sabato 23 novembre 2013

PUBBLICO E PRIVATO



   In base a quali criteri si può decidere se un servizio di interesse pubblico debba essere gestito dai privati o dagli enti pubblici? Se il criterio fosse soltanto politico si arriverebbe addirittura a teorizzare, come fanno alcuni, che le perdite di gestione sono più che compatibili con la natura del servizio reso e che lo Stato deve farsene garante. Se il criterio fosse soltanto economico, si dovrebbe concludere che la maggior parte delle aziende pubbliche italiane, in deficit di milioni di euro, dovrebbero essere privatizzate.

 Resta la domanda di quale sia l’interesse del privato nel gestire attività che non solo non danno profitto, ma che risultano in grave perdita. La risposta che viene da una certa parte politica è molto chiara: per rendere remunerativi gli investimenti, il privato razionalizzerà il servizio, tagliando i rami secchi e licenziando il personale, con grave danno non solo per l’occupazione ma anche per le utenze. Tanto per fare qualche esempio si pensi a cosa avverrebbe se la distribuzione dell’acqua o la gestione dei trasporti fosse affidata ai privati: le periferie comunali sarebbero tagliate fuori dai rispettivi servizi con il crescente disagio degli strati sociali più emarginati. Senza contare il pessimo esempio che viene da Telecom e Alitalia e dalla tendenza dell’imprenditoria italiana a “spolpare” le aziende d’interesse pubblico, dopo averle acquistate, salvo a rivenderne il guscio vuoto allo Stato e agli enti pubblici, i quali dal canto loro saranno costretti a ricomprare aziende più decotte di quando le avevano vendute. [Vedi il post: Il Belpaese dismesso]. Ve le immaginate le città, i cui mezzi trasporto pubblico cessino di funzionare o dove l’acqua smetta di essere erogata?

 Il ragionamento non fa una piega, ma potrebbe trovare la sua pietra d’inciampo nella realtà, sottoforma di impossibilità a reperire nuove risorse per continuare a gestire in perdita, da parte delle aziende municipalizzate, servizi di preminente interesse pubblico. È un po’ quello che sta avvenendo in questi giorni in Italia, con il caso del trasporto pubblico genovese in prima fila. Fassino, il sindaco di Torino, dichiara che non bisogna temere che i privati abbiano interesse a danneggiare i cittadini e che basterebbe accompagnare le privatizzazioni con clausole a salvaguardia dei servizi e dell’occupazione. Dopo di che resterebbe da chiedersi perché i privati dovrebbero accettare simili condizioni. Per investire sulla perdita?




 A meno di non ammettere che il deficit di tante aziende pubbliche sia unicamente dipeso dagli sprechi dei dirigenti pubblici e dalle ruberie dei politici. Basti pensare a quanto è successo a Roma, dove venivano stampati biglietti falsi di mezzi pubblici, pare, per finanziare la politica e dove appena un cittadino su dieci timbra il biglietto in autobus o sul tram, perché a differenza di quello che avviene in tutte le capitali europee, non è costretto a pagare o a mostrare il biglietto al conducente, al momento di salire sul mezzo di trasporto. Se le cose stanno così, allora ha ragione Fassino e resta solo da valutare quali misure siano più idonee a salvaguardare utenze e lavoratori.

 Le considerazioni di cui sopra inducono ad ulteriori analisi. Non è difficile distinguere tra enti pubblici che erogano servizi di rilevante interesse pubblico ed enti che, pur svolgendo un servizio pubblico, non risultano di vitale importanza per i cittadini, in grado di usufruire dei medesimi servizi grazie all’offerta privata e magari con maggiore risparmio. È chiaro che se i bilanci di tali aziende sono in attivo o almeno in parità, non vanno toccati, ma se così non è [e purtroppo così non è per la maggior parte] e hanno bisogno di continuo di essere foraggiati con denaro pubblico, non si vede quali ragioni ostino alla loro privatizzazione. A meno che tali aziende decotte, non rappresentino la chiave di volta del regime. 

sergio magaldi                                                        



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