mercoledì 27 giugno 2012

Borghesia, rivoluzioni, società globale e "uscita di sicurezza"



GIULIO TREMONTI, USCITA DI SICUREZZA, Rizzoli, Milano, 2012, pp.260 


 Prima di entrare nel merito dell’ottimo lavoro di Giulio Tremonti, torno brevemente sul commento di “Grande oriente democratico” ai miei ultimi post. Non per rinfocolare una polemica, semmai per spegnerla definitivamente.

 “G.o.d” mi attribuisce la qualifica di “perfetto adepto marxiano”, in quanto sarei rimasto abbarbicato alla concezione di una realtà storica, dominata dalla struttura economica, come generatrice di ogni forma del sapere e del sentire umano [sovrastrutture] e, ancor più, sarei prigioniero della dialettica hegeliana, nell’attesa avveniristica del paradiso in terra, dopo l’inevitabile abbattimento della classe borghese da parte del proletariato industriale.

 Per il primo aspetto, già Antonio Labriola [1843-1904] fece giustizia di questa “volgare” e riduttiva interpretazione del marxismo, purtroppo in voga tanto nello stalinismo, che nel neo-idealismo italiano, referente ideologico del fascismo e dei suoi derivati: il rapporto struttura-sovrastruttura, lungi dall’essere meccanicistico, è da intendersi come circolare e dialettico e talora è addirittura la sovrastruttura ad anticipare o accelerare i processi di mutamento della struttura.





 Per il secondo aspetto, ribadisco la mia totale distanza da una concezione, per così dire, di automatismo rivoluzionario, secondo cui la classe oppressa dei lavoratori salariati, in omaggio alla dialettica hegeliana, abbatterebbe fatalmente la borghesia, così come questa ha abbattuto la società feudale. Si veda in proposito quanto ho già scritto nel post del 24 Giugno, La finanza al governo:

 “[…] Non a caso, più di uno studioso ha visto nel Manifesto e nel Capitale un monumento elevato da Marx alla borghesia, più che un atto di accusa contro di essa; di là dagli schematismi semplicistici con i quali, soprattutto da parte politica, si è voluto guardare al filosofo ebreo-tedesco: la classe oppressa dei lavoratori salariati, in omaggio alla dialettica hegeliana,  abbatterà fatalmente la borghesia!”

 Circa le restanti osservazioni di “G.o.d”, nulla da eccepire, perché concordo anch’io sul ruolo avuto dalla Massoneria in tutte le rivoluzioni liberali. Anche se la Massoneria non è una classe sociale  e la sua presunta vocazione “interclassista” mi pare si eserciti soprattutto nell’unificare le tre anime di una stessa classe: la piccola, la media e l’alta borghesia degli affari.   D’accordo anche sui cosiddetti “ceti artigiani e popolari più acculturati” che sarebbero parte integrante nei processi rivoluzionari. Se c’è, infatti, una verità storica che la realtà ha sin qui mostrato, non contemplata da Marx, è l’aspirazione di gran parte del proletariato e dei ceti popolari in genere a “saltare il fosso” e a farsi borghesia.

 Marx ha invece “indovinato”, secondo le parole stesse di Giulio Tremonti, un’altra previsione:

 “E possiamo solo prenderne atto, notando filosoficamente che è comunque proprio con la globalizzazione che si è avverata la profezia di Marx:'All’antica indipendenza nazionale si sovrapporrà una interdipendenza globale'”. [Op.cit.p.211]

 E l’eco di Marx, sub specie economica e filosofica, ad un osservatore attento, echeggia un po’ in tutto questo Uscita di sicurezza dell’ex-ministro italiano dell’economia, tornato suo malgrado ad occuparsi di libri. Già nelle prime righe dell’introduzione, prendendo in prestito il linguaggio di Hobbes:

 “Oggi l’ideale campo d’azione dell’homo homini lupus è il mercato finanziario” e subito dopo osservando come “a ridosso della globalizzazione, e per effetto primo della globalizzazione […] abbia preso forma e forza un nuovo tipo di capitalismo”.

 Ciò significa – osserva Tremonti – la nascita di un nuovo tipo di capitale: “il capitale dominante, la base del superpotere transnazionale del mercato finanziario, ciò che esprime e configura, nella sua forma ultima, l’odierna dittatura del denaro”.

 Ne discendono, conclude su questo punto l’ex-ministro dell’economia, non senza amarezza e qualche rimpianto, le manovre sullo spread del potere finanziario, l’arrivo del Fondo Monetario Internazionale a ridurre la sovranità degli stati che incautamente vi facciano ricorso e, soprattutto, il governo dei tecnici non eletti dal popolo, la questione che sembra “bruciargli” di più…

 Le analisi di Tremonti continuano con una valutazione a dir poco contraddittoria della globalizzazione, perché basata su categorie ben note, quelle dell’essere e del dover essere. Da una parte, si dice, che la globalizzazione nasce “per compressione e accelerazione della storia, da un’élite di potere determinata e ‘illuminata’”, e che ha spezzato la catena storica Stato-territorio-ricchezza, indebolendo il potere statale e favorendo la ricchezza finanziaria “divenuta sempre più forte, alata, apolide e irresponsabile, finalmente capace di volare sopra i territori, capace di volare fuori dell’antica gabbia dello Stato-nazione, nei nuovi cieli della repubblica internazionale del denaro”[pp.20-21].

 Ma da un’altra parte, e per diverse pagine, Tremonti ci spiega quello che la globalizzazione, causa prima dell’odierna crisi che attraversa l’Occidente [forse con l’unica eccezione della Germania, aggiungerei io], avrebbe dovuto essere e non è stata, per gli errori dei molti e per l’inganno di pochi.

 La stessa cosa, naturalmente egli dice circa l’introduzione della moneta unica in una Europa, senza Europa, e questo si potrebbe affermare anche per tutte le istituzioni dove si evidenzi uno scarto tra la realtà com’è e come avrebbe dovuto essere e non è stata…

 Personalmente, non amo questo tipo di analisi, quello che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto, quello che si potrebbe fare e siate pur certi che non si farà, perché in certe questioni la volontà conta poco e occorre invece, per cambiare realmente qualcosa, che esplodano tutte le contraddizioni, un processo per il quale occorrono anni, quando addirittura non bastano i secoli.

 Inoltre mi chiedo, nel caso specifico dell’Italia e dell’Europa, dov’era il ministro dell’economia quando “si chiudevano i giochi”? Preoccupato, forse, di tali possibili obiezioni, Giulio Tremonti non esita a pubblicare in appendice, sottoforma di allegati, le lettere e i documenti inviati e/o sottoposti a coloro che di volta in volta esercitavano il potere negli organismi comunitari. È sufficiente questo? In luogo di proporre in un volumetto, peraltro interessante, il vademecum per “l’uscita di sicurezza” dalla crisi che minaccia soprattutto l’Italia e l’Europa che si affaccia sul Mediterraneo, non sarebbe stato meglio fare la voce grossa per farsi ascoltare al momento opportuno?


sergio magaldi
  

domenica 24 giugno 2012

LA FINANZA AL GOVERNO



 Torno brevemente sulla questione del governo, espressione della Finanza che, pur nelle sue diverse connotazioni internazionali, in Italia appare costituito – come ho sostenuto nei post  del 20 e del 22 Giugno – da cattolici vaticani e massoni internazionali.

