giovedì 25 settembre 2014

MASSONERIA E QABBALAH






 [1] Tracciare in poche linee un disegno della Qabbalah e insieme farne intendere il rapporto col simbolismo massonico, è impresa complessa che richiederebbe una lunga trattazione. Ciò che dirò, pertanto, sarà  solo una breve introduzione all’argomento.

 Qabbalah significa Tradizione, rappresentando per così dire il crogiolo di ogni studio e commento della Torah e più in generale di ogni forma del pensiero ebraico. [2] Non escludendo né la dottrina rabbinica né il Talmud, soprattutto lì dove si tratta di speculazioni cosmogoniche sull’opera della Creazione o Ma’asè Bereshit e di meditazioni a sfondo mistico sull’opera del Carro o Ma’asè Merkavah delle visioni di Ezechiele. [3]

 La Torah scritta si compone dei libri del Pentateuco (Genesi o Bereshit, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio). Insieme, le due lettere formano la parola Lev  cuore, a indicare che la vera conoscenza della Torah è una conoscenza del cuore e non dell’intelletto, il che, naturalmente, non significa che la Torah non debba essere studiata, come invece raccomanda espressamente la tradizione ebraico-cabbalistica. Lev cuore ha valore numerico 32 come i trentadue sentieri dell’Albero della vita [in proposito, si veda il post L’albero della vita, cliccando sopra per leggere].

 Il Talmud (‘insegnamento’) è una raccolta enciclopedica della tradizione ebraica, compilata durante un periodo di circa ottocento anni, dal 300 a. C. al 55 d.C., in Palestina e in Babilonia. Si compone di norme morali (Halakhah) e di materiale narrativo di genere vario (Haggadah).
                                                                                           
 In tale prospettiva, non ha senso contrapporre la Qabbalah alla filosofia giudaica, come più di un autore ha fatto. Perché, semmai, la contrapposizione è tra filosofia ebraica e filosofia greca. La Qabbalah, non è la Mistica contrapposta alla Filosofia, è bensì la complessità del pensiero ebraico che si alimenta della tradizione, così come, per certi versi, la Massoneria è la complessità del pensiero simbolico che, analogamente, si alimenta della tradizione.

  D’altra parte, sarebbe altrettanto errato assimilare la Qabbalah al modello delle filosofie occidentali. Se per filosofia s’intente un Sistema teorico e concettualmente concluso, allora la Qabbalah non è una filosofia. Così, per esempio, l’universo o albero delle dieci sephiroth non è il mondo platonico delle idee e il suo manifestarsi da En Soph ‘Infinito’ non ha le caratteristiche proprie dell’emanatismo neoplatonico. Le sephiroth si collocano sull’Albero della vita [4] e sono luci, numeri primordiali o forme pure. Sono dieci quante le dita delle nostre mani e tramite loro, secondo un ben definito progetto architettonico, si manifesta tutta la realtà.

 Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’, facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico  Safor che significa contare e che delle sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Le sephiroth sono perciò ‘luci’ o ‘pure forme’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, le sephiroth si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. Ad ogni sephirah è attribuito un nome. Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether corona, 6 Tiphereth  bellezza e armonia, 9 Yesod  fondamento o generazione, 10 Malchuth regno o terra. Alla colonna di destra: 2 ‘Hochmah  sapienza, 4 ‘Hesed  grazia 7 Netzach  vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah  intelligenza,  5 Gheburah  forza e rigore, 8 Hod  splendore.

  Nella Qabbalah, inoltre, decisivo è il ruolo della tradizione orale, trasmessa bocca-orecchio, e di particolare rilevanza è lo studio, non limitato alla sola Torah, come erroneamente si crede. Altrettanto importanti sono le complesse tecniche di apprendimento e di meditazione e quella parte costituita di operatività che può condurre, ma non necessariamente conduce, a Teurgia e Magia.

 La Teurgia[5] ebraica si distingue dalla Magia, pure praticata in ambiente giudaico, perché il suo quadro di riferimento è la religione biblica e il rispetto di un rituale predeterminato, inoltre la Teurgia, a differenza della Magia, non opera a vantaggio personale ma per il bene del cosmo e dell’umanità. Mopsik individua cinque forme di azione teurgica negli scritti dei primi cabbalisti: 1) (azione) instauratrice (esempio: Genesi 28:20-22, Levitico 26:3-13, Esodo 29:42-46 ecc…) 2) restauratrice (Genesi 8:18-22 ecc…) 3) conservatrice (Le offerte dei sacrifici) 4) amplificatrice(“Benedetto il suo nome…”, la formula sembra in grado aumentare la potenza (Gevourah) di Dio. 5) attrattiva (attrazione della Shekinah, esempio: Esodo 25:8, La Lettera sulla santità ecc..). Un certo intento teurgico è anche presente nella tradizione rabbinica, infatti, oltre a coloro che ritengono impossibile per l’uomo aumentare la potenza divina, ci sono anche coloro che ammettono che un comportamento umano conforme alla Legge, lo studio della Torah ecc.. siano in grado di accrescere la presenza di Dio nel mondo.

 Infine, se si guarda alla Qabbalah storica, quella cioè che si diffonde in età medievale, sulle rive del Mediterraneo, tra le fiorenti comunità ebraiche, ci si accorge che la Qabbalah ha anche questo di peculiare rispetto alla Filosofia occidentale: non si afferma nell’opinione pubblica per l’azione di alcuni ‘maitre à penser’, ma si struttura piuttosto in comunità di studio e centri di ricerca in cui entrano solo i più degni.

 Se non ci sono i maitre a penser, le cui idee si diffondono rapidamente, creando ‘correnti di pensiero’ o suscitando ‘mode’ più o meno durature, nelle scuole di Qabbalah insegnano tuttavia maestri dotati di grande carisma. Uno di questi fu Isacco il Cieco, vissuto tra la seconda metà del 1100 e la prima metà del 1200, e primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah che operarono in Provenza e in Catalogna, in un clima di grande sviluppo culturale delle comunità ebraiche. Fu detto il Chassid (il pietoso) o il Cieco (paradossalmente, perché ‘possedeva luce’ in eccesso), il Parush o il sagghì-nahòr (quello che oggi diremmo un illuminato) e fu uno tra i maggiori peruschim. I perushim provenzali studiavano quasi senza interruzione, praticando digiuni e astenendosi dalla carne e dall’alcool. Si reclutavano tra i primogeniti e preferibilmente tra i discendenti della tribù di Levi.
 
 Huqe ha-Torah, un documento provenzale, descrive la vita che si svolgeva in questi centri per lo studio della filosofia e dell’esoterismo: devozione al maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il dibattito tra i discepoli.

 La lettera di Isacco il Cieco (1160-1235) ai rabbini di Girona ( per il testo integrale cfr. G.G.Scholem, Le Origini della Kabbalà, cit., pp.488-489) attesta del carattere esoterico della scuole da lui ispirate. Egli si occupò di indagini sul nome di Dio, di preghiere, di luce e di tenebra, delle Sephiroth dell’Albero della vita e dei 32 Sentieri, di Kavanah (meditazione) e di Deveqùth (communio), della catena degli esseri, di simpatia universale. Assai prima della Qabbalah luriana, sembra abbia parlato di trasmigrazione delle anime, limitandola a tre ritorni, come si annuncia in Giobbe 33:29: ‘Tutto ciò Dio la fa tre volte in un uomo:ricondurre l’anima dalla sua putrefazione, affinché essa brilli nella luce della vita’. Isacco anticipò inoltre il tema dei cicli cosmici o shemittoth del Sepher Temunah (con riferimento anche alla trasmigrazione animale) e il tema della luce del Sepher Iyyùn (luce e tenebre scaturiscono dall’Oscurità primordiale, cfr. Luz, Trimestrale di studi tradizionali, Har Tzion, n.1, Primavera 1999, pp.3-12). Tra le sue opere: un commento del Sepher Yetzirah, circa 70 frammenti sulla mistica della luce e sui segreti (sodot) della Torah, e qualcuno gli attribuì anche il Sepher Bahir. Sotto la spinta di Isacco il cieco, nel 1230 sorge il gruppo cabbalistico di Girona: la Chaburah qedoshah o Associazione Sacra, vero e proprio punto di riferimento per la diffusione dell’ebraismo e della Qabbalah in tutto il Mediterraneo.


