna il giardino dividendosi per quattro rivoli.
[9] Tra i cabbalisti l’accordo è pressoché unanime nel ritenere il Nord o Settentrione appartenente a Gheburah [Potenza] e il Sud o Meridione a Chesed [Grazia]. La fonte sembra essere il Sepher Yetzirah, 1, 5 dove sono indicate le dieci direzioni in corrispondenza delle dieci Sephiroth: « Dieci Sephiroth del Nulla [belimah, senza determinazione] la loro misura è dieci e non hanno fine. La profondità del principio [Chokmah], la profondità della fine [Binah], la profondità del bene [Kether], la profondità del male [Malkuth], la profondità dell’alto [Netzach], la profondità del basso [Hod], la profondità dell’est [Tiphereth], la profondità dell’ovest [Yesod], la profondità del nord [Gheburah], la profondità del sud [Chesed] e il Signore, unico Dio e Re certo, domina su di loro dalla sua Santa dimora per tutta l’eternità ».
[10] « […] E questa è la scienza dell’alchimia, che è la scienza della divinità […] E chi non conosce già la scienza del mondo superiore [la kabbalah] non può praticarla [l’alchimia] » [Josef Taitatzak, studioso del XV secolo, manoscritto del British Museum, catalogo Margoliouth n.766, f.107, citato in G. Scholem, op.cit., p. 35].
[11] La dottrina dei quattro mondi fondamentali è accennata in Zohar (seconda metà del XIII secolo) ma non si trova sviluppata completamente se non a partire dal XVI secolo. I quattro mondi sono : Olam ha-azilut o Mondo dell’emanazione, Olam ha-beriah o Mondo della creazione, Olam ha-yetzirah o Mondo della formazione e Olam ha-assiah o Mondo della materia.
Il Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Sugli argomenti, la data presunta di composizione, l’autore: cfr. G.G. Scholem, La Cabala, trad.it., Roma 1989, pp.215-244 e G.Busi, La Qabbalah, Laterza, Bari, 1998, pp. 70-75. Per un maggiore approfondimento, cfr. i capitoli V e VI di Le grandi correnti della mistica ebraica di G.G. Scholem. L’edizione dello Zohar attualmente in commercio è quella della versione francese a cura di C. Mopsik pubblicata dalla casa editrice Verdier.
[12] Severità, rigore e giudizio: sembrerebbero attributi della Sephirah Gheburah, negli altri suoi nomi di Din e Pachad, come già detto. In realtà, appartengono qui a Binah che, come Intelligenza, è la sede stessa del giudizio. Concetto questo che, unitamente a quello espresso con la severità e il rigore, si manifesta nell’energia di Saturno-Crono, il pianeta in analogia con la Sephirah Binah.
[13] Giobbe, 37, 2 : « Dal nord si annuncia uno splendore dorato: è Dio circondato di luce maestosa ». La potenza splendente che viene dal nord è quella di Gheburah, la quinta delle divine Sephiroth.
[14] Esodo 15, 2 : « Il Signore è mio scudo, mia potenza. Egli mi ha salvato. Lui è il mio Dio e io lo voglio ringraziare ; è il Dio di mio padre e io lo voglio innalzare ». In Gheburah si esaltano il potere e la forza di Dio.
[15] Letteralmente: « Il volto breve » o « L’impaziente ». Cfr. Zohar.
[16] Salmi, 2, 12: « Perché non s’accenda improvvisa la sua ira e voi non perdiate la vita. Felice chi confida nel Signore ». Anche l’ira, con il potere e la forza, è una manifestazione di Gheburah.
[17] I Re 7, 15 : « Hiram fece due colonne di bronzo fuso, alte nove metri e con una circonferenza di sei ». 
[18] Sono le due colonne laterali dell’Albero delle Sephiroth: a sinistra Gheburah o Din, a destra Chesed.
[19] Kether, Chokmah e Binah.
[20] Sono le restanti sette Sephiroth dell’Albero, cosiddette inferiori o emotive.
[21] Genesi, 39, 36 : “ Quando Bà ‘al Chanan figlio di ‘Achbor morì gli successe Hadar ; la sua città era Pà ‘u e sua moglie aveva nome Mehetavel figlia di Matred figlia di Me Zahab ”. Hadar, re di Edom, sposa dunque Mehetabel nipote di Me Zahab che significa ‘Acqua aurea o acqua prodotta dall’oro’ com’è detto più avanti, al cap.7.  
[22] Salmi, 39, 2 : « Avevo detto : ‘Farò attenzione, /non peccherò parlando troppo, /terrò a freno la mia lingua / finché mi troverò fra gente malvagia »
[23] La sorte di Ghechazi, il servo del profeta Eliseo, s’intreccia con la vicenda di Naaman. Quando Ghechazi seppe che il suo padrone non aveva voluto accettare nulla di quel che gli aveva offerto Naaman, decise di approfittarne. Così, raggiunto di corsa il valoroso comandante, con un pretesto si fece consegnare settanta chili d’argento e due vestiti. Alla presenza di Eliseo tentò inutilmente di negare l’accaduto. Il profeta lo rimproverò e predisse per lui e per i suoi discendenti la malattia di Naaman. Appena lasciato Eliseo, infatti, Ghechazi aveva su di sé i segni della malattia (II Re, 5, 20-27). Egli, del resto, non era nuovo all’inganno. Già in precedenza aveva tentato di appropriarsi dei poteri del profeta, posando un bastone sulla testa del figlio della donna di Sunem nel vano tentativo di  resuscitarlo (II Re, 4, 31).
Dal canto suo, il profeta Eliseo sembra possedere molti dei poteri che saranno attribuiti al Cristo dei Vangeli : risuscita i morti (II Re, 4, 36), vanifica l’azione del veleno (II Re, 4, 41), opera la moltiplicazione dei pani (II Re, 4, 43), guarisce Naaman e fa ammalare Ghechazi (II Re, 5) etc…
La traduzione inglese del 1714, opera di un amante dei Filaleti, come lui stesso si definisce, riporta a fine capitolo una nota esplicatica del fratello Q.S.N. sul significato che ha qui Ghechazi : « Il significato di questo brano sembra essere quello di presentare Ghechazi come lo studente di Alchimia che, consapevole della possibilità di ogni trasmutazione, perde il suo tempo e suggerisce agli altri di fare come lui, praticando contro la legge naturale e l’armonia, senza comprendere che un metallo non può trasformarsi in un altro prima che si sia tornati indietro sul sentiero dell’evoluzione sino alla materia prima. Solo allora sarà possibile riprendere il retto cammino ». Circa la predetta traduzione si consulti G. Scholem, op. cit., pp. 71-72.
[24] II Re, 4, 14 : « ‘Cosa possiamo fare per lei, dunque?’ Chiese di nuovo Eliseo. Ghechazi rispose : ‘Questa donna ha la disgrazia di non avere figli e suo marito è già molto vecchio’ »
[25] II Re, 4, 26: « [Eliseo disse a Ghechazi] Corrile incontro e chiedile se va tutto bene per lei, per suo marito e per suo figlio. ‘Sì, grazie’ rispose la donna ».
[26] Ibid., 30: « Ma la madre del ragazzo disse : ‘Giuro davanti al Signore e davanti a te. Non me ne vado se non vieni anche tu! Allora Eliseo si mosse insieme alla donna ». 
[27] Ibid., 31: « Ghechazi era arrivato prima di loro. Aveva posato il bastone sul volto del ragazzo, ma non c’era stata alcuna reazione, nessun segno di vita. Allora Ghechazi andò incontro ad Eliseo e gli disse : ‘Il ragazzo non si è svegliato!’ ».
[28] Ibid., 5, 20: « Quando Ghechazi, il servo del profeta Eliseo, pensò : ‘Il mio padrone non ha voluto accettare quel che Naaman, l’Arameo, gli offriva. Com’è vero che il Signore vive, rincorrerò Naaman e mi farò dare io qualcosa’ ».
[29] Ibid., 5, 22: « ‘Tutto bene !’ – rispose Ghechazi – il mio padrone mi manda a dirti che dalui sono giunti due giovani. Fanno parte della regione montagnosa di Efraim. Tu dovresti offrirgli 35 chili d’argento e due vestiti » ; 5, 25: « [Ghechazi] tornò invece dal suo padrone Eliseo e questi gli chiese : ‘Da dove arrivi ?’ e Ghechazi rispose: ‘Da nessuna parte’ ».
[30] Ibid., 8, 4-5: « In quel momento il re stava parlando con Ghechazi, il servo del profeta Eliseo: si faceva raccontare le grandi imprese compiute dal profeta. E mentre gli raccontava come Eliseo avesse resuscitato un ragazzo, venne la madre dal re a chiedere la restituzione delle sue case e delle sue terre. Ghechazi esclamò: ‘Re mio signore, è questa la donna di cui ti parlavo ! E’ qui con suo figlio, il ragazzo che Eliseo ha fatto tornare in vita ! »
[31] Ibid., 5, 27: « La malattia di naaman verrà su di te e i tuoi discendenti, per sempre. Quando lasciò Eliseo, Ghechazi era già ammalato e tutto bianco come la neve ».
[32] Ghechazi  y z j y g  3+10+8+7+10 = 38; Chol  l j 8+30 =38. Ciò significa che Ghechazi non è un vero iniziato.  