 L’argomento, come i lettori ricorderanno, era stato introdotto casualmente, una prima volta, nel recensire il libro di Gianluigi Nuzzi, Sua santità. Le carte segrete di Benedetto XVI, Chiarelettere, Milano, 2012, 

una seconda nel rispondere alla critica dei “Fratelli di grande oriente democratico” circa la mia affermazione conclusiva: “[…]Il paradosso più grande – scrivevo riferendomi a tale governo - è che non sono sicuro che questo sia un male!”.

 Nel post del 22 Giugno, ricordavo il brano del post precedente, dal quale era scaturita la conclusione che tanto aveva scandalizzato "Grande oriente democratico", e aggiungevo qualche chiarimento in più:

  “Parafrasando il Marx del Manifesto, la finanza internazionale ha strappato il velo di sentimentalismo con cui i cittadini riguardavano i partiti politici e i fedeli la propria chiesa. Alle illusioni religiose e politiche, ai tanti balletti ideologici e compromissori sulle riforme da realizzare e mai realizzate, alla sterilità affamata di una casta politica vergognosa, la finanza ha sostituito una presa del potere aperta, diretta, brutale e spietata.

 In Italia, cattolici vaticani e massoni internazionali si sono rimboccati le maniche, usciti allo scoperto, uniti dall’amore verso l’unico dio – il denaro – hanno rinvigorito le proprie chiese – le banche – e si apprestano a governare per largo tratto. Il paradosso più grande è che non sono sicuro che questo sia un male!”

 Senza amore di polemica, ricordo ai “fratelli di grande oriente democratico” il passo del Manifesto di Marx al quale mi riferivo: 

“[…] La borghesia ha svolto nella storia un ruolo essenzialmente rivoluzionario. Dovunque ha preso il potere, la borghesia ha calpestato i rapporti sociali feudali, patriarcali e idilliaci. Essa ha spezzato senza pietà tutti i variopinti legami che univano l’uomo del feudalesimo ai suoi naturali superiori, non lasciando in vita nessun altro legame tra uomo e uomo che non sia il freddo interesse, il gelido argent comptant. La borghesia ha fatto affogare l’estasi religiosa, l’entusiasmo cavalleresco, il sentimentalismo del piccolo borghese nelle acque ghiacciate del calcolo egoistico. Essa ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio; ha sostituito alle numerose libertà, conquistate a caro prezzo, l’unica e spietata libertà del commercio. In una parola; la borghesia ha messo al posto dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche uno sfruttamento aperto, diretto, brutale e spietato.


La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le professioni fino ad allora considerate venerabili, e venerate. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, lo scienziato in lavoratori salariati.


La borghesia ha strappato il velo di sentimentalismo che ricopriva i rapporti familiari, riducendoli a puri e semplici rapporti monetari […]”

 Dall’analisi di Marx emerge un paradosso: la borghesia ha smascherato la società feudale, ha fatto apparire per la prima volta, in tutta la sua tragica luce, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

 Allo stesso paradosso mi riferivo, concludendo il post: non è meglio avere di fronte i burattinai, in luogo delle loro marionette?”.


 Alla questione, è forse necessario che io aggiunga  qualcosa. Il paradosso cui mi riferivo non esprimeva solo un’analogia. Quando la politica, non è più in grado di esercitare il ruolo, come dice Marx, di “comitato d’affari della borghesia” e addirittura dilapida le risorse pubbliche a proprio vantaggio, facendosi casta inconcludente e corrotta, la finanza scende direttamente in campo e non è un mistero per nessuno da quali ambienti discenda, nel nostro Paese, e per quali scopi. Così, però, è costretta a fare in proprio il lavoro sporco, perché anche servendosi di tecnocrati, è ben visibile chi dirige il gioco.  

 Il riferimento a Marx può apparire retorico, pretestuoso e persino romantico, considerando che si sta parlando di uno scritto ottocentesco e che il suo autore è stato da tempo messo in cantina proprio da chi lo ha usato, abusandone ampiamente per oltre un secolo. 
Se si possiede la pazienza di rileggere tutto il Manifesto, si comprenderà meglio il senso di certe affermazioni di Marx. La borghesia è rivoluzionaria e come tale rivoluziona di continuo se stessa, poco preoccupandosi delle conseguenze sociali, ideologiche, politiche e religiose implicite nei suoi mutamenti. Al contrario, e sotto questo aspetto, il suo ruolo è quello di portare alla luce lo sfruttamento nascosto, di smascherare continuamente la reazione e il suo impero ammantato di paternalismo, carità e pie intenzioni, di promuovere le libertà civili e ogni emancipazione utile a generare il profitto. Non a caso, più di uno studioso ha visto nel Manifesto e nel Capitale un monumento elevato da Marx alla borghesia, più che un atto di accusa contro di essa; di là dagli schematismi semplicistici con i quali, soprattutto da parte politica, si è voluto guardare al filosofo ebreo-tedesco: la classe oppressa dei lavoratori salariati, in omaggio alla dialettica hegeliana,  abbatterà fatalmente la borghesia!
 Come osserva acutamente Giulio Tremonti - che marxista o marxiano non è mai stato – “(…) E’  proprio con la globalizzazione che si è avverata la profezia di Marx: ’All’antica indipendenza nazionale si sovrapporrà una interdipendenza globale’ ”, (p.211, G.Tremonti, Uscita di sicurezza, Rizzoli, Milano,212).

 Nel rivoluzionare costantemente se stessa, la borghesia occidentale ha trasformato l’economia di mercato in economia globale. Al posto della tradizionale produzione di merci, della crescita dei pil nazionali e della diffusione del lavoro, la borghesia che oggi conta, la borghesia finanziaria, ha messo al centro dell’attenzione l’unico oggetto che le sia stato mai veramente  a cuore: il denaro, vero o virtuale, con il quale, al protetto dei  nuovi santuari – banche e borse – specula alacremente, regola a volontà il comportamento di stati e continenti senza infrangere leggi e, con la benedizione dei palazzi della politica, di cui ormai quasi ovunque ha preso a governare le stanze,  realizza profitti prima inimmaginabili.