Origine e finalità della Massoneria

   Si sorride spesso di quegli autori che fanno risalire ad Adamo l’origine stessa della Massoneria, quasi che il primo uomo  fosse ricevuto massone dal Padreterno  e all’Oriente del Paradiso…[6]. Pure, l’assunto è contenuto nelle antiche costituzioni: è già presente nel Poema Regius della fine del Trecento ed è ampiamente riportato, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di Cooke, un codice di comportamento  ad uso delle Logge della cosiddetta Massoneria operativa [7]. Da allora, il racconto biblico della discendenza di Adamo – con Jubal fondatore della Geometria e della Massoneria muratoria, con Tubalcain fondatore di tutte le arti del metallo, con Jabal artefice di due colonne incise coi principi delle 7 Arti liberali (Geometria, Aritmetica, Musica, Astronomia, Grammatica, Retorica e Dialettica) e ritrovate intatte dopo il Diluvio universale da Ermete Trismegisto e da Pitagora – entrò stabilmente come preambolo in tutti gli Statuti dell’Ordine Muratorio sino alle Costituzioni di Anderson della Massoneria ‘speculativa’, fondata a Londra il 24 Giugno 1717.

   La convinzione dell’origine adamitica della massoneria, comune sia ai massoni ‘operativi’ che ‘speculativi’, se per un verso è comprensibile per chi ha a cuore, per così dire, la nobilitazione dell’Ordine, per altro verso mi induce a riflettere che l’unanime desiderio degli antichi massoni di riconnettere le proprie radici alla tradizione ebraico-cabbalistica si sostanzia non solo di narrazioni mitiche, pure essenziali, ma – come vedremo – di rituali, di simboli, di parole cosiddette sacre e di passo, perdute e ritrovate. 

   A tale proposito, mi sembra interessante osservare che, anche lì dove sono prevalenti altre tradizioni, non viene mai meno l’idea che la fonte originaria della Libera Muratoria sia da ricercarsi nella tradizione ebraico-cabbalistica


Il principe di Sansevero e la Massoneria

 Nella Lettera Segretissima che Raimondo de Sangro, principe di Sansevero, invia al barone Tschudy [8] si apprende che il dibattito nelle Logge napoletane della metà del ‘700  verte soprattutto sulla tradizione templare, rosacrociana ed ermetica, ma che fondamento di ogni ulteriore scienza e costruzione massonica sono, pur sempre, l’ebraismo e la Qabbalah. Nella Lettera, volendo offrire la chiave universale di ogni successiva speculazione, il Sansevero traccia nell’ordine un punto, un cubo e le seguenti lettere dell’alfabeto ebraico: una Alef  nera, una Alef  bianca, una Bet nera, una Resh nera, una Alef nera, una Bet bianca, una Resh bianca e una Alef  bianca. La Alef e la parola barà, (tracciata, peraltro, dal Sansevero ignorando la scrittura ebraica che procede da destra a sinistra), che significa creò, stanno qui a rappresentare, col punto e col cubo, col bianco e col nero: il momento iniziale della creazione o Bereshit (Genesi 1:1), il primo apparire della luce, lo  I e h ì  O r, il ‘Che la luce sia’ di Genesi 1:3, e ancora: l’unità e la molteplicità della manifestazione. Insomma, per dirla con Raimondo de Sangro, l’Alef bianco del principio presuppone l’Alef nero che dimora in En Soph ‘Infinito’.

  En Soph  ‘Infinito’ è stato spesso confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro. In realtà, l’Apeìron del filosofo ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime solo il caos originario della materia, la mescolanza primigenia di tutte le cose. L’En Soph dei cabbalisti ebrei, invece, non è privativo di qualità ma di luogo e indica l’impossibilità di cogliere l’origine e il fine e ha solo la funzione di far desistere il pensiero dalla pretesa prometeica di voler essere ovunque e tutto risolvere in se stesso. E’ scritto in Zohar (1:21a): ‘En Soph, infinito: in lui non c’è alcuna apertura, ogni interrogativo è vano, come ogni idea per le possibilità del pensiero’.

 Quando, nelle prime scuole medievali di Qabbalah si nomina En Soph è più che altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito.  Si osservi che En Soph si scrive in ebraico con le lettere Alef-Yud-Nun-Samek-Waw-Pe e che il suo valore ghematrico è  207 come Raz segreto e Or luce.

  L’analogia di Alef - En Soph è già contenuta nel Sefer ha Bahir o Libro fulgido, cioè nel primo testo di Qabbalah medievale. Testo fondamentale della Qabbalah, il Sefer ha Bahir appare in Provenza tra il 1150 e il 1200 proveniente dalla Germania o direttamente dall’Oriente. Le sue fonti riconducono al Sepher Yetzirah, alle opere dei Chassidìm tedeschi del XII e XIII secolo, al misticismo della Merkavà e in particolare al libro, andato perduto, ma ripetutamente citato soprattutto da autori caraiti, il Razà Rabbà o Il Grande Mistero, composto tra il V secolo e il secolo VIII.

  Il contenuto magico e angelologico del Bahir è attestato da tutti e sarebbe parte di quella Gnosi ebraica che – a giudizio dello Scholem (cfr., Le Grandi Correnti della Mistica Ebraica, trad., ital., ‘Il Saggiatore’, Mondadori, Milano, 1965 e editr.,‘il melangolo’ Genova, 1990) – deriverebbe dall’antico Gnosticismo. Analizzando il libro, tuttavia, si può osservare come il giudizio dello Scholem possa essere addirittura rovesciato e portare alla conclusione di una derivazione dello Gnosticismo dalla tradizione ebraica o piuttosto dalle ‘sette ebree’ (Esseni, Samaritani, Elkesaiti ecc…) che si distaccarono dall’ebraismo con violente polemiche.

   “… la alef – dice il Bahir – determina l’esistenza di tutte le lettere, a somiglianza del cervello. Come per la alef, alla cui menzione apri la bocca, così avviene per il pensiero, quando pensi a ciò che non ha fine né limite. Dalla alef escono tutte le lettere. Non vedi forse che essa è posta al loro inizio?…”[9]
 
   L’analogia di Alef e di En Soph è tanto evidente che il Genesi o Bereshit inizia con la seconda lettera dell’alfabeto ebraico: la  Bet  una lettera aperta solo da un lato a significare che unicamente gli eventi accaduti dopo il  Bereshit o Principio sono accessibili all’indagine umana.

   La stessa duplice colorazione, prima nera, poi bianca, che il principe di Sansevero fa delle lettere della parola barà ‘creò’, sta a indicare un’essenza originaria, immutabile e oscura, imperscrutabile, e una manifestazione per noi conoscibile. Analogamente, in Zohar[10] è detto che una fiamma troppo oscura per essere vista, zampilla dall’Infinito: si tratta di En Soph Or, luce infinita che non si lascia vedere. Ma, su questa infinita pagina oscura e velata come notte profonda, un minuscolo punto di luce si inscrive improvviso [11].

