martedì 16 ottobre 2012

LE FONTI TRADIZIONALI DELLA LEGGENDA DI HIRAM





 “Hiram” è nome che si sente ripetere spesso in Massoneria e che rappresenta la parabola ricorrente e fondante la stessa maestria massonica.  Com’è noto, Hiram è parola ebraica formata di quattro lettere e due radici: la Chet  e lo Yud  di cui alla radice Chi che si riferisce alla “vita” e una seconda radice, Ram , formata dalle lettere Resh  e Mem  che rimanda a particolari stati di elevazione.

  “Vita elevata” significa dunque Hiram, cioè vita dello spirito e, addirittura, rovesciando i termini, spirito di vita. Ciò premesso, vale forse la pena ricordare che il nome di Hiram è citato, forse per la prima volta, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di Cooke, un codice di comportamento ad uso delle Logge della Massoneria operativa [1]. Relativamente tarda è invece la sua apparizione nei documenti ufficiali della Massoneria speculativa, tanto da non apparire neppure all’atto di fondazione, il 24 Giugno 1717, nelle Costituzioni di Anderson. Appare invece nove anni più tardi nel Manoscritto di Graham, cosiddetto dal nome del maestro della Loggia della quale faceva parte il compilatore.

  Nel documento si fa, tra l’altro, riferimento a Sem, Cam e Japhet , i tre figli di Noè, che “andarono alla tomba di Noè loro padre per cercare di trovare qualcosa che li conducesse al segreto della virtù che questo famoso patriarca possedeva, perché spero – continua il compilatore del Manoscrittoche tutti concederanno che tutto ciò che poteva essere utile nel nuovo mondo stava nell’arca con Noè[2]

 Non trovando il segreto, i tre figli di Noè sollevarono il cadavere del padre già decomposto nella maniera corretta. [3]

  Di quale segreto è depositario Noè? La rilettura di alcuni passi del Bereshit o “Genesi” può forse aiutarci.
 
  Quando il Signore – narra la Bibbia – vide la malvagità dell’uomo, si pentì di averlo creato e decise di distruggerlo insieme a tutti gli altri esseri che popolavano la terra. Ma “Noè trovò grazia ai suoi occhi”. Allora il Signore invitò Noè a costruirsi, per scampare al diluvio, un’arca di legno di gofer, parola la cui radice, in ebraico, è la stessa della parola gofrit che significa zolfo[4].

  Noè ospiterà nell’arca, oltre ai figli e alla moglie, il maschio e la femmina di ogni specie animale. Egli uscirà con i suoi dall’Arca dopo circa 12 mesi, una volta che il corvo si sia accertato del calo delle acque e la colomba abbia recato nel becco la prova della nuova viridescenza della Terra[5].

  Il Manoscritto di Graham ci dice che il segreto era nell’arca, ma che i figli di Noè non lo trovarono. Il racconto biblico, invece, prosegue prima con la descrizione dell’arcobaleno o ‘arco dell’alleanza’ tra Dio e Noè, poi con la maledizione di Noè contro suo figlio Cam e i discendenti cananiti, forse proprio per aver scoperto il segreto [6].

 Tutto il segreto di Noè, del resto, sembra riassumersi in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che Noè, uomo di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e si scoprì all’interno della sua tenda mentre Cam, suo figlio e padre di Canaan, vide la sua nudità.

 Su questo episodio mi sembra assai illuminante l’interpretazione proposta nel Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’[7] che, com’è noto, è uno dei testi più autorevoli e completi della Qabbalah. Qui, si comincia col discutere tra due personaggi, Rabbi Juda e Rabbi Yossi, circa l’origine di questa vigna. Rabbi Juda sostiene che la vigna facesse parte, una volta, del giardino dell’Eden e che da questo ne fosse stata scacciata, mentre Rabbi Yossi sostiene che la vigna si trovasse sulla terra prima del diluvio e che Noè l’avesse sradicata per poi ripiantarla.

 Ora, è abbastanza evidente che nella tesi di Rabbi Juda si parli della vigna come se si parlasse di Adamo ed Eva, altrimenti come si potrebbe scacciare una vigna? Quanto alla tesi di Rabbi Yossi, se è vero che è possibile sradicare le viti di una vigna per ripiantarle, appare ben difficile poterlo fare quando sia trascorso un anno cioè più o meno il tempo in cui Noè rimase nell’arca. Allora qui cominciamo a sospettare che si tratti di una vigna speciale.

