martedì 26 febbraio 2013

LA GRANDE OPPORTUNITA' ALL'INDOMANI DEL VOTO






 La quasi totalità dei media, nazionali e internazionali, parla questa mattina di una sostanziale ingovernabilità del Paese, dopo il risultato elettorale che assegna alla Camera la vittoria  alla coalizione di centro-sinistra, per una manciata di voti  presa in più degli avversari di centro-destra, e grazie ad i meccanismi di una legge elettorale più iniqua, sotto il profilo democratico, persino della legge Acerbo voluta dai fascisti nel 1923 e della cosiddetta “Legge truffa” approvata dai democristiani trent’anni dopo. Com’è noto, tuttavia, la netta maggioranza, comunque conseguita alla Camera, non basta per governare al Senato, dove la coalizione PD-SEL può fare maggioranza  solo alleandosi contemporaneamente con il Centro di Monti e  con il  Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo o anche soltanto con quest’ultimo.

  Non mancano i soli “epimeteici” commenti, quelli del “senno di poi”, per ciò che il PD avrebbe dovuto fare e non ha fatto quando godeva di un vantaggio che tutti i sondaggi davano ben oltre il 10% sui diretti avversari del PDL e della Lega. Primo fra tutti, quello di non essere andati subito al voto dopo la caduta del governo Berlusconi: se il PD, grazie all’intermediazione del presidente Napolitano, non avesse approvato le misure impopolari volute dal governo dei tecnici su commissione dell’Eurogermania e avesse dato immediatamente la parola agli elettori, in quel momento avrebbe sicuramente stravinto. Molti di quelli che oggi sostengono questa tesi, parlarono allora di “scelta responsabile” del PD. Un altro commento tardivo, che pure sembra godere di molta fortuna in questo momento, è quello di non aver scelto Renzi come candidato da opporre al centro-destra. In tal caso, si dice che Berlusconi non sarebbe sceso in campo [ne siamo proprio sicuri?] e che la vittoria sarebbe stata a portata di mano del centro-sinistra. Può darsi, ma ho più di un dubbio in proposito e ho l’impressione che a quel punto una parte dell’elettorato di sinistra si sarebbe orientato su Rivoluzione Civile di Ingroia… Comunque sia, non ha molto senso parlarne ora. Un terzo commento, infine, che avevo anticipato ampiamente nei miei post, ma che soltanto ora ascolto dai soliti ineffabili rappresentanti del cosiddetto Quarto potere italiano, riguarda la campagna elettorale di basso profilo voluta dal PD, con un segretario-candidato che compariva in Tv e nei teatri bofonchiando con aria annoiata e proclamandosi certo della vittoria, per dire soltanto che la sua coalizione avrebbe smacchiato il giaguario, combattuto l’evasione fiscale abolendo la circolazione del denaro contante, riformato l’IMU col renderlo un’imposta progressiva, peggiorando persino le misure del governo Prodi, introdotto una patrimoniale sui beni immobili di valore superiore al milione di euro, l’equivalente del costo di una sola casa di media grandezza in una grande città… Dunque una nuova tassa sulle abitazioni degli italiani!

 La scelta del PD di non andare al voto e di appoggiare “responsabilmente” il governo Monti poteva in quel momento anche rivelarsi saggia sotto il profilo dell’interesse nazionale, se effettivamente fosse stata “responsabile”, se cioè il Partito Democratico non avesse calvalcato insieme al tecnocrate filotedesco la tigre della ripresa finanziaria del Paese, divorando nel contempo le già malridotte risorse dei cittadini e dei piccoli e medi imprenditori, aumentando la disoccupazione e favorendo la recessione. In diversi post di allora mettevo in evidenza che questa politica di mera sudditanza ai Poteri Forti da una parte, alla classe politica e ai ceti privilegiati dall’altra [Che ne è stato della riduzione dei costi della politica, dell’abolizione delle Province, di un’autentica riforma delle Corporazioni, dell’IMU da far pagare alla Chiesa e così via dicendo?], avrebbe finito col  pagarla per primo il PD. Eppure la coalizione di centro-sinistra continuava a sentirsi sicura della vittoria, anche in forza dei sondaggi che la davano in testa con un buon margine di vantaggio sui diretti avversari. Errori di prospettiva, incapacità di comprendere il malessere che montava tra i cittadini o mera volontà di gestire il quotidiano? Forse tutte e tre le cose.

