mercoledì 26 febbraio 2014

RENZI... OVVERO DELL'INCREDULITA'



  L’Italia è un paese cattolico, anzi… è la culla  del cattolicesimo apostolico romano! Ma gli italiani, o almeno i politici e i loro commentatori  della stampa e delle TV, non credono ai miracoli o almeno a quelli annunciati da Matteo Renzi. Tanto più sorprendente in un Paese che confida nella verità del pianto di statue di santi e madonne di ogni contrada. Anche a volergli credere, c’è prima di tutto lo scoglio della forma irrituale con cui il sindaco fiorentino ha evocato tanti piccoli miracoli davanti al Senato della Repubblica. Con le mani in tasca, senza leggere programmi sonnolenti, scritti dai portaborse come si converrebbe alla dignità del luogo, ma parlando a braccio per più di un’ora e soprattutto annunciando ai senatori, già  nell’incipit, la loro prossima fine come legislatori elettivi e stipendiati.

 Come e più dei giorni scorsi, dopo l’intervento di Renzi al Senato, un unico fascio s’è andato compattando contro il rottamatore: integralisti di destra e di sinistra, leghisti, grillini, vendoliani, barnardiani, radicali e opinionisti di ogni sorta e colore. Senza contare che civatiani, cuperliani e lettiani gli votano la fiducia per disciplina di partito e nella velata [ma non tanto] speranza che per Renzi si verifichino al più presto le condizioni auspicate, con l’abbandono della segreteria politica del PD e il flop di governo, secondo quanto già paventavo nel post del 10 Febbraio u.s. [ clicca per leggere: Renzi, il canto delle sirene e Beppe Grillo ]. 

 Intendiamoci, non tutte le critiche all’interno del Partito Democratico sono state interessate o senza senso. Per esempio, la proposta di Pippo Civati che Renzi si limitasse a far approvare la riforma elettorale con Berlusconi [persino dopo aver esecrato il patto con il Cavaliere! Clicca per leggere: L’incontro del Nazareno, post del 18 Gennaio u.s.], per poi andare immediatamente al voto, è ragionevole, ma si scontra con il principio di realtà. Civati sembra fingere di sapere che un accordo soltanto con Forza Italia [giacché il Nuovo Centro Destra di Alfano, in una simile prospettiva, si sarebbe subito defilato] avrebbe nel migliore dei casi prodotto una nuova legge elettorale, non la riforma costituzionale [per la quale occorre la maggioranza dei 2/3] della soppressione del senato elettivo e legislativo, che è la condizione indispensabile per garantire governabilità, abolire il bicameralismo perfetto, con il rimbalzare delle leggi tra Camera e Senato in un eterno ping-pong, e interrompere finalmente l’inconcludenza del Parlamento italiano e i  governi dei decreti legge.

 Ciò che più colpisce è il tono conformistico e fastidito con cui la quasi totalità della stampa e dei media sottolinea l’arroganza con cui questo ragazzo che non ha ancora quarant’anni [non omettendo di sottolineare che l’unico precedente di un Presidente del Consiglio con meno di quarant’anni nella storia dell’Italia unita fu Benito Mussolini, peraltro con un paio di mesi in più di Renzi], si rivolge all’attuale classe politica [ma non era la casta?] per denunciarne l’impotenza almeno ventennale, per di più presentandosi a Palazzo Chigi con un governo di “mezze calzette”, come è stato detto da più parti, e un programma ambizioso dove vi sono solo titoli e poco più.

 Così, dopo le dichiarazioni fatte da Renzi a Palazzo Madama, “il fascio” di cui parlavo sopra si è impreziosito di tante chicche di politici e giornalisti di chiara fama. Fassina dichiara: “Dico sì, ma non vedo novità”, la Finocchiaro sottolinea la mancanza di dichiarazioni programmatiche nel discorso di Renzi e un eccesso di anticorformismo. Lucia Annunziata che quasi sempre, almeno in TV, legge  le domande fatte agli ospiti, forse per evitare che siano senza capo né coda, dichiara non senza usare il plurale maiestatico: “Diciamo la verità, è stato un discorso senza capo né coda, infarcito di storielle riciclate […] soprattutto da parte di chi non è stato nemmeno eletto […]”. E si potrebbe continuare a lungo, ma sarebbe perdita di tempo. Perché il coro anti-Renzi che si leva da buona parte degli abitanti del Palazzo e dai suoi frequentatori più assidui della stampa è pressoché unanime e, talora, si fa persino beffardo.