   Del resto, la stessa esperienza quotidiana ci mostra che ogni nascita proviene dal buio e così è anche per l’iniziato della Massoneria che entra nel buio del tempio per ricevere la luce, luce che gli è concessa dalla Loggia che pure è immersa nell’oscurità o meglio che ‘brilla’ di una luce troppo oscura per essere vista…

   Quel punto di luce, adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci “Dio disse” del Genesi ed è anche il primo istante della creazione. Facendosi altro da sé, l’Infinito si determina ad essere il finito illimitato. Ma il puntino da cui lo yud  è tracciato è per noi invisibile. Dice lo Zohar: ‘Così, l’Infinito penetra la sua stessa aria e scopre un punto, lo yud[12] e ancora: “La luce che il Signore – benedetto il Suo Nome – aveva creato (…) fu subito nascosta, perché gli impuri non potessero gioirne (…) Ella fu riservata per i giusti (…) Ma sino al giorno stabilito (il giorno del ‘mondo a venire’) rimarrà nascosta, custodita in segreto.”[13]

   Da che riconoscere allora la luce che si diffonde da quel primo punto? Come vedere per intero la lettera yud? La risposta è nel successivo versetto del Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.”[14] La separazione consentì all’uomo, per l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo istante della creazione, di vedere finalmente la luce attraverso le cose. Ciò che significa vedere la luce nel contrasto con le tenebre.[15]

   E questo è esattamente ciò che il massone vede riprodotto sul pavimento a mosaico della propria Officina:
 “Tenebre e Luce – scrive Jules Boucher – sono intrecciate sul Pavimento a Mosaico; esse sono tessute insieme, se consideriamo le file delle piastrelle; ma i tratti virtuali che le separano formano un cammino rettilineo, avente il bianco e il nero ora a destra ora a sinistra. Queste linee rappresentano il cammino dell’iniziato, il quale senza rigettare la morale comune sa elevarsi al di sopra di essa (…) Le linee divisorie non appaiono agli occhi dei profani: essi non vedono che le lastre bianche e nere e (…) passano alternativamente dal bianco al nero e dal nero al bianco (…) L’iniziato, al contrario, segue la ‘via esoterica’, la ‘via stretta’, ‘più sottile del filo del rasoio’ e passa tra il bianco e il nero, che non ostacolano il suo cammino…” [16]

   Naturalmente, l’oscurità del quaternario, simboleggiata nella Loggia massonica dalle piastrelle nere del pavimento, non ha nulla a che vedere con l’Oscurità originaria,[17] perché, come sostengono i testi della Qabbalah, l’oscurità ‘di quaggiù’ è solo apparente e l’oscurità ‘di lassù’ non è altro che l’infinita luce che si svela in un punto e subito si nasconde per manifestarsi nel contrasto. La separazione della luce dalle tenebre è dunque solo apparente come è detto in Zohar: “Elohim separò la luce dalle tenebre (Genesi 1:4). Ora non bisogna credere che si tratti di una vera separazione. Infatti il giorno scaturì dal fianco destro della luce, la notte da quello sinistro. Entrambi nacquero insieme e poi furono separati…” [18]

   A fronte di ciò, tuttavia, non va dimenticato che la polarità, sebbene apparente, non può essere eliminata. Non la elimina, né chi segue solo la via delle ‘piastrelle bianche’ né chi segue solo la via delle ‘piastrelle nere’, perché, in entrambi i casi, insorgerebbero presto forze antagoniste e controiniziatiche, quando non bastassero da sole, per chi cammina solo sulle piastrelle nere, le comuni leggi civili e penali. Neppure elimina la dualità lo Zadik, il giusto della tradizione ebraico-cabbalistica. Perché è vero, come dice lo Zohar, che la luce originaria fu riservata per lui, ma gli fu riservata, com’è scritto, per il ‘mondo a venire’…

  Il Principe di Sansevero s’incaricò anche di tradurre, ad uso delle Logge napoletane, Il Discorso cronologico dell’Ordine dei Liberi Muratori, documento diffuso all’epoca delle Costituzioni di Anderson, ma che, in realtà, risale al XV Secolo e alla Massoneria ‘operativa’. Ebbene, nel Catechismo di Compagno si legge, tra l’altro, questo dialogo:

Domanda: Vi sono dei Genji nel Tempio?
  Risposta: Tre, cioè Salomone re d’Israele, Iram re di Tiro, Iram Abif Grand’Architetto.
  Domanda: Chi sono gli emblemi della Sapienza, Forza e Beltà ?
  Risposta: Salomone è l’Emblema della Sapienza, Iram re di Tiro delle Forza, attese le Somministranze fatte a Salomone per la Costruzione del Tempio ed Iram Abif della Bellezza.” [19]

   Le tre luci della Loggia massonica si identificano, dunque, con le figure bibliche di Salomone e dei due Hiram, e il Tempio di Salomone, i cui punti cardinali coincidono con quelli della Loggia massonica, si può a buon diritto considerare come l’emblema stesso della Massoneria, per ciò che la sua costruzione è destinata a non avere mai termine e ben rappresenta lo slancio ideale e gli ostacoli materiali che i massoni incontrano e ai quali cercano di far fronte con l’equilibrio interiore e il mutuo soccorso.

 
La costruzione del Tempio


  Che c’è di unico e peculiare nella leggenda massonica di Hiram che si ispira alla fonte biblica e alla tradizione ebraico-cabbalistica? La costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i massoni e per la quale ognuno sa di dover portare la propria pietra sgrossata.


  Un ideale cammino di perfezionamento, dunque, e una pratica di vita necessaria all’acquisizione di innumerevoli virtù, come il silenzio, il segreto, l’obbedienza, la fedeltà, il coraggio, la carità, la santità, la giustizia. Virtù tutte senza le quali il Tempio non può essere costruito. Benché il massone debba sempre conservare la necessaria umiltà, che lo fa consapevole che il Tempio non può essere terminato, senza la quale umiltà egli cadrebbe nel dogma delle Chiese o peggio ancora finirebbe come quel tale – citato da Kafka – che si stupiva della facilità con cui seguiva la via dell’eternità solo perché la stava percorrendo in discesa. [20]

   Com’è noto, la leggenda di Hiram si collega strettamente alla costruzione del Tempio di Salomone. Il Compagno della Loggia azzurra sente parlare di Hiram allorché è elevato al grado di maestro. Egli apprende dal ‘Venerabile’ Maestro della sua Loggia che Hiram è il grande architetto prescelto dal re Salomone per la costruzione del Tempio

   Hiram aveva diviso gli operai in tre categorie: apprendisti, compagni e maestri dando a ciascuna categoria precise parole di passo per farsi riconoscere e riscuotere il salario dovuto. Un giorno, tre compagni invidiosi, ritenendo di meritare il salario di maestro, chiedono minacciosi a Hiram la parola segreta. Il grande architetto, naturalmente, si oppone gridando ai tre compagni parole che dovremmo meditare a lungo e in ogni circostanza: ‘Non così io l’ho ricevuta! Non così si deve chiederla!’. E sul punto di morire, per le violenze inferte, egli così ammonisce i compagni:

   ‘Lavora, persevera, impara. Solo così avrai diritto alla maggior ricompensa!’.

   Il massone che è sul punto di ricevere la maestria è condotto alla scoperta della tomba di Hiram presso un albero di acacia e attraverso una drammatizzazione, che è il cuore stesso della cerimonia iniziatica, prende coscienza dell’eterno ciclo della morte e della rinascita.

