martedì 22 ottobre 2013

BUGIE DI REGIME




   Quasi non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie ieri sera nel vedere e ascoltare il presidente del consiglio dei ministri in TV. Non tanto perché era venuto a parlare della legge di stabilità, sulla quale poi ha finito col dire ben poco, quanto perché, come in una dittatura, il capo del governo ha magnificato il suo operato, davanti a milioni di telespettatori considerati alla stregua di tanti minus habens, senza contraddittorio e solo stimolato dalle domande compiacenti e talora persino imbarazzanti di una conduzione altre volte e con altri personaggi ben più incisiva.

 L’aspetto più inquietante però è stato che il palcoscenico prescelto fosse quello di La7, la stessa TV che, oltre ad un telegiornale più decente di quelli offerti dallo stato e da mediaset, produce programmi come Servizio Pubblico, Piazza Pulita, Crozza nel Paese delle meraviglie, che, senza ombra di dubbio, rappresentano un punto di riferimento per tanti cittadini, sempre più delusi dallo spettacolo vergognoso, offerto giorno dopo giorno da una classe politica autoreferenziale, predatoria e inconcludente e che, quando parla di stabilità, pensa unicamente a mantenere intatti i propri privilegi.

 Così, il sempre più ineffabile Letta, nel consueto stile curiale e democristiano, è venuto a raccontarci che la finanziaria che sarà sottoposta al voto del Parlamento non prevede aumento di tasse ma addirittura la loro diminuzione, giocando persino sulla questione del risibile aumento di quattordici euro che i lavoratori troverebbero in busta paga, da lui denunciata come “voce mediatica” sfuggita dal seno dei tanti nemici di questo governo, sindacati compresi. Già, perché si può essere certi che gli italiani non troveranno in busta neppure quella ridicola cifra in più, ma sensibili aumenti del prelievo fiscale, senza contare il contemporaneo aumento del costo della vita per effetto dell’innalzamento del tetto dell’IVA che incide anche sulla benzina e sulle bollette di gas, luce, acqua ecc…

 Che la cosiddetta legge di stabilità comportasse un aumento delle tasse e della spesa per le famiglie italiane era scontato [vedi il post Esopo e la recente cronaca politica], meno prevedibile che raggiungesse livelli tanto elevati grazie ad una sorta di gioco delle tre carte [poco importa ai cittadini se i nuovi tributi saranno a vantaggio dello stato, dei comuni, delle province o delle regioni] e meno credibile ancora che un presidente del consiglio venisse a parlare in TV di diminuzione delle tasse, senza che qualcuno gli facesse notare, conti alla mano, che era in inganno.

 Qualche esempio: per la fine del prossimo mese di Novembre molti comuni hanno richiesto il pagamento in acconto della cosiddetta TARES [Tassa rifiuti e servizi] in sostituzione della TARSU [Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani], inviando ai contribuenti lettere del seguente tenore:

“Gentile contribuente, la informiamo che, ai sensi del decreto legge 6 dicembre 2011 n.201, dal 1 gennaio 2013 è entrato in vigore il nuovo Tributo Comunale sui Rifiuti e Servizi, denominato TARES, in sostituzione della Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani, destinato a finanziare i costi per La raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e i costi dei servizi indivisibili.
 In applicazione di quanto disposto dall’art.10, comma 2, del D.L.n.35 del 8/04/2013, in attesa delle tariffe definitive della Tares e del Regolamento Comunale… il Consiglio Comunale con deliberazione… ha deciso di procedere alla riscossione […]”

 Per quel che ne so, l’iniziativa riguarda comuni amministrati dal centro-sinistra [per il momento Roma ne sembra esclusa, ma c’è da scommettere che lettere simili prima o poi arriveranno anche ai contribuenti che vivono nella città eterna], e immagino, ma potrei sbagliare, interessi già anche i comuni amministrati dal centro-destra. In sostanza, fatto salvo un ulteriore aumento, perché la cifra del nuovo tributo è richiesta in ACCONTO, il contribuente pagherà in più, conti alla mano e con esemplificazioni inoppugnabili e concrete, il 25% della cifra versata l’anno scorso per la TARSU. Per effetto della legge di stabilità, poi, dal 1 Gennaio 2014, la tassa sarà ancora modificata, con l’esotico nome di TRISE che includerà TARES e IMU. Quest’ultimo tributo sarà dunque ripristinato anche per la prima casa, determinando ulteriori aumenti e beffando i contribuenti che avevano creduto alle promesse del PDL di abolire per sempre l’iniqua tassa sull’abitazione degli italiani, ma che in cuor loro avevano sempre pensato che alla lunga la spuntasse il centro-sinistra, il PARTITO DELLE TASSE PER DEFINIZIONE, non senza la complicità del centro-destra e dei suoi ipocriti e ingannevoli strepiti.