 Oltre al tono irriverente con cui s’è presentato nel Palazzo dove echeggia il ricordo di tanta storia patria, e alla faciloneria e superficialità con cui ha accennato al programma di governo, cosa si rimprovera esattamente al sindaco di Firenze? Provo a riassumere:

1)  Il tradimento, innanzi tutto, il “peccato originale” che è alla base della sua ascesa a Palazzo Chigi e che lo “marcherà” a vita, quale che potrà essere il risultato della sua azione di governo. Il giudizio è pressoché unanime, condiviso persino da chi nutre più di una simpatia nei suoi confronti. Tradimento illustrato e rammentato, tra gioco e malizia, con il tweet “Enrico sii sereno!” inviato da Renzi  a Letta, il compagno di partito poi “pugnalato alle spalle”, nonché dalle affermazioni del neosegretario del PD che mai avrebbe preteso di andare al governo senza passare prima per le urne. La verità è un’altra ed è incredibile che ora si voglia far passare Letta per un eroe e Renzi per un traditore! Soprattutto dopo aver preso atto che nei dieci mesi di governo, l’impegno del governo Letta si può riassumere nell’aumento dell’IVA, nel logorio della vicenda IMU, risolta alla fine con un pasticcio oneroso per i cittadini e nell’elargizione di denaro fresco alle banche [come ha ricordato ieri alla Camera il grillino Di Maio a Renzi in risposta ad un cosiddetto pizzino, salvo poi il Movimento Cinque Stelle rimpiangere Letta contro il sindaco fiorentino, come ha fatto di recente la senatruce Taverna]. Quando Renzi ha capito che  le riforme elettorali e istituzionali non sarebbero state approvate, non tanto forse per la volontà del Presidente del Consiglio, quanto per l’interesse oggettivo del Nuovo Centro Destra e che contemporaneamente la sua immagine di neosegretario del PD si sarebbe logorata nella scarsa propensione del governo Letta ad agire sul terreno della riforma del lavoro, degli investimenti produttivi  e delle altre riforme strutturali, ha rotto ogni indugio e preteso di metterci la faccia, come si suol dire. Nessun tradimento, dunque, e neppure un rimangiarsi la parola data di non andare a Palazzo Chigi prima di nuove elezioni. Lo ha fatto sapendo di correre molti rischi, ma consapevole che il pericolo per lui e per il Paese sarebbe stato maggiore se avesse atteso ancora. È ciò che ho cercato di chiarire nel post del 16 Febbraio u.s., Diamo a Renzi… quel che è di Renzi  [clicca per leggere], con ciò non facendo personalmente una giravolta, come taluno ha osservato, forse fraintendendo, ma semplicemente nel tentativo chiarire e di capire, io per primo, le motivazioni dell’apparente voltafaccia di Matteo Renzi.
2)  Congiura di Palazzo e disprezzo della democrazia. Accuse che rappresentano il corollario del tradimento. Si continua in malafede a ripetere che Renzi, dopo Monti e Letta, è il terzo Presidente del Consiglio che sale a Palazzo Chigi privo di “unzione popolare”. È il ritornello intonato a destra come a sinistra, da chi finge di dimenticare che gli italiani sono andati a votare appena un anno fa e che nuove elezioni fatte col “Consultellum”, oltre a comportare la paralisi istituzionale e legislativa all’insegna del solito “tanto peggio tanto meglio”, avrebbe come conseguenza un nuovo governo delle larghe intese e il proliferare di tanti piccoli partiti, alimentati di denaro pubblico e lieti dello scampato pericolo, rappresentato dalla mancata approvazione della legge elettorale, frutto del patto del Nazareno, che li escluderebbe dal raggiungimento della soglia minima per avere rappresentanza parlamentare. Richiesta di andare a votare subito che si giustifica unicamente da parte del M5S che, pur essendo un partito di massa, ha scarse possibilità di vincere con il cosiddetto Italicum, dal momento che la sua forza elettorale consiste proprio nel presentarsi da solo e senza coalizione e che il suo timore più grande è che Renzi, “il cartone animato”, riesca a combinare davvero qualcosa per questo infelice Paese. Come mostra il fatto che Beppe Grillo si sia recato personalmente alle consultazioni con Renzi, rinfacciando al neo presidente incaricato di avergli rubato mezzo programma. Continuo a pensare che la vera soluzione, almeno politica, ai mali dell’Italia, sarebbe un accordo di governo Renzi-Grillo, ma so anche che questo purtroppo non può accadere e la ragione apparente è nella terza accusa fatta a Renzi:
3)  Renzi burattino nelle mani dei poteri forti: ecco il leitmotiv che unisce tra loro forze tanto diverse. Dai nazionalisti agli antieuropeisti, dai sedicenti europeisti che si accontenterebbero dell’uscita dall’euro, quasi che i politici italiani fossero inglesi e non fossero entrati nell’euro per nascondere le proprie malefatte. Da chi invoca il ritorno alla sovranità monetaria dell’Italia che permetterebbe di dilatare a piacimento il debito pubblico, nella convinzione che questo salverebbe il Paese, grazie ai maggiori consumi e agli investimenti pubblici e privati, dimenticando che le politiche keynesiane presuppongono una realtà produttiva non basata sulla globalizzazione, sulla delocalizzazione delle imprese e sulle scommesse del capitale finanziario. Con la conseguenza che alla breve espansione dei consumi interni, farebbe subito riscontro un’inflazione non troppo dissimile da quella che si verificò in Germania tra il 1914 e il 1923, quando per acquistare beni di mera sopravvivenza occorrevano milioni e miliardi di marchi. E infine dagli europeisti convinti e democratici, certi che, se i nostri governanti andassero a battere i pugni sui tavoli di Bruxelles e di Francoforte, dove batte il cuore di Eurogermania, sarebbero ascoltati e nascerebbe di sicuro l’Europa democratica dei popoli e degli eurobond. Una visione non si capisce se più ingenua o più astuta. Come pretendere che Hitler avrebbe risparmiato gli ebrei se qualche rabbino fosse andato a  chiederglielo a brutto muso, e non ci fosse voluta la terza guerra mondiale e soprattutto l’intervento americano per sconfiggere il dittatore tedesco e liberare l’Europa dal nazismo. In conclusione, secondo quest’ottica,  Renzi sarebbe solo un “figlio di troika” [secondo l’espressione coniata ieri dai grillini] e il burattino più adatto, dopo Monti e Letta, per portare a termine il lavoro sporco, con la svendita dei gioielli nazionali, cioè delle aziende pubbliche ancora non decotte, e introdurre la completa cinesizzazione del lavoro salariato. A nessuno di costoro viene in mente di domandarsi se per caso Renzi non sia in grado di ritagliarsi un piccolo spazio tra l’America di Obama e l’Eurogermania della Merkel. Stati Uniti e Inghilterra sembrano stanchi di questa Unione Europea a conduzione franco-germanica, i cui confini di mercato si dilatano sempre più ad est del Continente e in tutto il Globo. C’è un interesse oggettivo degli anglosassoni: ridimensionare la Russia di Putin senza dilatare oltre misura lo strapotere tedesco.