    Dove si trova nella Bibbia la vicenda del tradimento degli operai e dell’assassinio di Hiram? Nell’episodio dei tre levìti Core, Dathan e Abiron. In quale contesto s’inserisce la loro ribellione? E’ il momento del passaggio degli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Ed è anche il periodo di un’abitazione, sia pure mobile e rudimentale, elevata al Signore, prima della costruzione del Tempio di Salomone, com’è detto nel II Libro di Samuele, 7, 6-7:

  “Io non ho abitato in una casa dal giorno in cui condussi i figli d’Israele fuori dalla terra d’Egitto e fino a questo giorno, ma ho camminato in un tabernacolo e in una tenda. In tutti i luoghi per i quali sono passato con tutti i figli di Israele, ho forse io detto ad alcuna delle tribù a cui ho ordinato di pascere il mio popolo: perché non mi avete fabbricato una casa di cedro?”
  
   E infatti il legno di questa primordiale ‘casa di Dio’ non è di cedro ma di acacia (dal greco a-kakìa, cioè puro e senza macchia, il simbolo per eccellenza della Massoneria, rappresentato dal ramoscello della pianta) come è attestato nel Libro dell’Esodo. Dio aveva detto a Mosè, (Esodo, 25,8): “Ed essi mi costruiranno un Santuario e Io risiederò in mezzo a loro”. Dio aveva poi indicato nei dettagli i criteri e il materiale per la costruzione. Così, il Tempio mobile degli ebrei sarà fatto con assi di legno di acacia collocati in posizione eretta (Es.,26,15), l’Arca sarà di legno d’acacia, ricoperto d’oro puro sia all’interno che all’esterno (Es.,25,10-11), di acacia sarà la tavola dei pani (Es., 25,23) come pure l’altare del Tempio (Es., 27,1), quello per l’olocausto (Es., 38,1) e quello per bruciare l’incenso e i profumi (Es., 30,1). Di legno d’acacia saranno le quattro colonne della ‘tenda dell’incontro’ (Es., 26, 31-32) e così via continuando.

    L’episodio della ribellione di Core, Dathan e Abiron è contenuto nella Torah e si sostanzia delle parole che Mosè rivolge ai ribelli:
  
   “ Non vi basta il fatto che il Signore, il Dio d’Israele, ha scelto voi fra tutti gli altri israeliti? Vi concede di avvicinarvi a Lui, per prestare servizio nella sua Abitazione e per celebrare il culto in nome di tutta la comunità d’Israele. Il Signore ha permesso a te, Core, e a tutti i fratelli levìti di avvicinarvi a lui e voi ora pretendete anche il sacerdozio? ”.[21]
 
    Analogamente, i tre operai della leggenda massonica che, pure, hanno il privilegio di lavorare alla costruzione del Tempio, pretendono la maestria senza averne diritto e la loro avidità e superbia li spinge al delitto. 

  Che significa ‘Hiram’? Hiram  rappresenta lo ‘spirito dell’uomo’. E, in effetti, il nome è composto dalla radice ebraica ‘Chi’, formata dalle lettere Chet  e Yud  che significa vita, vitale ecc… e da una seconda radice: Ram, formata da una Resh  e una Mem  (lettera che in finale di parola ‘si chiude’ ) e che indica particolari stati di elevazione. “Vita elevata”, dunque è il significato letterale di Hiram, e ciò è per noi comprensibile perché sappiamo che ciò che è elevato appartiene di necessità allo spirito.

  Quanto alla leggenda, diversi autori hanno tentato di ricostruirne la sua prima apparizione nella tradizione massonica. In proposito, c’è chi ricorda la citazione che del nome di Hiram fa Il Manoscritto di Cooke, circa alla metà del Quattrocento e nell’ambito della Massoneria ‘operativa’ del XV secolo, senza peraltro alludere alla sua uccisione ma solo per ricordare che Hiram, ‘il figlio di Tiro era il capo’ degli 80.000 muratori al servizio di Salomone per la Costruzione del Tempio, iniziato da re David. [22] E, nella tradizione orale, vi sarebbero testimonianze dell’introduzione, nel rituale del terzo grado della Gran Loggia di Londra, della figura di un ‘maestro costruttore’ e della sua morte e rinascita iniziatica. [23] Siamo nel 1725 e bisogna attendere sino al 1733 perché la leggenda di Hiram compaia nel rituale del terzo grado delle Logge londinesi e altri cinque anni perché venga inserita nella ristampa delle Costituzioni inglesi del 1723. Tuttavia, la leggenda di Hiram, nelle sue diverse versioni, sarebbe di fatto già presente nella Massoneria ‘operativa’ dell’Europa medievale e in particolare negli archivi dei vari Compagnonnages francesi. Tutti i testi, nel collegarsi al racconto biblico della costruzione del Tempio di Salomone, fanno poi riferimento a vicende che si differenziano poco le une dalle altre, concordi tutte, comunque, nel sottolineare che la morte di Hiram, frutto dell’invidia, dell’avidità e della violenza di alcuni operai, ebbe come effetto di ritardare i lavori di costruzione del Tempio.

  Nella Bibbia, Hiram è citato nel I Libro delle Cronache (14:1) e nel II libro di Samuele (5:11) solo per dire che era re di Tiro. Se ne parla poi soprattutto nel I Libro dei Re, allorché Salomone informa Hiram re di Tiro di voler costruire un tempio – secondo gli accordi che suo padre David aveva preso direttamente con Dio – e perciò gli chiede operai fenici per tagliare gli alberi e legname di cedro necessario alla costruzione del tempio. Hiram acconsente di buon grado allo scambio commerciale e concede, oltre ai cedri e agli operai, oro in abbondanza e pietre preziose in cambio di 6000 tonnellate di grano, 8000 litri di olio purissimo ogni anno e 20 villaggi della Galilea. D’ora in poi Fenici ed Ebrei lavoreranno insieme, cominciando con lo squadrare le pietre necessarie alla fondazione del Tempio.

  L’altro Hiram del racconto biblico è sempre di Tiro, ma è un artigiano, figlio di una vedova, non un architetto. Egli è sommamente esperto nella lavorazione del bronzo: vasche, carrelli, gli oggetti bronzei all’interno del tempio e ogni tipo di arredo e soprattutto le due colonne erette nel portico del Tempio: Jachin e Boaz  [altro chiaro simbolismo massonico]. Di questi stessi fatti si parla anche nei Libri delle Cronache.

   Non sarà inutile soffermarci su qualcuno dei versetti più significativi del racconto biblico. A cominciare da quando Salomone si rivolge ad Hiram re di Tiro:

   “…Ora ho intenzione di costruire un tempio consacrato al Signore, mio Dio…” (I Re, 5:19) e Hiram osserva: “Sia lodato il Signore che ha dato a David un figlio tanto saggio per governare il numeroso popolo di Israele” (5:21). Poco dopo è detto dell’alleanza che da allora intercorse tra Hiram e Salomone: “Come aveva promesso, il Signore diede grande saggezza a Salomone. Così Salomone mantenne sempre buoni rapporti con Hiram: i due fecero anche un’alleanza” (5:26)


Le Tre luci massoniche e l’Albero delle sephiroth


   A guardar bene, l’alleanza di cui si parla nella Bibbia tra i due Hiram e Salomone non è altro che l’alleanza tra Saggezza, Forza e Bellezza di cui troviamo testimonianza nel Catechismo di Compagno, prima citato. Nella sua sapienza, infatti, Salomone percepì l’idea di costruire il Tempio e gli Hiram gli dettero la forza per costruirlo, e la bellezza per arredarlo, inviando strumenti, oro, pietre preziose ed operai rigorosamente disciplinati e solidali tra loro. Questa, però, è anche l’alleanza che nella Qabbalah si esprime tra le sephiroth ‘Hokmah Sapienza, Gheburah  Forza e rigore e Tiphereth, bellezza e armonia.

   In un successivo versetto della Bibbia (I Libro dei Re, 6:1) si precisa che i lavori di costruzione del Tempio ebbero inizio allorché erano trascorsi 400 anni dall’uscita degli Ebrei dall’Egitto.

