lunedì 27 gennaio 2014

LA PAROLA EBREO



 Ci sono i “negazionisti” e ci sono di quelli che “negano” il valore del giorno della memoria, dichiarando che non serve la celebrazione di un solo giorno  e che dovremmo serbare memoria dell’olocausto 365 giorni all’anno, nella mente e nella coscienza. Mentre i primi si commentano da soli, sui secondi bisognerebbe interrogarsi se dietro l’apparente antiretorica in realtà vogliono soltanto che non si parli più dei campi di sterminio.







 Per non dimenticarli e per ricordare come i lager nazisti vengono da lontano: dall’indifferenza, dal razzismo e dall’opinione pubblica avvelenata dalla propaganda di una stampa servile, ecco una pagina dal libro La parola ebreo  di Rosetta Loy:










 Si vedano anche in questo blog:








sergio magaldi

giovedì 23 gennaio 2014

CAPITALE UMANO E CAPITALE FINANZIARIO



Human Capital,  il romanzo pubblicato da  Stephen Amidon e giudicato da Jonathan Yardley, critico del “Washington Post”, tra i migliori cinque romanzi del 2004, non risente negativamente della trasposizione cinematografica realizzata da Paolo Virzì, benché siano trascorsi dieci anni dalla sua uscita e l’ambiente in cui si svolge la narrazione non sia quello del Connecticut ma quello della Brianza. Il film si adatta bene all’Italia dei nostri giorni e più in generale a questa fase storica della globalizzazione, in cui il capitale finanziario detta tempi e modi delle dinamiche sociali. Con la realtà che è sotto gli occhi di tutti: tassare sempre di più il cittadino divenuto ormai suddito, perché lo stato possa mantenere il suo apparato senza finire in bancarotta, disinvestire nella produzione di beni, creando disoccupazione e di conseguenza forza lavoro a buon mercato, aumentare in modo esponenziale il tasso di povertà perché la ricchezza si concentri nelle mani dei pochi che detengono il capitale finanziario.    




 Il contrasto tra il cosiddetto capitale umano – inteso come il valore monetario attribuito alla vita umana dalle compagnie di assicurazione – e  il capitalismo produttivo, c’è sempre stato, secondo una logica che ubbidiva alla contrapposizione storica  tra capitale e lavoro. Il fatto nuovo e sotto gli occhi di tutti è l’insorgere di una nuova e sempre più preponderante forma di organizzazione e distribuzione della ricchezza: il capitalismo finanziario, di fronte al quale il capitale umano si riduce a pochi spiccioli.

 La dialettica hegeliano-marxiana [tesi-antitesi] si è infine risolta in una sintesi che non è quella vagheggiata dal materialismo storico e/o dall’idealismo metafisico e ubbidisce ad una logica prima d’ora sconosciuta che cementa di fatto l’alleanza tra capitalismo delle merci e lavoro salariato contro il capitalismo finanziario dell’età della globalizzazione. La lotta è impari, perché alla piccola e media imprenditoria viene a mancare il credito gestito dalle banche per conto dell’alta finanza e il lavoratore sarà costretto ad accettare la diminuzione di valore della forza lavoro che è anche l’unico bene di cui dispone. Può così accadere che l’imprenditore si trasformi a sua volta in lavoratore salariato o sia portato a disinvestire dalla produzione di beni, merci e servizi per investire nel mondo della finanza. Incentivato anche dal diverso sistema di tassazione che, per esempio, in Italia è di circa il 50% sul capitale produttivo e il reddito da lavoro e tra il 12 e il 20% sul capitale finanziario.

 È  un po’ quello che accade a Dino Ossola [Fabrizio Bentivoglio], l’agente immobiliare brianzolo del film di Paolo Virzì che investe nella finanza tutto quello che ha e anche quello che non ha. L’occasione gli viene dal rapporto di amicizia sentimentale che lega sua figlia Serena [Matilde Gioli, in una interpretazione efficace e tanto più sorprendente trattandosi quasi di un’esordiente] al figlio di uno squalo della finanza. Dino Ossola e Giovanni Bernaschi [Fabrizio Gifuni] cominciano con una partita di tennis insieme per poi legarsi in un rapporto d’affari dove, fin dall’inizio, è sin troppo evidente chi finirà per perdere e sarà disposto a tutto pur di non soccombere.