 Tra gli oppositori di Renzi non mancano poi i “dialoganti” o pseudo tali, da annoverare soprattutto, come dicevo sopra, tra i tessitori dell’opinione pubblica, disposti anche ad accantonare nel dibattito le accuse pregiudiziali di cui sopra. Sono le vestali del Gattopardo [vedi il post del 22 Dicembre 2013: Cambiare…perché tutto resti come prima], quello che gli italiani delle corporazioni, delle rendite, dell’evasione fiscale e dei privilegi non vogliono ammazzare, come direbbe Alan Friedman, perché tutto in questo Paese resti identico a se stesso. Anche qui la gamma è vasta: si va da chi parla di “dilettante allo sbaraglio” e si domanda se Renzi  “c’è o ci fa”, a chi gli sussurra garbatamente e col sorriso sulle labbra dove ha intenzione di prendere i soldi [circa cento miliardi] per fare tutte le cose confusamente accennate nel discorso programmatico per ottenere la fiducia.

 Dov’è il colpo di genio? Ecco Matteo tirare fuori i primi sessanta miliardi dei famosi cento, nell’incredulità nazionale ai piccoli miracoli, eccolo annunciare agli scettici che il denaro servirà a rimborsare immediatamente i crediti che le imprese vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Immettendo denaro fresco in un sistema produttivo privo di liquidità. In che modo? Grazie alla Cassa Depositi e Prestiti, sul modello di quanto già fece la Germania all’epoca della riunificazione tedesca. Si stenta a crederlo, se fosse così semplice, Berlusconi, Monti e Letta l’avrebbero fatto prima di lui! Di sicuro è un’altra delle bugie di Renzi! Finché non è lo stesso Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, a comparire in TV, a notte alta, per confermare tutto!

  Ciò non significa naturalmente che Renzi salverà il Paese, gli si conceda però che ci sta provando in buona fede. Insomma, crediamogli, almeno per il momento, e diamo a Renzi… quel che è di Renzi!

sergio magaldi


domenica 16 febbraio 2014

DIAMO A RENZI...QUEL CHE E' DI RENZI!




  Avevo invitato Renzi, novello Ulisse, a legarsi all’albero maestro della nave e a otturarsi le orecchie per non ascoltare il canto delle sirene e cedere alle loro lusinghe, durante la navigazione sino al porto delle riforme istituzionali e costituzionali [Post del 10 Febbraio 2014: Renzi, il canto delle sirene e Beppe Grillo]. Canto tanto più sospetto, perché proveniente anche dalla minoranza più consistente del suo partito, e nella prospettiva che il cosiddetto scoop di Alan Friedman e la concomitante chiamata di Renzi al Colle potessero non essere casuali [Post di Martedì 11 Febbraio 2014: Segreti di Pulcinella].

 Avevo però anche aggiunto che a spingere subito il sindaco di Firenze verso Palazzo Chigi, potesse essere la valutazione realistica della difficoltà di muoversi nel mare delle riforme senza essere al timone della nave, tenuto conto che la nuova legge elettorale è legata in modo indissolubile all’abolizione del Senato elettivo e legislativo [per il rischio di avere due diverse maggioranze tra Camera e Senato] e che, nella più rosea delle previsioni, occorrerebbero forse non meno di due anni per andare a votare con l’Italicum.