   Per chi conosca appena la tradizione cabalistica ‘uscire dall’Egitto’ e ‘400’ hanno un preciso significato. Uscire dall’Egitto significa abbandonare la via ‘consueta e profana’ per intraprendere un cammino iniziatico. Quanto al 400, lo sappiamo corrispondere al valore numerico dell’ultima lettera dell’alfabeto ebraico: la Taw.

   Settima lettera doppia e ultima delle 22 lettere dell' alfabeto ebraico, la Taw  è collocata tra le sephiroth  Malchut e Yesod sul trentaduesimo e ultimo sentiero [24] dell’Albero della vita, detto anche sentiero di Saturno.

   Dio pose questo sigillo, la lettera Taw, sulla fronte di Caino a testimoniare la caduta e insieme la possibilità della risalita. Il suo valore numerico, il 400, simboleggia tutto ciò che di bene e di male c'è nel quaternario. Il simbolo si spiega con l’essere, questa, l’ultima delle lettere con cui Dio creò il mondo.

  Ad Esau che gli viene incontro con 400 mercenari che rappresentano le forze del male, Giacobbe dice: Yesh Li Kol  “Ho tutto”, frase il cui valore numerico è ancora 400, ad indicare che Giacobbe, detto  Israele, dispone di tutto ciò di cui ha bisogno per risalire.

   Per lasciare l'Egitto occorrono agli Ebrei 400 anni e soprattutto occorre  la Techinnah che si scrive con la Taw iniziale e che significa amicizia e clemenza. Per qualcuno, la forma della lettera è l' ideogramma di due braccia che stanno aprendosi ad accogliere un amico. Nel Midrash noto come Alfabeto di Rabbi Aqiva si rivela la duplice natura della lettera Taw  allorché è detto di  non leggerla come  Taw  bensì come Taev  desiderio. Desiderio di ogni bene terreno ma anche desiderio dello spirito di risalire in alto.

  Questa è la verità della Taw ed Emet-verità si scrive Alef Mem Taw. In questa parola,  E m (e) t, lettera mediana tra la Alef iniziale e la Taw finale è la  Mem, simbolo di ogni singolo aspetto della manifestazione divina. Ove si dimentichi che il Tutto della manifestazione, rappresentato dalla Taw, si collega all' Uno che è nella  Alef,  Emet si muta in Met, scritta con le lettere Mem-Taw, che significa morte. Senza la Alef o principio creativo, la realtà non è altro che vuota forma, apparenza, illusione e morte.

  Ce n’è dunque abbastanza per dimostrare che l’edificazione del Tempio, alla quale si accingono insieme i due Hiram e Salomone, non è soltanto un monumento elevato a gloria del Signore o Grande Architetto dell’Universo. E’ in realtà un tracciato da compiere, una via da seguire. E’ su questa via che gli Hiram e Salomone si trovano insieme.

  Il richiamo della tradizione cabbalistica ci consente ancora qualche piccola scoperta:

  Hiram non solo rappresenta lo spirito, per i significati delle due radici ebraiche ‘Hi e Ram. Formato dalle lettere Chet-Yud-Resh-Mem (40+200+10+8=258), Hiram è la ghematria di Arazim Aleph-Resh-Zain-Yud-Mem (40+10+7+200+1=258) che significa CEDRI. Ricordando che nella tradizione ebraica ogni lettera è numero e ogni numero è lettera, Hiram e Arazim hanno perciò lo stesso valore numerico (258) e dunque si corrispondono.

  E ancora:  Zahav, oro in ebraico, ha valore numerico 14 (2+5+7) come Yad mano  (4+10=14) e come David (la promessa del Tempio)  (4+6+4=14).

  Ciò significa che senza i cedri del Libano, senza gli operai e senza l’oro, in una parola senza Hiram nessuna mano avrebbe innalzato il tempio suggellando il patto che il Signore aveva concluso con David, padre di Salomone (I Re, 9, 1-10).

   Cosa rappresenta il cedro nella tradizione biblico-ebraica? Innanzi tutto il soffitto del Tempio era fatto di travi e assi di cedro, i pavimenti di legno di cedro, l’altare di cedro rivestito d’oro, le colonne tutte di cedro come pure i soffitti della Sala del Giudizio (I Re). Nel II libro di Samuele, 7,7 è Dio stesso a chiamare ‘Casa di cedro’ il Tempio che gli deve essere costruito.

   Il cedro, inoltre, è nella Bibbia di volta in volta simbolo di FORZA (Isaia, 9,9: ‘…Le fragili travi di fico sono state abbattute ma noi useremo robuste travi di cedro…’) di BELLEZZA (Salmo 92,13-14: ‘… Bello come un cedro del Libano piantato nel cortile del Tempio’; Cantico dei cantici 5,15: ‘… Egli ha l’aspetto delle montagne del Libano, è magnifico come gli alberi di cedro’) di SAPIENZA (Siracide 24,13 ‘… Elogio della sapienza’: ‘sono cresciuta ( io, la sapienza) come un cedro del Libano’). Inoltre, nella tradizione ebraica il cedro è simbolo di Dio nella sua veste di gloria, è simbolo di Abramo, del Sinedrio, dell’intero popolo ebraico e del cuore dell’uomo.

   Infine, il frutto del cedro (etrog) è detto il frutto di un albero di bell’aspetto: Perì ’Etz Hadar:

  “Prenderete il primo giorno di Sukkoth un frutto di bell’aspetto, rami di palme e rami dell’albero di mirto e rami di salice e vi rallegrerete davanti al Signore vostro Dio” (Levitico, 33:40).

   Si prende il Lulav (mazzo composto di 1 ramo di palma, 2 di salice, 3 di mirto) con la destra, il cedro con la sinistra, li si agita ai 4 punti cardinali, in alto e in basso, dopo aver detto la relativa benedizione.   

  Così si compie la mitzwah del Lulav durante la festa di Sukkoth o festa delle Capanne. [25] 

  Altri riferimenti biblici ad Hiram si trovano nel I Libro dei Re, dove egli è un valente artigiano figlio di una vedova della tribù di Neftali, dunque un discendente di Giacobbe e di Bila, la schiava che Rachele concesse al marito per avere discendenza.

  Nel II libro delle Cronache, è invece citato l’artigiano che Hiram re di Tiro invia a Salomone. Questa volta però lo si chiama  Hiram-Abi, lo si dice esperto di costruzioni e figlio di un’ebrea della tribù di Dan (2:12-13). [26]
 
  Inoltre, l’intero settimo capitolo del I Libro dei Re è dedicato alla descrizione di tutto l’arredo per l’abbellimento del Tempio che l’artigiano Hiram costruì.
  
  Ed ecco, dunque - come ho già detto - dopo la Sapienza e la Forza, la terza luce che illumina il Tempio massonico: la Bellezza, la cui sephirah corrispondente è Tiphereth, vero e proprio cuore dell’Albero della vita, espressione dell’armonia in cui si manifesta l’equilibrio di ogni energia.

  Così intese le due figure dell’Hiram biblico, non stupisce certo che entrino a far parte della leggenda massonica inserita nelle Costituzioni, fuse insieme nell’unica figura di Hiram grande architetto di Salomone. Su questa linea interpretativa concorda uno studioso come il Vaillant, anche se poi egli finisce per ricondurre tutto, simbologia massonica e leggende del popolo ebraico, ad una comune matrice egizia. Scrive in proposito: “La tradizione massonica che si ricava dai rituali adottati da tutti i riti al terzo grado è ebraica (…) Nel secondo libro dei Paralipomeni, il re di Tiro fa dire a Salomone che ‘Hiram è un uomo intelligente, abilissimo; che ha servito suo padre, che sa lavorare l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legno e perfino la porpora, il giacinto, il fine lino e lo scarlatto; egli sa ancora incidere tutte le immagini e inventare quello che occorre per ogni lavoro’ Ecco, senza dubbio, ciò che gli è valsa la denominazione di architetto nelle tradizioni ebraiche e tra i Liberi Muratori, malgrado le asserzioni rispettabilissime che non vogliono vedere in lui che un fonditore di metalli.”  [27] 

Il simbolismo dei luoghi e degli strumenti

   Col riferimento ad Hiram e al Tempio di Salomone non si esaurisce certo la presenza, per così dire, della tradizione ebraico-cabbalistica nella Libera Muratoria.