 Non basta: con la dichiarazione dei redditi del prossimo Maggio 2014, sarà ripristinato il calcolo, nel reddito imponibile e tassabile, del valore catastale delle seconde case non affittate che il tanto vituperato governo dei tecnici, in considerazione del notevole aumento dell’IMU sulle case diverse dall’abitazione principale, aveva abolito [Aridatece Monti!]. E ancora, sempre in riferimento alla medesima dichiarazione e sempre in virtù delle legge di stabilità, saranno soppresse gran parte delle detrazioni fiscali. Altro che 14 euro in più, altro che voce diffusa dai malevoli! Il costo dell’intera manovra costerà mediamente agli italiani qualche migliaio di euro! E il presidente Letta viene a dire in televisione, senza che gli sia fatta la minima obiezione, che le tasse degli italiani diminuiranno per via della legge di stabilità. E il presidente Letta è uomo d’onore… e i responsabili del programma di La7 sono uomini d’onore…

sergio magaldi

  

venerdì 18 ottobre 2013

AMORE, FOLLIA E PERSONALITA' MULTIPLA

Wulf Dorn, Follia profonda, Corbaccio, 2012, pp.432
  



    Si è soliti dire che l’amore contenga in sé un po’ di follia, è lecito affermare il contrario e cioè che nella follia ci sia sempre anche un po’ d’amore?
  
  Davvero ottimo, per gli amanti del genere e non solo, questo thriller psicologico di Wulf Dorn, Dunkler Wahn [“Oscuro inganno”], reso in italiano con il titolo di Follia profonda, genericamente definito dall’autore un caso di stalking e che per la verità affronta, con ritmo incalzante e colpi di scena, aspetti problematici che spaziano dalla comune nozione di amore sino ai disturbi della dissociazione e della personalità multipla.

  Ronald David Laing [1927-1989], sulla scia della fenomenologia e dell’esistenzialismo di Jean Paul Sartre, definisce il fenomeno della dissociazione e della personalità bipolare una «accentuazione dell'insicurezza ontologica comune a tutti gli uomini, per cui anche in circostanze di vita ordinarie, un individuo può sentirsi più irreale che reale, letteralmente più morto che vivo, differenziato in modo incerto e precario dal resto del mondo, così la sua identità e la sua autonomia sono sempre in questione. Può mancargli la sensazione della continuità temporale; può fargli difetto il senso della propria coerenza o coesione personale. Si può sentire come impalpabile, e incapace di ritenere genuina, buona e di valore la stoffa di cui è fatto. Può sentire il suo io parzialmente disgiunto dal suo corpo. » [R.D. Laing. L'Io diviso. Torino, Einaudi, 1969. p. 50.]








 Se il comportamento bipolare maniaco-depressivo e la dissociazione, quando non degenerino nella schizofrenia e si mantengano sul piano del disturbo schizoide che conserva la consapevolezza del reale, possono a giusto titolo considerarsi “un’accentuazione dell’insicurezza ontologica comune a tutti gli uomini” – secondo la definizione di R.D. Laing – diverso è il caso in cui il soggetto separi drasticamente una parte di sé e ne perda la consapevolezza al fine di sottrarsi ad una situazione particolarmente difficile da vivere o nella prospettiva di un appagamento esistenziale altrimenti irraggiungibile. Ciò che peraltro distingue assolutamente lo schizofrenico, con i suoi deliri, le sue allucinazioni, l’apatia, la mancanza di logica, i disturbi dell’attenzione, delle capacità intellettive e della parola, dal soggetto affetto da DID [Dissociative Identity Disorder] o disturbo di personalità multipla, dove due o più distinte identità convivono nella stessa persona pur ignorandosi tra loro e mantenendo intatta la capacità di relazionarsi con gli altri, ma ciascuna con differenti e/o contraddittori modi di pensare e di agire. Talora, può anche accadere che un’identità – senza poterla rapportare a se stessi – sia consapevole dell’altra, ma non viceversa, e che manifesti per l’identità inconsapevole compatimento o profondo disprezzo. Noto, negli anni Cinquanta del secolo scorso, il caso di una giovane sofferente di emicrania che alternava con lo psichiatra un atteggiamento ansioso e riservato [“Eva bianca”], ad uno seduttivo e spiritoso  [“Eva nera”], consapevole e critico nei confronti di “Eva Bianca”, mentre quest’ultima ignorava completamente l’esistenza dell’altra. Più clamorosa, sino a far insorgere il sospetto di una finzione a scopo di lucro, la storia di Shirley Ardell Mason, pseudonimo Sybil, scritta da Flora Rheta Schreiber e portata sullo schermo per descrivere le sue 16 personalità:





Victoria Antoinette Scharleau (Vicky), ragazza sofisticata  e d’origine francese.
Peggy Lou Baldwin, isterica e sempre in preda all’ira.
Peggy Ann Baldwin, l’amica di Peggy Lou.
Mary Lucinda Saunders Dorsett, una perfetta casalinga.
Marcia Lynn Dorsett, dotata nella pittura. In proposito occorre ricordare che Shirley era una studentessa di arte della Columbia University.
Vanessa Gail Dorsett,  preoccupata soprattutto di piacere come donna.
Mike Dorsett, cioè un’identità maschile, con il mestiere di carpentiere.
Sid Dorsett, altra identità maschile fortemente unita in amicizia con la precedente.
Nancy Lou Ann Baldwin, timorata di Dio, con manie religiose e la ferma convinzione dell’imminente fine del mondo.
Sybil Ann Dorsett, una ragazza completamente apatica.
Ruthie Dorsett, una bambina di 2 anni.
Clara Dorsett, molto religiosa come  Nancy ma meno angosciata dal timor di Dio.
Helen Dorsett, una Shirley paurosa ma che non esita  a lottare per superare le difficoltà.
Marjorie Dorsett, una ragazza divertente e sempre curiosa intellettualmente.
La Bionda, una ragazza senza nome, evanescente e ferma all’età di 18 anni.


 
Il film del 1976, con remake del 2007 per la regia di Joseph Sargent


 Il romanzo di Wulf Dorn si apre con una lettera anonima inviata a Jan Forstner, psichiatra della Waldklinik di Fahlenberg. Credo sia abbastanza eloquente per inquadrare il personaggio femminile al centro della narrazione:

 Carissimo Jan,
  nessuna storia ha un lieto fine. Richard Gere può salire altre mille volte la scala antincendio e baciare la sua Pretty Woman, ma è soltanto un’illusione.
   Infatti, per quanto speriamo, per quanto lo desideriamo, il bacio prima dei titoli di coda in realtà è una menzogna. È il principio mascherato da fine. Quello che conta è ciò che segue.
  Le fiabe che ci sono state raccontate da bambini, invece, sono molto più sincere. Hai mai provato a riflettere sulla frase che si trova in fondo a ogni fiaba?
   E vissero per sempre felici e contenti.
  Con una verità ineludibile. Infatti il per sempre sta a indicare la fine della vita. In fondo c’è comunque la perdita. L’aspetto più cinico è che risulterà tanto più lacerante quanto maggiore è stata la felicità precedente. Quando un giorno riceverai questa lettera, avremo sofferto entrambi e il dolore sarà indescrivibile. Sarà il momento in cui capirai che cosa significa l’amore vero e che niente a questo mondo accade per caso.
  Credimi, per quanto soffrirai, mi ringrazierai di questo dolore. Anzi, di più. Mi amerai per questo. Proprio come io ti amo fin d’ora. Ora, che non sei neppure consapevole della mia esistenza.
     Con il pensiero sono sempre insieme a te. E ben presto nemmeno tu potrai più dimenticarmi.[pp.9-10].


 Tutto ha inizio quando Bettina, la graziosa infermiera di 21 anni, bussa allo studio del dottor Jan Forstner per recapitargli un gran mazzo di rose rosse senza biglietto e lo psichiatra crede erroneamente che a mandare le rose sia stata Carla Weller, la giornalista che ha appena pubblicato un libro e che è in viaggio per promuoverlo. Jan è felice, ma anche sorpreso, perché negli ultimi tempi ha notato un certo distacco da parte della donna che è anche la sua compagna. Scopre di essersi ingannato quando riceve due telefonate, quella di Carla e quella di una sconosciuta voce femminile che gli sussurra al microfono “Senza di te non ce la faccio”.

 La descrizione dei sentimenti di questa donna misteriosa che, in forma anonima entra a tratti ma costantemente nella narrazione, consente allo scrittore tedesco di introdurci in un caso di Limerence [ultrattaccamento], una patologia individuata dalla psicologa Dorothy Tennov che, a seguito di uno studio scientifico e sperimentale sull’amore romantico, pubblicò nel 1977, il libro Love and Limerence: The Experience of Being in Love.