 Sempre che a complicare le cose non ci si metta la reintroduzione delle preferenze, invocata a gran voce dalle tante false vestali della democrazia rappresentativa, dagli stessi alleati di coalizione di NCD e persino da quella parte del PD che ha sempre osteggiato il voto di preferenza. Non solo con Bersani, ma sin dall’epoca in cui molti degli attuali democratici militavano nelle file del Partito Comunista. Con il rischio che Berlusconi faccia saltare l’accordo sulle regole, decretando per ciò stesso il fallimento di Renzi, prima ancora che s’insedi il suo governo per “rifare l’Italia”.

 Senza contare che i sondaggi, se oggi si andasse a votare con la legge elettorale uscita dal patto del Nazareno, considerano probabile la vittoria del Centro Destra, facendo persino a meno del premio di maggioranza. Con la relativa disfatta di Renzi, costretto a lasciare la segreteria del partito e forse la vita politica, per aver riportato al governo il nemico storico del Centro Sinistra.

 Un rischio troppo grosso. E che deve aver contribuito a far riflettere Renzi sull’assunzione di un rischio calcolato, anche se questo gli fa perdere di popolarità tra la sua gente, gli lascia intravedere l’improvvisa freddezza e persino l’ostilità di parte di quella stampa che sino a ieri lo aveva blandito [raro esempio di coerenza, restano costanti nei suoi confronti sia l’inquietudine manifesta di Eugenio Scalfari che l’atteggiamento palesemente “fastidito” di Massimo Franco, voci importanti del giornalismo e volti arcinoti dei talk show. Il che non può che giovare a Renzi, prefigurando una possibile discontinuità nell’azione di governo del sindaco fiorentino, rispetto alla recente “stabilità cimiteriale”]. E, soprattutto, lo costringe a difendersi da chi [e sono in tanti, dal M5S alla Lega Nord, passando per vari partiti e movimenti di opinione] lo indica come la nuova marionetta ad uso di noti burattinai nazionali e internazionali al servizio dei soliti poteri forti, nella consueta veste di impresari dello spettacolo planetario in scena nell’età della globalizzazione, dell’euro e dell’ascesa del capitale finanziario. Accuse che non sarebbero state risparmiate a Renzi neppure se fosse salito a Palazzo Chigi dopo aver vinto le elezioni, ma che inducono alcuni tra i più acuti osservatori a porsi la domanda “Perché ora?”.

 La questione non è di poco conto e viene affrontata sapientemente da Francesco Maria Toscano: Chi vuole subito Renzi a Palazzo Chigi? [www.ilmoralista.it]:

“ […] Chi, e perché, ha impresso una svolta destinata ad imporre Matteo Renzi a Palazzo Chigi? […] La prima delle ermeneusi proposte, che definiremmo per comodità di tipo politico-profano, è frutto esclusivo del libero ragionamento di chi scrive. La seconda, di tipo esoterico-iniziatico, è invece in gran parte debitrice delle suggestioni ricevute in dono da ambienti riconducibili al network massonico sovranazionale di Grande Oriente Democratico. Partiamo dal primo punto. Cosa spinge Renzi ad accettare la nomina a Premier senza passare per le urne? Il Rottamatore non rischia, così facendo, di  bruciarsi prematuramente? Io credo che a Renzi, molto più cinico e calcolatore di quanto comunemente non si creda, non sfuggano affatto i rischi coevi di una operazione che i suoi nemici avranno gioco facile nel bollare immediatamente come ennesima e oscura “manovra di Palazzo”. Allo stesso tempo però il sindaco di Firenze teme, non senza ragioni, di finire presto stritolato dalla inconcludenza di un governo molto impopolare che necessariamente cammina sulle gambe del “suo” Pd. Come se ne esce? La soluzione è tutt’altro che facile. In un Paese normale, con un Presidente della Repubblica normale, il popolo sovrano sarebbe chiamato alle urne per dirimere la spinosa vertenza. Ma l’Italia, ahimè, non è più un “Paese normale”. E’ un protettorato alla mercé di una oligarchia invisibile che vede (vedeva?) in Giorgio Napolitano il suo più efficiente terminale. A questo punto, scartata l’ipotesi di continuare a sostenere il governo Letta nel timore di logorarsi per nulla, impedita la possibilità di un immediato ricorso al voto democratico per la nota e risaputa idiosincrasia verso il popolo del monarca ben assiso sul Colle, quali opzioni restano al nostro arguto Matteuccio? Una sola. Ovvero “la manovra di Palazzo”. Rimane però sul tappeto un problema abbastanza ingombrante: come riuscire a conciliare l’immagine fresca e popolare che il sindaco di Firenze si è faticosamente costruito con l’accettazione di una investitura figlia dei soliti, logori e stantii giochini di potere? Ritengo che nella mente di Renzi frulli l’idea di provare a “sterilizzare” tale criticità presentandosi agli occhi degli italiani come risorsa, ultima e indispensabile, costretta ad accettare obtorto collo una nomina non voluta né richiesta, a patto però di ricevere un via libera pieno e incondizionato. Renzi, ne sono relativamente certo, se mai dovesse ricevere il mandato per formare il governo, non medierà con nessun partito. Al contrario formerà la sua squadra infarcendola di nomi difficilmente riferibili alle segreterie dei partiti che oggi sostengono il governo Letta. Dopodiché sottoporrà la sua squadra al giudizio del Parlamento. Sapendo che di fronte ad una eventuale bocciatura delle sue scelte, quindi, volente o nolente Napolitano, non rimarrebbe a quel punto altro da fare se non tornare alle urne. La seconda lettura, sintesi delle raffinate confidenze pervenutemi da ambienti di God, delinea invece un quadro alquanto differente. Il Venerabilissmo Maestro contro-iniziato Mario Draghi, vero regista del progressivo annichilimento della civiltà italiana ed europea, non a caso oggetto di recenti salamelecchi da parte dello stesso Renzi guarderebbe con fastidio all’ipotesi futuribile di un Renzi eletto premier sulla scia di un forte consenso popolare. Tale eventualità potrebbe in teoria accrescere il potere contrattuale del Rottamatore agli occhi dei soliti cenacoli, aumentandone il tasso di indipendenza in misura probabilmente incompatibile con la sadica prosecuzione del doloso processo di desertificazione attualmente in corso. Imbrigliare Renzi dentro una cornice compromissoria, al contrario, questa la ratio dissimulata della sottile e perfida strategia in atto, finirebbe giocoforza per limitarne di molto il potenziale “rivoluzionario”, trasfigurando cioè fin da subito un potenziale Gianburrasca in docile burattino da tenere al laccio finché serve.”