  Appena entrati in Officina ci troviamo di fronte tre pilastri, da non confondere con le due colonne, Jakin e Boaz, situate nel portico, all’ingresso del Tempio. I tre pilastri ben possono corrispondere a quelli dell’Albero della vita in analogia con le tre sephiroth che li rappresentano: Gheburah-Forza sul pilastro di sinistra (la Colonna di Settentrione del Tempio massonico), Tiphereth-Bellezza su quello di centro (dove, nel punto più alto, siede il Maestro venerabile) e ‘Hochmah-Sapienza su quello di destra (la Colonna del Meridione). 

   Sui tre pilastri trovano posto i dignitari di Loggia almeno in numero di dieci e che, d’après Jules Boucher, [28] la maggior parte degli studiosi, considera in analogia con le dieci sephiroth dell’Albero della Vita. Di diverso avviso sembra essere il Grande Oriente d’Italia. Nei Quaderni di Simbologia Muratoria, a cura di Ivan Mosca, si individuano infatti 21 funzioni tra dignitari e ufficiali di Loggia, tra loro anche cumulabili e riconducibili a 12, esprimendo con ciò l’analogia coi segni zodiacali piuttosto che con l’Albero delle sephiroth.

   Per quanto sia lecito esprimere qualche riserva sull’analogia tra le sephiroth e i dignitari di Loggia, sarei propenso a collocare nella colonna centrale il Venerabile (Kether), il Maestro delle Cerimonie (Tiphereth), il 1°Sorvegliante (Yesod) e il Copritore interno (Malkuth), nella colonna di destra il Segretario (‘Hochmah ), l’Ospitaliere (‘Hesed), il 2°Sorvegliante (Netzach) e nella colonna di sinistra l’Oratore (Binah), il Tesoriere (Gheburah) e l’Esperto (Hod).

   Anche la marcia di apprendista, compagno e maestro in Officina, per alcuni, si ispira all’Albero delle sephiroth: coi primi tre passi di apprendista, il massone si sposta successivamente da Malkuth a Yesod e da Yesod a Tiphereth. Con un passo a sinistra, da compagno, egli raggiunge ora Gheburah e con un passo a destra ‘Hesed. Il maestro appoggiandosi sulle sephiroth Binah e ‘Hochmah giunge infine a Kether, la Corona.[29]

  Al centro dell’Officina incontriamo il ‘Quadro di Loggia’ che, pur nella diversità dei gradi e delle rappresentazioni simboliche, fa riferimento di nuovo al Tempio di Salomone, alle due Colonne poste davanti al Tempio e alla leggenda di Hiram.

   Quanto alla denominazione di ‘Camera di Mezzo’, dove lavorano i maestri, è facile vederne il collegamento con la Bibbia, I Libro dei Re VI:5-8 ‘Si costruì un edificio a tre piani che circondava il Tempio da tre lati… l’ingresso al piano più basso dell’edificio intorno al Tempio si trovava sul lato destro, c’erano delle scale interne che portavano al piano di mezzo’. [30]

   Avvicinandoci all’ara, nei tre gradi di apprendista, compagno e maestro, notiamo subito che, nella figura, la squadra è simile alla lettera ebraica Resh. In entrambe, poi, si manifesta la duplicità: la squadra massonica è formata dalla livella (orizzontale) e dal filo a piombo (verticale) a sottolineare la necessità di equilibrare due elementi contrastanti e tuttavia positivi se armonizzati tra loro. La Resh ebraica è una delle sette lettere doppie. Nella versione del Sepher Yetzirah, elaborata dal Rabbi Eliahu, Gaòn de Vilna (GRA), la più seguita dai cabbalisti, la Resh indica l’alternativa tra pace e guerra e, bene utilizzata, consente di ottenere un grado elevato di crescita spirituale e la pacificazione di ogni contesa.

   Inoltre, la squadra intrecciata al compasso, nel grado di compagno, ricorda, nella forma e nel significato il Sigillo o Esagramma di Salomone. Gli strumenti intrecciati significano che il compagno massone ha raggiunto l’equilibrio tra materia e spirito. Il Sigillo di Salomone, dal canto suo, ricorda che, senza equilibrio tra forze cosmiche antagoniste, nessuna manifestazione è possibile. E ancora: sotto squadra e compasso c’è il Libro con cui la l’Officina apre i lavori. Esclusivamente libri dell’Antico Testamento nelle Logge anglosassoni, il Vangelo di San Giovanni nelle altre. [31] Così, diverse Grandi Logge statunitensi aprono i lavori col libro di Amos, nei versetti 7 e 8 del capitolo VII:

   “Il Signore mi fece avere ancora un’altra visione: stava vicino a un muro, alto e diritto, e teneva in mano un filo a piombo. Il Signore mi chiese:
   ‘Amos che cosa vedi?’
   ‘Un filo a piombo’, risposi
   ‘Ho misurato con esso il mio popolo – disse il Signore – e non posso più perdonarlo…’
 
   Accanto al Libro, sull’ara, troviamo la Menorah o candelabro a sette bracci: ‘Mi farai – dice il Signore a Mosé (Esodo, 25:31-40) – un candelabro d’oro puro fatto tutto d’un pezzo: il piedistallo e il fusto, i suoi calici, i suoi bocciòli e i suoi fiori formeranno un solo corpo con esso. Sei rami usciranno dai suoi lati, tre rami del candelabro da una parte e altri tre dall’altra…’

 La Menorah è citata in numerosi passi biblici:  in Esodo 37:17-24 per dire che Betzalel, l’artista designato da Dio in persona, ha costruito il candelabro esattamente come l’aveva progettato il Signore. Sempre in Esodo, 30:27 per raccomandare che il candelabro, insieme ad altri oggetti del Tabernacolo, sia unto con olio sacro. Ancora in Esodo il candelabro è citato tre volte: quando il lavoro è ultimato e portato a Mosé (39:37), allorché il Signore ne ordina a Mosé la collocazione nell’Abitazione o ‘Tenda dell’incontro’ a lui consacrata(40:4) e Mosé esegue (40:24). In  Levitico (24:3) per precisare a chi è concesso accenderlo. In Numeri è citato due volte: (3:31) per ribadire che l’accensione del candelabro è riservata ai leviti e (8:24) per la raccomandazione del Signore a Mosé che le sette lampade illuminino la parte anteriore del candelabro. Nel Libro di Daniele, il candelabro è citato(5:5) per ricordare il banchetto del re Baldassar, figlio di Nabucodonosor, durante il quale, apparve una mano di fronte al candelabro e scrisse parole che solo Daniele riuscì a interpretare. Nel  I Libro dei Re (7:49) e nel II Libro delle Cronache (4:7) per predisporre 10 candelabri all’interno del Tempio: 5 a destra e 5 a sinistra del santuario.  Ancora nel II Libro delle Cronache (13:11) si ricorda che l’accensione delle lampade è un obbligo verso il Signore. Nel I Libro dei Maccabei (4:49-50) il candelabro è utilizzato per la riconsacrazione del Tempio, mentre in Siracide (26:17) ha la funzione di metafora poetica: la lampada che brilla sul candelabro è paragonata a un bel volto di donna sopra un corpo grazioso.  Infine, in Zaccaria (4:1-12), il candelabro fa parte della quinta visione del profeta:

  “L’angelo incaricato di parlarmi venne a scuotermi come si fa con uno che dorme.
Mi domandò: ‘che cosa vedi?’ Io risposi: ‘vedo un candelabro d’oro, con in cima un recipiente per l’olio. Il candelabro a sette lucerne e sette beccucci per dare olio a ogni lucerna.
Vicino al recipiente ci sono due ulivi, uno a destra e l’altro a sinistra.’
E domandai all’angelo: ‘che significa tutto questo,  mio signore?’
Allora l’angelo mi spiegò: ‘Le sette lucerne rappresentano gli occhi del Signore che osservano tutta la terra…”

   Sembra interessante osservare che Betzalel, il nome dell’artista prescelto dal Signore per la costruzione della Menorah e di parte del Tabernacolo, ha valore numerico 153 (leggendo le lettere da destra a sinistra: 2+90+30+1+30 = 153), ossia il triangolo di 17. “Il 17 – osserva Nadav Eliahu – è un numero importantissimo in Cabalà poiché è il numero che indica il bene (Tov). Non a caso è la Ghematria di due dei 72 Nomi di Dio, il 1° e il 49°. Anche questi numeri non sono casuali, in quanto si riferiscono alle Cinquanta Porte dell’Intelligenza, le più importanti delle quali sono la prima dall’alto e la quarantanovesima dal basso. Ed ecco che 17 è anche il valore di EGOZ (noce), un frutto molto esoterico, studiando il quale il re Salomone derivò delle importanti considerazioni sulla struttura degli universi paralleli  (vedi il Cantico dei Cantici, al versetto ‘Sono sceso al giardino delle noci’) ” .

  Il 17, inoltre, è anche il valore di Hagadah e osserva ancora Nadav Eliahu: “ Il nome HAGADAH (leggenda) si riferisce a tutta quella parte della tradizione orale dell’Ebraismo che contiene racconti e descrizioni basate soprattutto sul funzionamento tipico dell’emisfero cerebrale destro. Il valore 17 allude all’intrinseca bontà di questa parte, a volte ingiustamente trascurata o minimizzata dagli ebrei razionalisti.”[32]

   Nella Qabbalah medievale, i sette bracci della Menorah sono associati alle sette sephiroth inferiori: da ‘Hesed a Malkuth. Nel Sepher Temunah o Libro della figura, [33]il candelabro puro d’un sol pezzo lavorato a martello’ è identificato con Binah, la sephirah dell’intelligenza, e i sette bracci, con le sette sephiroth inferiori che da lei provengono. Mentre i 49 tra calici e boccioli che sono tutto un pezzo col candelabro, come è scritto in Esodo, formano le 49 porte dell’intelligenza cioè della sephirah Binah che ne è la Cinquantesima e che neppure a Mosé, come è detto nel Talmud, fu dato oltrepassare [34]

   Nel Pardes Rimmonim o Giardino dei Melograni, il cabbalista Moshé Cordovero fa corrispondere ai sei bracci della Menorah le sephirot comprese tra la quarta (‘Hesed ‘Grazia’) e la nona (Yesod ‘Fondamento’) mentre l’asse centrale del candelabro è rappresentato dalla Alef, prima lettera dell’alfabeto ebraico e da Kether  ‘Corona’, la sephirah più alta. Alla base del candelabro c’è poi la sephirah più bassa: Malkuth  Terra o Regno. [35]

   “La Menorah accesa in Camera di Mezzo – osserva Ivan Mosca – può, meglio di ogni altro simbolo e solo come supporto aiutarci a raggiungere ‘lo scopo per il quale noi Massoni ci riuniamo’. [36]

   Sotto questo rispetto è dunque della massima importanza apprendere a far ruotare i tre bracci snodabili della Menorah e “Questa modalità – osserva ancora Ivan Mosca – sarà utile anche a noi Massoni per stabilire le corrette analogie con i nostri lavori, le iniziazioni, i passaggi di Grado, i ‘pagamenti’ agli operai per mandarli ‘via’ contenti e soddisfatti. Ma se ci limitasse a seguire nel nostro meraviglioso candelabro le sole fasi della Luna senza il loro significato esoterico, verremmo meno alla nostra ricerca. Porremo dunque sulle 7 lampade le lettere che compongono il Tetragramma che, nel Delta sacro, è sospeso sul capo del Maestro Venerabile.” [37]

   E, in effetti, le lettere del Tetragramma si trovano spesso iscritte nel Delta massonico: è il nome impronunciabile di Dio e le quattro lettere ebraiche che lo formano: uno Yud, una Heh ripetuta due volte e una Wav andrebbero studiate sia nella forma grafica che nel loro significato. I tre angoli del Delta rappresentano ancora Sapienza, Bellezza e Forza, virtù che, attraverso il Maestro venerabile, devono poter illuminare la Loggia. E il Maestro Venerabile ha in mano la Spada fiammeggiante per trasmettere il fuoco all’adepto che egli – come recita il rituale di iniziazione – dichiara di voler  c r e a r e  massone. Ed è proprio pensando all’atto creativo che molti studiosi hanno parlato di corrispondenze con le prime tre sephiroth dell’Albero della vita, allorché il Maestro venerabile pone la spada sulla testa e poi sulle spalle del neofita. [38]

   Gioverà ancora osservare che sia le tre parole di passo sia le tre ‘parole sacre’ dei tre gradi della Massoneria azzurra sono prese dalla tradizione ebraica e che le lettere delle ‘parole sacre’ di apprendista e compagno sono ricavate, mediante permutazione, dalle lettere che formano i nomi ebraici delle due Colonne poste davanti al Tempio di Salomone.

   Va infine ricordato che, nel simbolismo massonico, la ‘parola sacra’ è solo un sostitutivo della parola andata ‘perduta’ con l’assassinio di Hiram e che si dice ‘ritrovata’. Analogamente, nella tradizione ebraico-cabbalistica, la perdita della vera pronuncia del nome di Dio ha diversi sostitutivi, nessuno dei quali tuttavia è l’originale. [39]

  Una delle indagini principali  delle prime scuole di Qabbalah storica, riguardò proprio la ‘parola perduta’, il ‘vero nome’ di Dio:

  “Il giorno in cui YHWH Elohim fece il cielo e la terra ( Genesi 2:4) il nome non era intero, finché l’uomo non fu creato a immagine di Dio e il Sigillo non fu completo”. [40]

   A questa speculazione si collega quella sul male, introdotto con la frattura del Nome, che torna ad essere incompleto com’era prima della creazione dell’uomo. Ma la causa non è – come si potrebbe pensare – il peccato di Adamo. [41] Il riferimento è  bensì in Esodo,17:7: “…Vedremo se il Signore è con noi o no ”. Si allude a quando, dopo l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto, venne Amalek, capo degli Amaleciti, beduini del sud di Canaan. Allora “la mano di Amalek si levò sopra il trono di Y(a)h ” e Isacco il Cieco descrive così la lotta di Mosé contro l’Arcangelo di Amalek:

  “Mosé. dovette ricorrere all’elevazione delle mani per lottare contro l’Arcangelo e respingere le sue mani dalla sephirah Ghevourah ”. [42] Aron e Chur sostengono le mani di Mosé e Israele può vincere, ma il male si è generato. Il Nome non potrà più essere pronunciato e inevitabili conseguenze saranno la distruzione del Tempio, l’esilio e il ritrarsi delle sephiroth superiori ‘in Alto’.