 La Lega Nord non ha gradito la rappresentazione della Brianza quale emerge dal film di Verzì, tra speculatori arricchiti e piccoli imprenditori che si aggrappano ai primi con ogni mezzo, lecito e illecito, pur di sfuggire alla crisi. E soprattutto non ha sorriso della macchietta del consigliere di amministrazione del teatro che Carla Bernaschi [Valeria Bruni Tedeschi, in una interpretazione fisicamente ed emotivamente inappuntabile], moglie di Giovanni, intende restaurare dopo averlo ricevuto in dono dal marito. Col fazzoletto verde che gli spunta dal taschino, il cellulare che lo avverte delle chiamate con il Va’ Pensiero, e con la proposta di  far inaugurare il teatro dal coro della Padania. Mancanza di spirito di alcuni dirigenti leghisti e/o rifiuto di accettare una realtà che l’esigenza dello spettacolo porta di necessità ad estremizzare?

 Non meno interessante – ancorché si svolga su un terreno positivo in cui, a differenza degli uomini,  si muovono tutte le donne del film – è il confronto tra Roberta [Come sempre un’ottima Valeria Golino] la compagna di Dino, e  Carla, la moglie di Giovanni. Dove la prima, anche in virtù della sua professione, si dimostra particolarmente sensibile verso il mondo che la circonda, la seconda, benché appaia china su se stessa e si conceda momenti di bovarismo – per evadere dalla gabbia d’oro in cui l’ha chiusa il cinismo del marito – manifesta un interesse culturale che sa di nostalgia per il “tempo perduto” e un bagliore di coscienza nel rimproverare al marito di essere tra quelli che hanno scommesso sulla rovina dell’Italia e che hanno vinto. Salvo poi a sentirsi rispondere da Giovanni: “Siamo… tra quelli che hanno scommesso…”.

 Giovanna Trinchella su Il Fatto Quotidiano del 12 Gennaio parla del lavoro di Virzì come di un film imperfetto: “ […] fa lasciare la sala cinematografica con un senso di insoddisfazione frustrante perché, nonostante la bravura del cast, il nitore della fotografia, la regia equilibrata, risulta monco. La divisione in quattro capitoli – Dino, Carla, Serena e il Capitale umano – trascura emotivamente e narrativamente proprio quella che avrebbe dovuto essere la figura più importante delle pellicola ovvero il ciclista che muore dopo essere stato investito. Un personaggio questo – con cui il regista avrebbe dovuto farci entrare in empatia – e che invece viene relegato nello spazio di una figurina; inserito a stento nell’album principale. Un tassello quasi insignificante, neanche un comprimario. Messo lì in una tabella, come quella della quantificazione del risarcimento dei danni.” 

 Più che di “insoddisfazione frustrante”, parlerei di sospensione temporanea del giudizio, al momento di uscire dal cinema, per un film che ha tutti gli ingredienti per essere considerato ottimo, cui pure manca qualcosa per emozionare. E non si tratta di quello che la Trinchella immagina perché, se Virzì avesse aggiunto al film un capitolo intestato al cameriere-ciclista, alla vittima, avrebbe finito probabilmente con lo sminuire proprio ciò che ha inteso sottolineare: l’insignificanza che la vita ha nel nostro tempo, simbolicamente espressa dalla cifra che le compagnie di assicurazione assegnano al capitale umano.







 Perché allora un film, cui non manca nulla, e che mette il dito efficacemente sulla crisi italiana ed europea, non arriva ad emozionare lo spettatore? Intanto perché, con l’eccezione del finale [e del “finale del finale” diverso da quello del romanzo] appare talora scontato nelle sequenze narrative e soprattutto perché ha l’aria di un compito ben fatto, impeccabile persino, dove tuttavia è assente il colpo d’ala della fantasia, che è parte integrante della finzione cinematografica e di ogni espressione artistica.