 La globalizzazione, tuttavia, non è il “disegno malvagio” di chissà quale gruppo di “illuminati” che finga di avere a cuore il benessere e la felicità del maggior numero. La società globale è l’ultima figlia legittima e naturale di una borghesia che non può vivere senza rivoluzionare costantemente se stessa. È partorita, questo sì, dopo lunga gestazione e provvide cure, più facilmente accettate perché fatte passare come conquiste di libertà, di civiltà e di giustizia. È preceduta da eventi che la rendono inevitabile: la caduta del comunismo sovietico, l’aprirsi di un grandioso e “libero” mercato dell’est europeo, lasciato alle ambizioni della Germania unificata, il basso costo del lavoro in Asia e in altre aree del mondo, la necessità psicologica e monetaria di consumo delle società opulente, la nascita dell’euro e così via…

 La finanza al governo, dunque, non è che lo sbocco naturale della società globale, a cominciare da quei paesi la cui classe politica si sia dimostrata inaffidabile e corrotta… il caso dell’Italia, appunto.

sergio magaldi

  

venerdì 22 giugno 2012

A proposito di "carte segrete", riflessioni e paradossi


 Sul sito www.grandeoriente-democratico.com  è apparso oggi il seguente commento della redazione alla recensione che avevo fatto nei giorni scorsi del libro di Gianluigi Nuzzi: Sua santità. Le carte segrete di Benedetto XVI, Chiarelettere, Milano, 2012 :

 

Commento di Grande Oriente Democratico a “Le carte segrete del Papa”, articolo del 20 giugno 2012 by Sergio Magaldi


 Punto di partenza di questo brevissimo commento, poco più di una chiosa, è
pubblicato sul Blog “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” (http://zibaldone-sergio.blogspot.com).
Constatiamo due stranezze in quello che, come al solito, è un eccellente articolo-recensione, scritto con straordinaria sagacia critica ed esplicativa.
Due stranezze forse dovute al caldo e probabilmente collegate fra loro.
La prima stranezza è che l’artefice del pezzo si ostina, dopo averlo chiamato correttamente Nuzzi nell’incipit dell’articolo, a chiamare Luzzi il giornalista autore di Vaticano S.p.A.  e di Sua Santità.
L’autore, lo ripetiamo, si chiama Gianluigi Nuzzi e NON Gianluigi Luzzi, nome storpiato ripetuto così tante volte da dare sui nervi.
Ma non usa più rileggersi gli articoli? Fare un po’ di  editing?
Anche se si è talentuosi, un po’ di umiltà revisionale non guasta.
La seconda stranezza è meno simpatica e ancor meno perdonabile.
E spiega perché, anziché avvisare in privato il Fratello Sergio Magaldi della sua storpiatura del cognome di un famoso giornalista, abbiamo inteso sottolinearla pubblicamente, quasi come giustificazione patente di un momento complessivo di confusione nella redazione dell’articolo.
Alla fine della sua (come sempre brillantissima ed efficacissima) performance esegetica sul saggio di NUZZI, Magaldi Senior ha l’impudenza di affermare:
“In Italia, cattolici vaticani e massoni internazionali si sono rimboccati le maniche, usciti allo scoperto, uniti dall’amore verso l’unico dio – il denaro – hanno rinvigorito le proprie chiese – le banche – e si apprestano a governare per largo tratto. Il paradosso più grande è che non sono sicuro che questo sia un male!”
Ecco. Sergio Magaldi non è sicuro, dice. Paradossalmente, il governo laido di questi masnadieri che stanno mandando in bancarotta la penisola potrebbe non essere un male, azzarda incauto e stralunato.
Strano, ci era sembrato in passato molto, davvero molto critico verso il Governo di “Rigor Montis”.
Problemi suoi e contraddizioni sue.
Le stesse che un tempo gli rendevano simpatica la Lega Nord, dopo essere stato per anni un militante del PCI ed essere infine approdato in Massoneria.
Noi, invece, siamo sicuri che il governo tecnocratico a guida vaticana e massonica internazionale (definizione di S. Magaldi) sia non soltanto un male, ma la variante locale di una strategia che ambienti massonici reazionari sovranazionali stanno imponendo ovunque possono, al fine di realizzare un’ epocale involuzione tecnocratica ed oligarchica dell’Occidente.
Ci era parso di capire che il Fratello Magaldi Senior la pensasse come Noi.
Ma forse ci sbagliavamo.
Del resto, vatti a fidare di un ex-comunista.
I  FRATELLI DI GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO

[ Articolo del 19-22 giugno 2012 ]


  In proposito, faccio ammenda dell’errata citazione del nome dell’autore del libro, peraltro riportato correttamente all’inizio dell’articolo, involontariamente trascritto più volte con la “L” iniziale al posto della “N” nelle righe successive. Se portassi il cappello me lo leverei di fronte all’attenzione con cui i “fratelli di grande oriente democratico” leggono i miei post. E di questo li ringrazio, come pure per avermi consentito l’opportuna correzione.

 Circa la frase che li ha “scandalizzati”: “[…]Il paradosso più grande è che non sono sicuro che questo sia un male!”, vorrei ricordare ciò che avevo detto in precedenza, parafrasando Marx [che in democrazia si può leggere, studiare e citare senza bisogno di essere comunisti o di esserlo stati]:

 “Parafrasando il Marx del Manifesto, la finanza internazionale ha strappato il velo di sentimentalismo con cui i cittadini riguardavano i partiti politici e i fedeli la propria chiesa. Alle illusioni religiose e politiche, ai tanti balletti ideologici e compromissori sulle riforme da realizzare e mai realizzate, alla sterilità affamata di una casta politica vergognosa, la finanza ha sostituito una presa del potere aperta, diretta, brutale e spietata.

 In Italia, cattolici vaticani e massoni internazionali si sono rimboccati le maniche, usciti allo scoperto, uniti dall’amore verso l’unico dio – il denaro – hanno rinvigorito le proprie chiese – le banche – e si apprestano a governare per largo tratto. Il paradosso più grande è che non sono sicuro che questo sia un male!”

 Senza amore di polemica, ricordo ai “fratelli di grande oriente democratico” il passo del Manifesto di Marx al quale mi riferivo: 




“[…] La borghesia ha svolto nella storia un ruolo essenzialmente rivoluzionario. Dovunque ha preso il potere, la borghesia ha calpestato i rapporti sociali feudali, patriarcali e idilliaci. Essa ha spezzato senza pietà tutti i variopinti legami che univano l’uomo del feudalesimo ai suoi naturali superiori, non lasciando in vita nessun altro legame tra uomo e uomo che non sia il freddo interesse, il gelido argent comptant. La borghesia ha fatto affogare l’estasi religiosa, l’entusiasmo cavalleresco, il sentimentalismo del piccolo borghese nelle acque ghiacciate del calcolo egoistico. Essa ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio; ha sostituito alle numerose libertà, conquistate a caro prezzo, l’unica e spietata libertà del commercio. In una parola; la borghesia ha messo al posto dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche uno sfruttamento aperto, diretto, brutale e spietato.


La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le professioni fino ad allora considerate venerabili, e venerate. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, lo scienziato in lavoratori salariati.