 Le due “ermeneusi” non sono così distanti e soprattutto sono più che compatibili tra loro. Dico subito che non condivido alcune delle analisi contenute nella “prima lettura”, circa le valutazioni sul presidente Napolitano e sulla opportunità di andare a votare oggi col “Consultellum” che prefigurerebbe di nuovo le “larghe intese”, questa volta direttamente tra Renzi e Berlusconi. Sulla “seconda lettura”, indubbiamente suggestiva, mi chiedo come si possa definire Mario Draghi il “vero regista del progressivo annichilimento della civiltà italiana ed europea”, quando ci sarebbe da chiedersi se le cose per il nostro Paese sarebbero andate meglio, tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2012, se nel delicato posto di Draghi ci fosse stato un non italiano. E se le responsabilità della decadenza europea non siano piuttosto da ricercare nella vocazione egemonica di Eurogermania gestita dai cosiddetti poteri forti, sempre richiamati, ma poi identificati sempre con voluta ed erronea approssimazione. E se in particolare, la decadenza italiana non sia stata causata da un sistema politico, corrotto e inconcludente che ha creduto di poter sfuggire alla resa dei conti semplicemente nascondendosi dietro l’euro.

 Ciò premesso, Renzi non ignora affatto il rischio che gli viene dalla diffusione, tra i suoi stessi sostenitori, di una lettura del suo operato di tipo “esoterico-iniziatico”, come la definisce Toscano. Ma sa anche di non avere scelta e/o forse presume – come già dicevo nel citato post del 10 Febbraio – di essere più astuto di chi l’ha voluto a Palazzo Chigi anzitempo. Sa di giocarsi una partita, dove è chiamato a “rifare l’Italia”, senza tuttavia scontentare i padroni europei e i loro mandanti, e crede di potercela fare. Il primo tassello sarà la riforma costituzionale con la fine del bicameralismo perfetto e la modifica del titolo V della Costituzione per ridurre il potere e la corruzione delle Regioni. Seguirà la nuova legge elettorale e anche su questo Eurogermania lo lascerà pedalare senza mettergli i bastoni tra le ruote. Problemi sulle nuove politiche del lavoro, sul taglio della spesa e sulla riduzione del costo della politica potrebbe averle solo in Italia. Con l’Europa, il problema ci sarà quando e se cercherà di trovare denaro fresco per ridurre il cuneo fiscale e abbassare le tasse, per rilanciare i consumi, aumentando la produttività e diminuendo la disoccupazione. Perché dovrebbe al tempo stesso tassare la rendita finanziaria [si veda in proposito il post del 23 Gennaio u.s., Capitale umano e capitale finanziario], sforare il famoso tetto del 3%, tra PIL e debito pubblico, e ottenere una proroga del Fiscal compact. Obiettivi difficili da raggiungere ma non impossibili, anche se sulla tassazione della rendita finanziaria incontrerà l’opposizione degli alleati del Nuovo Centro Destra. Ostacolo che potrà essere superato, anche con l’aiuto dell’opinione pubblica,  bilanciando la tassazione con la riduzione del prelievo fiscale sul reddito delle persone e delle imprese. Più difficile sarà su questo punto vincere l’ostilità del capitale finanziario, ma se gli riuscirà avrà vinto la sua battaglia e lo sforamento del famoso 3%, già concesso a Francia, Spagna e non solo, ne verrà di conseguenza. Come pure la proroga del Fiscal compact.