sergio magaldi    

sabato 18 gennaio 2014

L' INCONTRO DEL NAZARENO




 Più che l’incontro del Nazareno  tra Renzi e Berlusconi, che almeno di clamorose sorprese sarà solo interlocutorio, mi sembra interessante l’esame dei commenti e degli anatemi che l’hanno preceduto. L’opposizione di destra e di sinistra all’interno del PD ha tentato compattamente e sino all’ultimo di scongiurare una simile iattura. La destra, perché ritiene che un eventuale accordo tra il segretario e il cavaliere comporterebbe automaticamente la fine del governo delle larghe intese [che peraltro non sono così larghe da quando Forza Italia se n’è tratta fuori], la sinistra, perché non ha mai visto di buon occhio “il rottamatore” e ancora di più perché sta ancora assaporando il gusto dell’uscita di Berlusconi fuori dal “sistema” per via giudiziaria, dopo aver tentato invano per vent’anni di sconfiggerlo politicamente e, per incredibile paradosso, di venire a patti con lui.

 Se non ricordo male, non è stata proprio la sinistra a sostenere che in democrazia l’intesa sulle regole va ricercata con tutte le forze in campo, perché è cosa assai diversa dalla maggioranza che sostiene il governo? Forse mi sbaglio. Resta il fatto che la modifica della legge elettorale, che comprende anche la trasformazione dei senatori da membri del Parlamento a rappresentanti non retribuiti delle autonomie, richiede di necessità un accordo tra le principali forze politiche. E allora dov’è lo scandalo dell’incontro del Nazareno? È forse imputabile a Renzi il fatto che Berlusconi, condannato per reato fiscale, sia ancora il capo riconosciuto del centro-destra? Un minimo di buon senso e di coerenza avrebbe aiutato molti a tenere la bocca chiusa prima di lanciare l’anatema. Gli stessi che meno di un anno fa avevano dato vita al governo delle larghe intese, siglando un patto con Silvio Berlusconi e che prima delle elezioni dello scorso Febbraio, insieme al cavaliere avevano sostenuto il governo Monti.

 La levata di scudi di tanti epigoni di DC e PC nasconde in realtà propositi detti e non detti, una sostanziale mancanza di spirito democratico e una instancabile determinazione a lasciare che L’Italia vada in malora, purché trovino sfogo rancori personali e siano soddisfatti piccoli interessi di retrobottega. Con loro, i tanti giornalisti, più o meno schierati sul fronte del centro-sinistra, onnipresenti  nei Talk show e sempre pronti a dare eco alla “voce del padrone”, di coloro cioè che si preoccupano che la “stabilità cimiteriale” del Paese possa essere alterata. Persino Travaglio, di cui non si può certo dubitare l’avversione a Berlusconi e al berlusconismo, ha ritenuto che per Renzi non vi fossero alternative. Ma i benpensanti non sono di questo avviso, e ritengono che la mossa di Renzi, resuscita Berlusconi, fa uno sgarbo ad Alfano e affonda Letta.

 Per non parlare dei commenti dei politici del Nuovo Centro Destra all’annuncio dell’incontro del Nazareno: dalle minacce, si passa con disinvoltura a similitudini come quella che non avrei mai creduto di udire e cioè che, con l’accordo tra Renzi e Berlusconi, saremmo di fronte ad un nuovo patto scellerato Stalin-Von Ribbentrop!

sergio magaldi

giovedì 16 gennaio 2014

PARALISI PROGRESSIVA E FORSE IRREVERSIBILE DEL "SISTEMA ITALIA"




 La paralisi progressiva e forse irreversibile del “Sistema Italia” è sotto gli occhi di tutti. Le cause della malattia sono tante, proviamo a indicarne qualcuna, più che mai convinti che per la guarigione occorrerebbe un miracolo.

- Il governo del Partito Democratico, di Scelta Civica e del Nuovo Centro Destra  ha voluto e gestito una politica di rapina nei confronti dei sudditi: aumento dell’IVA, ripristino dell’IMU sulla prima casa, in misura tale da far rimpiangere l’ICI, rivalutazione talora esponenziale delle rendite catastali sugli immobili urbani [indiscriminata, non limitata ai centri storici e all’abolizione delle categorie, ormai anacronistiche A5 e A4, e senza tener conto dello stato reale delle singole unità abitative] che farà lievitare ancora di più l’IMU, sia sulle abitazioni principali che sulle seconde case, introduzione della tassa sui cosiddetti servizi indivisibili, pedaggi autostradali elevati mediamente del 10% con punte che si avvicinano al 20% sulle autostrade del nord, dove il traffico delle merci è più intenso, saldi retroattivi d’inizio d’anno su IMU e Nettezza Urbana [TARES], tanto per introdurci a un 2014 costellato di balzelli, e così via…