martedì 30 ottobre 2012

RIPRENDE LA CACCIA ALLE... ZEBRE. Il punto sul campionato di calcio.




 Gli errori della commissione arbitrale a Catania fanno guadagnare alla Juve forse qualche punto, ma costano caro in fatto di immagine. Torna il fantasma di calciopoli, tornano le vecchie sirene intermilaniste e le nuove della mitologia napoletana. Solo qualcuno si azzarda a dire: “siamo alle solite… con la Juventus…”, ma la maggior parte, come il presidente dell’Inter, nel dirsi sicuro questa volta dell’innocenza delle zebre bianconere, non esita a rievocare il passato! L’Inter, la squadra che negli ultimi anni ha tratto i maggiori vantaggi dalle disgrazie juventine e su cui si sono concentrate le “sviste” arbitrali che hanno privato la Roma sicuramente di uno scudetto e probabilmente di due! Il Milan e il Napoli, solo di recente gratificate dalla mancata visione arbitrale – del resto comprensibile quando si dispone solo di occhi umani e si decide di rinunciare alle moderne tecnologie – di falli da rigore nella propria area e l’Inter stessa che segna il primo goal contro il Bologna, quando il gioco andava fermato un attimo prima per un fallo ai danni di un difendente felsineo!

 Venendo al calcio “giocato”, fa molto discutere l’esibizione della Roma di Zeman, passata dal 2-0 della prima mezz’ora all’ennesima sconfitta per 2-3, anche in virtù di un calcio di rigore subito negli ultimi minuti e che l’arbitro non ha visto [e nemmeno io!], ma il guardialinee sì! C’è chi dice che, in base ai giocatori che gli sono stati messi a disposizione, questa non è la Roma di Zeman, chi invece sostiene che ci troviamo di fronte al “solito” tecnico boemo che in tanti anni non ha vinto nulla [promozioni dalla serie B, a parte] e che, come ci si poteva aspettare, conquista il primato della maggior difesa battuta del campionato [16 goal in 8 partite, se si esclude la vittoria a tavolino di Cagliari], ma anche quello del migliore attacco [20 goal come la Juventus, compresi però i goal fatti “a tavolino”]! Chi ha ragione? Probabilmente entrambi “i partiti”. Nessuna squadra del campionato italiano è in grado di offrire un gioco così spettacolare come quello messo in mostra dalla Roma nella prima mezz’ora contro l’Udinese o nei secondi quarantacinque minuti contro il Genoa! Ma, al tempo stesso, nessuna ha un’organizzazione difensiva così scarsa come la Roma di Zeman! La responsabilità, tuttavia, non è solo dei difensori – male assortiti quanto si vuole, forse per via di una campagna acquisti poco attenta –  ma soprattutto del centrocampo, dove tre giocatori, senza capacità di interdire il gioco avversario,  agiscono in linea e se aggrediti vengono facilmente scavalcati. Per non parlare delle cosiddette ripartenze avversarie, causate dagli attaccanti che spesso perdono palla in zone cruciali del campo. Peccato! Perché questa Roma diverte davvero, persino quando in avvio di secondo tempo schiera otto giocatori sulla linea di centrocampo per intimorire gli avversari, rischiando ripartenze letali! Diverte e segna ma per 30-40 minuti al massimo, poi sembra non saper che fare con la palla e inoltre sotto il profilo fisico e psichico è impossibile attaccare per 90 minuti, soprattutto se sei in vantaggio di goal. Perché allora non fare tesoro della lezione appresa lo scorso campionato con il ‘possesso palla’ orizzontale di Luis Enrique? D’accordo, era esasperato e stucchevole e perdeva di vista la profondità, ma nella Roma di oggi a tratti potrebbe servire. Comunque sia, penso che l’esperienza - Zeman meriti di continuare, almeno per quest’anno, tanto più che con questi uomini della difesa e del centrocampo non credo che con un altro allenatore, che magari giochi all’italiana, la squadra riuscirebbe a far meglio.

 Per il resto, la Juventus continua a non perdere in  campionato  ormai da 48 partite [Va bene, si dirà che col Catania…], ma la squadra sembra affaticata in più di un elemento e Sabato prossimo a Torino arriva l’Inter che un giovane tecnico romano ed ex della Roma calcio [nessuno è profeta in patria…] ha ricostruito e portato all’ottava vittoria consecutiva. Cosa non va nella Juve degli ultimi tempi? Vince col Napoli, è vero, ma senza un gran gioco e rischia la sconfitta in Danimarca contro una squadra modestissima e la spunta a Catania come sappiamo… Fatica molto a segnare, anche se l’impegno della squadra è sempre elevato ed encomiabile, ma la ragione non è difficile da indovinare: il gioco della Juve non è costruito per gli attaccanti che infatti sono chiamati come qualsiasi altro giocatore a “tornare” e all’occorrenza a difendere. In ciò la forza della squadra ma anche il suo limite: se un calo di forma attraversa un difensore o un centrocampista [non a caso la Juve ha segnato già quest’anno con 13 giocatori diversi], la fonte da cui scaturiscono i goal rischia di inaridirsi e, nonostante la gran mole di gioco, si stenta a segnare. L’arrivo di una punta di fama internazionale risolverebbe il problema? Non ne sono così certo… 

sergio magaldi

giovedì 25 ottobre 2012

SESSO FAMIGLIA E...AMORE nel film ELLES di M. Szumowska

Elles, film di Malgoska Szumowska, 96 minuti, Francia, Polonia, Germania 2011 [Uscita in Italia 28 Settembre 2012]

 In una Parigi che la macchina da presa inquadra nei suoi grattacieli, piuttosto che nelle tante immagini tradizionali che fanno di questa città il cuore d’Europa, Anne [interpretata da Juliette Binoche, come sempre eccezionale], una giornalista della rivista Elles, conduce un’inchiesta sulle studentesse che si prostituiscono. Un fenomeno del nostro tempo, il segno della decadenza morale ed economica del vecchio continente mentre perdura il mito del benessere ad ogni costo.

