 Per quanto paradossale possa sembrare, il voto che complessivamente esce dalle urne mostra una maturità politica degli italiani ben superiore a quella dei suoi rappresentanti politici. Il ceto medio-alto, nel quale si annovera la fitta schiera degli evasori fiscali [quelli veri] non poteva non riprendersi il “suo” Berlusconi, come pure una buona fetta della piccola borghesia e dei ceti popolari, stregati ancora una volta dalle tante promesse mai mantenute dal Cavaliere e dal suo indubbio carisma. Un’esigua parte interclassista della società, guidata da  vip timorati di Dio e  nostalgici delle antiche maggioranze cattoliche, sceglie il rassicurante e ideologicamente eclettico Monti, benedetto da Casini. Si può dar loro torto, considerando le ataviche preoccupazioni che una parte del PD suscita ancora nelle loro menti devote? Se, tuttavia, non se la sono sentita di correre tra le braccia del Cavaliere, giudicato un peccatore impenitente? Infine, un italiano su quattro [con oltre il 25% dei consensi  il M5S è alla Camera il primo partito italiano] sceglie il movimento di Beppe Grillo, come unica vera e nuova proposta rispetto a quelle degli altri partiti, alle quali non si crede più o che vere proposte non sono mai state. Non un semplice voto di protesta come ci si affretta a concludere, ma una sentenza sul presente e sul passato e una speranza per il futuro.



 In questo quadro, solo sinteticamente rappresentato, un’opportunità straordinaria esce dalle urne per la coalizione di centro-sinistra, se il suo intento non era solo quello, peraltro non riuscito, di smacchiare il giaguario. Concordi il PD, visto che finalmente ha l’occasione storica per farlo, alcune misure da poter condividere con il Movimento 5 Stelle: non il salario di cittadinanza che per ora costerebbe troppo, ma concrete misure per la ripresa dell’occupazione e per impedire la chiusura delle piccole imprese, non l’uscita dall’Europa ma il fermo proposito di battersi per un’Europa diversa, non l’elezione al Quirinale dei Monti, dei Prodi, degli Amato ma finalmente di una donna che non venga né dagli apparati di partito né dalla tecnocrazia [e non sia la Borletti Buitoni celebrata da Crozza], non una difesa di questa legge elettorale che gli assegna alla Camera una maggioranza bulgara, ma norme di autentico rispetto della democrazia rappresentativa, non parole generiche per i giovani che entrano nel mondo del lavoro, ma misure immediate ed efficaci, non la conservazione di privilegi corporativi, ma il tetto di stipendi pensioni e liquidazioni plurimilionarie dei dirigenti pubblici e privati e il dimezzamento, non dei parlamentari, ma dei loro stipendi, non la lotta all’evasione fiscale, ritirando il denaro contante in circolazione, ma con il controllo incrociato di fatture che il consumatore possa detrarre dalle tasse… Ce n’è per un programma di legislatura. Ma l’incredibile opportunità non riguarda solo il PD. Se il volto raccolto dal M5S non è, come penso, un mero voto di protesta, anche al movimento di Beppe Grillo si offre la possibilità straordinaria di incidere davvero sul tessuto vivo della società italiana, di renderla finalmente più equa e più onesta, facendo in modo che un sogno si tramuti in realtà.



sergio magaldi  

venerdì 22 febbraio 2013

LA VIGILIA ELETTORALE TRA LAZZI SBADIGLI E PAURA DEI GRILLI




 Il Festival della Politica è ormai prossimo a chiudere la sua prima fase, mentre la seconda si riaprirà con la conta dei voti. Dopo una settimana di pausa della campagna elettorale televisiva – causata dalle dimissioni del Papa, che hanno generato una serie infinita di servizi e documentari sonnolenti, e dalla celebrazione di un altro Festival che, tra canzone vincitrice  e cartelli parlanti, ha avuto il merito di portare all’attenzione del pubblico il problema dei gay che si vogliono maritare – sono infine tornate le lunghe maratone di Vespa a “Porta a Porta” con la faccia dei tre maggiori protagonisti in competizione: Bersani, Berlusconi e Monti, naturalmente ciascuno per conto proprio, perché di confronti tra candidati, manco a parlarne…