 Insomma, per l’obiettivo minimale [riforme costituzionali e istituzionali], Renzi si è già assicurato una doppia maggioranza, mentre per il progetto ambizioso di legislatura, a conti fatti, egli ha molte frecce al suo arco e qualcuna potrebbe davvero raggiungere il bersaglio. In questa prospettiva fanno ridere davvero le minacce del Nuovo Centro Destra di prendersi ancora 48 ore per decidere se appoggiare il governo. A beneficio dei propri elettori e/o per il solito valzer delle poltrone? Renzi fa sapere giustamente che non intende subire ricatti. È già pronta una maggioranza alternativa e se Napolitano e una fetta del PD porranno ostacoli, saranno costretti a mandare il Paese alle urne. A questo punto, s’indovina facilmente quale potrà essere la soluzione. Nuovo Centro Destra e Popolari, formazioni neonate in Parlamento e non nel Paese, sono avvertite.

 In definitiva, se in precedenza ho messo in guardia il sindaco di Firenze contro il canto delle sirene, era soprattutto per due motivi: il timore che la minoranza del PD ne approfittasse per riguadagnare la segreteria del partito e lasciare che dopo Letta si bruciasse anche Renzi e che, soprattutto, fosse impossibile “rifare l’Italia” con Alfano e i suoi fratelli. Timori non del tutto sopiti, ma circoscrivibili in un rischio forse minore di quello che costerebbe sia a Renzi che al Paese continuare con un leader che in dieci mesi non è riuscito a presentare neppure una proposta di legge elettorale - che è stato anche il motivo principale in base al quale Napolitano gli ha conferito l’incarico di governo - e che solo alla vigilia della sua decadenza ha indetto una conferenza stampa, per sventolare il libretto delle buone intenzioni, con fare giocondo e fingendo che nulla fosse accaduto.

sergio magaldi   


martedì 11 febbraio 2014

SEGRETI DI PULCINELLA



 Le rivelazioni contenute nel libro di Alan Friedman un tempo sarebbero state catalogate come “Segreti di Pulcinella” e invece i quotidiani di questa mattina si scatenano in ampie disamine circa  il loro contenuto, e un ponte ideale viene gettato tra destra e sinistra dura e pura, unite nel prospettare l'opportunità delle dimissioni del Presidente della Repubblica, colpevole di aver contattato Mario Monti per un eventuale incarico di governo sin dal Giugno 2011. 

 Né mancano le lezioni di “liberalismo” nei confronti di Giorgio Napolitano, di cui non a caso si ricorda il passato di militante comunista e dunque sostanzialmente illiberale, in un Paese libero e giocondo, democratico e felice, quale fu per cinquant’anni  l’Italia democristiana. 

 Ciò che sembra dimenticato è che solo dieci mesi fa le principali forze politiche, con l’eccezione di M5S e poco altro, invocarono la rielezione al Quirinale di Napolitano, benché fossero tutte già consapevoli di quanto oggi rivela il giornalista anglosassone. Il quale, dal canto suo, intervenendo a Piazza Pulita, alle anticipazioni del suo libro in uscita, ha aggiunto una chiosa sul giornalismo italiano, incapace a suo giudizio di “dare notizie libere e non di parte”, come invece accade a lui, giornalista vero, cui non compete minimamente preoccuparsi dell’uso strumentale che può essere fatto della verità.

 E se da destra ora ci si mostra  scandalizzati, naturalmente per il “complotto” ordito in quei mesi nei confronti dell’attuale leader di Forza Italia, dalla sinistra dura e pura e sedicente liberale si pone l’accento ancora una volta sulla “colpa grave” di Napolitano, non certo per aver “complottato” contro Berlusconi, ma per non aver consentito al popolo italiano di andare al voto, invece di “brigare” per installare a Palazzo Chigi un tecnocrate voluto dai poteri forti. 

 Insomma, il vero torto del Presidente sarebbe di non aver mandato gli italiani alle urne con una legge elettorale incostituzionale, definita “Porcellum” e nell’identica prospettiva di riproporre la  governabilità solo attraverso le larghe intese, per di più in un momento in cui la speculazione finanziaria aveva preso di mira l’Italia [si continua a ripetere per far cadere Berlusconi] e la Spagna che, guarda caso, pur non avendo il suo Berlusconi, fu oggetto di un attacco finanziario che fece volare lo spread ancora più in alto di quello italiano.

 Scrive giustamente L’Unità di questa mattina “Giù le mani da Napolitano”, nell’inconscia autocritica di dover difendere da accuse ingiustificate un uomo di quasi novant’anni che, magari sbagliando, ha cercato in buona fede di agire a vantaggio dell’Italia e nell’intento di coprire un sistema politico corrotto e vergognoso, incapace persino di darsi una legge elettorale in grado di garantire la governabilità. 