 Ma il film della giovane regista polacca ci trasmette anche un messaggio diverso. L’uomo è doppiamente colpevole: è lui che trasforma in routine il rapporto di coppia ed è sempre lui a ricercare nella sessualità a pagamento, con ragazze che spesso hanno l’età dei propri figli, la relativa e inevitabile compensazione.




  Nasce così il sospetto che Charlotte [Anaïs Demoustier] - la studentessa francese  pronta ad affermare che l’unico squallore che conosca è quello della miseria -  e Alicja [Joanna Kulig] - la ragazza polacca che con la vendita del proprio corpo si paga gli studi di Economia - siano, più o meno consapevolmente, portatrici di una “vendetta” al femminile. Il sesso servito a freddo è la rivincita della condizione cui è costretta la donna: la progressiva frustrazione del desiderio, vissuta all’interno di un ménage borghese e annoiato, di cui è testimone Anne, la giornalista, e la contemporanea disponibilità dell’uomo a cercare altrove l’appagamento dei sensi, quando finisce l’amore. Come il cliente di Alicja che ai riti erotici alterna il canto di Les feuilles mortes. E qui il fatto nuovo è il superamento di una certa faziosità che il film  lasciava intravedere: Alicja accompagna il cliente nel canto quasi a condividere con lui l’impossibilità dell’amore, il suo “eterno” scacco.





 C’è un’alternativa? Sembra chiedersi la Szumowska nel finale. C’è, se così può chiamarsi il cerimoniale borghese di accettazione e di rassegnazione… 
 
 Film crudo e insieme delicato, elegante e cinico, dalle scene erotiche esplicite ma non per questo volgari. E mentre scorrono velocemente le immagini, quadri viventi che raccontano il desiderio del maschio, lo spettatore avverte forte un’assenza: l’amore!

sergio magaldi  

martedì 16 ottobre 2012

LE FONTI TRADIZIONALI DELLA LEGGENDA DI HIRAM





 “Hiram” è nome che si sente ripetere spesso in Massoneria e che rappresenta la parabola ricorrente e fondante la stessa maestria massonica.  Com’è noto, Hiram è parola ebraica formata di quattro lettere e due radici: la Chet  e lo Yud  di cui alla radice Chi che si riferisce alla “vita” e una seconda radice, Ram , formata dalle lettere Resh  e Mem  che rimanda a particolari stati di elevazione.

  “Vita elevata” significa dunque Hiram, cioè vita dello spirito e, addirittura, rovesciando i termini, spirito di vita. Ciò premesso, vale forse la pena ricordare che il nome di Hiram è citato, forse per la prima volta, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di Cooke, un codice di comportamento ad uso delle Logge della Massoneria operativa [1]. Relativamente tarda è invece la sua apparizione nei documenti ufficiali della Massoneria speculativa, tanto da non apparire neppure all’atto di fondazione, il 24 Giugno 1717, nelle Costituzioni di Anderson. Appare invece nove anni più tardi nel Manoscritto di Graham, cosiddetto dal nome del maestro della Loggia della quale faceva parte il compilatore.

  Nel documento si fa, tra l’altro, riferimento a Sem, Cam e Japhet , i tre figli di Noè, che “andarono alla tomba di Noè loro padre per cercare di trovare qualcosa che li conducesse al segreto della virtù che questo famoso patriarca possedeva, perché spero – continua il compilatore del Manoscrittoche tutti concederanno che tutto ciò che poteva essere utile nel nuovo mondo stava nell’arca con Noè[2]

 Non trovando il segreto, i tre figli di Noè sollevarono il cadavere del padre già decomposto nella maniera corretta. [3]

  Di quale segreto è depositario Noè? La rilettura di alcuni passi del Bereshit o “Genesi” può forse aiutarci.
 
  Quando il Signore – narra la Bibbia – vide la malvagità dell’uomo, si pentì di averlo creato e decise di distruggerlo insieme a tutti gli altri esseri che popolavano la terra. Ma “Noè trovò grazia ai suoi occhi”. Allora il Signore invitò Noè a costruirsi, per scampare al diluvio, un’arca di legno di gofer, parola la cui radice, in ebraico, è la stessa della parola gofrit che significa zolfo[4].

  Noè ospiterà nell’arca, oltre ai figli e alla moglie, il maschio e la femmina di ogni specie animale. Egli uscirà con i suoi dall’Arca dopo circa 12 mesi, una volta che il corvo si sia accertato del calo delle acque e la colomba abbia recato nel becco la prova della nuova viridescenza della Terra[5].

  Il Manoscritto di Graham ci dice che il segreto era nell’arca, ma che i figli di Noè non lo trovarono. Il racconto biblico, invece, prosegue prima con la descrizione dell’arcobaleno o ‘arco dell’alleanza’ tra Dio e Noè, poi con la maledizione di Noè contro suo figlio Cam e i discendenti cananiti, forse proprio per aver scoperto il segreto [6].

 Tutto il segreto di Noè, del resto, sembra riassumersi in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che Noè, uomo di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e si scoprì all’interno della sua tenda mentre Cam, suo figlio e padre di Canaan, vide la sua nudità.

 Su questo episodio mi sembra assai illuminante l’interpretazione proposta nel Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’[7] che, com’è noto, è uno dei testi più autorevoli e completi della Qabbalah. Qui, si comincia col discutere tra due personaggi, Rabbi Juda e Rabbi Yossi, circa l’origine di questa vigna. Rabbi Juda sostiene che la vigna facesse parte, una volta, del giardino dell’Eden e che da questo ne fosse stata scacciata, mentre Rabbi Yossi sostiene che la vigna si trovasse sulla terra prima del diluvio e che Noè l’avesse sradicata per poi ripiantarla.

 Ora, è abbastanza evidente che nella tesi di Rabbi Juda si parli della vigna come se si parlasse di Adamo ed Eva, altrimenti come si potrebbe scacciare una vigna? Quanto alla tesi di Rabbi Yossi, se è vero che è possibile sradicare le viti di una vigna per ripiantarle, appare ben difficile poterlo fare quando sia trascorso un anno cioè più o meno il tempo in cui Noè rimase nell’arca. Allora qui cominciamo a sospettare che si tratti di una vigna speciale.