 In particolare, solo a tarda notte s’è concluso ieri lo show del presidente del consiglio in carica. Nulla di nuovo sotto il sole, se non l’ammissione da parte dell’ineffabile presidente di essere stato chiamato per risanare la finanza pubblica [leggi: dare soldi alle banche, togliendoli a chi ne ha di meno], aggravando contestualmente e consapevolmente la crisi di produttività del Paese e il malessere economico e sociale della maggioranza degli italiani. Poco altro è emerso dal linguaggio, come al solito tra il robotico e il notarile, dell’illustre professore della Bocconi nonché senatore a vita per meriti patriottici [?!]. E in quel poco, la ferma volontà di proseguire nell’attività riformatrice che tanto beneficio ha già recato al popolo italiano: l’ ideale –  sono parole sue – è un governo di cui egli sia la guida e il faro centrale, appoggiato a sinistra da un PD che abbia tagliato con l’eversione interna ed esterna affidandosi ad un segretario come Enrico Letta, e a destra da un PDL a guida Angiolino Alfano e capace di relegare Berlusconi se non nelle cantine del Palazzo, almeno in un attico sopra le nuvole. Il tutto suggellato dalla conferma al Quirinale di un uomo con cui egli s’intende a meraviglia, perché tra moniti e precisazioni notarili si esprime in un linguaggio simile al suo. Ma quest’ultimo desiderio sarebbe la ciliegina sulla torta e immagino che Monti si accontenterebbe anche solo della torta.

 Uno scenario meno irreale di quanto sembri, nell’ipotesi formulata dallo stesso Monti di una contemporanea impossibilità di PD e PDL di poter disporre di una maggioranza in Senato. In tale prospettiva, m’è sembrato [a giudicare da talune osservazioni dei giornalisti presenti, forse non è sembrato solo a me] che egli strizzasse addirittura l’occhio ai grillini: “Le sole proposte politiche nuove per gli italiani sono la mia formazione e quella di Beppe Grillo”, ha sostenuto candidamente il presidente in carica, lasciando intendere che le premesse che possono trasformare in realtà il suo futuro ideale di governo sono tutte nella quantità di voti che il Movimento 5 Stelle riuscirà a strappare a PD e PDL, impedendo ad entrambi i partiti di raggiungere la maggioranza in almeno uno dei due rami del Parlamento.

 Il resto della nottata politica televisiva è trascorso nella noia e tra gli sbadigli probabili dei telespettatori, nonostante il tentativo di rianimarne lo spirito con l’omaggio di Monti alle graziose [si fa per dire] e brave ministre del suo governo, con la prospettiva di ritrovare tra i suoi futuri ministri l’imperdibile Ilaria Borletti Buitoni di Crozza memoria, con i loden, con l’icona a mezzo busto di Buffon, portiere esimio della Juventus e della nazionale di calcio, venuto a portargli qualche manciata di voti dal mondo del pallone, con un discorso celebrativo da accapponare la pelle per chiunque sia dotato di un minimo senso di buon gusto.

 Non che le precedenti notti della campagna elettorale consumata in TV siano state più allegre. Con il solito “bofonchiare” di Bersani, per dirla alla Travaglio, e le “trovate” di Berlusconi che, se sulle prime divertono, alla fine ti lasciano una grande spossatezza. Ma, almeno, con lui, tra uno sbadiglio e l’altro si riesce anche a sorridere.