La borghesia ha strappato il velo di sentimentalismo che ricopriva i rapporti familiari, riducendoli a puri e semplici rapporti monetari […]”

 Dall’analisi di Marx emerge un paradosso: la borghesia ha smascherato la società feudale, ha fatto apparire per la prima volta, in tutta la sua tragica luce, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

 Allo stesso paradosso mi riferivo, concludendo il post: non è meglio avere di fronte i burattinai, in luogo delle loro marionette?

sergio magaldi
      

mercoledì 20 giugno 2012

LE CARTE SEGRETE DEL PAPA








G. NUZZI, SUA SANTITÀ. LE CARTE SEGRETE DI BENEDETTO XVI, Chiarelettere, Milano, 2012, pp. 326, Euro 16,00.




 Dopo il successo di VATICANO SPA, Gianluigi Nuzzi torna con questo saggio che ha destato grande clamore e che è giunto alla quarta edizione in due mesi.

 Le questioni trattate dall’abile giornalista riguardano in gran parte vicende di cui si è parlato a lungo negli ultimi mesi e che non interessano solo il Vaticano e la chiesa cattolica: in un paese come il nostro, “gli affari” ecclesiastici s’intrecciano inevitabilmente con le politiche dei governi italiani, siano di centrodestra, di centrosinistra o formati di tecnici “illuminati”, come l’attuale governo.

 Così, oltre a vicende che sembrano più propriamente appartenere a una logica di potere tutta interna al Vaticano, come il notissimo “caso Boffo” e quello forse meno noto di Carlo Maria Viganò – segretario generale del governatorato, rimosso nella carica dal segretario di stato, cardinale Tarcisio Bertone, e spedito nunzio apostolico negli Stati Uniti, come “premio”, a quanto si dice, per aver in parte risanato le finanze e sconfitto la corruzione, pestando evidentemente i piedi a qualcuno – nelle pagine del libro emerge la complessa trattativa che i governi italiani hanno intrecciato con la chiesa cattolica circa l’esenzione dal pagamento dell’ICI e ora dell’IMU, il rapporto delle istituzioni con Comunione e Liberazione, le molteplici commistioni tra personaggi chiamati ad occuparsi di interessi pubblici mentre sono ancora impegnati nella tutela di interessi di parte, come, tanto per fare solo un esempio, nel caso di chi, mentre difende lo IOR, la nota banca vaticana, dalle accuse della magistratura italiana, è chiamato dal presidente Monti a sedere sulla poltrona di via Arenula.

 In un certo senso, tuttavia, per i fedeli cattolici in particolare e per la società civile in generale, acquista notevole significato anche tutta la restante materia trattata da Nuzzi: la vicenda del San Raffaele, il rapporto del Vaticano con i Legionari di Cristo del fondatore pedofilo Marcial Maciel, quello con i seguaci di Lefebvre e con l’ETA, l’organizzazione terroristica basca, nonché la questione dolorosa e mai risolta della scomparsa di Emanuela Orlandi, il disagio espresso dal “papa nero” dei Gesuiti per la recente politica della chiesa di Cristo, il negazionismo della Shoà, il risarcimento economico per i tanti atti di pedofilia di cui si è reso responsabile il clero americano e così via.

“Nulla di nuovo sotto il sole” o “Molto rumore per nulla” starei per dire, se non fosse che il libro di Nuzzi ha il merito non solo e non tanto di fare il punto sulle molte “piaghe” della chiesa cattolica, più o meno conosciute da un’opinione pubblica attenta e senza veli sugli occhi, quanto soprattutto di averle presentate in rapida sintesi e corredate di “prove” documentali, lettere e appunti, sottratti grazie ad un informatore segreto denominato “Maria”. Ciò che non era mai successo nella storia millenaria della chiesa cattolica, anche se di intrighi, congiure di palazzo e affari poco trasparenti, nei secoli, si è spesso sentito parlare.

 A dir la verità, per quanto interessanti, queste “carte segrete” non mi sono parse né così compromettenti, né tali da sconvolgere l’animo dei fedeli, da sempre abituati a perdonare e distinguere tra l’operato del clero – non esente dalle debolezze e dai vizi di tutta l’umanità – e il significato simbolico di un’istituzione che come fine ultimo vanta un rapporto privilegiato con la Trascendenza. Per inquietante paradosso, dall’ottimo lavoro di Nuzzi e dai documenti presentati, emerge di più il timore reverenziale dei nostri organismi di governo e di stato, sempre inclini al compromesso, anche al rischio di sanzioni europee, pur di favorire e/o conservare i tanti privilegi della chiesa cattolica. “Timida come una ragazzina”, Kafka avrebbe definito la Repubblica Italiana, allorché si mette a trattare con il Vaticano.

 Vorrei sottolineare un altro pregio del libro, forse quello che più mi ha colpito e che emerge dall’attenta analisi delle lettere scritte e riprodotte. Una prosa curiale che sembra ispirarsi ai maestri dell’ipocrisia, tra giri di parola e virtuosismi dialettici che affermano, senza aver l’aria di voler affermare, negano senza dare l’impressione di voler negare, accusano senza dare la sensazione di voler accusare, ostentano i doveri dell’Umiltà e dell’Obbedienza, dietro sforzi titanici e inutili per nascondere l’ego, un satanico anelito di ribellione e la smisurata ambizione che talora si esercita nella richiesta di compensazioni, in cambio di omertà e per i torti ingiustamente subiti o ritenuti tali. Tutto ciò m’induce al sorriso e suscita in me la sorpresa di costatare che dietro la facciata di un linguaggio che sembra scolpito nel tempo e nella tradizione, pur con le vele dell’ipocrisia e tra acque limacciose, la barca ecclesiastica si muove, sospinta dal vento della modernità.

 Anche su questo piano, così come osservavo a proposito dei rapporti tra Stato e Chiesa, le “carte segrete”, sembrano piuttosto danneggiare l’immagine di una laicità, che si fa timida e compromissoria quando ha responsabilità istituzionali, ma diventa addirittura untuosa e grottesca quando si accosta nei pressi di Oltretevere, sia che si tratti di fare offerte “per la carità del Papa”, sia che aneli all’udienza con il “Santo Padre”.

 Per concludere, dirò che il lavoro di Nuzzi è anche meritevole di avermi costretto, per così dire, a due riflessioni: la prima è che “la gioiosa macchina delle offerte”, come l’autore intitola un capitolo del libro, ha fortunatamente preso il posto, nella chiesa cattolica, dell’antica vendita delle indulgenze, o almeno lo spero. La seconda, più complessa, mi induce a pensare che si stia determinando una svolta epocale, una vera e propria rivoluzione. Parafrasando il Marx del Manifesto, la finanza internazionale ha strappato il velo di sentimentalismo con cui i cittadini riguardavano i partiti politici e i fedeli la propria chiesa. Alle illusioni religiose e politiche, ai tanti balletti ideologici e compromissori sulle riforme da realizzare e mai realizzate, alla sterilità affamata di una casta politica vergognosa, la finanza ha sostituito una presa del potere aperta, diretta, brutale e spietata.

