venerdì 29 agosto 2014

L'EUROPA TRA COLLABORAZIONISMO E RESISTENZA...





  Riprendendo e chiosando il post del 9 Agosto 2014, Matteo Renzi e l’equilibrio della bilancia, quelli di Democrazia Radical Popolare osservavano tra l’altro:

Quando, alla fine del suo brillante articolo, Sergio Magaldi scrive:

 “Insomma, sarà soltanto dopo la definitiva approvazione delle riforme politiche e la probabile vittoria elettorale del PD che si potrà misurare compiutamente il talento di governo di Matteo Renzi e non solo quello di stratega della politica, sin qui mostrato. Se anche allora, l’Italia  non trovasse la strada delle tante riforme economiche [che sono tutte quelle indicate sopra, nei due piatti della bilancia e altre ancora], allora gli avversari di Renzi avrebbero avuto ragione. Prima no.”,

 davvero egli si illude che la traiettoria di Renzi e la sua futura credibilità (con consenso annesso) dipendano dall’attuazione o meno delle tante riforme economiche sin qui indicate e tracciate nei due piatti della bilancia e in altre ancora ad esse attigue e con esse coerenti?

 Non lo sfiora il dubbio che, invece, anche qualora fosse approvato un mega-pacchetto integrale di quel tipo di riforme economiche (accontentando le attuali richieste sia di centrodestra che di centrosinistra, tutte insieme per non scontentare nessuno) sinora indicate, il sistema economico italiano continuerebbe imperterrito la sua rovinosa caduta libera?

 Non gli viene in mente che, qualora Renzi non cambi drasticamente paradigma politico-economico (altro che maggiore flessibilità rispetto alle regole capestro dell’attuale Eurozona matrigna, come un condannato a morte che chieda di poter morire in modo più dolce e rilassato, con qualche dilazione temporale in più e il fumo di qualche ultima sigaretta…) vigente, per l’Italia non potrà esservi che un presente-futuro di declino economico recessivo e depressivo?

 Perciò, tutte queste discussioni sugli 80 euro, sulle riforme costituzionali, sull’articolo 18,  sul falso in bilancio, sull’uso del cash, sul Senato elettivo o non elettivo, sulle maggioranze certe, sulla governabilità, sulla possibilità di concentrarsi nell’imminente futuro su alcune iniziative economiche (sbagliate o all’acqua di rose, senza alcuna possibilità logica e concreta di incidere sul rilancio del sistema-Paese),ci lasciano del tutto indifferenti e annoiati.In una temperie come questa, ben altre dovrebbero essere le urgenze del dibattito politico-mediatico: implementazione della democraticità sostanziale delle Istituzioni UE, ripristino del primato della politica sulla tecnocrazia e sui centri di potere economico-finanziario sia semi-pubblico che privato; sospensione unilaterale/annullamento integrale del Fiscal Compact, del Pareggio di Bilancio costituzionale e del Patto di Stabilità che impediscono strutturalmente qualsiasi ripresa socio-economica; rovesciamento dell’attuale paradigma neoliberista che guida i processi decisionali euro-atlantici e globali, in favore di una ripresa dei salubri landmarks keynesiani e rooseveltiani, e così via.

 A dar retta invece al dibattito attuale mainstream - di cui anche Sergio Magaldi si dimostra partecipe, sebbene con maggiore finezza e originalità osservativa di altri - ci viene in mente la situazione di chi, mentre la propria Casa abbia una voragine nel soffitto, da cui arriva a catinelle l’acqua piovana scatenata da un furibondo temporale, lasciando inopinatamente di provvedere in qualche modo a tale problema, si preoccupi piuttosto di riparare il lavandino del bidet, il quale sgocciola lievemente…

LE CITTADINE E I CITTADINI DI DEMOCRAZIA RADICALPOPOLARE (www.democraziaradicalpopolare.it)
[ Articolo del 4-11 agosto 2014 ]


 In me non c’è l’illusione ma solo la speranza che Renzi, una volta approvate le riforme costituzionali e la legge elettorale, sappia mostrare, dopo il suo talento politico, anche quello di capo  di governo, se davvero ne ha. E questo avverrà se l’ex sindaco di Firenze, vinte le elezioni per il proprio partito, sarà capace di portare a casa le tante riforme economiche contro l’immobilismo, la corruzione e lo spreco con cui le lobby politiche, burocratiche e finanziarie tengono in pugno questo infelice Paese. Ciò non significa che al termine di questo processo l’Italia esca dalla recessione né che il suo PIL parli finalmente di crescita produttiva, ma questa è l’unica arma di cui può disporre un presidente del consiglio di uno stato a sovranità limitata nel contesto di una Europa dominata dalla Germania e dalla Finanza.