 Non un euro è stato sottratto ai politici e agli sprechi della politica, alle retribuzioni, liquidazioni e pensioni d’oro, nulla si è fatto per mitigare i privilegi e l’evasione fiscale delle tante corporazioni, alcune delle quali si avvantaggeranno addirittura della nuova ondata di imposte [per esempio i commercialisti, chiamati a far luce sul calendario e l’entità dei pagamenti, e gli avvocati, per i ricorsi che già fioccano contro l’Agenzia delle Entrate, ecc…].

 Il risultato di questa politica lungimirante, che gli ingenui si limitano a definire errata, mentre in realtà è espressamente voluta, è l’esatto contrario di quello che fa finta di essere: si sta lavorando alacremente non alla crescita ma alla decrescita produttiva, con il crollo dei consumi, l’estendersi della povertà, l’aumento della disoccupazione, il fallimento di un ulteriore ed elevato numero di aziende sul territorio nazionale, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, l’esportazione dei capitali, e la politica degli investimenti produttivi all’estero. 

- I partiti, dal canto loro, si misurano per l’ennesima volta sulla riforma della legge elettorale a suon di veti incrociati e c’è da scommettere che partoriranno un mostro o più probabilmente certificheranno la loro perenne sterilità, finendo per consegnare alle urne il vigente sistema proporzionale [dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale che ha soppresso il “Porcellum”], per ripristinare la prima Repubblica e l’alleanza tra vecchia e nuova Democrazia Cristiana [PD e ruote di scorta di centro e di destra], e per fare in modo che tutto rimanga esattamente com’è [Si veda il post  Cambiare... perché tutto resti come prima], con margini di peggioramento che già s’intravedono, per la vita dei sudditi.

- Regioni, province, comuni ed enti vari continuano intanto nella sistematica spoliazione del Paese e c’è da ringraziare la Magistratura se di tanto in tanto il suddito viene a conoscenza di come siano utilizzati i soldi pubblici. Per quanto apprezzabile, tuttavia, il lavoro dei giudici non riuscirà ad impedire la corruttela sistematica che è parte integrante del sistema politico-partitico, così come non ci riuscì “Mani Pulite”.

- I media, con qualche rara eccezione, invece di gridare forte ciò che sarebbe giusto fare secondo una logica di buon senso, si limitano a chiosare le dichiarazioni dei politici in funzione della chiesa cui appartengono e delle lobby che li finanziano. Bravi nel cercare il pelo nell’uovo quando via sia il tornaconto, ciechi muti e sordi quando si tratti di testimoniare una verità sgradita.

 Esemplificativo, a questo riguardo, quanto è avvenuto in questi giorni a proposito del referendum lanciato in rete da Beppe Grillo sul reato di clandestinità. Pronti alla critica, allorché il leader del Movimento Cinque Stelle giudicò inopportuna l’abolizione del reato, dichiarando che una battaglia del genere in campagna elettorale avrebbe determinato per il Movimento risultati da prefisso telefonico [ciò che gli valse la patente di opportunista, razzista e neofascista], altrettanto critici oggi che la maggioranza dei grillini [circa il 60%] si è espressa per l’abolizione del reato di clandestinità.

 Persino Il Fatto Quotidiano ha avuto da ridire che la votazione in rete sia stata fatta con tanta precipitazione! Col rimpianto evidente che la politica dei Cinque Stelle non segua lo stesso ritmo degli altri partiti! La verità è che Beppe Grillo ha dato a tutti una lezione di democrazia sostanziale. Se l’ha fatto perché intuiva quale fosse la volontà maggioritaria all’interno del Movimento, poco importa. Resta la coerenza di aver accettato una condizione di minoranza e soprattutto di aver ribadito che tra i grillini possono coesistere e confrontarsi, almeno in questa fase storica, caratterizzata dall’uso strumentale dell’ideologia, posizioni anche in forte antagonismo tra loro, ma tutte caratterizzate dall’esigenza di mandare a casa questa vergognosa classe politica.