 C’è di più: nel giardino dell’Eden, da cui la vigna proverrebbe, secondo rabbi Juda, sappiamo esserci un fiume che serve ad abbeverare il giardino (Genesi 2,10), ed è grazie a questo fiume che ogni cosa nasce. Nel significato cabbalistico dello Zohar, il giardino è la sephirah Malchuth, che significa Regno o Terra, mentre il fiume è la sephirah Yesod che significa Fondamento [8]

 Il sospetto che non di una comune vigna si tratti ci viene anche dall’osservazione che il versetto 9,20 del Genesi, in cui si dice che ‘Noè iniziò a piantare una vigna’, prosegua col versetto 9,21 in cui si dichiara che Noè bevve il vino. Sembrerebbe che Noè non abbia quasi da aspettare tra il piantare e il bere, ma la cosa più interessante è il commento di Rabbi Simeone al già citato passo dello Zohar:

 “In questo versetto (Genesi 9,21) si trova uno dei segreti relativi alla Saggezza. Quando Noè si propose di indagare sull’errore del primo uomo, non certo nell’intenzione di ripetere lo stesso errore, ma, al contrario, al fine di liberarne il mondo, egli non ci riuscì subito, allora schiacciò i chicchi d’uva per proseguire la sua ricerca sulla vigna. Ma, non appena raggiunto questo scopo, si ritrovò nudo e ubriaco” [9]

 Insomma, apprendiamo che Noè piantò la vigna per indagare sull’errore di Adamo. E semmai ci siano ancora dubbi che si stia parlando di una vigna e di un vino speciali, conviene ascoltare ancora Rabbi Simeone:

 “Accadde qui come per i figli di Aronne che, noi lo sappiamo, bevvero vino sul monte Sinai. Chi offrì loro del vino in un tal luogo perché ne bevessero? Se ti passa per la mente che essi ebbero voglia di ubriacarsi di vino in un luogo simile, disingannati! Per la verità fu del vino di Noè che essi si ubriacarono[10]

 Tornando al Manoscritto di Graham, dopo Noè e i suoi figli, si allude ad un tale Betsaleel, personaggio la cui etimologia del nome ce lo indica assai vicino a Dio. Il ‘santo’ segreto posseduto da Betsaleel e che è il segreto stesso della Massoneria  – si dice nel Manoscritto – si mantenne senza perdersi pur nelle tenebre dell’ignoranza finché, 480 anni dopo che gli Ebrei erano usciti dall’Egitto, nel quarto anno del suo regno, Salomone ‘cominciò a costruire la Casa del Signore’. In tale opera – continua il Manoscritto – gli fu a fianco Hiram di Tiro, il figlio di una vedova della tribù di Neftali e uomo colmo di sapienza e di intelligenza.

 Sin qui il Manoscritto che – come abbiamo visto – parlando di Hiram si riferisce solo all’artigiano e non anche all’altro Hiram di Tiro, il re che concluse con Salomone un trattato commerciale inviando operai e fornendo oro e legno di cedro per la costruzione del Tempio [11].

 Dalla comparsa del Manoscritto di Graham, occorrono sei anni perché la leggenda di Hiram appaia nel rituale del terzo grado delle Logge londinesi e ancora altri cinque anni perché trovi posto nella ristampa delle Costituzioni di Anderson. Siamo nel 1738 e Anderson, sulla scia del Manoscritto di Graham, sottolinea la perfezione raggiunta dalla Massoneria grazie all’intervento di Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio di Salomone. Infatti, Noè prima, come poi Salomone, Hiram e le maestranze del Tempio, furono solo gli strumenti nelle mani del Grande Architetto dell’Universo.

 Esistono naturalmente molte versioni della leggenda di Hiram[12], senza che ciò determini sostanziali variazioni di significato. Mi limiterò perciò a considerare quelle riportate nel Manoscritto e nelle Costituzioni, cercando, ove possibile, di armonizzarle tra loro sinteticamente.

 Narra, dunque, la leggenda che Hiram ogni giorno, dopo la pausa del pranzo, solesse ispezionare i lavori. Il Tempio era prossimo ad essere ultimato, ma era intanto scoppiata una controversia fra i manovali e i muratori per la differenza del salario percepito. Per tacitare la lite, Salomone e Hiram promisero che tutti sarebbero stati pagati allo stesso modo, ma poi diedero ai muratori un segno che i manovali non conoscevano e che significava maggior salario, ritenendo che fosse più giusto che ognuno fosse retribuito secondo il merito e non secondo un astratto principio di uguaglianza. Fu così che tre manovali si nascosero nel Tempio per aggredire Hiram ed estorcergli la parola segreta, con cui si poteva chiedere e ottenere un salario più alto. Ma Hiram si rifiuto di rivelare la parola segreta e tentò di fuggire. Inseguito sino alla terza porta del Tempio, dopo essere stato colpito anche presso le altre due, egli fu infine ucciso. Gli assassini nascosero provvisoriamente il maestro morto sotto i calcinacci. A mezzanotte lo recuperarono, per dargli sepoltura su una collina poco distante. Salomone, impensierito per l’assenza del suo architetto, incaricò quindici ‘buoni Fratelli’ di cercarlo. Quando infine – continua la leggenda – il corpo di Hiram fu ritrovato, a chi l’aveva afferrato per sollevarlo dalla fossa, come già era avvenuto per Noè, restò in mano la carne che ormai si veniva staccando da quel corpo in decomposizione, finché un altro fratello pensò bene, di sollevare Hiram nella maniera corretta e iniziatica.