   Nel collegare la ‘parola perduta’ del vero Nome di Dio alla rottura dell’equilibrio delle sephiroth dell’Albero della vita, piuttosto che al peccato di Adamo, nel divieto di indagare su En Soph Dio o Infinito, la Qabbalah storica denota, nei fatti, una sostanziale laicità. Del resto, Isacco il cieco soleva affermare che la ‘diversità ebraica’ consisteva nella pratica di una filosofia esoterica basata sullo studio e sulla conoscenza piuttosto che su una religione unicamente ispirata alla fede e al sentimento. Questo stesso principio sembra seguire la Massoneria, nell’utilizzare il simbolismo tratto dalla Qabbalah degli ebrei.
  

sergio magaldi










[1]Il post riprende e unifica il contenuto di tre precedenti interventi apparsi sul blog: Qabbalah e simbolismo massonico parte prima - seconda e terza

[2] Cfr. G. Scholem, Le Origini della Kabbalà, Bologna, 1990 pp.12 e ss.
[3] Sulla visione del Trono di Dio, cfr Ezechiele, 1:1-28.
[4] Cfr., sull’Albero della vita  nel pensiero ebraico-cabbalistico, G. Busi,  Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999, soprattutto le pp. 53-58.
[5] Sull’intera questione della teurgia nella Qabbalah, cfr. C.Mopsik, Les Grands Textes de la Cabale, Verdier,1993, pp.18-71.
[6] Cfr. U.G.Porciatti, Simbologia massonica. Massoneria azzurra, Atanor, Roma,1992, p.14
[7] Cfr. Il manoscritto dii Cooke in E. Bonvicini, Massoneria antica, Atanor, Roma,1989, pp.154 e ss.
[8] Sul  barone Tschudy,  figura di grande prestigio della Massoneria europea della seconda metà del XVIII secolo, sulla condanna e sulla scomunica della Massoneria in questo stesso periodo, ad opera rispettivamente del re Carlo di Borbone del Regno delle due Sicilie e del papa Benedetto XIV, cfr. C.Miccinelli, E Dio creò l’uomo e la Massoneria, E.C.I.G., Genova, 1985, pp. 25 e ss.
[9] Cfr. Sefer ha-Bahir, prg 70 (48) in   Mistica ebraica, a cura di G. Busi ed E. Loventhal, Einaudi 1995, Ediz. CDE spa, Milano, 1996, pp. 168-169.
[10] Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Sugli argomenti, la data di composizione, l’autore: cfr. G.G. Scholem, La Cabala, trad.it., Roma 1989, pp.215-244 e G.Busi, La Qabbalah, Laterza, Bari, 1998, pp. 70-75. Per un maggiore approfondimento cfr. i capitoli V e VI di Le grandi correnti della mistica ebraica, cit., di G.G. Scholem. L’edizione dello Zohar più nota è quella della versione francese a cura di C. Mopsik pubblicata dalla casa editrice Verdier.
[11] cfr. Le Zohar, cit., Berescith I, 16 b, pp. 99-100.
[12] Cfr. Le Zohar, cit. 16 b, p.100.
[13]  Cfr. Le Zohar, cit., Berescith II, 31 b-32 a, p.179. 
[14] cfr. Genesi 1:4
[15] ‘Questa luce scaturì dal cuore dell’Oscurità (…) dalla luce nascosta prese forma una segreta via d’accesso grazie all’oscurità del mondo di quaggiù e la luce poté manifestarsi.’ Cfr. Le Zohar, cit., 32 a, p.179. 
[16] cfr. J. Boucher, La Simbologia Massonica, Atanor, Roma, 1997, 5.a Rist., trad.it., Editions Dervy, Parigi, 1948, pp.151-152.
[17] cfr. le Zohar, cit., 32a, p.180
[18] cfr. Le Zohar, cit.,Berescith II, 30 b, t.I, p.175.
[19] citato in C. Miccinelli, Op.cit, p.293
[20] Cfr. F. Kafka, Trentottesima Considerazione, in Confessioni e immagini, trad.it., Mondadori, Milano 1960, p.62
[21] Cfr. Numeri, 16, 9-10
[22] Cfr. Il Manoscritto di Cooke, in Op.cit., p.171
[23] Cit. a proposito di un lavoro di A. Reghini, in  E. Bonvicini, I Gradi della massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato, Bastogi, Foggia, 1996, p.17
[24] Cfr. Sepher Yezirah o Libro della  formazione, la cui data di composizione secondo gli studiosi oscilla tra il II e il VI secolo d.C., nel libro (analizzato da G.G. Scholem in Le Origini della Kabbalah, cit., pp.32-44 e in La Cabala, cit., pp. 14, 30-61, 70-72, 96, 101 e ss.) è detto, all’inizio, che Dio formò il mondo con ‘32  misteriosi sentieri di saggezza’. I 32 Sentieri dell’Albero della Vita collegano tra loro le 10 Sephiroth e sono 32 in tutto perché, alle 10 Sephiroth, si aggiungono le 22 lettere dell’alfabeto ebraico. 
[25] Il 15 del mese ebraico di Tishrì (settembre-ottobre) ricorre la festa di Sukkoth in memoria delle capanne costruite dagli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Nella Torah è conosciuta anche col nome di Chag Ha-Asif o festa del raccolto, perché con lei terminava la stagione del raccolto. E’ una festa di gioia e di allegria, come comanda la Torah. Dura sette giorni, durante i quali l’ebreo è chiamato a vivere nella Sukkah (capanna), costruita all’aria aperta ad imitazione di quella che gli antenati edificarono nel deserto.
[26] Proprio in riferimento al II Libro delle Cronache ( 2:12 ) che dice Hiram ‘esperto di costruzioni’, sarebbe potuta nascere la leggenda massonica di Hiram, maestro architetto (cfr. in proposito C. Jacq, La Massoneria. Storia e iniziazione, Mursia, Milano, 1998, pp. 240 e ss.)
[27] Cfr. A.Vaillant, I tre gradi della Libera Muratoria, Bastogi, Foggia, 1994, rist. anast., Milano, 1959, pp.163 e 169. Sulla questione della ‘matrice egizia’ comune sia alla Massoneria che alla tradizione ebraica, cfr. Ibid., l’intero cap. V, pp.163-186.
[28] Cfr., J. Boucher, Op.cit., pp.98-106.  
[29]  Ibid., p. 331. Il Boucher, tuttavia, nel passo che il compagno fa a destra vede l’incontro con la cosiddetta sephirah nascosta Da’at Conoscenza, piuttosto che con la sephirah ‘Hesed Grazia. Egli scrive (Ibid.): ‘Il Compagno, con un passo a sinistra, raggiunge Geburah la Forza e, un passo a destra, lo conduce alla ‘Scienza’ tra Chochmah e Binah.’.
[30]  Ibid. p. 280 e ss.
[31]  Ibid., pp.120 e ss.
[32] cfr. Nadav Eliahu, Misparei Ha-Sod. I numeri del segreto, Milano, 1990, pp. 29-30.
[33] Il testo del Sepher ha-Temunah tradotto in italiano (con una breve introduzione circa la data presunta di composizione e il relativo contenuto), si trova in Mistica Ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo a cura di G. Busi ed E. Loewenthal, Einaudi, Torino, 1995, pp.243-346
[34] Cfr. Talmud, bRo’sh ha-shanah 21 b,  bNedarim 38a.
[35] Cfr. G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, cit., pp. 219-221.
[36] Cfr. Luz, Trimestrale di Studi Tradizionali,  Har Tzion, n.3, Autunno 1999, pp.17-18.
[37]  Ibid., p.16
[38] Cfr. J. Boucher, Op.,cit., pp. 58-60
[39] Cfr. Giuseppe Abramo, La Cabalà e la Massoneria, pp.17-25 in  Gradus,n.22, 1989, p. 22.
[40]  in C. Mopsik, Les grands Textes de la Cabale,cit., p. 74. La traduzione è mia.
[41] Ibid.,p.83
[42] Ibid., p.85