 In Italia, cattolici vaticani e massoni internazionali si sono rimboccati le maniche, usciti allo scoperto, uniti dall’amore verso l’unico dio – il denaro – hanno rinvigorito le proprie chiese – le banche – e si apprestano a governare per largo tratto. Il paradosso più grande è che non sono sicuro che questo sia un male! 

sergio magaldi          

venerdì 15 giugno 2012

L'ITALIA CON UN PIEDE FUORI DALL'EURO...PA





 Come prevedevo, non occorre che io faccia autocritica per i due post sulla partecipazione dell’Italia agli Europei di calcio! [Lo scandalo e il pallone per l’Europa del giorno 8 Giugno, ed Euforia e retorica dopo il pari con la Spagna, del 14 Giugno, scritto a poche ore dalla partita].

 Il pareggio di ieri sera con la Croazia toglie quasi del tutto alla squadra azzura la speranza di proseguire il cammino. Resta, certo, la possibilità che gli italiani battano i non irresistibili irlandesi di Trapattoni e che la sfida tra Spagna e Croazia non si concluda in parità. Infatti, il 2-2, il 3-3 ecc… ci eliminerebbero automaticamente, mentre con il risultato di 1-1, per raggiungere la qualificazione al turno successivo, dovremmo vincere almeno per 3-1. E giocando praticamente senza attacco, come vuole lo stratega Prandelli, segnare tre goal ai modesti irlandesi rasenta l’impresa!

 Il sempre più ineffabile c.t. della nazionale, appena dopo la partita, spiegava in conferenza stampa che la squadra ha solo 60 minuti nelle gambe e che aveva sostituito Balotelli per dare maggiore profondità alla squadra!

 Persino superfluo aggiungere che lui, sì, avrebbe dovuto fare autocritica e con lui i tanti “esperti” della stampa calcistica che non gli hanno mai rimproverato, tanto per fare un esempio, di non aver portato agli Europei una punta come Matri [il Torres di ieri sera me l’ha fatto ricordare], di essersi intestardito con la difesa a tre, per un De Rossi che non ha demeritato, ma con due esterni bassi impresentabili. Maggio soprattutto, perché lo Giaccherini di ieri sera ha dato l’anima, ma non è certo quello il ruolo in cui ha giocato degnamente le 8 partite e qualche spezzone nel campionato vinto dalla Juventus! Solo ora, quando già si annuncia la disfatta, gli addetti ai lavori dei Media e delle cronache sportive cominciano a farsi sentire. Nulla di nuovo sotto il sole!

 Ho sempre pensato che Prandelli sia un gran signore, un uomo educato e schietto, attento ai valori morali e rispettoso delle autorità calcistiche e non. Ma come allenatore ho sempre visto in lui un cosiddetto perdente di lusso. Sfortunato per giunta. Cosa ha vinto nella sua carriera? L’unico risultato degno di nota che ricordo risale a quando allenava la Fiorentina, e avrebbe meritato di qualificarsi alla semifinale di Champions League, senza lo scippo arbitrale consumato in Germania contro il Bayern di Monaco. Può darsi però che io ricordi male. Non sono un esperto. Resta il fatto che i suoi errori sono sotto gli occhi tutti. Non solo per la scelta dei 23 da portare agli Europei, ma soprattutto per le scelte successive. Ultima quella di ieri sera di sostituire [lasciando in campo uno spento Cassano] Balotelli che, nonostante i suoi errori, era l’unico dei cosiddetti attaccanti a tirare in porta e ad impegnare la difesa croata. Uscito lui, i difensori della Croazia [come qualche giocatore ha dichiarato espressamente] hanno tratto un sospiro di sollievo e si sono proiettati fuori della propria area, rovesciando il predominio territoriale che l’Italia aveva mantenuto sino a quel momento.


 E infatti il goal del pareggio della Croazia è arrivato quasi subito. Si dice che sia stata colpa di Chiellini che non ha calcolato bene la traiettoria del pallone, ma quando è partito e poi è arrivato il cross per l’attaccante croato, dov'erano gli esterni bassi scelti ostinatamente da Prandelli, l’inguardabile Maggio e il fuori-ruolo Giaccherini?

 Non voglio continuare, perché ha gia detto tutto o quasi nei post citati. Mi resta solo da formulare l’auspicio che si realizzino le previsioni ottimistiche di quanti, tra opinionisti ed esperti, si dicono ancora certi della qualificazione italiana ai quarti di finale di questo Europeo di calcio.

sergio magaldi



giovedì 14 giugno 2012

EUFORIA E RETORICA DOPO IL PARI CON LA SPAGNA... ma non si tratta di spread





 Dovrei fare pubblica ammenda per aver sostenuto [peraltro augurandomi di sbagliare] in un precedente post, alla vigilia di Italia-Spagna, che difficilmente la squadra azzurra sarebbe riuscita nell’impresa di battere o almeno pareggiare con gli iberici. Ma non lo farò o, meglio, lo farò in seguito, sperando di essere smentito ancora dalla partita, forse decisiva per restare in Europa, che tra poche ore vedrà l’Italia del pallone scendere in campo contro la Croazia.

 L’euforia del pari ottenuto con i campioni d’Europa e del Mondo in carica [non dimenticando che l’Italia è la squadra ex-campione del mondo], alla vigilia dell’incontro con la Croazia, va fortunatamente scemando, anche tra i più ottimisti, e si spera che consenta agli italiani di scendere in campo con maggiore concentrazione ed equilibrio tattico.

 Quel gran signore di Prandelli per realizzare “l’impresa” contro la Spagna è tornato al calcio all’italiana, con il blocco Juve composto di 6 giocatori, con la sola innovazione di De Rossi nel ruolo inedito, almeno in nazionale, di centrale di difesa [idea suggeritagli dall’asturiano Louis Enrique] e della difesa a tre [organizzazione difensiva ispirata a Conte che l’ha utilizzata, peraltro, solo in alcune partite del recente campionato vinto con la Juve], con il debutto di Giaccherini non nella posizione abituale, ma in quella di esterno basso. Ciò che nel secondo tempo ha consentito a Navas di scavalcarlo sistematicamente sulla fascia, mentre sulla fascia opposta imperversava il fantastico Iniesta mai ostacolato da Maggio, che Prandelli si ostina a schierare in campo nonostante le reiterate prove negative. In queste condizioni, il merito della “tenuta” della difesa azzurra si deve ai soliti Chiellini e Buffon, nonché a De Rossi, a tratti persino sorprendente.