 Con un giaccone d’impeccabile fattura, un blu dalle gradazioni tra il dodger e il fiordaliso, Berlusconi se ne sta disteso sulla poltrona dello studio televisivo, con il faccione roseo e gli occhi socchiusi [non si sa bene, poverino, se per una congiuntivite o per la pelle del viso troppo tirata], con i capelli mogano che sembrano dipinti sulla testa tanto sono corti e immobili, con un look complessivo che gli fa assumere connotati orientali, nippo-coreani o cinesi, e che chissà perché mi ricordano il presidente Mao. Forse per via che, questa notte, il capo carismatico dei moderati usa un linguaggio rivoluzionario che arriva alla pancia e al cuore degli italiani, promettendo la restituzione di soldi e riforme che finalmente cambieranno in meglio la vita nel Belpaese, per una politica che non sarà più di servile sottomissione agli interessi di una Germania, travestita da Europa, né a quelli dei cinesi e degli americani. Lo ascolti e quasi ti commuovi nel pensare che egli reca con sé il mito della vittoria [Proprio in questi giorni il suo scalcagnato Milan è riuscito a battere il quasi invincibile Barcellona di Messi], e che con la sua immagine, la sua vitalità e i suoi miliardi egli è una sfida vivente alla sfiga, alla vecchiaia e alla morte. Poi ti ricordi improvvisamente che solo pochi mesi fa ha offerto le sue disperse pattuglie ad un Monti designato come guida dei moderati e di cui non ha esitato a sottolineare i meriti nel varare leggi che lui stesso ha approvato e che oggi giudica esiziali per le future sorti dell’Italia… e allora cambi canale, anche se rischi di trovartelo altrove.

 Se questa è la musica e il ritornello [per la verità, Bersani non possiede né l’una né l’altro, e attende quasi con fastidio per Lunedì sera la vittoria annunciata e gli accordi con Monti] della solita canzone che “i tre grandi” fanno risuonare alla vigilia della tornata elettorale, non diverso spartito, mutatis mutandis, utilizzano gli altri, in particolare le cosiddette alternative di centro-destra e di centro-sinistra. Dopo aver suscitato un qualche interesse tra gli elettori delusi dei due schieramenti, rischiano anche loro di scomparire tra lazzi e sbadigli.

 Giannino del “Fare per fermare il declino” [lo dicevo che quel nome troppo lungo del suo Movimento non l’avrebbe portato da nessuna parte] si autoelimina, confermando che il suo abbigliamento eccentrico [appena attenuato in questa campagna elettorale] è probabilmente frutto dello stesso malessere che lo ha portato a millantare un master e due lauree. Sputtanato, ha il merito di ritirarsi, portandosi dietro lazzi e sbadigli ma anche la comprensione di chi tra gli addetti ai lavori della politica spera ti mettere le mani sui voti [pochi] che gli sarebbero toccati.

 Ingroia con la sua “Rivoluzione civile” – in compagnia dei Di Pietro, dei Ferrero e dei Diliberto, tutti in passato già ministri duri e puri della Repubblica, senza infamia e senza lode – invece di far comprendere agli italiani la serietà delle sue proposte politiche, si mette a sparare sulla Croce Rossa, denunciando Berlusconi, reo di aver inviato agli italiani un foglio concepito nello stile grafico di Equitalia [la patriottica Agenzia “per un paese più giusto”, nata dal connubio di due tra le teste più illuminate della casta della politica: quella di Prodi, non a caso tra i candidati alla successione di Napolitano, e quella di Tremonti, compagno di merende, ancorché litigioso di Berlusconi, oggi divenuto rivoluzionario e anti-tedesco proprio come il suo ex-capo].

 Nella lettera di Berlusconi si forniscono istruzioni per ottenere la restituzione dell’IMU pagato nel 2012 e pare che qualche vecchietta sia caduta nell’inganno di esigere immediatamente la restituzione del denaro a suo tempo versato, smentendo così le fiere parole di Bersani che, nella prospettiva della tracciabilità del denaro, per colpire gli evasori fiscali, aveva proposto l’abolizione totale del contante in favore della carta di credito, dicendosi certo che nell’usarla, la vecchietta italiana si sarebbe mostrata altrettanto brava di quella belga…

 Della trovata di Berlusconi c’è soltanto di che ridere e invece Ingroia, forte del suo ruolo di magistrato duro e puro, è corso a denunciarlo, dando della giustizia un’immagine persecutoria e/o caricaturale che finirà col rivoltarglisi contro, senza contare che offre a Berlusconi su un piatto d’argento l’opportunità di ribadire che questo gesto è l’ennesima prova  dell’accanimento giudiziario nei suoi confronti… Peccato, perché Ingroia, uomo e magistrato, era parso convincente nelle sue apparizioni televisive e aveva lasciato sperare in ben altro ruolo per il suo partito e per la giustizia.