 Viene da chiedersi a questo punto se il vero scoop del libro di Friedman non consista tanto nella testimonianza, sui fatti in questione, resa da Mario Monti e da altri, quanto piuttosto nel fatto che personaggi così prestigiosi si siano prestati a renderla solo a due anni di distanza da quegli accadimenti. E se tutto questo abbia qualcosa a che vedere con l’improvvisa e frettolosa convocazione di Matteo Renzi ieri notte al Quirinale, prima ancora che al Colle salisse Letta, come in precedenza era stato annunciato. Mi auguro soltanto che ciò non prefiguri la cosiddetta staffetta alla guida del governo, esiziale a mio giudizio, prima di ogni altra considerazione, proprio per la sorte politica di chi ha promesso di voler rifare l’Italia. Ciò che già scrivevo nel post di ieri: Renzi, il canto delle sirene e Beppe Grillo.


sergio magaldi     

lunedì 10 febbraio 2014

RENZI, IL CANTO DELLE SIRENE E BEPPE GRILLO





 L’ipotesi di una staffetta di governo tra Letta e Renzi rientra ormai nel novero delle possibilità. Non è solo il parere dei media, ma quello degli addetti ai lavori della politica. Io continuo a dubitarne. Non posso immaginare che il neosegretario del PD cada ingenuamente nella doppia trappola che amici, compagni e avversari gli stanno preparando. Mi rifiuto di credere che l’ambizione e la volontà di bruciare le tappe dell’ascesa a Palazzo Chigi impediscano a Renzi di vedere la realtà. Come non accorgersi che a sollecitarlo alla staffetta è soprattutto la minoranza del suo partito, nonché il Nuovo Centro-Destra, con il quale sembrava impossibile sino a ieri un accordo per un programma di governo che comprendesse anche le unioni civili? L’intento è abbastanza palese: far uscire il sindaco di Firenze allo scoperto, metterlo nella condizione e nella contraddizione di dover scegliere tra un governo a lunga scadenza [magari sino alla fine delle legislatura] con  Alfano, Lupi e Giovanardi e un governo cosiddetto di scopo con Forza Italia, limitato all’approvazione della legge elettorale.

 Nella prima ipotesi, ad essere messa in dubbio non sarebbe solo l'alleanza del Nazareno con il cavaliere, ma la stessa credibilità di Renzi. Nella seconda, come giustificherebbe il sindaco di Firenze, in termini di popolarità, lo slogan ripetuto ancora di recente: “Mai al governo con Berlusconi, ma solo un accordo sulle regole, come è giusto che sia in ogni paese democratico”? A meno che Renzi non abbia la presunzione di credersi più furbo di chi astutamente gli tende la trappola. Il segretario sa che la vera pietra d’inciampo della riforma è l’abolizione del Senato legislativo e delle Province e la revisione del titolo V della Costituzione, cioè l’unico contenuto convincente dell’intero pacchetto del Nazareno. Sostituendosi a Letta, potrebbe illudersi di avere maggiori garanzie per far passare la riforma. Concordando con il Nuovo Centro-Destra un governo di scopo, sa che il cavaliere non straccerebbe gli accordi. Ma, ecco pronta la seconda trappola: Berlusconi si avvantaggerebbe della presenza di un governo, di cui sarebbe con Grillo l’unico oppositore. Il cavaliere, pur votando una legge elettorale che gli conviene, mostrerebbe all’opinione pubblica l’inconcludenza politica del rottamatore, costretto a gestire un governo sulla falsariga del suo predecessore: nessuna politica per il lavoro, niente unioni civili, nessuna vera riduzione del cuneo fiscale, né riduzione delle tasse per i cittadini, niente di niente: solo una legge elettorale la cui approvazione resterebbe comunque incerta per la presenza nel Parlamento dei franchi tiratori legati alla minoranza del suo partito… almeno 101!

 Insomma, il risultato potrebbe essere il fallimento completo, con il mantenimento del Senato elettivo e legislativo, delle Province e dei poteri abnormi delle Regioni e con il “Consultellum”, cioè il “Porcellum” trasformato dalla Consulta in legge elettorale proporzionale, più o meno come nella Prima Repubblica. E tutto ciò sempre che gli alfanidi siano disposti ad un governo di mero scopo! Il che è piuttosto improbabile, ma non impossibile, tenendo conto che potrebbero essere proprio loro i beneficiari di un esecutivo uscito dalle elezioni con il sistema proporzionale. Il ciclone Renzi si esaurirebbe così in pochi mesi e un Letta bis tornerebbe di moda.