 De Rossi, infatti, è stato superlativo, finché ha dovuto vedersela con i piccoli e geniali centrocampisti iberici, riscattando almeno tre anni di prove modeste fornite nella Roma, ma ha rischiato grosso quando è entrato Torres, vera punta centrale, fisicamente attrezzata. Buon per noi che Buffon e la sorte abbiano evitato agli azzurri la quarta sconfitta consecutiva. Quanto al goal che ha fatto fremere gli italiani davanti alla TV e che ha portato la squadra azzurra insperabilmente in vantaggio [anche se il pareggio iberico è arrivato dopo appena tre minuti] e che interrompe un digiuno di goal di oltre 300 minuti, bisogna ringraziare Di Natale [sulle cui qualità di realizzatore non ho mai dubitato, dubitavo invece del modo in cui è sempre stato impiegato in nazionale] ma più ancora Pirlo che, disubbidendo forse alle consegne di Prandelli, s’è messo a giocare a tratti da regista, come gioca nella Juve, e che gli ha fornito un assist per un pallone che era più difficile sbagliare che  scaraventare nella rete avversaria.

 Nel complesso, insomma, il pareggio non è stato demeritato, ma le azioni del contropiede azzurro si contano sulle dita di una mano, anche se con maggiore accortezza si poteva vincere e con minore fortuna si poteva perdere. È bastato questo risultato per scatenare, come sempre l’euforia e la retorica nazionale, con gli elogi sperticati degli ineffabili e inossidabili super-dirigenti del pallone e dello sport tutto nei confronti di Prandelli, con la visita del Presidente della Repubblica negli spogliatoi a rallegrarsi per lo scampato pericolo e ad osservare acutamente nel colloquio con il capitano azzurro “Che noi riusciamo a dare il meglio proprio nelle difficoltà!”.

 Bene, ora ci attende la Croazia e non esito a sostenere che sarebbe un suicidio giocare contro di loro con il modulo impiegato contro la Spagna. I croati hanno due punte di un metro e novanta, fisicità in tutti i reparti, maggiore velocità degli italiani, discreta tecnica e, per quello che può contare, una tradizione favorevole contro di noi. Pretendere di fermarli con la difesa a tre e con tanti giocatori fuori ruolo, come si è visto contro la Spagna, sarebbe assurdo. Sperare che Prandelli indovini le mosse giuste è lecito, crederci è meno probabile, almeno per me. Un nuovo pareggio sarebbe inutile, Croazia e Spagna [che dovrebbe avere vita facile contro l’Irlanda di Trapattoni, ma non si può mai dire, perché questa Spagna non mi è apparsa irresistibile] nello scontro diretto, che è anche l’ultimo per le qualificazioni al turno successivo, si troverebbero con due punti di vantaggio sull’Italia… con conseguenze che tutti sono in grado di intuire. L’ultima conferenza stampa di Prandelli preoccupa. Ha detto di avere un solo dubbio. Il che lascia pensare che cambierà pochissimo rispetto alla gara con la Spagna. Se così fosse, non avremmo certo vita facile. Mi auguro, naturalmente, di sbagliarmi ancora.

sergio magaldi

       

mercoledì 13 giugno 2012

"IL PRIGIONIERO DEL CIELO":il terzo volume della tetralogia di Zafon

Il Prigioniero del Cielo, Mondadori, 2012

 Continua la serie del “Cimitero dei libri dimenticati”, con una nuova ineffabile puntata: Il Prigioniero del Cielo, romanzo di Carlos Ruiz Zafón [Mondadori, 2012, pp.350].

 Come avverte l’autore “Le varie puntate della serie del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette in qualunque ordine o separatamente, consentendo al lettore di esplorare il labirinto di storie accedendovi da diverse porte e differenti sentieri, i quali, una volta riannodati, lo condurranno nel cuore della narrazione”.

 Francamente, mi sfugge quale sia il “cuore della narrazione”. Al più, si tratta di una saga familiare barcellonese che, dai primi decenni del ‘900, attraverso la guerra civile spagnola e il franchismo, giunge a toccare, con l’Epilogo di questo ultimo romanzo, gli anni Sessanta.

 In realtà, l’idea della serie deve essere nata in Zafón dopo il successo di Il Gioco dell’Angelo, con cui lo scrittore catalano bissava la fortuna insperata, ma non inspiegabile, di L’Ombra del Vento, perché, come già ho avuto modo di sottolineare, l’unico “aggancio” tra i due romanzi è rappresentato dal cognome Sempere e semmai dalla struttura  dell’intreccio narrativo, “dalla trama esile e pretestuosa”, zavorrata “di improbabili quanto noiose avventure”.

 Successo non inspiegabile – dicevo – di critica e di pubblico. Basti pensare agli oltre 8 milioni di copie vendute da L’ombra del vento e ai numerosi encomi della stampa che Zafón non esita a riportare nelle sette pagine finali di Il Prigioniero del Cielo[Ed.cit. pp. 343-349]. Per citarne solo qualcuno:

“L’ombra del vento è meraviglioso. Una costruzione dalla trama magistrale e meticolosa, con uno straordinario dominio del linguaggio… Una lettera d’amore alla letteratura…” Entertainment Weekly.

 E ancora:

 “Uno di quei rari romanzi che combinano una trama brillante con una scrittura sublime” Sunday Times

 Insomma, L’ombra del vento sembrava venire incontro alle aspettative di critica e pubblico: un romanzo popolare, semplice e al tempo stesso denso di marchingegni narrativi, scritto in buona lingua e senza errori sintattici. Ricco di frasi fatte e perciò maggiormente comprensibile al pubblico e alla critica superficiale, ancorché appartenente alla stampa più influente e sofisticata. Capace di rievocare tutti i generi narrativi cari alla fantasia e alla pancia dei lettori, strizzando l’occhio al magico e al diabolico. Una storia per il nostro tempo, carica d’effetto e senz’anima, capace tuttavia d’inchiodarti a leggere per sapere come andrà a finire… sino alla classica delusione finale. Un giudizio più compiuto sul libro, così come per Il Gioco dell’Angelo, lo ripropongo in separati post, per maggiore informazione dei lettori.

 Tornando a Il Prigioniero del Cielo, non si può negare che questa volta è davvero nata una saga. Prosegue, infatti, la vicenda di Daniel Sempere e del suo amico Fermín, iniziata con Il Gioco dell’Angelo e destinata, come mostra chiaramente il finale, a continuare con una prossima puntata della cosiddetta tetralogia. Come dire… trovato il filone giusto, l’abile romanziere catalano intende seguirlo con passione e poco importa se lascia insoluti alcuni interrogativi per il lettore… Anzi!

 Per strano paradosso, trovo questo libro [che al momento non sembra avviato al successo degli altri due] migliore degli altri della serie. Con minore velleità e minori marchingegni narrativi delle altre volte, Zafón c’intrattiene con la Barcellona degli anni Cinquanta, con ampi flashback sul precedente decennio, quando il franchismo con la sua barbarie s’è appena consolidato e nel resto del Mondo infuria ancora la guerra. Segreti di cartapesta e personaggi diabolici, lasciati volutamente in ombra, forse per preparare il successivo volume della saga, interrogativi angosciosi che scuotono la fiducia di Daniel Sempere nella fedeltà coniugale della moglie Beatriz, e uno dei tanti segreti di Fermín svelati alla luce del Conte di Montecristo, con grande divertimento dell’autore… Immagino! Eppure, il tutto mi sembra più accettabile e digeribile del polpettone che Zafón ci ha scientemente servito in precedenti occasioni.