 Così stando la leggenda, pur con tutte le sue varianti, appare comprensibile rintracciarne la fonte direttamente nel racconto biblico, magari unificando le due figure di Hiram nell’unica figura di Hiram architetto di re Salomone o, più semplicemente, come nel Manoscritto di Graham, finendo per privilegiare l’artigiano e figlio di una vedova della tribù di Neftali, cioè di un discendente di Giacobbe e di Bila sua schiava, così come fa il Vaillant, che in proposito scrive:

 “La tradizione massonica che si ricava dai rituali adottati da tutti i riti al terzo grado è ebraica (…) Nel secondo libro dei Paralipomeni, il re di Tiro fa dire a Salomone che Hiram è un uomo intelligente, abilissimo; che ha servito suo padre, che sa lavorare l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legno e perfino la porpora, il giacinto, il fine lino e lo scarlatto; egli sa ancora incidere tutte le immagini e inventare quello che occorre per ogni lavoro. Ecco, senza dubbio, ciò che gli è valsa la denominazione di architetto nelle tradizioni ebraiche e tra i Liberi Muratori, malgrado le asserzioni rispettabilissime che non vogliono vedere in lui che un fonditore di metalli.” [13]

 Sarebbe dunque inutile cercare al di fuori ciò che è già ampiamente contenuto nel racconto biblico. E quanto all’episodio del tradimento degli operai, anche questo si troverebbe nella Bibbia, essendo niente altro che la trasfigurazione dell’episodio della ribellione dei tre levìti, durante il passaggio degli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto.L’episodio della ribellione di Core, Dathan e Abiron si sostanzia, infatti, delle parole che, nella Torah, Mosè rivolge ai ribelli:

 “Non vi basta il fatto che il Signore, il Dio d’Israele, ha scelto voi fra tutti gli altri israeliti? Vi concede di avvicinarvi a Lui, per prestare servizio nella sua Abitazione e per celebrare il culto in nome di tutta la comunità d’Israele. Il Signore ha permesso a te, Core, e a tutti i fratelli levìti di avvicinarvi a lui e voi ora pretendete anche il sacerdozio?”.[14]

 Analogamente, i tre operai della leggenda massonica che, pure, hanno il privilegio di lavorare alla costruzione del Tempio, pretendono la maestria senza averne diritto e la loro avidità e superbia li spinge al delitto.

 Restando nell’ambito di una interpretazione che vede nell’Hiram biblico la fonte principale della leggenda, di un certo interesse è la posizione assunta dal Goons, membro della Philalethes Society, che, dopo aver dichiarato che la storia della costruzione del Tempio di Salomone fu allargata, a partire dal racconto biblico, in modo libero e fantasioso sino a diventare un’allegoria, finisce con l’azzardare l’ipotesi, recando numerose prove, che Hiram re di Tiro sia stato membro operativo della potente gilda dei muratori fenici i quali, com’è noto, parteciparono in modo rilevante alla costruzione del Tempio di Salomone[15]. Conforta in tal senso – secondo il Goons – sia l’ambizioso programma di costruzioni che, secondo storici come Menandro, Giuseppe Flavio ed Erodoto, avrebbe contraddistinto il regno di Hiram, sia la concreta realizzazione a Tiro e nello stesso periodo, di molte opere, secondo ne scrive il Dizionario di lingua inglese per l’interpretazione della Bibbia:

 “Fu Hiram, contemporaneo di David, che portò Tiro alla fama. L’antica Tiro sulla terraferma, egli la fortificò fortemente con mura sviluppanti quindici miglia di circonferenza. Ora Hiram costruisce la nuova Tiro includendo le isole sparse per un mezzo miglio sul mare fino a comprendere un’area di due miglia e mezzo di circonferenza. All’estremità nord due moli di pietra di circa cento piedi a parte, si estendevano a est e a ovest per settecento piedi. Questi con la linea costiera abbracciavano un’area (il porto di Sidone) di 70.000 yarde [16] quadrate. A sud un porto simile (l’Egiziano) di 80.000 yarde quadrate era racchiuso da un vasto lungo 200 yarde e da un frangiflutti largo 35 piedi e lungo quasi 2 miglia. I due porti erano uniti da un canale che attraversava l’isola. La città crebbe in file di case, giardini, frutteti e vigne e fu abbellita dal nuovo e splendido tempio di Melkarth [17], dal palazzo reale e da una grande piazza per le assemblee nazionali…[18]

 In base ad altre fonti, peraltro meno documentate – osserva il Goons – in questo stesso periodo sarebbero state costruite, oltre ad elevate fortificazioni, case di abitazione ancora più alte di quelle dei Romani e per giunta dotate di riscaldamento a vapore, e ancora: depositi d’acqua, fognature, e un tempio della dea Astarte [19] che servì di modello alla costruzione del Tempio di Gerusalemme. Inoltre, secondo il Goons, ancora oggi sarebbe visibile uno dei grandiosi moli del porto costruito da Hiram.