 C’è di più: nel giardino dell’Eden, da cui la vigna proverrebbe, secondo rabbi Juda, sappiamo esserci un fiume che serve ad abbeverare il giardino (Genesi 2,10), ed è grazie a questo fiume che ogni cosa nasce. Nel significato cabbalistico dello Zohar, il giardino è la sephirah Malchuth, che significa Regno o Terra, mentre il fiume è la sephirah Yesod che significa Fondamento [8]

 Il sospetto che non di una comune vigna si tratti ci viene anche dall’osservazione che il versetto 9,20 del Genesi, in cui si dice che ‘Noè iniziò a piantare una vigna’, prosegua col versetto 9,21 in cui si dichiara che Noè bevve il vino. Sembrerebbe che Noè non abbia quasi da aspettare tra il piantare e il bere, ma la cosa più interessante è il commento di Rabbi Simeone al già citato passo dello Zohar:

 “In questo versetto (Genesi 9,21) si trova uno dei segreti relativi alla Saggezza. Quando Noè si propose di indagare sull’errore del primo uomo, non certo nell’intenzione di ripetere lo stesso errore, ma, al contrario, al fine di liberarne il mondo, egli non ci riuscì subito, allora schiacciò i chicchi d’uva per proseguire la sua ricerca sulla vigna. Ma, non appena raggiunto questo scopo, si ritrovò nudo e ubriaco” [9]

 Insomma, apprendiamo che Noè piantò la vigna per indagare sull’errore di Adamo. E semmai ci siano ancora dubbi che si stia parlando di una vigna e di un vino speciali, conviene ascoltare ancora Rabbi Simeone:

 “Accadde qui come per i figli di Aronne che, noi lo sappiamo, bevvero vino sul monte Sinai. Chi offrì loro del vino in un tal luogo perché ne bevessero? Se ti passa per la mente che essi ebbero voglia di ubriacarsi di vino in un luogo simile, disingannati! Per la verità fu del vino di Noè che essi si ubriacarono[10]

 Tornando al Manoscritto di Graham, dopo Noè e i suoi figli, si allude ad un tale Betsaleel, personaggio la cui etimologia del nome ce lo indica assai vicino a Dio. Il ‘santo’ segreto posseduto da Betsaleel e che è il segreto stesso della Massoneria  – si dice nel Manoscritto – si mantenne senza perdersi pur nelle tenebre dell’ignoranza finché, 480 anni dopo che gli Ebrei erano usciti dall’Egitto, nel quarto anno del suo regno, Salomone ‘cominciò a costruire la Casa del Signore’. In tale opera – continua il Manoscritto – gli fu a fianco Hiram di Tiro, il figlio di una vedova della tribù di Neftali e uomo colmo di sapienza e di intelligenza.

 Sin qui il Manoscritto che – come abbiamo visto – parlando di Hiram si riferisce solo all’artigiano e non anche all’altro Hiram di Tiro, il re che concluse con Salomone un trattato commerciale inviando operai e fornendo oro e legno di cedro per la costruzione del Tempio [11].

 Dalla comparsa del Manoscritto di Graham, occorrono sei anni perché la leggenda di Hiram appaia nel rituale del terzo grado delle Logge londinesi e ancora altri cinque anni perché trovi posto nella ristampa delle Costituzioni di Anderson. Siamo nel 1738 e Anderson, sulla scia del Manoscritto di Graham, sottolinea la perfezione raggiunta dalla Massoneria grazie all’intervento di Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio di Salomone. Infatti, Noè prima, come poi Salomone, Hiram e le maestranze del Tempio, furono solo gli strumenti nelle mani del Grande Architetto dell’Universo.

 Esistono naturalmente molte versioni della leggenda di Hiram[12], senza che ciò determini sostanziali variazioni di significato. Mi limiterò perciò a considerare quelle riportate nel Manoscritto e nelle Costituzioni, cercando, ove possibile, di armonizzarle tra loro sinteticamente.

 Narra, dunque, la leggenda che Hiram ogni giorno, dopo la pausa del pranzo, solesse ispezionare i lavori. Il Tempio era prossimo ad essere ultimato, ma era intanto scoppiata una controversia fra i manovali e i muratori per la differenza del salario percepito. Per tacitare la lite, Salomone e Hiram promisero che tutti sarebbero stati pagati allo stesso modo, ma poi diedero ai muratori un segno che i manovali non conoscevano e che significava maggior salario, ritenendo che fosse più giusto che ognuno fosse retribuito secondo il merito e non secondo un astratto principio di uguaglianza. Fu così che tre manovali si nascosero nel Tempio per aggredire Hiram ed estorcergli la parola segreta, con cui si poteva chiedere e ottenere un salario più alto. Ma Hiram si rifiuto di rivelare la parola segreta e tentò di fuggire. Inseguito sino alla terza porta del Tempio, dopo essere stato colpito anche presso le altre due, egli fu infine ucciso. Gli assassini nascosero provvisoriamente il maestro morto sotto i calcinacci. A mezzanotte lo recuperarono, per dargli sepoltura su una collina poco distante. Salomone, impensierito per l’assenza del suo architetto, incaricò quindici ‘buoni Fratelli’ di cercarlo. Quando infine – continua la leggenda – il corpo di Hiram fu ritrovato, a chi l’aveva afferrato per sollevarlo dalla fossa, come già era avvenuto per Noè, restò in mano la carne che ormai si veniva staccando da quel corpo in decomposizione, finché un altro fratello pensò bene, di sollevare Hiram nella maniera corretta e iniziatica.

 Così stando la leggenda, pur con tutte le sue varianti, appare comprensibile rintracciarne la fonte direttamente nel racconto biblico, magari unificando le due figure di Hiram nell’unica figura di Hiram architetto di re Salomone o, più semplicemente, come nel Manoscritto di Graham, finendo per privilegiare l’artigiano e figlio di una vedova della tribù di Neftali, cioè di un discendente di Giacobbe e di Bila sua schiava, così come fa il Vaillant, che in proposito scrive:

 “La tradizione massonica che si ricava dai rituali adottati da tutti i riti al terzo grado è ebraica (…) Nel secondo libro dei Paralipomeni, il re di Tiro fa dire a Salomone che Hiram è un uomo intelligente, abilissimo; che ha servito suo padre, che sa lavorare l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legno e perfino la porpora, il giacinto, il fine lino e lo scarlatto; egli sa ancora incidere tutte le immagini e inventare quello che occorre per ogni lavoro. Ecco, senza dubbio, ciò che gli è valsa la denominazione di architetto nelle tradizioni ebraiche e tra i Liberi Muratori, malgrado le asserzioni rispettabilissime che non vogliono vedere in lui che un fonditore di metalli.” [13]

 Sarebbe dunque inutile cercare al di fuori ciò che è già ampiamente contenuto nel racconto biblico. E quanto all’episodio del tradimento degli operai, anche questo si troverebbe nella Bibbia, essendo niente altro che la trasfigurazione dell’episodio della ribellione dei tre levìti, durante il passaggio degli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto.L’episodio della ribellione di Core, Dathan e Abiron si sostanzia, infatti, delle parole che, nella Torah, Mosè rivolge ai ribelli:

 “Non vi basta il fatto che il Signore, il Dio d’Israele, ha scelto voi fra tutti gli altri israeliti? Vi concede di avvicinarvi a Lui, per prestare servizio nella sua Abitazione e per celebrare il culto in nome di tutta la comunità d’Israele. Il Signore ha permesso a te, Core, e a tutti i fratelli levìti di avvicinarvi a lui e voi ora pretendete anche il sacerdozio?”.[14]

 Analogamente, i tre operai della leggenda massonica che, pure, hanno il privilegio di lavorare alla costruzione del Tempio, pretendono la maestria senza averne diritto e la loro avidità e superbia li spinge al delitto.