 Con Limerence, la Tennov indica l’idealizzazione irrazionale della persona amata e l’attaccamento ossessivo-compulsivo nei suoi confronti, con il desiderio spasmodico che l’ amore sia ricambiato. La sindrome patologica si caratterizza con manifestazioni fisiche e psichiche, quali stati ansiosi, tachicardia, pensieri intrusivi che disturbano ossessivamente la mente, l’azione e la vita relazionale del limerent [del tipo: non riesco a combinare nulla perché penso sempre e solo a te…], con una particolare attenzione accordata alle azioni, ai pensieri e alle parole della persona amata, di volta in volta interpretati favorevolmente come segnali di un amore ricambiato o, viceversa, valutati come prova del non essere amati. Il disturbo, nella maggior parte dei casi presi in esame, è più intenso ma si esaurisce in più breve tempo nella donna-limerent, soprattutto se anche l’uomo nel frattempo è diventato limerent. Detta con altre parole, più facilmente dell’uomo, quando la donna affetta da “ultrattaccamento amoroso” si rende conto di essere ricambiata, cessa automaticamente di amare. In ogni caso, il limerence, sia nell’uomo che nella donna, non arriva mai a superare i tre anni, fatte salve le degenerazioni patologiche.


 E certo una degenerazione in tal senso è nella donna che ha inviato a Jan il mazzo di rose rosse, come si comprende nel colloquio che, con il volto celato dal cappuccio di un impermeabile, ella intrattiene, nel confessionale della Chiesa di San Cristoforo, con Felix Tanner, il parroco trentaduenne della diocesi di Fahlenberg:

 “Dei passi risuonarono nella navata laterale e, attraverso la grata del confessionale, Thanner vide la sagoma di una persona passargli davanti. Poi la porta laterale del confessionale si aprì e subito dopo egli udì un fruscio di stoffa nel buio.
 «Signore, perdonami, perché ho peccato» bisbigliò una voce femminile.
 Era una voce giovane, anche se era difficile attribuirle un’età. Poteva essere tra i venti e i trentacinque anni. In ogni caso era la prima volta che Thanner la sentiva.
 «Il Signore che illumina il nostro cuore ti conceda un sincero pentimento dai tuoi peccati» disse Thanner, recitando la consueta formula di accoglienza, ma la donna lo interruppe.
«Niente litanie!» sibilò. «Non le sopporto.»
«D’accordo, niente litanie. Dimmi che cosa ti cruccia.»
Thanner la sentì respirare. Era come se dibattesse con se stessa se non fosse meglio andarsene via subito.
«Io… non so se posso» bisbigliò. «Però…»
«Sì?»
«Io… devo parlarne con qualcuno. Altrimenti… mi strazierà.» […]
«Non avevo altra scelta» sussurrò. «Ho dovuto farlo per salvarmi. Non ho visto altra via d’uscita… perché non c’era altra via d’uscita.»
«Che cosa hai fatto?» chiese Thanner, anche se era convinto di non voler sentire la risposta. Questa donna gli incuteva timore, anche se non capiva perché. Era solo un oscuro presentimento, e forse lei lo stava ingannando.
Oppure no
In ogni caso, nonostante tutti i timori, doveva spingere questa donna a confessarsi, qualunque emozione lui provasse al riguardo. Era suo dovere. Lui era solo un tramite con Dio.
«Dimmi, mia cara, quale peccato ti angoscia così tanto?»
Dopo un breve istante di esitazione, lei rispose, laconica e fredda.
«Ho ucciso.»
Felix Thanner trasalì. Aveva previsto quella risposta. Che cos’altro poteva angosciarla tanto da non poter essere neppure pronunciato?
«Ho ucciso una persona» ripeté. «E non è stata la prima.»
[pp.72-74].

  Entrando nel vivo della narrazione, apprendiamo così che la ragazza dalle rose rosse ha già ucciso due volte, la prima per un amore non corrisposto, la seconda per essere stata riconosciuta da un testimone. Ora che è nuovamente affetta da limerence, questa volta nei confronti del dottor Forstner che evidentemente conosce bene, anche se lui non sa chi lei sia, siamo quasi sicuri che ucciderà ancora, per gelosia o perché qualcuno si porrà sulla sua strada per impedirle di raggiungere il suo “amore per sempre”. Ma chi è la donna che, per dimostrare tutto il suo “vero amore”, al telefono dice a Jan di chiamarsi Jana?

sergio magaldi







venerdì 11 ottobre 2013

ESOPO E LA RECENTE CRONACA POLITICA



  Se il grande Esopo avesse messo in favola gli ultimi giorni della politica italiana, sicuramente avrebbe narrato di un rospo tra lupi, falchi e finte colombe, che fa lo sciacallo per essere il delfino di un re travicello.