 Un fatto nuovo emerge tuttavia tra i protagonisti e i comprimari dello spettacolo della politica: la comune preoccupazione per i tanti grilli che si vedranno saltellare sui banchi del futuro Parlamento. La paura è reale ma nasconde un tranello. Forte del fatto che la democrazia italiana tratta l’elettore da minus habens, impedendogli alcune settimane precedenti il voto di conoscere l’esito dei sondaggi, salvo che a conoscerlo restano i signori della politica e dell’informazione [cosa impensabile in una democrazia compiuta come quella americana], si tende a spargere la voce che i sondaggi occulti, noti solo alla casta della politica e affini, darebbero in grande ascesa il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Ancorché nella “voce” ci sia qualcosa di vero, che emerge dalla capacità dei grillini di riempire le piazze piccole e grandi di questo infelice Paese [quando si pensi che il PD chiude a Roma la sua campagna elettorale al teatro Ambra Jovinelli!], resta il fatto che la medesima voce lancia un monito neanche tanto velato: attenzione, perché se il movimento di Grillo dovesse raggiungere percentuali di voto troppo alte, ci troveremmo nella condizione di ingovernabilità e nel rischio di scivolare nella situazione della Grecia: lo spauracchio continuamente agitato dal Potere Finanziario che da alcuni anni ha occupato l’Europa, grazie ai panzerspread e ai manutengoli della politica.

sergio magaldi


    

sabato 9 febbraio 2013

LE PROMESSE ELETTORALI




 Due settimane al voto e le promesse elettorali dei leader politici italiani si fanno sempre più pressanti. In testa, naturalmente, Berlusconi che promette di fare tutto quello che non ha fatto quando era al governo, forte del fatto che lui l’iniqua tassa sulla prima casa [ICI] l’aveva effettivamente tolta, anche se poi fu costretto [ma da chi?] ad approvare l’IMU che l’ha nuovamente introdotta su un’ottava più alta. Al pacchetto già noto, l’inossidabile leader aggiunge ora anche amnistia e condono tombale. Non sorprende così che egli sia anche in questa campagna elettorale il più citato da amici, avversari e addetti ai lavori. Un’ossessione che non ha mai portato bene a chi l’ha provata. Monti non è da meno, e nel grigiore del suo linguaggio, che sa di automatismo a carica teutonica, introduce la nota di colore della promessa di ridurre in un sol colpo IMU, IRPEF e IRAP.

 Non sono da meno gli altri leader politici, tutti, ad eccezione di Bersani, al quale almeno va riconosciuto il merito di non allettare gli italiani a votare per il suo partito [PD], con promesse che non potranno essere mantenute, e addirittura di richiamare i cittadini alla realtà e agli impegni europei che contemplano il Pareggio di bilancio per il 2013 e il Fiscal Compact, con la prospettiva di introdurre a breve, ulteriori tasse per reperire i necessari 70-80 miliardi di euro. Il problema, tuttavia, è che Bersani parla poco o meglio, come scrive Marco Travaglio [Editoriale di il Fatto quotidiano del 6 Febbraio u.s.]: “Biascica, bofonchia, borbotta masticando il sigaro. Non finisce mai le frasi. ‘Sto paese qua, mica siam qui, ‘ste robe lì. Una pentola di fagioli in ebollizione .

 Forse Bersani non finisce mai un discorso perché lo ritiene inutile e pericoloso. Preferisce il frammento dialettale più o meno pittoresco che lascia democraticamente all’ascoltatore la possibilità d’interpretare. Egli ha introiettato la grande lezione della Democrazia Cristiana e sa che vincerà le elezioni, così come ha già fatto con le primarie del suo partito; egli sa che in un modo o nell’altro all’indomani del voto sarà al governo con Monti, il garante europeo che rappresenta per lui l’avversario di oggi e l’alleato di domani, in un gioco delle parti che ha la sua logica elettorale: chi meglio di Monti [in minima parte ci prova anche Giannino con il suo neonato movimento dal titolo troppo lungo per essere preso sul serio] è in grado di intercettare il voto di chi é  deluso dalla politica del PDL e/o fiuta l’odore dei nuovi cavalli [o asini?] alla guida del carrozzone della politica italiana? Un gioco delle parti a tutto campo, direi, perché include anche Vendola, la copertura a sinistra. Il leader delle Puglie è lì a garantire i nostalgici, quelli che non si sentono ancora gli eredi della DC e diffidano dell’abbraccio con Monti. “Mai al governo con Monti” proclama solennemente il buon Vendola, ma intanto molti governi della sua Regione si sostengono con il voto dei Casini e dei montiani.