 Restando nell’ambito di una interpretazione che vede nell’Hiram biblico la fonte principale della leggenda, di un certo interesse è la posizione assunta dal Goons, membro della Philalethes Society, che, dopo aver dichiarato che la storia della costruzione del Tempio di Salomone fu allargata, a partire dal racconto biblico, in modo libero e fantasioso sino a diventare un’allegoria, finisce con l’azzardare l’ipotesi, recando numerose prove, che Hiram re di Tiro sia stato membro operativo della potente gilda dei muratori fenici i quali, com’è noto, parteciparono in modo rilevante alla costruzione del Tempio di Salomone[15]. Conforta in tal senso – secondo il Goons – sia l’ambizioso programma di costruzioni che, secondo storici come Menandro, Giuseppe Flavio ed Erodoto, avrebbe contraddistinto il regno di Hiram, sia la concreta realizzazione a Tiro e nello stesso periodo, di molte opere, secondo ne scrive il Dizionario di lingua inglese per l’interpretazione della Bibbia:

 “Fu Hiram, contemporaneo di David, che portò Tiro alla fama. L’antica Tiro sulla terraferma, egli la fortificò fortemente con mura sviluppanti quindici miglia di circonferenza. Ora Hiram costruisce la nuova Tiro includendo le isole sparse per un mezzo miglio sul mare fino a comprendere un’area di due miglia e mezzo di circonferenza. All’estremità nord due moli di pietra di circa cento piedi a parte, si estendevano a est e a ovest per settecento piedi. Questi con la linea costiera abbracciavano un’area (il porto di Sidone) di 70.000 yarde [16] quadrate. A sud un porto simile (l’Egiziano) di 80.000 yarde quadrate era racchiuso da un vasto lungo 200 yarde e da un frangiflutti largo 35 piedi e lungo quasi 2 miglia. I due porti erano uniti da un canale che attraversava l’isola. La città crebbe in file di case, giardini, frutteti e vigne e fu abbellita dal nuovo e splendido tempio di Melkarth [17], dal palazzo reale e da una grande piazza per le assemblee nazionali…[18]

 In base ad altre fonti, peraltro meno documentate – osserva il Goons – in questo stesso periodo sarebbero state costruite, oltre ad elevate fortificazioni, case di abitazione ancora più alte di quelle dei Romani e per giunta dotate di riscaldamento a vapore, e ancora: depositi d’acqua, fognature, e un tempio della dea Astarte [19] che servì di modello alla costruzione del Tempio di Gerusalemme. Inoltre, secondo il Goons, ancora oggi sarebbe visibile uno dei grandiosi moli del porto costruito da Hiram.

 Da tutte queste premesse il Goons trae la convinzione che Hiram potesse far parte della gilda dei costruttori e che magari suo padre, il re Abibaal, lo avesse messo a mestiere nella corporazione dei muratori, il solo luogo dove avrebbe potuto ricevere un’educazione degna di questo nome. Infatti, in questa età della storia, solo la gilda dei costruttori deteneva conoscenze di matematica, di geometria, di meccanica e di topografia. Del resto, egli osserva:

“[…] contrariamente a ciò che credono alcuni scrittori di storia, nessun faraone egiziano o satrapo persiano, ancor meno il capo di una piccola città-stato, poteva arbitrariamente ordinare od obbligare a dei lavori una gilda potente… si deve supporre perciò che (Hiram) il principe coronato fosse un capo tra i costruttori, un maestro progettatore?… ”  [20]

 A giudizio del Goons la risposta alla domanda non può che essere affermativa, altrimenti Hiram, divenuto re di Tiro, non avrebbe potuto mandare prima a David poi a Salomone operai specializzati per la costruzione del Tempio, ciò che invece avrebbe potuto come maestro della corporazione di Tiro. A dir la verità, la tesi del Goons mi convince poco, vuoi per la sua spregiudicatezza, vuoi per l’impostazione illuministica che la sorregge.

  In tutt’altra prospettiva, che non sia quella di rintracciare le fonti della leggenda di Hiram nel racconto biblico, si colloca Flavio Barbiero, archeologo e autore, tra l’altro, di La Bibbia senza segreti edito da Rusconi. Premessa di tale diversa interpretazione sono le ricerche archeologiche da lui effettuate sulla montagna di Har Karkom:

 “Har Karkom è una montagna sacra situata tra il deserto del Negev e il deserto Paran nel Sinai israeliano. Migliaia di strutture abitative, innumerevoli luoghi di culto, 40.000 incisioni rupestri ed altre strutture sacre e profane, per un totale di oltre 1200 siti archeologici, testimoniano oltre ogni possibile dubbio che questo monte era un luogo sacro nell'’età del bronzo, quella dell’Esodo biblico. (…) Nei circoli scientifici ed esegetici, nonostante comprensibili resistenze (…) si sta facendo ormai strada la convinzione che si tratti proprio del biblico monte Sinai (…) Le ricerche ad Har Karkom si effettuano con in mano la Bibbia e stimolano di rimando ricerche sul significato della Bibbia stessa, se sia cioè un’opera storica o un’opera essenzialmente allegorica, come vorrebbe l’esegesi moderna (…) Inizialmente tale analisi era intesa ad approfondire le vicende del popolo ebraico maturate all’ombra del monte sacro. Ma ben presto si è focalizzata sulle vicende di una famiglia che di questo monte si riteneva la legittima proprietaria e che non cessò mai di frequentarlo in segreto, impedendone l’accesso a chiunque altro: la famiglia sacerdotale di Gerusalemme.[21]

 Forte di questa prima scoperta, il Barbiero se ne concede subito un’altra riguardante le origini stesse della Massoneria e della leggenda di Hiram. A suo parere, la tesi, più accreditata in ambito scientifico, circa l’origine della Massoneria da corporazioni di scalpellini e muratori non ha né fondamento razionale né base storica. [22] Tutti i rituali massonici – egli osserva – da quelli della Massoneria azzurra a quelli del Rito scozzese, cominciando dalla leggenda di Hiram, non trovano riscontro nelle vicende bibliche, né appare verosimile che tali rituali siano la libera invenzione, in epoca moderna, di fatti reali descritti nella Bibbia. Pure, egli ammette, in tutti questi rituali si trova sempre qualcosa che con la Bibbia sembra avere autentica familiarità. La spiegazione è semplice: la storia della Massoneria altro non è per lui che la storia della famiglia sacerdotale di Gerusalemme:

 “La Bibbia racconta la storia del popolo ebraico. I rituali massonici si riferiscono a tutt’altra storia. Essi riportano soltanto avvenimenti che avevano rilevanza per la famiglia sacerdotale di Gerusalemme e la cui descrizione in nessun modo poteva essere ricavata dalla Bibbia stessa. Si tratta di episodi che si inseriscono in maniera appropriata nella storia biblica e che spesso vi sono citati espressamente, ma nei rituali sono narrati con una quantità di informazioni che non sono presenti nella Bibbia e soprattutto con un’ottica strettamente unilaterale, interna alla famiglia sacerdotale (…) Questa convinzione è rafforzata dal fatto che ci sono molti paralleli tra le tradizioni massoniche e i testi apocrifi del Vecchio Testamento, libri di autori ignoti, ma certamente appartenenti alla classe sacerdotale della Gerusalemme dal terzo al primo secolo a.C.[23]

 Al momento della distruzione del secondo Tempio, la famiglia sacerdotale di Gerusalemme era al culmine del suo splendore. Dal canto suo, lo storico ebreo Giuseppe Flavio, anche lui appartenente alla classe sacerdotale, elenca diversi membri di famiglie di sommi sacerdoti cui Tito risparmiò vita e averi. Accusata di tradimento dalla comunità ebraica e anche di aver consegnato ai Romani il tesoro del Tempio, la classe sacerdotale, dopo di allora, entrò nella clandestinità. Così, la storia della famiglia sacerdotale di Gerusalemme continuerebbe da allora attraverso i rituali massonici.

 Tutta la tesi porta l’autore a concludere che, così riguardata, la Massoneria ha svolto un ruolo di primo piano nel mondo, influenzando profondamente il pensiero moderno e la struttura stessa delle democrazie occidentali. Ma, per quanto suggestiva sia l’idea di una Massoneria che, dagli antichi sacerdoti di Gerusalemme, si dispieghi nello spazio e nel tempo sino ai nostri giorni, appare poco verosimile sostenerla con qualche credibilità in base alla documentazione di cui è dato disporre, soprattutto se, come spesso traspare dalle argomentazioni dell’autore, lo si fa per scongiurare l’origine più modesta, ma scientificamente più attendibile e altrettanto nobile, della derivazione della Massoneria dalle corporazioni di muratori e di scalpellini.                                                       

 L’intento di ritrovare le fonti della leggenda di Hiram mi ha portato, quasi inevitabilmente, ad interrogarmi sulle fonti stesse dell’istituzione massonica. Ciò dimostra quanto sia importante approfondire lo studio della leggenda, anche se bisogna convenire che finché la ricerca si muove in ambito storico, pochi sono i progressi che potranno compiersi, vuoi per mancanza di documentazione, vuoi per il consolidarsi di tradizioni ormai diffusamente accettate.

 Per altro aspetto, non del tutto convincente appare il tentativo di rintracciare le fonti della leggenda di Hiram fuori dell’ambito biblico, riconducendo gli episodi della vita e della morte di Hiram a generici miti solari di morte e di resurrezione. Troppo semplice, e in tal caso Hiram sarebbe estraneo al ciclo di Salomone, cui invece sembra indissolubilmente legato.

 E’ sin troppo facile, in tal senso, avvicinare il mito di Hiram al mito egizio di Osiride. D’altra parte, la preferenza, accordata dalla maggior parte degli autori a questo mito piuttosto che al racconto biblico, si spiega soprattutto con la necessità di sottolineare il momento topico della morte e della resurrezione, così importante in una tradizione iniziatica. Scrive in proposito il Porciatti:

 “La drammatica leggenda non può dirsi ispirata dalla Bibbia; infatti biblicamente Hiram è ricordato quale geniale artista, fonditore delle due colonne del Tempio e dei loro capitelli, del ‘mare di bronzo’ e di altre cose ancora, ma mai quale architetto preposto alla costruzione del Tempio e capo di una immensa schiera di operai che avrebbe ripartito in Apprendisti, Compagni e Maestri. Essa è piuttosto inspirata dalla iniziazione Osirica, da quel terzo grado della iniziazione Egizia che si chiamava ‘Porta della Morte’, anzi la riproduce: la bara di Osiride, di cui l’assassinio era supposto recente, portava ancora le tracce del sangue ed era posta al centro della sala dei Morti, ove avveniva una parte della cerimonia; si chiedeva all’Iniziando se aveva preso parte all’assassinio di Osiride, e dopo altre prove malgrado i suoi dinieghi era colpito, o gli si imponeva la sensazione di essere colpito con un colpo di ascia alla testa; esso era rovesciato, avvolto in bende come le mummie; si gemeva attorno a lui; balenavano lampi; l’Iniziando, il supposto morto, era avvolto di fuoco, poi reso alla vita.[24]

 Ciò che sorprende di questa analisi è l’aver ridotto l’intera leggenda di Hiram ad una generica rappresentazione del mito solare e ad una brutta copia del mito di Iside e Osiride, dove le analogie si possono riassumere nella morte di Osiride per mano del fratello di sangue Seth, nella ricerca disperata che Iside, la vedova di Osiride, fa dello sposo perduto e infine nell’attribuzione ai massoni del titolo di figli della vedova.

 Giustamente Osiride è stato detto Signore della morte e della resurrezione [25], ma egli è solo una tra le tante divinità nella folta schiera dei morti e risorti in cui troviamo Orfeo, Dioniso, Mithra, Adone, Cristo, Krishna e molti altri, tutti peraltro riconducibili al ciclo cosmico e vegetativo, al mito del Sole che scompare e ogni volta rinasce, mentre la Luna, inconsolabile vedova, lo va cercando nella notte stellata.

 La maggiore fortuna di Osiride, tra i morti e i risorti, si spiega forse con la sua immediata identificazione col Sole. Egli “è un dio fecondo e benefico, la cui vita, morte e resurrezione hanno seguito, fin dalle origini mitiche, il ritmo di tutta la vita egiziana particolarmente nei due cicli entro i quali essa si aggira: il ciclo agrario e il ciclo funerario.[26]

 La funzione normalizzatrice e rassicurante dell’iniziazione osirica riguarda ogni aspetto del viver civile e della morte stessa, perché Osiride è insieme il Nilo e il deserto, il sole che ogni giorno appare all’orizzonte, tramonta e ogni volta risorge, il seme fecondo e il corpo smembrato, la certezza della morte e la fede nella resurrezione. E non importa se queste sono soltanto le forme di conoscenza dell’apparenza, come dimostra la cura che gli Egizi dedicano alla conservazione dei cadaveri e al mantenimento della loro integrità, perché le forme dell’apparire sono simboli della realtà e la realtà si rivela nella formula della ricorrenza e dell’eterno ritorno.

 E’ dunque abbastanza comprensibile, anche se alquanto generico, riferire a Osiride quella parte della leggenda massonica di Hiram, che parla di morte e di resurrezione, perché l’iniziazione non può che essere un’avventura della coscienza individuale e perché, a quanto pare, fu nella valle del Nilo che venne elaborato per la prima volta il processo psicologico dell’iniziazione [27] attraverso un viaggio rituale che, come testimonia il Papiro T 32 di Leida, contemplava per il postulante l’arrivo e l’accettazione, quindi la proclamazione di giustificato, cioè di destinato alla resurrezione, quindi il bagno rituale, l’illuminazione con stati di coscienza fuori dell’ordinario (non si sa sino a che punto indotti artificialmente) e che, infine, si concludeva col ‘sonno nel tempio’.