 È un fatto che i recenti avvenimenti abbiano mostrato per l’ennesima volta la vera natura di Silvio Berlusconi. Approssimandosi il momento della sua decadenza dal Senato, ha lanciato una sfida: minaccia di dimissioni di tutti i parlamentari del PDL e, un attimo dopo la ritorsione di Letta sull’IVA [vedi i post La politica italiana tra spettri e parassiti e Il Belpaese dismesso], le dimissioni dei ministri del suo partito. Non l’ha fatto forte di una decisione scaturita dal dibattito interno, né la prima né la seconda volta, secondo un principio che dovrebbe guidare l’azione di ogni partito in uno stato democratico, dove le opinioni si confrontano e la maggioranza ha il diritto di sostenere le proprie finalità, fatto salvo il diritto della minoranza di rappresentare l’opposizione all’interno dello stesso partito.

 E, dopo il primo errore di non aver indovinato il tempo giusto di apertura della crisi, le modalità per aprirla sono state il suo secondo errore, perché con ogni probabilità la maggior parte del PDL avrebbe accolto la sua proposta e la minoranza sarebbe stata delegittimata ad agire in difformità di decisioni prese a maggioranza. È vero che in tal caso, con altrettanta probabilità, il partito si sarebbe spaccato, ma Berlusconi avrebbe avuto gioco facile nell’additare i frondisti di fronte al proprio elettorato. Il terzo errore è stato di non essere andato sino in fondo nella decisione annunciata sino ad un’ora prima della votazione, togliere cioè la fiducia al governo Letta. Con un voltafaccia incredibile – che non potrà non avere ripercussioni tra i suoi elettori, anche se qualcuno si lascerà convincere che in questo modo ha salvato l’unità del partito – Berlusconi ha annunciato il voto di fiducia di tutto il PDL. L’ha fatto con poche e semplici frasi, seguite da molta commozione, per essere stato costretto a cedere a delfino, lupi e colombe e per essere consapevole che quelle era forse l’ultimo discorso che pronunciava in Senato.

 L’uomo è questo, incapace di una decisione risoluta da portare sino in fondo e sempre pronto a rimangiarsi tutto, quando sia in questione il proprio potere personale e l’interesse del momento. Lo abbiamo già visto all’opera per vent’anni, quando proclamò il prossimo avvento di un’Italia liberale, con la fine delle corporazioni, la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, lo snellimento della burocrazia, un fisco più equo, la promessa di un milione di nuovi posti di lavoro, il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione della spesa pubblica, la soppressione degli enti inutili e delle province, l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Cosa resta di tante parole e di tante promesse? Nulla! L’unico merito che forse gli va riconosciuto è quello di essere riuscito ad abolire temporaneamente l’IMU sulla prima casa e di essersi opposto, peraltro senza successo, allo smodato desiderio di tassazione che da sempre anima il centro sinistra.

  L’impressione è che questa volta Berlusconi abbia fatto male i suoi calcoli, andando contro il suo stesso interesse. Si dice che in Senato a voltargli le spalle sarebbero stati in 23 sui 110 senatori di cui complessivamente dispone il PDL. Personaggi senza carisma, alcuni dei quali già screditati presso l’opinione pubblica, per lo più dal passato democristiano e senza alcuna presa tra gli elettori. Certo, sarebbero bastati a Letta per ottenere la fiducia. Ma per fare che? Chi non ha ancora capito che qualsiasi governo in Italia è destinato a correre su una pista obbligata che è quella del rigore e delle tasse, secondo il volere dell’Eurogermania, e che l’unica cosa che possiamo ottenere in cambio è il contenimento dello spread, al prezzo di una continua decrescita del PIL, di un aumento della disoccupazione e di una recessione permanente?