 Da tutte queste premesse il Goons trae la convinzione che Hiram potesse far parte della gilda dei costruttori e che magari suo padre, il re Abibaal, lo avesse messo a mestiere nella corporazione dei muratori, il solo luogo dove avrebbe potuto ricevere un’educazione degna di questo nome. Infatti, in questa età della storia, solo la gilda dei costruttori deteneva conoscenze di matematica, di geometria, di meccanica e di topografia. Del resto, egli osserva:

“[…] contrariamente a ciò che credono alcuni scrittori di storia, nessun faraone egiziano o satrapo persiano, ancor meno il capo di una piccola città-stato, poteva arbitrariamente ordinare od obbligare a dei lavori una gilda potente… si deve supporre perciò che (Hiram) il principe coronato fosse un capo tra i costruttori, un maestro progettatore?… ”  [20]

 A giudizio del Goons la risposta alla domanda non può che essere affermativa, altrimenti Hiram, divenuto re di Tiro, non avrebbe potuto mandare prima a David poi a Salomone operai specializzati per la costruzione del Tempio, ciò che invece avrebbe potuto come maestro della corporazione di Tiro. A dir la verità, la tesi del Goons mi convince poco, vuoi per la sua spregiudicatezza, vuoi per l’impostazione illuministica che la sorregge.

  In tutt’altra prospettiva, che non sia quella di rintracciare le fonti della leggenda di Hiram nel racconto biblico, si colloca Flavio Barbiero, archeologo e autore, tra l’altro, di La Bibbia senza segreti edito da Rusconi. Premessa di tale diversa interpretazione sono le ricerche archeologiche da lui effettuate sulla montagna di Har Karkom:

 “Har Karkom è una montagna sacra situata tra il deserto del Negev e il deserto Paran nel Sinai israeliano. Migliaia di strutture abitative, innumerevoli luoghi di culto, 40.000 incisioni rupestri ed altre strutture sacre e profane, per un totale di oltre 1200 siti archeologici, testimoniano oltre ogni possibile dubbio che questo monte era un luogo sacro nell'’età del bronzo, quella dell’Esodo biblico. (…) Nei circoli scientifici ed esegetici, nonostante comprensibili resistenze (…) si sta facendo ormai strada la convinzione che si tratti proprio del biblico monte Sinai (…) Le ricerche ad Har Karkom si effettuano con in mano la Bibbia e stimolano di rimando ricerche sul significato della Bibbia stessa, se sia cioè un’opera storica o un’opera essenzialmente allegorica, come vorrebbe l’esegesi moderna (…) Inizialmente tale analisi era intesa ad approfondire le vicende del popolo ebraico maturate all’ombra del monte sacro. Ma ben presto si è focalizzata sulle vicende di una famiglia che di questo monte si riteneva la legittima proprietaria e che non cessò mai di frequentarlo in segreto, impedendone l’accesso a chiunque altro: la famiglia sacerdotale di Gerusalemme.[21]

 Forte di questa prima scoperta, il Barbiero se ne concede subito un’altra riguardante le origini stesse della Massoneria e della leggenda di Hiram. A suo parere, la tesi, più accreditata in ambito scientifico, circa l’origine della Massoneria da corporazioni di scalpellini e muratori non ha né fondamento razionale né base storica. [22] Tutti i rituali massonici – egli osserva – da quelli della Massoneria azzurra a quelli del Rito scozzese, cominciando dalla leggenda di Hiram, non trovano riscontro nelle vicende bibliche, né appare verosimile che tali rituali siano la libera invenzione, in epoca moderna, di fatti reali descritti nella Bibbia. Pure, egli ammette, in tutti questi rituali si trova sempre qualcosa che con la Bibbia sembra avere autentica familiarità. La spiegazione è semplice: la storia della Massoneria altro non è per lui che la storia della famiglia sacerdotale di Gerusalemme:

 “La Bibbia racconta la storia del popolo ebraico. I rituali massonici si riferiscono a tutt’altra storia. Essi riportano soltanto avvenimenti che avevano rilevanza per la famiglia sacerdotale di Gerusalemme e la cui descrizione in nessun modo poteva essere ricavata dalla Bibbia stessa. Si tratta di episodi che si inseriscono in maniera appropriata nella storia biblica e che spesso vi sono citati espressamente, ma nei rituali sono narrati con una quantità di informazioni che non sono presenti nella Bibbia e soprattutto con un’ottica strettamente unilaterale, interna alla famiglia sacerdotale (…) Questa convinzione è rafforzata dal fatto che ci sono molti paralleli tra le tradizioni massoniche e i testi apocrifi del Vecchio Testamento, libri di autori ignoti, ma certamente appartenenti alla classe sacerdotale della Gerusalemme dal terzo al primo secolo a.C.[23]

 Al momento della distruzione del secondo Tempio, la famiglia sacerdotale di Gerusalemme era al culmine del suo splendore. Dal canto suo, lo storico ebreo Giuseppe Flavio, anche lui appartenente alla classe sacerdotale, elenca diversi membri di famiglie di sommi sacerdoti cui Tito risparmiò vita e averi. Accusata di tradimento dalla comunità ebraica e anche di aver consegnato ai Romani il tesoro del Tempio, la classe sacerdotale, dopo di allora, entrò nella clandestinità. Così, la storia della famiglia sacerdotale di Gerusalemme continuerebbe da allora attraverso i rituali massonici.