 Credono davvero quelli di DRP che Renzi sia in grado da solo di lanciare una sfida contro Eurogermania che non comporti l’isolamento e la definitiva rovina del Paese? Penso anch’io che un futuro per l’Europa ci sia solo con la resistenza alla politica tedesca di rigore e di austerità, con la nascita di un organismo politico in cui il parlamento non sia puramente ornamentale, com’è oggi, né il governo un’oligarchia in mano alla Finanza Internazionale, né la Banca Centrale un comitato d’affari. Resta da chiedersi come questo sia possibile, in una realtà dove prevale il Divide et Impera teutonico, come anche dimostrano i fatti di questi giorni.

 Eppure Renzi ci ha provato e ha lanciato la sfida. Ha più o meno ottenuto che ai paesi “virtuosi” sia consentito lo sforamento del 3% del rapporto debito-PIL e, per far fronte allo strapotere tedesco e all’egemonia della finanza internazionale, ha cercato di cementare un’alleanza con la Francia alla quale avrebbero dovuto aderire anche Spagna e Portogallo… Tant’è che il 23 Agosto scorso, il ministro dell’Economia di Hollande, Arnaud Montebourg [che rappresenta la sinistra socialista francese con circa il 17% dei consensi], sostenuto da altri ministri, aveva dichiarato a Le Monde  che l’Europa, per liberarsi dall’ “ossessione tedesca per l’austerità”, deve seguire le impostazioni e il fare politico di Matteo Renzi. La conseguenza di quelle dichiarazioni è stata la deposizione immediata del governo da parte di Hollande e la sua sostituzione con un esecutivo di provata fede collaborazionista con Eurogermania, anche se guidato dallo stesso Manuel Valls che era a capo del precedente gabinetto. Quasi nelle stesse ore, la Merkel ha concluso con Rajoy un’intesa politica per un asse Madrid-Berlino che stronca sul nascere ogni e qualsiasi possibile velleità di resistenza anti-tedesca.

 In proposito, Antonio Polito osserva giustamente, nell’editoriale del Corriere della Sera del 26 Agosto, che “Parigi, chiunque sia al governo, non guiderà mai un fronte di opposizione alla Germania. La Francia non ha alcun interesse a diventare il capofila dei deboli. Sia perché la sua missione politica è quella di stare nel cuore dell’Europa, sia perché i mercati la premiano finché resta attaccata a Berlino, con tassi di interesse bassi quando non addirittura negativi, nonostante deficit alti e crescita zero. Perché mai Hollande dovrebbe dunque trasformare la sua retorica anti-austerità in un vero e proprio scontro con la Merkel, come il ministro ribelle lo invitava a fare?”

 Da questa lucida analisi, Polito trae la conclusione che sia bene “non farsi troppe illusioni su presunti assi mediterranei tra Parigi e Roma per piegare Berlino” e che “ogni Paese deve contare sulla sua credibilità prima di ogni altra cosa”. Considerazioni realistiche finché si vuole, queste di Polito, ma fatte all’insegna dell’accettazione prona del divide et impera germanico, perché se è vero che l’Italia deve riacquistare la propria credibilità politica in Europa, attraverso autentiche riforme strutturali, è pur vero che qualsiasi riforma da sola non sarà sufficiente a rilanciare la ripresa economica né in Italia né altrove, se non verrà disegnata finalmente la carta dell’Europa federata dei popoli e dismessa quella di Eurogermania e della élite finanziaria che oggi governa il vecchio continente.

 In questo senso, l’impegno di Renzi non è stato e non è inutile. L’accantonamento a tempo di record del governo francese, in favore di un esecutivo collaborazionista, mostra che una linea di resistenza è ormai tracciata. Resta da vedere per quanto tempo ancora francesi, italiani e spagnoli sopporteranno senza reagire l’impoverimento crescente e la deportazione progressiva e forzata delle ricchezze nazionali a vantaggio del capitale tedesco e internazionale.


sergio magaldi


sabato 23 agosto 2014

QUANDO L'AMORE E' PER SEMPRE...