 L’unica cosa che questo governo è in grado di fare è appunto varare la legge di stabilità, dando con ciò assicurazione ai mercati finanziari che i titoli del debito pubblico italiano non sono ancora spazzatura. Al massimo, oltre ad approvare nuove tasse a sostegno della cosiddetta stabilità, l’esecutivo potrà varare una nuova legge elettorale per reintrodurre il sistema proporzionale, con il duplice intento di colpire il Movimento Cinque Stelle e gettare le basi per una rinascita della Democrazia Cristiana, forte di Scelta Civica, UDC e colombe PDL, per un patto stabile di governo tra PD e Nuova DC che alla lunga finirebbe per erodere voti al partito democratico, sia al centro in favore dei nuovi democristiani, sia a sinistra in favore di SEL, CINQUE STELLE e/o di altri movimenti. Naturalmente tutto questo finché i cittadini, ridotti allo stremo, non decidessero di dire l’ultima parola. 

 Su questo disegno del Grande Centro che in prospettiva, per qualche nostalgico, potrebbe anche includere una parte del PD, personalmente nutro forti dubbi. Intanto perché lo stesso PD è già stato egemonizzato dagli ex-democristiani i quali perciò, almeno nell’immediato, non hanno alcun interesse a lasciare il partito. Poi perché, quando sarà chiaro che l’azione di governo continuerà ad essere caratterizzata dal nulla, peggiorando ancora di più tutti i parametri economici, ogni prospettiva di nuove formazioni centriste cadrà automaticamente, favorendo le ali più estreme dello schieramento politico, come sempre accade in circostanze simili.

 Per gli stessi motivi, non credo che la rivolta dei 23 all’interno del PDL avrebbe avuto molta fortuna sul piano elettorale. I sondaggi accreditano oggi le colombe di un benevolo 7% per aver scongiurato le elezioni, ma un domani, alla prova dei fatti, c’è da esserne sicuri, quella percentuale non supererebbe il 2-3%. Possibile che Berlusconi, per quanto con l’acqua alla gola, sia stato incapace di questi calcoli, preferendo il ruolo di un re travicello? Si dice che l’abbia fatto per non spaccare il partito da lui fondato. Può darsi, credo però che la verità sul suo ripensamento sia un’altra e probabilmente scaturisce da tutta una serie di considerazioni:

1)  Berlusconi sa di non avere una classe politica e un elettorato disposto a seguirlo sino in fondo sulla strada dell’opposizione che, mai come oggi, significa sfida all’Eurogermania e alla politica del rigore e dell’austerità, così come non fu seguito nel ’94, dopo aver lanciato coraggiosamente il programma per un’Italia liberale in un partito nato per difendere e consolidare le rendite di posizione e i privilegi corporativi.
2)  Berlusconi sa perfettamente che questo governo non riuscirà a combinare nulla e che prima o poi anche le colombe saranno costrette a mollare, allora potrà disporre dell’intero partito per la campagna elettorale e del sostegno di tutto il suo elettorato, stanco del governo delle larghe tassazioni.
3) Berlusconi non vuole un partito articolato in correnti e la celebrazione di un congresso che ne sancisca ufficialmente l’esistenza [secondo la proposta sensata di Raffaele Fitto], perché in tal caso verrebbe meno il suo potere personale, fondato sulla mediazione, e si accontenta per il momento di fare il re travicello, nella speranza che il tempo lavori per lui.
4) Berlusconi, dopo un gesto coraggioso, ma non impulsivo come si vorrebbe far credere – nella proposta di sfiducia era infatti implicito l’auspicio dello scioglimento delle Camere e il non pronunciamento politico sulla sua decadenza – ha capito che la sfida sarebbe stata inutile se il governo avesse ottenuto comunque la fiducia.
5) Berlusconi, dunque, a conti fatti, ha preferito “ingoiare il rospo”, anche considerando che per le sue vicende personali e per la sorte delle sue aziende, stare al governo, data la situazione, è più vantaggioso che stare all’opposizione. E l’attuale dibattito su indulto e amnistia potrebbe alla fine premiare il rapido voltafaccia.






D’altra parte e con non minore perspicacia, il delfino, del quale tuttavia si dice da più parti – per restare nella metafora esopea – che non sia un’aquila, ha capito che proprio la mancanza di un’articolazione democratica all’interno del PDL [senza la celebrazione di un congresso che riconosca alle colombe il ruolo che gli compete, cioè quello di una minoranza] gli sconsiglia di creare gruppi autonomi in Parlamento e meno che mai una nuova formazione politica. Perché andarsene se con le poche forze di cui dispone può dettare la linea politica del partito?