 Tutta la tesi porta l’autore a concludere che, così riguardata, la Massoneria ha svolto un ruolo di primo piano nel mondo, influenzando profondamente il pensiero moderno e la struttura stessa delle democrazie occidentali. Ma, per quanto suggestiva sia l’idea di una Massoneria che, dagli antichi sacerdoti di Gerusalemme, si dispieghi nello spazio e nel tempo sino ai nostri giorni, appare poco verosimile sostenerla con qualche credibilità in base alla documentazione di cui è dato disporre, soprattutto se, come spesso traspare dalle argomentazioni dell’autore, lo si fa per scongiurare l’origine più modesta, ma scientificamente più attendibile e altrettanto nobile, della derivazione della Massoneria dalle corporazioni di muratori e di scalpellini.                                                       

 L’intento di ritrovare le fonti della leggenda di Hiram mi ha portato, quasi inevitabilmente, ad interrogarmi sulle fonti stesse dell’istituzione massonica. Ciò dimostra quanto sia importante approfondire lo studio della leggenda, anche se bisogna convenire che finché la ricerca si muove in ambito storico, pochi sono i progressi che potranno compiersi, vuoi per mancanza di documentazione, vuoi per il consolidarsi di tradizioni ormai diffusamente accettate.

 Per altro aspetto, non del tutto convincente appare il tentativo di rintracciare le fonti della leggenda di Hiram fuori dell’ambito biblico, riconducendo gli episodi della vita e della morte di Hiram a generici miti solari di morte e di resurrezione. Troppo semplice, e in tal caso Hiram sarebbe estraneo al ciclo di Salomone, cui invece sembra indissolubilmente legato.

 E’ sin troppo facile, in tal senso, avvicinare il mito di Hiram al mito egizio di Osiride. D’altra parte, la preferenza, accordata dalla maggior parte degli autori a questo mito piuttosto che al racconto biblico, si spiega soprattutto con la necessità di sottolineare il momento topico della morte e della resurrezione, così importante in una tradizione iniziatica. Scrive in proposito il Porciatti:

 “La drammatica leggenda non può dirsi ispirata dalla Bibbia; infatti biblicamente Hiram è ricordato quale geniale artista, fonditore delle due colonne del Tempio e dei loro capitelli, del ‘mare di bronzo’ e di altre cose ancora, ma mai quale architetto preposto alla costruzione del Tempio e capo di una immensa schiera di operai che avrebbe ripartito in Apprendisti, Compagni e Maestri. Essa è piuttosto inspirata dalla iniziazione Osirica, da quel terzo grado della iniziazione Egizia che si chiamava ‘Porta della Morte’, anzi la riproduce: la bara di Osiride, di cui l’assassinio era supposto recente, portava ancora le tracce del sangue ed era posta al centro della sala dei Morti, ove avveniva una parte della cerimonia; si chiedeva all’Iniziando se aveva preso parte all’assassinio di Osiride, e dopo altre prove malgrado i suoi dinieghi era colpito, o gli si imponeva la sensazione di essere colpito con un colpo di ascia alla testa; esso era rovesciato, avvolto in bende come le mummie; si gemeva attorno a lui; balenavano lampi; l’Iniziando, il supposto morto, era avvolto di fuoco, poi reso alla vita.[24]

 Ciò che sorprende di questa analisi è l’aver ridotto l’intera leggenda di Hiram ad una generica rappresentazione del mito solare e ad una brutta copia del mito di Iside e Osiride, dove le analogie si possono riassumere nella morte di Osiride per mano del fratello di sangue Seth, nella ricerca disperata che Iside, la vedova di Osiride, fa dello sposo perduto e infine nell’attribuzione ai massoni del titolo di figli della vedova.

 Giustamente Osiride è stato detto Signore della morte e della resurrezione [25], ma egli è solo una tra le tante divinità nella folta schiera dei morti e risorti in cui troviamo Orfeo, Dioniso, Mithra, Adone, Cristo, Krishna e molti altri, tutti peraltro riconducibili al ciclo cosmico e vegetativo, al mito del Sole che scompare e ogni volta rinasce, mentre la Luna, inconsolabile vedova, lo va cercando nella notte stellata.

 La maggiore fortuna di Osiride, tra i morti e i risorti, si spiega forse con la sua immediata identificazione col Sole. Egli “è un dio fecondo e benefico, la cui vita, morte e resurrezione hanno seguito, fin dalle origini mitiche, il ritmo di tutta la vita egiziana particolarmente nei due cicli entro i quali essa si aggira: il ciclo agrario e il ciclo funerario.[26]

 La funzione normalizzatrice e rassicurante dell’iniziazione osirica riguarda ogni aspetto del viver civile e della morte stessa, perché Osiride è insieme il Nilo e il deserto, il sole che ogni giorno appare all’orizzonte, tramonta e ogni volta risorge, il seme fecondo e il corpo smembrato, la certezza della morte e la fede nella resurrezione. E non importa se queste sono soltanto le forme di conoscenza dell’apparenza, come dimostra la cura che gli Egizi dedicano alla conservazione dei cadaveri e al mantenimento della loro integrità, perché le forme dell’apparire sono simboli della realtà e la realtà si rivela nella formula della ricorrenza e dell’eterno ritorno.