J.Patterson con E. Raymond, Il nostro amore è per sempre, trad.it. O.Crosio, Corbaccio, 2014, pp.265






 Quando due innamorati si dicono che il loro amore è per sempre, si può essere quasi certi che finirà prestissimo. Perché? La dichiarazione, benché ispirata dal sentimento è di natura cerebrale, basandosi sulla logica che ciò che è vero oggi lo sarà anche in futuro. Ma l’amore ha poco a che fare con la ragione e più di ogni altra sensazione rifiuta l’ipoteca del tempo, figuriamoci quella con l’eternità. E quanto più in alto è stato posto, tanto più facilmente cade dal suo piedistallo. Per questo motivo tutte le civiltà attribuiscono solo agli amori tragici o impossibili l’etichetta di “amore per sempre”, insomma Giulietta e Romeo devono morire entrambi e quasi nello stesso istante perché il loro amore possa essere celebrato con i fasti dell’assoluto, anche se per questo scopo ci vuole Shakespeare e non un cantore qualsiasi.

 “Pensavamo di fuggire dal mondo. /Speravamo di sottrarci alla morsa del tempo. /E per un po’ ci siamo riusciti.”

 Così scrive sulla copertina del suo nuovo romanzo, James Patterson, l’autore più venduto al mondo [16 milioni di copie all’anno], per raccontarci una storia che più banale e scontata non potrebbe essere, fatta su misura per colpire il desiderio degli adolescenti e non solo, e l’entità delle vendite, anche in Italia [3 milioni e mezzo di copie vendute in pochi mesi], la dice lunga sul gusto del pubblico. Però, a onore del vero, occorre dire che l’etichetta di “amore per sempre” è un’invenzione del curatore italiano, infatti il titolo originale del libro è semplicemente First Love “Primo Amore” e di amore per sempre non si parla mai, come peraltro già suggerisce l’iscrizione di copertina di cui sopra. Al massimo, nel romanzo, si trovano citati i versi di una canzone di Bob Dylan:

“Il futuro per me è già una cosa del passato. Tu sei stata il mio primo amore e sarai l’ultimo”. [p.237].

 Una trama studiata a tavolino per un’operazione commerciale perfettamente riuscita. Un amore delicato e così poco carnale, in una letteratura orientata sempre più dal sesso e dalle trame a giallo, un libro che le mamme regaleranno volentieri alle loro figlie adolescenti, con la sola avvertenza di non fuggire di casa, su moto e auto rubate, come il diciassettenne Robinson e la sedicenne Axi.

 Un canto d’amor puro per una generazione alla ricerca di nuovi valori in una società che ne riconosce al massimo tre [sesso, potere e denaro]. Una guida turistica per visitare le bellezze turistiche degli Stati Uniti d’America, come propone Axi al suo quasi coetaneo dal nome che sembra il cognome di un pugile o di un esploratore [Robinson] e di cui è segretamente innamorata:

 “Per cominciare andremo a vedere le sequoie, perché sono assolutamente mistiche. Poi toccheremo San Francisco e Los Angeles, piegheremo a est verso le grandi dune sabbiose del Colorado e da lì raggiungeremo Detroit, la capitale dell’industria automobilistica, Robinson, roba per te. Quindi, visto che sei un maniaco della velocità, non ci faremo mancare il Millennium Force a Cedar Point, sai, le montagne russe. Pare che si sfiorino i centottanta all’ora! Poi andremo a Coney Island. Vedremo il Tempio di Dendur al Metropolitan Museum of Art. Faremo tutto quello che ci pare!” [p.15].