Tutta la vicenda mostra che Berlusconi ha perso comunque l’occasione storica di poter essere altro da quello che è stato per vent’anni – e non c’era quasi da dubitarne –  ponendosi alla testa di un elettorato capace di mettere da parte i propri interessi immediati per guardare in faccia il futuro dell’Italia, avviata all’inesorabile decrescita economica, alla crescente disoccupazione e alla perdita della sovranità nazionale a vantaggio di un’Europa sempre più tedesca.

sergio magaldi































 


martedì 1 ottobre 2013

LA POLITICA ITALIANA TRA SPETTRI E PARASSITI





  Il precipitare degli eventi, con la crisi di governo, mostra chiaramente che la classe politica italiana non è soltanto vergognosa [vedi il recente post Il Belpaese  dismesso], ma anche ottusa e autoreferenziale e che le sue scelte sono fatte a sommo dispetto dei cittadini, trattati con un disprezzo che sarebbe persino eccessivo nei confronti di sudditi privi di qualsiasi diritto costituzionale. La questione si può riassumere nei seguenti punti:

1) Il governo delle cosiddette larghe intese, tra PD e PDL, è stato voluto fortemente dal presidente Napolitano che, rifiutandosi di mandare Bersani o chiunque altro in Parlamento alla ricerca di una maggioranza alternativa, ha ritenuto persino giustamente che l’unico governo stabile potesse essere rappresentato dall’alleanza tra forze in apparenza antagoniste, come centro-sinistra e centro-destra, così come avvenuto in casi simili in altre democrazie del Continente.

 2) Ciò di cui il presidente Napolitano non ha tenuto conto è che la probabile condanna di Berlusconi, leader indiscusso del centro-destra, avrebbe inevitabilmente generato una crisi di governo. Non potendo di necessità, e com’è giusto in uno stato di diritto, interferire con i processi della Giustizia, il capo dello Stato avrebbe dovuto almeno pretendere, così come aveva fatto al momento della rielezione, minacciando le dimissioni, che il governo varasse prima ancora dell’estate una nuova legge elettorale, nell’eventualità di una crisi al buio all’indomani della condanna definitiva di Berlusconi. Il paradosso è che ciò che non aveva consentito subito dopo il voto di Febbraio, debba concederlo ora, rinviando Letta alle Camere in cerca di una maggioranza alternativa che comprenda, almeno al Senato, i cosiddetti responsabili, cioè i transfughi di PDL e Movimento Cinque Stelle, in aggiunta a SEL e ai quattro senatori a vita, tutti opportunamente pescati di recente nell’area del centro-sinistra.

 3) Il Partito Democratico ha cercato già dal momento della formazione del governo – non si sa se per ingenuità o per   mancanza di lungimiranza politica – di distinguere tra il centro-destra e il suo leader, sino al punto, dopo la definitiva condanna di Berlusconi in Cassazione, di fare di tutto pur di accelerare l’estromissione del leader del centro-destra dal Parlamento e dalla vita politica. Insomma, invece di prendere atto che per l’odiato nemico politico si profilava ormai l’arresto domiciliare o il confino ai servizi sociali e con la nuova pronuncia della Cassazione del prossimo 19 Ottobre, l’interdizione dai pubblici uffici, prima in grado di appello, poi definitivamente al massimo entro la fine dell’anno, ha inteso anticipare con cecità politica e scarso senso dello Stato la caduta dell’alleato-avversario. In altri termini, se la Commissione inquirente del Senato avesse accolto le perplessità di diversi giuristi circa la legittimità della retroattività della legge Severino e avesse fatto richiesta alla Corte Costituzionale di pronunciarsi in merito, la mela sarebbe ugualmente caduta dall’albero e senza sporcarsi le mani, con ciò togliendo ogni alibi al centro-destra.

 4) Il PDL, dal canto suo, non ha mostrato minore tracotanza e superficialità del PD. Prima votando compatto la legge Severino, senza preoccuparsi che di lì a pochi mesi potesse volgersi contro il suo leader, poi nemmeno pretendendo che la norma fosse accompagnata da una dichiarazione di non retroattività, secondo il disposto dell’art.25 della Costituzione [Ciò che dà la misura dell’infinita supponenza di Berlusconi e della scarsa sagacia dei suoi consiglieri, falchi o colombe che siano]. Infine minacciando nei giorni scorsi le dimissioni di tutti i parlamentari, qualora la suddetta Commissione avesse dichiarato a maggioranza dei suoi membri [PD-Scelta Civica-Sel-Cinque Stelle] la decadenza dal Senato del suo leader. Decadenza, è bene sottolinearlo, che non sarebbe stata effettiva sino all’eventuale approvazione della maggioranza dei senatori convocati in assemblea straordinaria.