 E’ dunque abbastanza comprensibile, anche se alquanto generico, riferire a Osiride quella parte della leggenda massonica di Hiram, che parla di morte e di resurrezione, perché l’iniziazione non può che essere un’avventura della coscienza individuale e perché, a quanto pare, fu nella valle del Nilo che venne elaborato per la prima volta il processo psicologico dell’iniziazione [27] attraverso un viaggio rituale che, come testimonia il Papiro T 32 di Leida, contemplava per il postulante l’arrivo e l’accettazione, quindi la proclamazione di giustificato, cioè di destinato alla resurrezione, quindi il bagno rituale, l’illuminazione con stati di coscienza fuori dell’ordinario (non si sa sino a che punto indotti artificialmente) e che, infine, si concludeva col ‘sonno nel tempio’.

 Come si vede, nulla forse che ricordi i rituali massonici, ma certamente la comune convinzione che il rituale di iniziazione sia almeno capace di operare una prima trasformazione della coscienza. E certo Hiram ci fa venire in mente il mito egizio di Osiride e, attraverso questo, i miti solari e della ciclicità naturale, il mito della morte e della resurrezione e soprattutto il mito del Caos sempre risorgente e in grado di minacciare l’Ordine raggiunto. Anche il mondo più organizzato, infatti, conserva traccia del Caos che può distruggerlo, anche nella coscienza più illuminata può annidarsi il germe della distruzione che trasforma in assassino. Osiride esorcizza bene nella cosmologia egizia tutto ciò che nasce, muore e deve rinascere in eterno ciclo, egli è l’espressione mitica della ricorrenza: il sole, la luna, la vegetazione. A cominciare dalle terre lussureggianti che il Nilo faceva affiorare e puntualmente faceva scomparire. Come Osiride è ucciso dal fratello Seth, Hiram è ucciso da forza fraterna e tuttavia antagonista, come Osiride, Hiram è destinato a cadere mille volte e mille volte a risorgere.

 Se, dunque, si guarda Hiram alla luce del mito della morte e della resurrezione, non c’è dubbio che la fonte primaria della sua leggenda possa essere ricondotta al mito egizio di Osiride e di Iside, come sostiene la maggior parte degli studiosi. Ma, giova ripeterlo, sotto questo riguardo, non è meno vero che la leggenda, da un punto di vista più generale, possa appartenere ad uno qualsiasi dei tanti miti di dei ed eroi morti e risorti. Gesù, per esempio, come pure altri autori sostengono. Qui, gli apostoli-iniziati vanno cercando le spoglie del dio ucciso per farlo risorgere. In tale prospettiva, comunque, la vicenda di Hiram, altro non sarebbe che una tarda rappresentazione dei miti solari e/o della rinascita e dunque della consolazione e della speranza.

 Cosa c’è, al contrario, di unico e peculiare nella leggenda massonica di Hiram? La costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i massoni e per la quale ogni fratello sa di dover portare la propria pietra sgrossata.

 C’è di più: sostenere che l’iniziazione in quanto tale sia opera di edificazione, è errore determinato dall’identificazione del momento spazio-temporale dell’iniziazione con il rituale che la conferisce, ignorando una verità semplice e fondamentale e cioè che tempo e spazio della coscienza non corrispondono al tempo e allo spazio della realtà. La coscienza converte, per così dire, il tempo e lo spazio della realtà, nel proprio ‘vissuto’ o Erlebnis e può scoprire di essersi davvero modificata solo al termine di un lungo e faticoso processo di cui gli istanti spazio-temporali della realtà sono solo isolati dati d’esperienza sebbene talora dotati di forte carica emozionale. Si aggiunga che ogni drammatizzazione simbolica, se ha il potere di fissare l’attenzione dell’attore e di tenerla desta, non ha anche la creatività sufficiente, per il suo carattere essenzialmente ludico, per generare una coscienza ‘nuova’. L’iniziato sa, per quanto grande sia la sua emozione durante il rito, di recitare una parte e che questa parte simula ma non è la propria morte e rinascita. Al di là del gesto liturgico, egli sa bene che ciò che potrà trasformare e, per così dire, ampliare davvero la sua coscienza è la progressiva e costante consapevolezza di essere davvero ‘morto’ e ‘rinato’. Può così accadere, per quanto paradossale possa sembrare, che egli rimanga un iniziato soltanto virtuale anche dopo reiterate e più elevate iniziazioni.

 Alla luce di quanto sopra, mi sono chiesto se non sia possibile conseguire maggiori risultati mutando di prospettiva e cioè collocando la leggenda di Hiram all’interno del ciclo di Salomone, in uno spazio e in un tempo meramente simbolici, dove sia tuttavia possibile spiegare la leggenda per se stessa senza farla dipendere da generici miti di morte e rinascita. Sarà forse così anche più facile comprendere perché, nei documenti e nei rituali della Massoneria speculativa del XVIII secolo, il ritrovamento della tomba di Hiram si confonda o s’intrecci spesso con quello del disseppellimento di Noè ad opera dei suoi tre figli.