 Non mancano passi scritti con garbo e mestiere: la gelosia di Axi [“Seguii il profumo del caffè fino in cucina. ‘Buongiorno…’ cominciai.
  Ma mi zittii subito, perché Chrissy, a piedi nudi e in una camicia da notte di seta rossa, aveva schiacciato Robinson contro il mobile e lo stava baciando.” [p.104], l’avventura e l’amore sino al sacrificio [“ ‘Scendi, Bonnie!Mi serve aiuto!’ gridò Robinson.
 Obbedii senza pensare. E fu allora che vidi l’amore della mia vita – ladro di automobili, intruso nelle altrui proprietà private e baciatore di spogliarelliste – puntare una pistola in faccia al poliziotto” [p.115], le riflessioni psicologiche con l’implicito invito a non servirsi dei servizi di massa per gustare le bellezze d’America [“C’è un vecchio detto secondo il quale in galera dorme solo chi è colpevole. Chi è innocente rimane sveglio tutta la notte a menarsela, mentre il colpevole ronfa come un bambino, pensando che in fondo è semplicemente dove deve essere e quindi tanto vale farci sopra un bel sonno.
 Robinson e io ovviamente non eravamo in prigione ma su un Greyhound. Era scomodo, però, e puzzolente e con poco spazio a disposizione, come immaginavo che dovesse essere una cella. Non eravamo partiti nemmeno da cinque minuti quando Robinson si sdraiò con la testa sulle mie ginocchia e si addormentò.
 Colpevoli, pensai. Siamo tutti e due così colpevoli.” [p.123]
 






 Che accade poi a interrompere “l’amore per sempre” tra i due giovani innamorati? Lei pianta in asso lui senza una parola? Lui se ne va con un’altra? Troppo scontato! Solo quando Eros, il vero Eros, incontra Thanatos, l’amore diventa per sempre!

 Ciò che piace di più del romanzo sono i versi di Walt Whitman dell’ultima pagina:

 “Se non ci sono in un posto, cerca in un altro.
 Perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te”




sergio magaldi

sabato 9 agosto 2014

MATTEO RENZI E L'EQUILIBRIO DELLA BILANCIA




 Le rosee previsioni di una crescita del prodotto interno lordo [PIL] sono andate deluse. Il trimestre si chiude con un - 0,2. Il risultato è peggiore non solo di quello del trimestre precedente [- 0,1], ma addirittura di quelli registrati negli ultimi anni. Com’è possibile? Pure, Matteo Renzi si era detto sicuro che con l’elargizione degli 80 Euro ai ceti impiegatizi con un reddito annuo inferiore ai 26000 Euro lordi, i consumi si sarebbero riattivati determinando la crescita del PIL. Il capo del governo si è dunque ingannato? Non credo. In realtà, Renzi ha sempre saputo che quella che è stata da più parte definita una “mancia elettorale” gli sarebbe servita al massimo per vincere le elezioni europee. E, per bizzarria del caso, ha ottenuto per il suo partito [PD] un numero di voti pari al numero dei beneficiari degli ottanta famosi euro [circa 11 milioni]. Una mossa che oltre tutto è servita ad accreditarlo a sinistra, non tanto tra i dirigenti quanto alla base del suo partito. Un benefit che né i sindacati dei lavoratori, né il vecchio Partito Comunista erano mai riusciti ad ottenere per i propri iscritti e militanti. D’altra parte, era assurdo pensare che aggiungendo 80 Euro a redditi di sopravvivenza, i consumi sarebbero ripartiti favorendo la crescita economica. Lo dicevo già in epoca non sospetta, cioè prima ancora che gli italiani si recassero a votare per Eurogermania [vedi il post del 22 Maggio u.s., Considerazioni sul voto europeo e il post del 26 Aprile, Il ritorno di Berlusconi]. Scrivevo in proposito nel post del 26 Aprile:

 “Aumentare di una manciata di euro redditi di sopravvivenza non genera consumo ma al massimo produce una lieve, maggiore solvibilità debitoria nei confronti di uno stato supertassatore e/o dei carrozzoni pubblici e privati che dispensano, a costi sempre crescenti, servizi di prima necessità, come luce, gas, acqua ecc…”.

 Mentre nel post del 22 Maggio osservavo:

 “Si è ripetuto più volte che Renzi aveva due possibilità di utilizzo dei dieci miliardi racimolati tra tagli della spesa pubblica, tassazione della rendita finanziaria e delle banche. L’una è quella prescelta, cioè la riduzione di 80 euro del prelievo fiscale nelle busta paga dei lavoratori con reddito compreso tra gli 8000 e i 25.000 euro annui, l’altra era quella di ridurre i costi delle imprese. Non c’è dubbio che tra le due convenisse a Renzi scegliere la prima: più popolare e più gradita ai sindacati e alla minoranza cosiddetta di sinistra del suo partito e soprattutto più idonea a generare voti nelle prossime elezioni europee.”