 5) La reazione di sdegno di tutte le vestali della democrazia di fronte alla minaccia di dimissioni dei parlamentari PDL non è stata improntata al buon senso né al senso dello Stato e al rispetto per i cittadini-sudditi. In luogo di considerarla per quello che era, una misura più facile da dichiarare che da realizzare, si è ritenuto di poterla utilizzare per imprimere una svolta alla crisi. In particolare, il capo del governo ha subito dichiarato che le conseguenze inevitabili sarebbero state [Ma per chi? Naturalmente per gli italiani…] l’annullamento del decreto per far slittare l’aumento dell’IVA, il ripristino della rata di Dicembre dell’IMU, e con molta probabilità addirittura di quella di Giugno, già perché Governo e Parlamento in 8 mesi non hanno trovato il tempo di approvare definitivamente un solo decreto significativo. E a differenza dei parlamentari del PDL che le dimissioni le avevano presentate solo nelle mani dei capi-gruppo di partito, Letta ha mostrato di fare sul serio, annullando immediatamente il decreto di slittamento dell’aumento dell’IVA a poco più di 48 ore dalla sua entrata in vigore e annunciando la richiesta del voto di fiducia. Così stando le cose, e venendo meno il decreto sull’IVA che era tra i punti programmatici degli accordi di governo, era inevitabile che i ministri PDL si sarebbero dimessi.

 6) La risposta stizzita di Letta alla ventilata minaccia di dimissioni dei parlamentari del PDL, mostra la sua statura di governante: i provvedimenti sull’IVA e sull’IMU sono sempre stati per lui e per l’intero PD solo una speciale concessione fatta al centro-destra e non una misura per alleggerire il peso delle tante tasse pagate dagli italiani, aumentando nel contempo i consumi e diminuendo la recessione. Una concessione peraltro concordata tra PD e PDL per gabbare ancora una volta gli italiani, perché trasferire una tassa [IMU prima casa] all’interno di un contenitore più grande, la cosiddetta tassa sui servizi [Service tax], non è esattamente abolirla e far slittare l’aumento dell’IVA, non mediante un taglio sugli sprechi della spesa pubblica, ma con l’aumento dei carburanti ed elevando sino al 103% l’anticipo fiscale delle aziende, non è poi un provvedimento tanto popolare… Può però anche darsi che il presidente del consiglio abbia colto al volo l’occasione di una probabile spaccatura all’interno del PDL o in alternativa l’opportunità di staccare la spina del governo per tornare ad occuparsi del partito e di Renzi.

7) PD e PDL hanno attinto a piene mani alla politica del “tanto peggio, tanto meglio”. Il PDL perché, se realmente avesse avuto a cuore l’interesse dei cittadini, avrebbe dovuto attendere almeno l’approvazione del decreto sull’IVA prima di minacciare le dimissioni dei propri parlamentari, come gesto di solidarietà nei confronti di Berlusconi, la cui sorte, almeno per il momento, è comunque segnata. Il PD perché, nella persona del capo del governo, non ha capito che l’idea di far pagare l’aumento dell’ IVA e l’IMU sulla prima casa agli italiani, come gesto di ritorsione alla minaccia del PDL, finirà per ricadere sul centro-sinistra, non a torto visto come il PARTITO DELLE TASSE, imposte non per risollevare le sorti del Paese, ma per affossarlo definitivamente, perché nel vocabolario degli epigoni di DC e PCI il denaro pubblico serve unicamente a finanziare la politica, a rifinanziare le banche svuotate dall’ingordigia di tanti manager pubblici, nonché a perpetuare i privilegi di caste e corporazioni di stato.
      






  In conclusione, ora nel PD si grida “al lupo, al lupo” e si paventa il bastone che si abbatterà sulla schiena, purtroppo già curva, della Repubblica, da parte del padrone tedesco. E c’è già chi, con grande irresponsabilità, agita lo spettro dello spread che potrebbe tornare a salire di 200 o 300 punti per colpa del solito noto… a meno che non si trovi in Senato la fiducia di una maggioranza alternativa a quella delle larghe intese. Nel PDL, invece, i lavori sono in corso, con i distinguo di tante colombe, soprattutto di quelle ormai abituate a svolazzare nei ministeri, che prendono sempre più le distanze dall’ira funesta di un leader ritenuto al capolinea, e che non sarebbero insensibili ai tanti parassiti della politica, sempre pronti a rilanciare l’idea del Grande Centro, cioè ad evocare lo spettro di un’altra Democrazia Cristiana oltre a quella che ormai ha egemonizzato il PD.


sergio magaldi