 Come si vede, nulla forse che ricordi i rituali massonici, ma certamente la comune convinzione che il rituale di iniziazione sia almeno capace di operare una prima trasformazione della coscienza. E certo Hiram ci fa venire in mente il mito egizio di Osiride e, attraverso questo, i miti solari e della ciclicità naturale, il mito della morte e della resurrezione e soprattutto il mito del Caos sempre risorgente e in grado di minacciare l’Ordine raggiunto. Anche il mondo più organizzato, infatti, conserva traccia del Caos che può distruggerlo, anche nella coscienza più illuminata può annidarsi il germe della distruzione che trasforma in assassino. Osiride esorcizza bene nella cosmologia egizia tutto ciò che nasce, muore e deve rinascere in eterno ciclo, egli è l’espressione mitica della ricorrenza: il sole, la luna, la vegetazione. A cominciare dalle terre lussureggianti che il Nilo faceva affiorare e puntualmente faceva scomparire. Come Osiride è ucciso dal fratello Seth, Hiram è ucciso da forza fraterna e tuttavia antagonista, come Osiride, Hiram è destinato a cadere mille volte e mille volte a risorgere.

 Se, dunque, si guarda Hiram alla luce del mito della morte e della resurrezione, non c’è dubbio che la fonte primaria della sua leggenda possa essere ricondotta al mito egizio di Osiride e di Iside, come sostiene la maggior parte degli studiosi. Ma, giova ripeterlo, sotto questo riguardo, non è meno vero che la leggenda, da un punto di vista più generale, possa appartenere ad uno qualsiasi dei tanti miti di dei ed eroi morti e risorti. Gesù, per esempio, come pure altri autori sostengono. Qui, gli apostoli-iniziati vanno cercando le spoglie del dio ucciso per farlo risorgere. In tale prospettiva, comunque, la vicenda di Hiram, altro non sarebbe che una tarda rappresentazione dei miti solari e/o della rinascita e dunque della consolazione e della speranza.

 Cosa c’è, al contrario, di unico e peculiare nella leggenda massonica di Hiram? La costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i massoni e per la quale ogni fratello sa di dover portare la propria pietra sgrossata.

 C’è di più: sostenere che l’iniziazione in quanto tale sia opera di edificazione, è errore determinato dall’identificazione del momento spazio-temporale dell’iniziazione con il rituale che la conferisce, ignorando una verità semplice e fondamentale e cioè che tempo e spazio della coscienza non corrispondono al tempo e allo spazio della realtà. La coscienza converte, per così dire, il tempo e lo spazio della realtà, nel proprio ‘vissuto’ o Erlebnis e può scoprire di essersi davvero modificata solo al termine di un lungo e faticoso processo di cui gli istanti spazio-temporali della realtà sono solo isolati dati d’esperienza sebbene talora dotati di forte carica emozionale. Si aggiunga che ogni drammatizzazione simbolica, se ha il potere di fissare l’attenzione dell’attore e di tenerla desta, non ha anche la creatività sufficiente, per il suo carattere essenzialmente ludico, per generare una coscienza ‘nuova’. L’iniziato sa, per quanto grande sia la sua emozione durante il rito, di recitare una parte e che questa parte simula ma non è la propria morte e rinascita. Al di là del gesto liturgico, egli sa bene che ciò che potrà trasformare e, per così dire, ampliare davvero la sua coscienza è la progressiva e costante consapevolezza di essere davvero ‘morto’ e ‘rinato’. Può così accadere, per quanto paradossale possa sembrare, che egli rimanga un iniziato soltanto virtuale anche dopo reiterate e più elevate iniziazioni.

 Alla luce di quanto sopra, mi sono chiesto se non sia possibile conseguire maggiori risultati mutando di prospettiva e cioè collocando la leggenda di Hiram all’interno del ciclo di Salomone, in uno spazio e in un tempo meramente simbolici, dove sia tuttavia possibile spiegare la leggenda per se stessa senza farla dipendere da generici miti di morte e rinascita. Sarà forse così anche più facile comprendere perché, nei documenti e nei rituali della Massoneria speculativa del XVIII secolo, il ritrovamento della tomba di Hiram si confonda o s’intrecci spesso con quello del disseppellimento di Noè ad opera dei suoi tre figli.

 A tale proposito conviene ricordare l’etimologia di Hiram e il significato che gli è stato dato. Spirito si è detto o qualcosa di simile. Ebbene, dove s’incontra, nella Bibbia, per la prima volta la parola ‘spirito’ ? Proprio all’inizio, al secondo versetto di  Bereshit o “Genesi”, dov’è scritto che ‘lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque’. Qui, ‘spirito’ in ebraico è Ruach   ed è proprio spirito nel significato più vicino ad Hiram, cioè di spirito di vita. L’intera espressione del “Genesi” è Ruach Elohim, ‘spirito divino’ e come tale è riportata sull’architrave della Porta Ermetica di piazza Vittorio.

 Ricordando che nell’alfabeto ebraico ogni lettera è numero e ogni numero è lettera, il valore numerico di Ruach Elohim è 300,  cioè lo stesso valore della Shin  lettera simbolica del Fuoco e che è anche una delle tre lettere madri dell’alfabeto ebraico [28]

 Dello spirito con questo stesso significato parla l’Asclepius ermetico: ‘spiritus implet omnia…’ e ancora: ‘ spiritus vero agitantur sive gubernantur omnes in mundo species’ cioè: ‘ dallo spirito sono mosse e governate tutte le specie del mondo’. Di questo spirito parla Marsilio Ficino nel De Vita: ‘ipse vero est corpus tenuissimum, quasi non corpus…’, e nei Commentaria all’Ars brevis di Raimondo Lullo, Agrippa lo dice ‘spiritus domini’ che ‘replevit orbem terrarum’, ma la definizione più completa mi sembra quella che ne dà Galileo, nella famosa lettera del 23 Marzo 1615 a Monsignor Pietro Dini, in difesa del sistema copernicano:

 “Direi parermi che nella natura si ritrovi una substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale diffondendosi per l'universo, penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le viventi creature; di questo spirito par che 'l senso stesso ci dimostri il corpo del Sole esserne ricetto principalissimo, dal quale espandendosi un'immensa luce per l'universo, accompagnata da tale spirito calorifico e penetrante per tutti i corpi vegetabili, gli rende vividi e fecondi.