 Forte di questa strategia che lo copre a destra[con Monti, pronto ad accogliere i transfughi del PDL], a sinistra con Vendola e al centro con Tabacci e con se stesso, in virtù di un anacronistico compromesso storico, il PD si accinge a governare il Paese, nel solco di una tradizione che, con sigle diverse, l’ha già visto negli ultimi vent’anni alla guida dello Stato, direttamente o indirettamente, con i Ciampi, i Dini, i Prodi, gli Amato, i pensionati d’oro della politica italiana, provenienti dal mondo accademico e/o finanziario e tutti, sia pure in diversa misura, collegati ai cosiddetti poteri forti che controllano la politica europea e il primato teutonico del Continente. Perché il PD dovrebbe oggi rifiutare l’alleanza con Monti? E infatti non la rifiuta. Tra le poche cose che Bersani ha detto con chiarezza c’è la dichiarazione che, se anche il partito raggiungesse la maggioranza alla Camera come al Senato, si aprirebbe all’alleanza con il Centro, cioè con Monti. Ma Vendola sembra non capire e Vendola è uomo d’onore…

 Tanto il PD è sicuro della vittoria che minimizza lo scandalo MPS e fa quadrato attorno alla Banca d’Italia  da sempre suo naturale alleato. Tanto Bersani conosce l’indole degli italiani che preferisce non fare promesse elettorali né elaborare programmi puntuali e circostanziati. Sa di essere, malgrado tutto, il piatto forte del regime, essendo divenuto immangiabile quello propinato negli ultimi anni dal centrodestra. Sa che i regimi in Italia non cadono per via democratica o rivoluzionaria, basta farsi garante dei tanti privilegi, rispettare le corporazioni e la Chiesa, onorare gli sprechi. Insomma far finta di cambiare perché tutto resti come prima, secondo i sacri principi del gattopardismo nazionale. Come accadde per il fascismo, crollato dopo vent’anni per cause di guerra, o per la DC, caduta dopo cinquant’anni, non per via giudiziaria come si tende a far credere, ma per entropia e a seguito dell’abbattimento del Muro di Berlino che mutò completamente lo scenario europeo e mondiale.




 Pure, con il suo “bofonchiare” – come dice Travaglio – una cosa almeno Bersani è venuto a dirla con chiarezza in televisione. Per combattere l’evasione fiscale e favorire la tracciabilità del denaro, ha infatti proposto l’abolizione del denaro, quello vero, quello frusciante che ancora oggi possiamo toccare con mano, e di sostituirlo con la carta di credito. E in un impeto di orgoglio nazionale ha rivendicato la pari dignità e intelligenza della vecchietta italiana, rispetto alla vecchietta belga che maneggia da par suo il simbolo del denaro virtuale. Quello che piace tanto a Monti e ai banchieri. 

sergio magaldi

martedì 5 febbraio 2013

VIAGGIO MUSICALE NELL' ARMONIA





VIAGGIO MUSICALE NELL’ ARMONIA
Di Alberto Zei

In origine
  Fin dai tempi della scuola pitagorica, intorno al 500 a.c., si era a conoscenza  che la musica ha un senso compiuto, cioè, differente da una serie di suoni, se le vibrazioni che rappresentano l’altezza delle note, si susseguono con frequenze multiple o sottomultiple tra di  loro.

 Con questo presupposto,  da alcune migliaia di anni l’umanità ha saputo esprimere in base alla propria cultura, le arie musicali che creavano gradevolezza all’ascolto e che quindi sono state tramandate ai posteri, per quanto era allora possibile, prima del probabile oblio, spesso causato dalla difficoltà oggettiva di memorizzare le note musicali. Solo nel tardo medioevo, è stata finalmente introdotta con lo spartito  la scrittura musicale e da allora gli autori hanno potuto trasmettere nel tempo le  loro composizioni.