 A tale proposito conviene ricordare l’etimologia di Hiram e il significato che gli è stato dato. Spirito si è detto o qualcosa di simile. Ebbene, dove s’incontra, nella Bibbia, per la prima volta la parola ‘spirito’ ? Proprio all’inizio, al secondo versetto di  Bereshit o “Genesi”, dov’è scritto che ‘lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque’. Qui, ‘spirito’ in ebraico è Ruach   ed è proprio spirito nel significato più vicino ad Hiram, cioè di spirito di vita. L’intera espressione del “Genesi” è Ruach Elohim, ‘spirito divino’ e come tale è riportata sull’architrave della Porta Ermetica di piazza Vittorio.

 Ricordando che nell’alfabeto ebraico ogni lettera è numero e ogni numero è lettera, il valore numerico di Ruach Elohim è 300,  cioè lo stesso valore della Shin  lettera simbolica del Fuoco e che è anche una delle tre lettere madri dell’alfabeto ebraico [28]

 Dello spirito con questo stesso significato parla l’Asclepius ermetico: ‘spiritus implet omnia…’ e ancora: ‘ spiritus vero agitantur sive gubernantur omnes in mundo species’ cioè: ‘ dallo spirito sono mosse e governate tutte le specie del mondo’. Di questo spirito parla Marsilio Ficino nel De Vita: ‘ipse vero est corpus tenuissimum, quasi non corpus…’, e nei Commentaria all’Ars brevis di Raimondo Lullo, Agrippa lo dice ‘spiritus domini’ che ‘replevit orbem terrarum’, ma la definizione più completa mi sembra quella che ne dà Galileo, nella famosa lettera del 23 Marzo 1615 a Monsignor Pietro Dini, in difesa del sistema copernicano:

 “Direi parermi che nella natura si ritrovi una substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale diffondendosi per l'universo, penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le viventi creature; di questo spirito par che 'l senso stesso ci dimostri il corpo del Sole esserne ricetto principalissimo, dal quale espandendosi un'immensa luce per l'universo, accompagnata da tale spirito calorifico e penetrante per tutti i corpi vegetabili, gli rende vividi e fecondi.

 Tornando alle Costituzioni di Anderson ci stupisce vedere la Massoneria definita come Arte reale, una definizione in genere attribuita all’Arte ermetica. Salomone conosceva forse il valore della pietra filosofale? Parrebbe proprio di sì, almeno a quanto ne riferisce Yochanan Alemanno, un ebreo italiano vissuto nel Quattrocento. Nel suo Sepher ha-liqqutim egli racconta che la regina di Saba decise di andare a Gerusalemme per conoscere la saggezza di Salomone:

 “Andò così da lui in gran pompa – egli scrive - con molto oro, argento e pietre preziose da portare in dono al re, come testimonia la Scrittura. Si trova anche scritto nel Libro delle Cronache dei re di Saba che ella portò con sé quella preziosa pietra filosofale (…) per mettere alla prova con essa Salomone, verificare se egli conoscesse l’occulto segreto (…) Il re rispose a tutte le sue domande, le disse il segreto della pietra, la sua natura, il suo modo di agire, e anche altri misteri, che non è necessario riferire. La pietra rimase così nelle mani del re…[29]

 La stretta associazione tra Salomone e la pietra filosofale sarebbe anche attestata, a giudizio di Raphael Patai, ‘dal fatto che la materia prima della pietra era talvolta rappresentata con i due triangoli intrecciati del sigillo di Salomone, che sopravvive ancor oggi nell’emblema nazionale ebraico noto come Maghen David o Stella di Davide’ [30]

 Rispetto poi alla collocazione di Hiram per entro il ciclo di Salomone e della costruzione del Tempio, c’è da osservare che Michael Maier, il noto autore dell’Atalanta Fugiens, pubblicò nel 1620 a Francoforte la Septimana Philosophica, un libro - egli dice - in cui ‘gli aurei segreti di tutti i tipi di natura, del più saggio di tutti i re degli israeliti, Salomone, e della regina di Saba, nonché di Hiram, principe di Tiro, sono presentati e spiegati a turno alla maniera di una conversazione[31]

 Se, a tutto ciò, si aggiunge che l’altro Hiram, l’artigiano figlio di una vedova, è detto essere un valente fonditore di metalli, forse il migliore dell’epoca sua, si comprende che deve esserci un nesso, per entro il ciclo di Salomone, tra costruzione del Tempio, fonditura dei metalli e possesso della pietra filosofale.

 Come mai, inoltre, la figura di Hiram s’intreccia spesso con quella di Noè? E perché lo stesso Anderson dichiara, nelle Costituzioni, che la Massoneria o Arte reale aveva potuto raggiungere la perfezione ‘per l’intervento di Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio di Salomone’? Perché, in fondo, Hiram e Noè esprimono lo stesso concetto, travestono la medesima allegoria.