 A meno che Renzi non s’illuda di poter contare su altre maggioranze, formando il governo grazie a un drappello di pentastellati dissidenti, destinato a sciogliersi come neve al sole alle prossime elezioni. Una strada già inutilmente percorsa da Bersani, praticata efficacemente da Letta con i fuoriusciti di Forza Italia e che necessita innanzi tutto dell’approvazione, del tutto improbabile, del Guardiano della soglia. È questa quella che Renzi, proprio ieri, prospettava come la terza soluzione possibile per uscire dallo stallo? Un governo di legislatura con il programma – ha detto –  non tanto di fare la legge elettorale, ma di rifare l’Italia? Rifare l’Italia con i dissidenti pentastellati e con i possibili 101 franchi tiratori del suo partito? Ne dubito, è più probabile che per quella che ha chiamato “la terza soluzione”, Renzi pensi a un governo di larghissime intese con SEL, Nuovo e Vecchio Centro-Destra e con chiunque altro sia disponibile. Crede davvero che un governo del Grande Inciucio, contro il quale ha costruito parte della sua fortuna elettorale, sarebbe in grado di rifare l’Italia? Pensa davvero di mettersi  a capo di un’armata Brancaleone che non reggerebbe unita per l’intera legislatura, che porterebbe a casa pochi provvedimenti e che finirebbe col far aumentare in modo esponenziale il consenso nei confronti di Beppe Grillo, consenso già destinato a crescere per via giudiziaria, in conseguenza dei provvedimenti presi e/o da prendere da parte dei tribunali del Belpaese contro di lui? Non lo credo possibile. Senza riuscire a spaccare il Movimento Cinque Stelle, non sarebbe tanto ingenuo da mettersi a capo di una simile crociata.

 “Chi ce lo fa fare di andare a Palazzo Chigi?, pare abbia detto di recente Renzi ai suoi, anche se nelle stesse ore ha formulato la terza possibile soluzione all’attuale stallo politico. Non ceda alle lusinghe che gli vengono dalle molte sirene e, se è proprio costretto a navigare, come Ulisse si leghi all’albero maestro e prosegua la navigazione, preoccupato soltanto di seguire la rotta già intrapresa. Del patto del Nazareno [si veda il post del 18 Gennaio u.s., L'Incontro del Nazareno] non ha di che pentirsi, né vergognarsi, nonostante i tanti cantori del suo stesso partito che gli remano contro e i duri e puri che da sinistra continuano a suonare le trombe, imputandogli la responsabilità della resurrezione di Berlusconi.

 Prima di ricevere il cavaliere nella sede del Partito Democratico, Renzi aveva tentato un approccio con Grillo e forse era disponibile a scrivere con lui una diversa legge elettorale. Sino al punto di proporre il premio di maggioranza non per le coalizioni, ma per i singoli partiti? Ciò che avrebbe dato al M5S la concreta possibilità di andare al ballottaggio per vincere le elezioni, eliminando davvero il ricatto dei partitini, i quali di fatto con la riforma del Nazareno diventano addirittura determinanti, nonostante si continui astutamente a sostenere il contrario! Non so se Renzi si sarebbe spinto a tal punto, qualora Grillo avesse accettato d’incontrarlo. Una riforma del genere, peraltro conveniente per il PD, non sarebbe stata accettata innanzi tutto nel suo stesso partito, perché troppo sbilanciata a sinistra e avrebbe determinato immediatamente la caduta del governo Letta-Alfano e cementato di nuovo il Centro-Destra. Ma se anche Renzi avesse avuto il coraggio di fare a Grillo una simile proposta, c’è quasi da essere certi che il leader di Cinque Stelle non l’avrebbe accettata, e paradossalmente  non gli si può dare torto, dal suo punto di vista. La fortuna elettorale del Movimento è stata costruita nella conclamata degenerazione del sistema politico italiano che da vent’anni e oltre produce solo corruzione, tasse e miseria crescente per i cittadini. Con quale credibilità andare a trattare con gli attuali partiti politici di cui si continua a sostenere la prossima fine? Non è solo una questione di principio, è soprattutto una questione di voti: Cinque Stelle è un Movimento post-ideologico, la cui base elettorale è formata di elettori delusi di sinistra e di destra e persino di centro ed è l’unica formazione politica capace di far breccia nel partito dell’astensione che ormai ha raggiunto percentuali superiori al 30% dell’intero corpo elettorale.

 Grillo ha dunque ragione a non volersi accordare con Renzi, anche se l’accordo si limitasse ad una legge elettorale in apparenza favorevole al Movimento. Meglio subire quello che con una battuta infelice, ma efficace per i suoi elettori  duri e puri di sinistra, chiama “Pregiudicatellum”, che lo escude da ogni possibilità di andare al ballottaggio, meglio ancora andare a votare senza approvare riforme elettorali ma con il “Consultellum”. Però, neppure Renzi ha torto: stando così le circostanze, l’unica possibilità per lui era stipulare il patto del Nazareno. Persegua ora questa strada sino in fondo, camminando passo dopo passo su un terreno infido ma conosciuto, evitando di farsi trascinare in mare aperto dove potrebbe non avere la forza di Ulisse nel respingere le tante lusinghe delle sirene.


sergio magaldi