mercoledì 25 dicembre 2013

PHILOMENA: FEDE, PERDONO E SPIRITO NATALIZIO

Stephen Frears, Philomena, Islanda, Irlanda, Regno Unito, 2013, 98 minuti


 Philomena, il film di Stephen Frears, viene definito dalla maggior parte della critica italiana come il vero film di Natale e non perché esca sugli schermi proprio in questi giorni! Ispirato ad una storia vera, raccontata sotto forma d’inchiesta romanzata - pubblicata nel 2009 dal giornalista Martin Sixsmith col titolo The lost child of Philomena Lee -, il lavoro più che proporre una denuncia sociale, come Magdalene [2002] un film dello stesso genere, sembra invitare lo spettatore a soffermarsi sul tema della fede e del perdono, secondo l’autentico spirito natalizio.







  Nei panni di Philomena, un’anziana signora irlandese che vive a Londra, è Judy Dench, già celebre interprete teatrale della Royal Shakespeare Company, e approdata al Cinema negli anni Ottanta. I lettori la ricorderanno nella parte della regina Elisabetta, nel bel film Shakespeare in love [1998], che le valse l’Oscar per la migliore attrice non protagonista. 







 Per quanto grande sia l’interpretazione di Judy Dench, nella parte della donna che fu ragazza-madre nel convento irlandese di Roscrea, e che si addolora nel ricordo del figlio Anthony,  nato nel 1952 e che le fu tolto quando aveva solo tre anni, e del quale non ha più saputo nulla, non mi sento di dire che il film raggiunga l’obiettivo d’invitarci al perdono. E la storia narrata, ancorché vera, mi sembra a tratti retorica e melensa. Perché anche la realtà a volte sa esserlo, persino di più della finzione cinematografica.


 È ormai documentato che solo nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, più di 4000 bambini, strappati alle ragazze-madri dei conventi cattolici irlandesi, e senza il loro consenso, furono mandati con regolare passaporto negli Stati Uniti per essere adottati. Molti altri bambini perirono con le loro madri al momento di nascere, perché lo spregevole commercio sconsigliava l’assistenza di un medico durante il parto e la relativa registrazione delle nascite. Quando Philomena rivedrà, vecchia e malata, l’ultima superstite delle suore responsabili della vendita del suo Anthony, le concederà il perdono, senza poter cogliere nella monaca un barlume di pentimento, ma sentendosi dire che toglierle quel figlio era stata la giusta punizione voluta da Dio per il peccato della carne. La fede, come si sa, per chi la possiede è più forte di qualsiasi altro sentimento e a nulla valgono le ragioni che il giornalista Martin Sixsmith, interpretato dall’ottimo Steve Coogan, oppone a Philomena perché denunci pubblicamente la violenza subita, insieme a tante altre giovani come lei.

 Sorprende, francamente, che il film sia stato premiato al recente Festival di Venezia, per la migliore sceneggiatura e non per la migliore interpretazione femminile. A pensarci bene, tuttavia, non è neanche una sorpresa, considerando che il Leone d’oro per il miglior film è stato assegnato ad un documentario noioso come SACRO GRA.

 Se c’è qualcosa di debole nel film è proprio nella sceneggiatura e in particolare nei dialoghi tra Philomena e il giornalista che viaggerà con lei alla ricerca di Anthony che, se vivo, ha ormai compiuto cinquant’anni. Nelle parole e nelle riflessioni a voce alta di Philomena ci sono spesso considerazioni che, più che far pensare alla grandezza della fede e del perdono, sanno di piccola anima borghese: come la valutazione che con lei Anthony non avrebbe raggiunto una certa posizione sociale o il proposito di interrompere la ricerca quando si viene convincendo che il figlio non ha mai pensato a lei e che forse l’ha ritenuta responsabile dell’abbandono. Stupisce semmai, trattandosi di una storia vera, che la donna, sposata e vedova e che ha una figlia già grande, non abbia mai cercato Anthony in quei cinquant’anni o l’abbia cercato male, visto che poi in quattro e quattr’otto, sia pure grazie all’aiuto di Martin, riuscirà a mettersi sulle sue tracce. 






 E ancora: se non sapessimo che è tutto vero, il destino di Anthony sembrerebbe costruito ad arte, tanto è pieno di coincidenze che servono a coinvolgere l’animo dello spettatore o, come è successo a me, a prenderne le distanze come di fronte ad una favola. Comunque sia, l’interpretazione di Judy Dench giustifica ampiamente sia il prezzo del biglietto, sia i 98 minuti passati di fronte allo schermo. Lontano tuttavia dal condividere il giudizio di gran parte della stampa e in particolare quello di Maurizio Acerbi su il Giornale: “Brillante e commovente, con il tema del perdono cristiano che fa da sfondo a un film indimenticabile. Un regalo di Natale.”


sergio magaldi



Nessun commento:

Posta un commento