  Le regole però, sono rimaste  immutate  in quanto la musica, quella musica che la nostra psiche percepisce con piacevolezza,  non è stata inventata dall’ uomo ma solo scoperta. Infatti le regole matematiche che ci fanno distinguere una  buona musica  (non importa di quale genere) da una serie di suoni scomposti o come si suol dire, cacofonici,  sono  sempre le stesse,  indicate  da Pitagora alcuni millenni fa.

 Il pragmatismo sperimentale, che ha accompagnato la storia dell’ uomo verso la civiltà, ha spesso sorvolato sulla necessità di comprendere le ragioni fisiologiche e metafisiche che sottendono le leggi musicali. Questo soprattutto perché  l’esperienza insegna  che una composizione viene accolta con  giudizio positivo solo se  suscita in chi l’ascolta una sensazione di gradevolezza, gradevolezza che non potrà  discostarsi  molto da quella  che prova lo stesso autore. Qui però,  si entrerebbe  (ma non entriamo), nella psicologia sociale o, in senso più esoterico, nella concezione dell’inconscio collettivo teorizzata da  C. Jung.

L’ armonia
 La musica  capace di rapire la nostra attenzione e di generare  piacere emotivo non può comunque, prescindere dalle  leggi  dell’armonia  scoperte  da Pitagora.




 Diverse sono le emozioni che possono scaturire  dal significato delle parole, da un canto patriottico o dai  ricordi  che il brano musicale suscita. Questo è, però, un aspetto deviante, e ci fa comprendere  l’indifferenza che talora accompagna l’ascolto di alcune canzoni ricche di contenuti poetici ma non musicali.

 Dando per scontato che tutti conoscano il significato  di risonanze e dissonanze, di intervalli e accordi nonché della melodia, giova qui solo ricordare che la qualità di queste  combinazioni forma  una  sequenza gerarchica musicale che genera l’ armonia.

 Tante composizioni, ma pochissimi capolavori perché occorre dare alle regole anche  sostanza, molto spesso carente, per ottenere un buon prodotto.

  Vi sono indubbiamente per tutti noi delle divergenze sul concetto di piacevolezza musicale e una di queste divergenze è sicuramente il settore di riferimento, come quello della musica sinfonica, del jazz, musica pop,  e così via. Esiste però,  un cardine  fondamentale comune e vincolante per tutti che è quello di saper  parlare  musicalmente al nostro sistema fisiologico, con le  regole universali con le quali le note vengono tradotte in  sensazioni di piacere psichico fino a una sorte di estasi che rapisce l’ anima.

Emozione della musica
 Vi sono poi altri tipologie di  transfert  che la musica induce ma che  nulla o quasi hanno a che vedere con l’armonia. Altra cosa è, infatti, lo stordimento che provoca l’alta intensità  o la ripetitività dei   suoni  che esulano  dal rapimento dell'anima ma che tuttavia esercitano su di chi di questo va in cerca, una sorta di travolgente  ebbrezza. In  particolare la danza,  può esprimersi fino ad uno  stato di pseudo ipnosi con l’automatismo di  ondate  di gradevole disorientamento che  si susseguono nella mente durante il tempo in cui ci si  abbandona a questo tipo di musicalità; ad esempio nella danza sacra o più semplicemente nel ritmo assordante di certe  discoteche,  non è l’ armonia ciò che si genera e si percepisce. 







  Ritorniamo alla composizione  esclusivamente musicale che integra  le parole quando vi sono,  soltanto come suoni e non come significati. La composizione musicale  è un po’ come la poesia dove ognuno si  esprime come può. Il coronamento di una opera musicale, ognuna nel suo genere,  è il livello qualitativo che essa contiene e che  viene percepito dalla  psiche con una scala di valori  trascendenti creando  una spirale  di piacere  che a sua volta genera piacere. Ma si può ancora andare oltre l’ armonia. E’ allora che avviene con un onda d’urto psichico ciò che nell’arte figurativa corrisponde alla sindrome di Stendhal. Ma di questo parleremo in altra occasione.