 Mutatis mutandis, non dissimile l’atteggiamento dei media nei confronti del neosegretario del Partito Democratico. Braccato quotidianamente per carpirne dichiarazioni che ne lascino trapelare le “vere” intenzioni – sulle quali discettare per riempire Talk show e colonne di giornali – Matteo Renzi risulta di sicuro anomalo nel panorama politico italiano, proprio come Beppe Grillo. Si cerca di mostrare che il gradimento di cui è fatto oggetto da una consistente parte dell’opinione pubblica, dipende unicamente dal giovanilismo e dalla spregiudicatezza dei modi, così distanti dalle maniere felpate della politica. Lo si rappresenta come il democristiano furbo e ambizioso [in realtà per ragioni anagrafiche non ha mai fatto parte della DC ma solo del Partito Popolare e della Margherita], il Gian Burrasca che ha mandato a casa la vecchia nomenclatura ex PC e DS. Un uomo tanto distante dalla sinistra da costringere un rivoluzionario come Fassina a dimettersi da un governo che non ubbidisce più ad un autentico riformista come Enrico Letta, ma prende ordini da un segretario di partito, autoritario e distante anni luce dalla “vera” tradizione socialista.

 Opinioni, a quanto pare, condivise – secondo quanto scrive Carlo Puca sull’ultimo numero di Panorama – da quanti nel Partito Democratico starebbero organizzando la minoranza di Fronte Democratico. Tutti, più o meno, vecchi militanti della sinistra, che se vedono bene Renzi come “acchiappavoti”, lo vedono meno bene alla guida del partito. Tutta gente che nella vita pubblica e privata non ha fatto né detto altro che “cose di sinistra” [?!], al contrario di questo “vu’ cumprà democristiano” che in pochi mesi pretende di fare le riforme di cui per decenni si è discusso tra le principali forze politiche del Paese e che si permette d’invitare Letta [personaggio sempre gradito alla vecchia nomenclatura e non solo] a non usare il “democristianese” nel parlare del programma di governo.

 Abolizione del finanziamento della politica, soppressione delle Province, taglio degli sprechi, fine del bicameralismo perfetto che paralizza le legislature e trasformazione dei senatori in rappresentanti non retribuiti delle autonomie, decurtazioni delle pensioni d’oro, un piano per il lavoro [Job Act], decadenza del reato di clandestinità, introduzione dello Ius soli e delle Unioni civili, riforma elettorale in senso maggioritario… sono da considerarsi politiche di centro, di destra o di sinistra?

 Qui cominciano i “distinguo” e le tante considerazioni sulla sostanza e sull’attuazione di queste riforme. C’è chi a sinistra vede come fumo agli occhi la rinuncia al denaro pubblico per i partiti, chi preferirebbe il sistema proporzionale per perpetuare all’infinito le larghe intese, chi irride ad un piano per il lavoro scritto da dilettanti [magari giustamente perché senza aumento dei consumi e degli investimenti qualsiasi Job Act risulta inutile], chi storce il naso sulle unioni civili, chi insomma fa di tutto perché non si faccia nulla e si continui a parlare all’infinito…

 E ancora, nel vasto panorama mediatico c’è chi rilancia il solito e sempre efficace discorso sulla dietrologia: “Chi c’è dietro Matteo Renzi?” che ricalca quello già fatto a proposito di Grillo e Casaleggio, e chi assicura che il sindaco fiorentino starebbe per dar vita al “renzismo”, un sistema di potere che ricalcherebbe il già sperimentato “berlusconismo”, dove le tante promesse servirebbero unicamente ad attrarre gli elettori per poi amministrare l’esistente nel solito, dolce far niente.

 È possibile che tutti costoro abbiano ragione, ma se si crede anche solo in parte che le proposte di Matteo Renzi e/o quelle di Beppe Grillo, opportunamente realizzate, servirebbero a rendere più accettabile l’infelice sorte dei sudditi italiani, perché non provare a sostenerle con coraggio? La verità è che in Italia il cosiddetto Quarto Potere è solo la facciata dietro la quale si consumano, con qualche rara eccezione, gli stessi interessi faziosi delle lobby e dei partiti.  

sergio magaldi