 Insomma, un libro che non impegna troppo la mente, che si consuma in fretta, consigliato per le prossime vacanze al mare, da leggere distesi sulla spiaggia, prendendo il sole tra un bagno e l’altro.


sergio magaldi       

"IL GIOCO DELL'ANGELO":il secondo volume della tetralogia di Zafon

Il Gioco dell'Angelo, Mondadori, 2008



 Leggendo Il gioco dell’angelo (EL JUEGO DEL ÁNGEL, 2008) ho avuto l’impressione, almeno per circa una buona metà delle oltre 600 pagine, che l’abilità narrativa di Carlos Ruiz Zafón fosse venuta maturando rispetto al romanzo di sette anni prima, L’ombra del vento (LA SOMBRA DEL VIENTO) che pure gli era valso un ampio consenso di critica e di pubblico, con la vendita di più di 8 milioni di copie.

 Mi è sembrato che il “guazzabuglio” di successo, come ho definito il romanzo del 2001, avesse lasciato il posto ad un lavoro più maturo e raffinato, senza la velleità di ricreare l’atmosfera dei grandi classici della letteratura e mescolare tra loro alla rinfusa una pluralità di generi letterari.

 La ricostruzione della Barcellona anni ’20 funziona abbastanza, come pure appare convincente il dialogo interiore del giovane scrittore David Martin, lacerato e diviso da una duplice esigenza: quella della propria sopravvivenza che lo induce a scrivere sotto pseudonimo libelli per la serie intitolata “La città dei maledetti” di un piccolo editore senza scrupoli, e l’altra, cui aspira con tutte le sue forze, di scrivere finalmente un libro degno di questo nome. Probabile effetto di questa personale scissione della mente e dell’anima è la malattia mortale che lo colpisce e che lo porterebbe alla tomba senza l’intervento dell’ “angelo”, alias l’editore Andreas Corelli che, in cambio di una grossa somma di denaro e della guarigione, gli propone di scrivere un libro in grado di proporsi come il testo sacro di una nuova religione.

 Di quale religione si tratti, Zafón non dice, non tanto per permettere al lettore di liberare la propria fantasia, quanto perché questa cosiddetta nuova religione in realtà c’è già nota sin dai tempi biblici. E cosa se ne fa il diavolo di un testo sacro, visto che le pagine sulle quali egli scrive più volentieri sono quelle del mondo? Una volta almeno stipulava contratti di eterna giovinezza e successo in cambio dell’anima, mentre ora pare si accontenti di un libro…

 L’eterno “patto col diavolo” (come si sa il diavolo è un angelo decaduto) è comunque trattato abilmente da Zafón in una prospettiva seducente e singolare. Ciò che alimenta un clima di suspense e induce a proseguire nella lettura del romanzo. Come pure, la descrizione della spettrale “casa della torre”, in cui Martin finisce col ritirarsi, è gestita con abilità narrativa ancorché né nuova né originale per questo genere letterario.

 Poi, ad un certo punto, ecco riapparire “il guazzabuglio” nel quale Zafón s’era già mosso in L’ombra del vento, con figure improbabili e stereotipi che fanno “molto rumore per nulla”. Insomma, ancora una volta si ha l’impressione che i personaggi dello scrittore catalano non sappiano vivere di vita propria ma abbiano bisogno del filo doppio del burattinaio per muoversi in un labirinto di situazioni e di intrighi. Tutti, per la verità, con l’eccezione di David Martin e di Isabella, la ragazza che gli fa da assistente, la cui figura è tratteggiata con sufficiente perizia da farla apparire di carne e sangue e non semplice marionetta. Sposata ad un amico di Martin, Isabella concepirà un figlio di nome Daniel Sempere, lo stesso nome, cioè, del protagonista di L’ombra del vento

 Bizzarrìa gratuita, introdotta probabilmente per incrementare il “passa parola” sul nuovo romanzo, giacché non esiste alcun motivo plausibile per la duplice attribuzione dello stesso nome. Esiste invece più di un collegamento nell’intreccio narrativo dei due romanzi, entrambi dalla trama esile e pretestuosa, entrambi zavorrati di improbabili quanto noiose avventure.

sergio magaldi


"L'OMBRA DEL VENTO":il primo volume della tetralogia di Zafon

L'Ombra del Vento, Oscar Mondadori, 2006



 Può sembrare sciocco o ispirato da mero anticonformismo parlare, nei termini che seguono, di un libro che ha ottenuto largo successo di critica e di pubblico (8 milioni di copie vendute) e che è stato definito “più-che-magnetico”, “magico”, “mirabile”, dotato, come del resto il suo autore, di “grande forza sensoriale” etc…, ma L’ombra del vento dello spagnolo Carlos Ruiz Zafón – romanzo di cui non intendo presentare qui neppure una breve sinossi da aggiungere a quelle più o meno lunghe, ampiamente reperibili su internet – mi appare, dopo una prima e ancor più dopo una seconda lettura, come una costruzione di generi letterari di successo miscelati con sapienza editoriale più che letteraria e dati in pasto ad un pubblico di palato debole ancorché desideroso di sapori forti almeno all’apparenza.

   Le prime pagine per la verità lasciano ben sperare, per quanto si respiri un’atmosfera che il lettore esperto non tarda a riconoscere come ispirata da E.T.A. Hoffmann. Gustavo Barceló e Clara, la nipote priva della vista – che persino nel nome ricorda certi personaggi femminili del grande scrittore tedesco – sono presentati in un’aura di mistero che mai si dissolve semplicemente perché in loro non esiste alcun mistero. Daniel, l’adolescente protagonista che s’innamora di Clara, ricorda da vicino uno studente Anselmo dei nostri giorni, perdutamente innamorato di Serpentina. Clara, è vero, non è una serpe, ma per cecità ed atteggiamenti la giovane si pone egualmente fuori della cosiddetta normalità, senza contare che proprio come una serpe si mostrerà presto agli occhi del giovane innamorato. 

   Non si può negare, d’altra parte, che la suggestione creata da queste pagine iniziali funzioni e funziona soprattutto perché abbiamo in mente, più o meno consapevolmente, il superbo modello. Man mano che ci s’addentra nella vicenda, tuttavia, il caos diviene sempre più funzionale a contaminare tra loro generi letterari diversi: il gotico, il poliziesco, l’esoterico, l’avventuroso, il fumetto, il rosa, il drammatico e la favola – genere quest’ultimo nel quale lo scrittore si trova particolarmente a suo agio per essersi cimentato in gioventù nei libri per l’infanzia – con personaggi che più che di realtà o di fantasia sanno di stereotipi ai quali, peraltro, è concesso evolversi. 