 Tutto l’episodio biblico di Noè, come ho già sottolineato, parla il linguaggio ermetico. A cominciare dall’Arca che troppo ricorda l’Atanòr, per continuare con i primi animali che Noè fa uscire dall’Arca: il corvo, seguito dalla colomba, secondo la massima ermetica, anch’essa scolpita sulla Porta Ermetica di Piazza Vittorio sotto il simbolo di Saturno: Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas tunc vocaberis sapiens, cioè: ‘Quando nella tua casa negri corvi partoriranno bianche colombe allora sarai chiamato saggio’.

 E ancora: col ramoscello d’ulivo simbolo della prima viridescenza, poi con l’arcobaleno che, nella varietà dei suoi colori è l’annuncio della bontà dell’Opera e perciò dell’alleanza con Dio e della trasformazione, per finire con la vigna di Noè e il suo vino.

 Ove ci siano ancora dubbi sulla circolarità che accomuna Salomone, la leggenda di Hiram, la pietra filosofale e il Tempio, conviene guardare al Genesi che al versetto 28:22 dice: e questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà la casa di Dio. E di questa pietra, ancora nello Zohar, Rabbi Juda ci dice che ‘è la pietra fondamentale’, ‘il radicamento del mondo’, ‘la pietra sulla quale il Tempio è stato costruito’ [32]

 Naturalmente, anche la ‘via ermetica’ è solo una delle tante strade di ricerca per far luce sulle fonti e sul significato della leggenda di Hiram…


sergio magaldi


[1] Cfr. Il Manoscritto di Cooke in E. Bonvicini, Massoneria antica,Atanor, Roma,1989, pp.154 e ss.
[2] Cfr. Il Manoscritto di Graham in Zenit-Documenti,  www.zen-it.com/Graham.htm, p.4
[3] Ibid., p.5
[4] Si veda in proposito il commento di Rashi a Genesi 6:14 in Commento al Genesi,Marietti, 1985, p.49,  nota 49.
[5] Cfr. Genesi 6:5-8, 6:10-22, 8:3-19
[6] Ibid., 9:11-25
[7] Il Sepher-ha-Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati.


[8] Nella tradizione cabbalistica le sephiroth sono ‘le forme pure’ del molteplice che, simbolicamente, si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. 
[9] Cfr. Sepher-ha Zohar, 73a-b.
[10] Ibid.
 
[11] Cfr. S.Magaldi, ‘Qabbalah e simbolismo massonico’, in Le radici esoteriche della Massoneria, Atanòr, Roma, 2001, p.146
[12] Cfr. i testi della leggenda di Hiram, citati in G. Abramo, Appunti sulle origini (pp.111-120), in Hiram, n.5, Maggio 1992, Erasmo Edit., pp.116-117

[13] Cfr. A.Vaillant, I  tre gradi della Libera Muratoria, Bastogi, Foggia, 1994, rist. anast., Milano, 1959, pp.163 e 169. Sulla questione della ‘matrice egizia’ comune sia alla Massoneria che alla tradizione ebraica, cfr. Ibid., l’intero cap. V, pp.163-186.
[14] Cfr. Numeri, 16,  9-10
[15] Cfr. C.W. Goons, ‘Re e uomo dell’arte?’ in Rivista massonica, vol. LXV, n.10, Erasmo, Roma, dicembre 1974
[16] Yard: unità di misura inglese pari a 0,9144 m.
[17] Melkarth o Melqart o Milqart significa ‘Re della città’. Questa divinità fenicia è anche chiamata Baal Shor, cioè ‘Signore di Tiro’. Nel  mondo greco Melkarth era spesso identificato con Eracle o Ercole. Il suo nome compare per la prima volta in una iscrizione aramaica del IX secolo. Un tempio in suo onore, secondo gli storici, sarebbe stato innalzato a Tiro dal re Hiram nel X  Secolo. 
[18] Cfr. C.W.Goons, cit.
[19] Astarte o Ashtart dea fenicia e semitica della fecondità, dell’amore e anche della guerra. Nella Bibbia è definita ‘dea del popolo di Sidone’. Finirà con l’essere assimilata alla dea greca Afrodite.
[20] Cfr. C.W. Goons, cit.
[21] Cfr. F. Barberio, Il significato dei riti. Storia o simbolismo? in www.dipmat.unipg.it, pp.1-2
[22] Ibid., p.2
[23] Ibid., p.4
[24] Cfr. U.G. Porciatti, op.cit., p.169
[25] Cfr. J. Campbell, Le figure del mito, trad.it., Mondadori, Milano 1991, pp.15-31
[26] Cfr. N.Turchi, Le religioni misteriosofiche del mondo antico, I Dioscuri, Genova, 1987, p.101
[27] Cfr. Max Guilmot, Iniziati e Riti iniziatici nell’antico Egitto, trad. it., Mediterranee, Roma 1999, pp.92 e ss.
[28] Ruach Elohim in base al valore numerico di ciascuna lettera ebraica, cominciando da destra a sinistra è il seguente: 200+6+8+1+30+5+10+40 = 300. Ruach Elohim è dunque la ghematria della lettera Shin.
[29] Cfr. in R. Patai, Alchimisti ebrei. Storia e testi, ECIG, Genova, 1997, p.123
[30] Ibid., p.55
[31] Ibid., p.53
[32] Cfr. Sepher ha-Zohar, 72a

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