 Tornando alle Costituzioni di Anderson ci stupisce vedere la Massoneria definita come Arte reale, una definizione in genere attribuita all’Arte ermetica. Salomone conosceva forse il valore della pietra filosofale? Parrebbe proprio di sì, almeno a quanto ne riferisce Yochanan Alemanno, un ebreo italiano vissuto nel Quattrocento. Nel suo Sepher ha-liqqutim egli racconta che la regina di Saba decise di andare a Gerusalemme per conoscere la saggezza di Salomone:

 “Andò così da lui in gran pompa – egli scrive - con molto oro, argento e pietre preziose da portare in dono al re, come testimonia la Scrittura. Si trova anche scritto nel Libro delle Cronache dei re di Saba che ella portò con sé quella preziosa pietra filosofale (…) per mettere alla prova con essa Salomone, verificare se egli conoscesse l’occulto segreto (…) Il re rispose a tutte le sue domande, le disse il segreto della pietra, la sua natura, il suo modo di agire, e anche altri misteri, che non è necessario riferire. La pietra rimase così nelle mani del re…[29]

 La stretta associazione tra Salomone e la pietra filosofale sarebbe anche attestata, a giudizio di Raphael Patai, ‘dal fatto che la materia prima della pietra era talvolta rappresentata con i due triangoli intrecciati del sigillo di Salomone, che sopravvive ancor oggi nell’emblema nazionale ebraico noto come Maghen David o Stella di Davide’ [30]

 Rispetto poi alla collocazione di Hiram per entro il ciclo di Salomone e della costruzione del Tempio, c’è da osservare che Michael Maier, il noto autore dell’Atalanta Fugiens, pubblicò nel 1620 a Francoforte la Septimana Philosophica, un libro - egli dice - in cui ‘gli aurei segreti di tutti i tipi di natura, del più saggio di tutti i re degli israeliti, Salomone, e della regina di Saba, nonché di Hiram, principe di Tiro, sono presentati e spiegati a turno alla maniera di una conversazione[31]

 Se, a tutto ciò, si aggiunge che l’altro Hiram, l’artigiano figlio di una vedova, è detto essere un valente fonditore di metalli, forse il migliore dell’epoca sua, si comprende che deve esserci un nesso, per entro il ciclo di Salomone, tra costruzione del Tempio, fonditura dei metalli e possesso della pietra filosofale.

 Come mai, inoltre, la figura di Hiram s’intreccia spesso con quella di Noè? E perché lo stesso Anderson dichiara, nelle Costituzioni, che la Massoneria o Arte reale aveva potuto raggiungere la perfezione ‘per l’intervento di Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio di Salomone’? Perché, in fondo, Hiram e Noè esprimono lo stesso concetto, travestono la medesima allegoria.

 Tutto l’episodio biblico di Noè, come ho già sottolineato, parla il linguaggio ermetico. A cominciare dall’Arca che troppo ricorda l’Atanòr, per continuare con i primi animali che Noè fa uscire dall’Arca: il corvo, seguito dalla colomba, secondo la massima ermetica, anch’essa scolpita sulla Porta Ermetica di Piazza Vittorio sotto il simbolo di Saturno: Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas tunc vocaberis sapiens, cioè: ‘Quando nella tua casa negri corvi partoriranno bianche colombe allora sarai chiamato saggio’.

 E ancora: col ramoscello d’ulivo simbolo della prima viridescenza, poi con l’arcobaleno che, nella varietà dei suoi colori è l’annuncio della bontà dell’Opera e perciò dell’alleanza con Dio e della trasformazione, per finire con la vigna di Noè e il suo vino.

 Ove ci siano ancora dubbi sulla circolarità che accomuna Salomone, la leggenda di Hiram, la pietra filosofale e il Tempio, conviene guardare al Genesi che al versetto 28:22 dice: e questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà la casa di Dio. E di questa pietra, ancora nello Zohar, Rabbi Juda ci dice che ‘è la pietra fondamentale’, ‘il radicamento del mondo’, ‘la pietra sulla quale il Tempio è stato costruito’ [32]

 Naturalmente, anche la ‘via ermetica’ è solo una delle tante strade di ricerca per far luce sulle fonti e sul significato della leggenda di Hiram…


sergio magaldi


[1] Cfr. Il Manoscritto di Cooke in E. Bonvicini, Massoneria antica,Atanor, Roma,1989, pp.154 e ss.
[2] Cfr. Il Manoscritto di Graham in Zenit-Documenti,  www.zen-it.com/Graham.htm, p.4
[3] Ibid., p.5
[4] Si veda in proposito il commento di Rashi a Genesi 6:14 in Commento al Genesi,Marietti, 1985, p.49,  nota 49.
[5] Cfr. Genesi 6:5-8, 6:10-22, 8:3-19
[6] Ibid., 9:11-25
[7] Il Sepher-ha-Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati.


[8] Nella tradizione cabbalistica le sephiroth sono ‘le forme pure’ del molteplice che, simbolicamente, si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. 
[9] Cfr. Sepher-ha Zohar, 73a-b.
[10] Ibid.
 
[11] Cfr. S.Magaldi, ‘Qabbalah e simbolismo massonico’, in Le radici esoteriche della Massoneria, Atanòr, Roma, 2001, p.146
[12] Cfr. i testi della leggenda di Hiram, citati in G. Abramo, Appunti sulle origini (pp.111-120), in Hiram, n.5, Maggio 1992, Erasmo Edit., pp.116-117

[13] Cfr. A.Vaillant, I  tre gradi della Libera Muratoria, Bastogi, Foggia, 1994, rist. anast., Milano, 1959, pp.163 e 169. Sulla questione della ‘matrice egizia’ comune sia alla Massoneria che alla tradizione ebraica, cfr. Ibid., l’intero cap. V, pp.163-186.
[14] Cfr. Numeri, 16,  9-10
[15] Cfr. C.W. Goons, ‘Re e uomo dell’arte?’ in Rivista massonica, vol. LXV, n.10, Erasmo, Roma, dicembre 1974
[16] Yard: unità di misura inglese pari a 0,9144 m.
[17] Melkarth o Melqart o Milqart significa ‘Re della città’. Questa divinità fenicia è anche chiamata Baal Shor, cioè ‘Signore di Tiro’. Nel  mondo greco Melkarth era spesso identificato con Eracle o Ercole. Il suo nome compare per la prima volta in una iscrizione aramaica del IX secolo. Un tempio in suo onore, secondo gli storici, sarebbe stato innalzato a Tiro dal re Hiram nel X  Secolo. 
[18] Cfr. C.W.Goons, cit.
[19] Astarte o Ashtart dea fenicia e semitica della fecondità, dell’amore e anche della guerra. Nella Bibbia è definita ‘dea del popolo di Sidone’. Finirà con l’essere assimilata alla dea greca Afrodite.
[20] Cfr. C.W. Goons, cit.
[21] Cfr. F. Barberio, Il significato dei riti. Storia o simbolismo? in www.dipmat.unipg.it, pp.1-2
[22] Ibid., p.2
[23] Ibid., p.4
[24] Cfr. U.G. Porciatti, op.cit., p.169
[25] Cfr. J. Campbell, Le figure del mito, trad.it., Mondadori, Milano 1991, pp.15-31
[26] Cfr. N.Turchi, Le religioni misteriosofiche del mondo antico, I Dioscuri, Genova, 1987, p.101
[27] Cfr. Max Guilmot, Iniziati e Riti iniziatici nell’antico Egitto, trad. it., Mediterranee, Roma 1999, pp.92 e ss.
[28] Ruach Elohim in base al valore numerico di ciascuna lettera ebraica, cominciando da destra a sinistra è il seguente: 200+6+8+1+30+5+10+40 = 300. Ruach Elohim è dunque la ghematria della lettera Shin.
[29] Cfr. in R. Patai, Alchimisti ebrei. Storia e testi, ECIG, Genova, 1997, p.123
[30] Ibid., p.55
[31] Ibid., p.53
[32] Cfr. Sepher ha-Zohar, 72a