 Abbiamo così lo “scrittore maledetto” che si riscatta, il barbone che di volta in volta si trasforma in consulente librario, investigatore e sposo felice, l’ispettore di polizia Fumero, bimbo frustrato e poi, adulto, vera e propria incarnazione del demonio, padri-padroni ossessionati da inconfessabili colpe e da queste trascinati alla rovina o resi in apparenza docili per merito del destino. Abbiamo Penelope, vergine dolcissima per metà Giulietta di shakespeariana memoria e per l’altra metà eroina di tragedia greca, che pagherà con la vita un amore incestuoso ancorché inconsapevole, poi c’è Beatriz femmina provocante prima e madre premurosa dopo che, realizzando la felice coppia umana con l’ex-adolescente ormai adulto, “riscatterà” infine la triste vicenda amorosa dello “scrittore maledetto”. Insomma, un guazzabuglio di fatti e di personaggi tutti poco credibili per un lieto fine che il lettore medio si attende come premio della difficile “navigazione”alla quale è stato costretto dall’autore per oltre quattrocento pagine. Certo, un romanzo dei nostri tempi così convulsi e caotici ma di cui è facile indovinare non resterà traccia che per essere stato un buon affare editoriale.

 sergio magaldi



     

venerdì 8 giugno 2012

LO SCANDALO E IL PALLONE PER L'EUROPA





 Prandelli, il commissario della nazionale italiana di calcio, è proprio un gran signore! Alle voci ricorrenti da più parti di impedire la partenza della squadra azzurra, dopo l’ennesimo scandalo del calcio scommesse, ha subito replicato che non andare agli Europei non sarebbe stato un problema. Figuriamoci!

 Il concetto, espresso con fermezza e signorilità in una intervista, è stato ribadito qualche istante dopo, nel corso del dialogo, dall’ineffabile commissario tecnico:

  “Se si decidesse di non partire, come dicevo prima, non ci sarebbe alcun tipo di dramma…”

 “Bèh insomma… sarebbe una cosa…”

 “Per quanto ci riguarda… no!”

  E io gli credo sulla parola! Anche il plurale usato da Prandelli ha la sua logica. Quale migliore occasione offerta al c.t. della nazionale per sfuggire alla magra figura che gli azzurri si apprestano a fare?! Senza contare il prolungamento delle vacanze per i calciatori, poveri lavoratori del pallone costretti ad un super-impegno extra e poco pagato!

 Purtroppo, però, il risveglio da questo sogno collettivo ad occhi aperti è venuto dalle sagge parole della ministra Cancellieri: che vadano e si facciano onore! Ha tagliato corto la pragmatica esponente del governo Monti.

 Così il team azzurro è partito e arrivato a destinazione, accolto con entusiasmo dalla folla di amanti del calcio e non, portando con sé l’ennesimo scandalo e il velleitario proposito di soffocarlo prendendo a calci il pallone. Riusciranno i nostri eroi a ripetere le imprese del passato, compiute in circostanze simili di discredito per il nostro calcio? Ne dubito. La squadra viene da tre sconfitte consecutive, ad opera di squadre non irresistibili, come Stati Uniti, Uruguay e Russia, con la quale ultima solo una settimana fa abbiamo perso per tre goal a zero!

 La verità è che la squadra azzurra non ha un gioco degno di questo nome: non pratica il tradizionale calcio all’italiana che ha fatto le fortune di Bearzot e di Lippi, e scarseggia nel gioco offensivo per la mancanza di autentiche punte. Insomma questa nazionale non è né carne né pesce e riflette, mi pare, il carattere di chi la governa. Schiera una difesa che vorrebbe addirittura migliorare quella della Juventus di quest’anno, con l’inserimento di Balzaretti e di Maggio [insieme a Bonucci il peggiore in campo nella partita persa con la Russia] e prende tre goal per mancanza di organizzazione. Presenta un centrocampo senza autentici interditori, per di più facendo giocare Pirlo non da regista, ma come giocava nell’ultimo Milan, con un De Rossi che da tre anni è solo un modesto giocatore, nonostante la sceneggiata durata quasi per l’intero campionato, di prestigiosi club europei che se lo sarebbero conteso a decine e decine di milioni…

 Come non bastasse, Prandelli assegna all’eterna promessa Montolivo il compito di “giochicchiare” a ridosso di punte sterili… con Cassano lontano dal campo per un anno intero, a seguito dell’operazione al cuore, Giovinco che si muove tanto ma che il meglio di sé lo dà nelle squadre cosiddette di provincia. Nella Juve come nella nazionale, dove peraltro ha giocato poco, ha sempre fatto molto fumo e poco arrosto. Per non parlare dell’anziano, calcisticamente parlando, Di Natale, da anni autentico cannoniere dell’ex campionato più bello del mondo, in una squadra come l’Udinese che in fase offensiva gioca tutta per lui. In nazionale non è mai esistito, fallendo tutte le prove che, ad intervalli diversi, gli sono state concesse. E ancora: Borini, fuori forma già un mese prima della fine del campionato. Al suo posto non sarebbe stato meglio portare Pepe, meno tecnico, forse, ma più in forma e con più volontà ed esperienza? Un giovane, Borini, solo una speranza di cui, dopo qualche partita di seguito in cui è andato in goal, s’è fatto un fuoriclasse.

 Resta il solo Balotelli, l’unico degli attaccanti portati in Ucraina degno di giocare un europeo, ma da solo e senza una punta centrale non basta. Già, dove sono finite le punte centrali? Matri su tutti e Osvaldo e Borriello e Pazzini? Non pervenuti. Prandelli ha deciso di lasciarli a casa, a imitazione del Barcellona e /o di Conte, allenatore che non predilige le punte d’area e dintorni, che non sappiano fare anche i difensori. Ma il Barcellona ha Messi, e Conte col suo modulo ha appena vinto uno scudetto. Appunto! Perché il parziale accantonamento della punta centrale [si ricordi comunque il ruolo determinante che, per buona parte del campionato, ha avuto Matri con i suoi goal], ubbidisce nell’allenatore della Juventus a una precisa filosofia di calcio che, almeno per ora, ha dato i suoi frutti con bel gioco e scudetto. La filosofia di Prandelli invece non si vede e soprattutto non si vedono i risultati.

 Vorrei proprio sbagliarmi ma temo che la spedizione azzurra agli Europei si risolverà in una disfatta. Non vedo come questa squadra possa battere o almeno impattare con la Spagna che incontreremo Domenica, e la Croazia, contro cui giocheremo il 14 Giugno, è un avversario imprevedibile e per noi indigesto.

 Tutto sommato, hanno ragione Monti e Prandelli, in queste condizioni, forse sarebbe stato meglio restare a casa!


Sergio Magaldi