 Renzi ha dunque ingannato gli italiani e dovrebbe dimettersi come pretenderebbero i suoi avversari? La realtà è più complessa e Matteo Renzi non ha ingannato nessuno, ha solo giocato le sue carte sapendo bene con chi siede al tavolo.

 Marco Travaglio sostiene che se Renzi avesse fatto le riforme costituzionali e la nuova legge elettorale con il Movimento Cinque Stelle, in luogo di allearsi con Berlusconi, avrebbe poi portato a casa i provvedimenti che Forza Italia non vuole e che avrebbero determinato finalmente la crescita del Paese. Vale a dire, secondo le parole stesse di Travaglio, la riforma della giustizia, le leggi contro la corruzione e il falso in bilancio, misure che in gran parte sarebbero invise al leader del vecchio centrodestra. Personalmente, non credo che servirebbero da sole per far uscire il Paese dalla recessione, al più aiuterebbero la fiducia degli investitori stranieri, sempre che nel pacchetto fosse compresa l’accelerazione dei processi civili, cosa quanto mai improbabile anche in presenza di una vera riforma della giustizia. Resta comunque il fatto che i Cinque Stelle voltarono la faccia dall’altra parte quando Renzi offrì per primi a loro l’opportunità di prendere parte alle trattative per le riforme costituzionali e per cambiare la legge elettorale. Salvo tardivi e poco unanimi ripensamenti.

 La verità è che Matteo Renzi ha chiaro nella mente quel che altri non vedono o fingono di non vedere. Senza una nuova legge elettorale, il governo continuerebbe ad essere sottoposto ai ricatti dei piccoli partiti e/o delle larghe intese, cioè andrebbe avanti all’insegna del compromesso sterile, utile solo a mantenere il Paese nello statu quo. Senza il superamento del bicameralismo perfetto, che passa di necessità con l’abolizione del Senato o con la sua trasformazione in Senato non elettivo delle autonomie [Trasformazione auspicata dal PCI subito dopo la guerra], l'approvazione di ogni legge diventa una scommessa. Prima dei provvedimenti veri e propri per rilanciare l’economia, c’è dunque bisogno di mettere le mani, dopo trent’anni di inutili chiacchiere, sulle riforme in questione. 

 Per questo scopo, Renzi ha fatto di necessità virtù cercando il difficile equilibrio, a destra, tra gli alleati del Nuovo Centrodestra e Forza Italia, a sinistra, con le forze del lavoro e il suo stesso partito. Ecco perché i veri provvedimenti per rilanciare l’economia permangono in una situazione di stallo: se caricasse sul piatto della bilancia i pesi voluti dal centrodestra [misure sul lavoro, abolizione dell’art.18, abolizione dell’Irap, tassazione più leggera per le classi medio-alte, sburocratizzazione ecc…], il piatto della sinistra schizzerebbe in alto e i primi a piantarlo sulla strada delle riforme della politica sarebbero i suoi… se viceversa caricasse sulla bilancia i pesi voluti dal centrosinistra [misure ancora più restrittive sulla circolazione del denaro cartaceo e sulla corruzione, introduzione del reato di falso in bilancio, riforma del fisco in senso ancora più progressivo, tetto di stipendi e pensioni ecc…], salterebbe in alto il piatto del centrodestra con buona pace di riforme costituzionali, legge elettorale e della stessa attuale alleanza di governo.

 Insomma, sarà soltanto dopo la definitiva approvazione delle riforme politiche e la probabile vittoria elettorale del PD che si potrà misurare compiutamente il talento di governo di Matteo Renzi e non solo quello di stratega della politica, sin qui mostrato. Se anche allora, l’Italia  non trovasse la strada delle tante riforme economiche [che sono tutte quelle indicate sopra, nei due piatti della bilancia e altre ancora], allora gli avversari di Renzi avrebbero avuto ragione. Prima no.


sergio magaldi     

mercoledì 6 agosto 2014

IL NASCONDIGLIO SEGRETO DI PARIGI

Charles Belfoure, Il nascondiglio segreto di Parigi, trad.it. Nello Giuliano, New Compton editori, Roma 2014, pp.371



 Charles Belfoure, architetto formatosi al Pratt Institute e alla Columbia University, si cimenta per la prima volta con la narrativa dando vita alla figura di Lucien Bernard, un giovane architetto nella Parigi occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Ne nasce una storia non priva di ritmo e di suspense e dove l’atrocità della guerra e della barbarie nazista mette alla luce la radicalità della natura umana, la sua impossibilità a rifugiarsi nel limbo dell’indifferenza nell’illusione di sottrarsi a ogni responsabilità.

