mercoledì 6 agosto 2014

IL NASCONDIGLIO SEGRETO DI PARIGI

Charles Belfoure, Il nascondiglio segreto di Parigi, trad.it. Nello Giuliano, New Compton editori, Roma 2014, pp.371



 Charles Belfoure, architetto formatosi al Pratt Institute e alla Columbia University, si cimenta per la prima volta con la narrativa dando vita alla figura di Lucien Bernard, un giovane architetto nella Parigi occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Ne nasce una storia non priva di ritmo e di suspense e dove l’atrocità della guerra e della barbarie nazista mette alla luce la radicalità della natura umana, la sua impossibilità a rifugiarsi nel limbo dell’indifferenza nell’illusione di sottrarsi a ogni responsabilità.

 Tipico esempio in questo senso è Celeste, la moglie di Lucien: condanna nel marito il collaborazionismo che lo induce a progettare fabbriche per i tedeschi, ma ancora di più condannerà in lui la realizzazione di nascondigli segreti ad uso degli ebrei cui i nazisti danno spietatamente la caccia. Tant’è che questo sarà un ottimo motivo per lasciarlo. Per quanto si possa parlare di “goccia che fa traboccare il vaso”, resta il fatto che non l’aveva fatto prima, né sapendosi tradita dal marito, né più tardi apprendendo del suo collaborazionismo col nemico.









 Dal canto suo, Lucien non è esattamente un “pescatore di perle”. Ciò che gli preme di più è la sua professione, il denaro che può ricavarne, e il piacere fisico che un matrimonio senza più passione [e per di più senza figli] non è in grado di dargli. In più, c’è nell’architetto di Parigi una buona dose di cinismo che gli viene dall’educazione paterna e che però al momento opportuno sarà in grado di riconoscere e di vincere:

 “Suo padre, geologo di formazione universitaria piuttosto famoso, credeva nella legge del più forte alla pari di qualsiasi paesanotto ignorante. E quando si trattava delle disgrazie altrui, la filosofia era ‘porca puttana, meglio a lui che a me’. Il fu professor Jean-Baptiste Bernard non pareva rendersi conto  che gli esseri umani, compresi tra questi sua moglie e i figli, avevano sentimenti” [p.12].

 Non che Lucien avesse per i tedeschi una particolare predilezione. Li aveva combattuti in guerra sino alla resa e condannava in loro la crudeltà di cui era stato testimone e di cui solo per caso non era rimasto vittima. Inoltre, Lucien amava la sua città e come ogni buon francese detestava l’occupazione nazista:

 “Lucien adorava ogni edificio di Parigi, la sua città natale, la città più bella del mondo. In gioventù l’aveva percorsa in lungo e in largo, esplorandone i monumenti, i viali e le strade, fino alle viuzze più sudice e i vicoli dei quartieri più poveri. Riusciva a leggere la storia della città nelle mura di quei palazzi. Se quel bastardo di un crucco avesse sbagliato mira, lui non avrebbe mai più rivisto quegli splendidi edifici, non avrebbe più calpestato quei ciottoli, o inalato il delizioso aroma del pane che cuoceva nelle boulangeries.” [p.13]











 Patriota, Lucien, ma non fino al punto di credere nella Resistenza che riteneva essere nelle mani dei comunisti e le cui azioni di sabotaggio innescavano la reazione tedesca, provocando centinaia di morti tra i  suoi connazionali. Quanto agli ebrei, pur sapendo che “sono esseri umani come gli altri”, nella sua testa continuavano a circolare le parole di suo padre e di suo nonno, per i quali la parola ebreo si accompagnava sempre a quella di bastardo [p.22].

 Sarà l’incontro con un ricco industriale cattolico, a cambiare il destino di Lucien e soprattutto la sua coscienza. Comincerà a progettare rifugi per gli ebrei. Lo farà per i soldi e per mostrare a se stesso quanto sia bravo a ricavare nascondigli dai posti più impensabili. Presto, però, l’esigenza di salvare la vita degli altri anche a costo della propria, diventerà per lui un imperativo categorico.

 Il nascondiglio segreto di Parigi [titolo originale: The Paris architect, “L’architetto di Parigi”] si legge volentieri, questo non significa che il romanzo [un’opera prima] sia esente da difetti: innanzi tutto l’occhio che osserva Parigi occupata sembra un po’ troppo americano e la narrazione ricorre a diversi stereotipi: il cattolico che salva gli ebrei, l’amante di Lucien che gestisce una casa di moda e naturalmente va a letto con i tedeschi, il nazista ottuso e più spietato degli altri e quello geniale che sotto l’uniforme non ha perso l’umana pietà e… così via. La stessa psicologia dei personaggi non va molto in profondità, come in un edificio di cui è innanzi tutto importante osservare le linee architettoniche, prima ancora di osservarne gli interni. Nel complesso, tuttavia, si tratta di un’opera prima riuscita e che merita di essere letta.


 sergio magaldi 

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