 Tipico esempio in questo senso è Celeste, la moglie di Lucien: condanna nel marito il collaborazionismo che lo induce a progettare fabbriche per i tedeschi, ma ancora di più condannerà in lui la realizzazione di nascondigli segreti ad uso degli ebrei cui i nazisti danno spietatamente la caccia. Tant’è che questo sarà un ottimo motivo per lasciarlo. Per quanto si possa parlare di “goccia che fa traboccare il vaso”, resta il fatto che non l’aveva fatto prima, né sapendosi tradita dal marito, né più tardi apprendendo del suo collaborazionismo col nemico.









 Dal canto suo, Lucien non è esattamente un “pescatore di perle”. Ciò che gli preme di più è la sua professione, il denaro che può ricavarne, e il piacere fisico che un matrimonio senza più passione [e per di più senza figli] non è in grado di dargli. In più, c’è nell’architetto di Parigi una buona dose di cinismo che gli viene dall’educazione paterna e che però al momento opportuno sarà in grado di riconoscere e di vincere:

 “Suo padre, geologo di formazione universitaria piuttosto famoso, credeva nella legge del più forte alla pari di qualsiasi paesanotto ignorante. E quando si trattava delle disgrazie altrui, la filosofia era ‘porca puttana, meglio a lui che a me’. Il fu professor Jean-Baptiste Bernard non pareva rendersi conto  che gli esseri umani, compresi tra questi sua moglie e i figli, avevano sentimenti” [p.12].

 Non che Lucien avesse per i tedeschi una particolare predilezione. Li aveva combattuti in guerra sino alla resa e condannava in loro la crudeltà di cui era stato testimone e di cui solo per caso non era rimasto vittima. Inoltre, Lucien amava la sua città e come ogni buon francese detestava l’occupazione nazista:

 “Lucien adorava ogni edificio di Parigi, la sua città natale, la città più bella del mondo. In gioventù l’aveva percorsa in lungo e in largo, esplorandone i monumenti, i viali e le strade, fino alle viuzze più sudice e i vicoli dei quartieri più poveri. Riusciva a leggere la storia della città nelle mura di quei palazzi. Se quel bastardo di un crucco avesse sbagliato mira, lui non avrebbe mai più rivisto quegli splendidi edifici, non avrebbe più calpestato quei ciottoli, o inalato il delizioso aroma del pane che cuoceva nelle boulangeries.” [p.13]











 Patriota, Lucien, ma non fino al punto di credere nella Resistenza che riteneva essere nelle mani dei comunisti e le cui azioni di sabotaggio innescavano la reazione tedesca, provocando centinaia di morti tra i  suoi connazionali. Quanto agli ebrei, pur sapendo che “sono esseri umani come gli altri”, nella sua testa continuavano a circolare le parole di suo padre e di suo nonno, per i quali la parola ebreo si accompagnava sempre a quella di bastardo [p.22].

 Sarà l’incontro con un ricco industriale cattolico, a cambiare il destino di Lucien e soprattutto la sua coscienza. Comincerà a progettare rifugi per gli ebrei. Lo farà per i soldi e per mostrare a se stesso quanto sia bravo a ricavare nascondigli dai posti più impensabili. Presto, però, l’esigenza di salvare la vita degli altri anche a costo della propria, diventerà per lui un imperativo categorico.

 Il nascondiglio segreto di Parigi [titolo originale: The Paris architect, “L’architetto di Parigi”] si legge volentieri, questo non significa che il romanzo [un’opera prima] sia esente da difetti: innanzi tutto l’occhio che osserva Parigi occupata sembra un po’ troppo americano e la narrazione ricorre a diversi stereotipi: il cattolico che salva gli ebrei, l’amante di Lucien che gestisce una casa di moda e naturalmente va a letto con i tedeschi, il nazista ottuso e più spietato degli altri e quello geniale che sotto l’uniforme non ha perso l’umana pietà e… così via. La stessa psicologia dei personaggi non va molto in profondità, come in un edificio di cui è innanzi tutto importante osservare le linee architettoniche, prima ancora di osservarne gli interni. Nel complesso, tuttavia, si tratta di un’opera prima riuscita e che merita di essere letta.


 sergio magaldi