domenica 30 agosto 2015

UN ROMANZO SPAGNOLO SULLA LIBERTA'...



Julia Navarro, Dime quién soy, Octava edicion DEBOLS!LLO, Barcelona, enero 2015, pp.1096



 Pubblicato cinque anni fa con gran successo di pubblico, il romanzo di Julia Navarro, Dime quién soy, appare quest’anno per l’ottava edizione DEBOLS!LLO. Ben 1096 pagine per una storia che conquistò non soltanto i lettori spagnoli, ma quelli di tutto il mondo. Anche le edizioni italiane, pubblicate da Mondadori nel 2011, prima nella collana Omnibus, poi negli Oscar [Dimmi chi sono] hanno fatto ottimi incassi.








  Di recente ho riletto il romanzo nell’originale castigliano dell’ultima edizione e mi sono reso conto del perché di questo successo. Scritto in uno stile semplice, che poi è quello da sempre congeniale all’autrice, giornalista di professione, il romanzo della Navarro si basa su un espediente narrativo di sicuro effetto ancorché di maniera; sul coinvolgimento emotivo, soprattutto del pubblico femminile, nei confronti di Amelia Garayoa, l’intrepida protagonista della vicenda; nonché sulla storia del mondo di oltre mezzo secolo – dalla guerra civile spagnola del 36’-39’ alla caduta del muro di Berlino del 1989 – rivissuta a grandi tratti, nelle forme essenziali e indelebili conservate nella memoria collettiva, e però sempre in relazione agli eventi di cui i singoli personaggi sono diretti testimoni.

 L’espediente narrativo consiste nell’incarico che il giovane Guillermo – che si accontenta di scrivere, scarsamente retribuito, per un giornale online, vuoi per il rifiuto di sottomettersi alla logica partitica, vuoi per la crisi economica che si è abbattuta in Europa [2009-2010] e che ancora è sotto gli occhi di tutti – riceve dalla zia Marta. Si tratta di investigare sulla figura della bisnonna, nonna della zia e di sua madre, su cui la famiglia ha sempre taciuto, considerando scandaloso per gli equilibri familiari, persino pronunciare il suo nome. La zia pagherà le spese della ricerca, e in più gli offrirà un discreta somma per i pochi mesi che durerà l’indagine. Al termine, Guillermo s’impegna a scrivere la storia della bisnonna che la zia ha intenzione di regalare a tutti i membri della famiglia per il prossimo Natale.

 Il primo impatto del giovane ricercatore sarà scoprire che nel barrio di Salamanca, la zona ricca di Madrid, abitano ancora dei Garayoa, che presto si riveleranno come la famiglia stessa della bisnonna. Da quel momento, Guillermo ricostruirà passo dopo passo la vita movimentata di Amelia, viaggiando per la Spagna, poi per l’ Europa intera e persino in Argentina, in Israele e negli Stati Uniti, sulle orme di chi la conobbe di persona o comunque ne sentì parlare. La zia Marta, ricca ma poco disponibile ad affrontare le spese di un’indagine costosa e che rischia di andare per le lunghe, si farà ben presto da parte rinunciando a finanziare ulteriormente il progetto da lei stessa concepito. Sul punto di lasciare, ormai a malincuore, perché la figura della bisnonna gli si rivela sempre più intrigante, Guillermo accetterà l’offerta della famiglia Garayoa che si offre di sostituire la zia Marta nel finanziare la ricerca.

 Chi fu in realtà questa donna di cui la famiglia di Guillermo possiede, oltre il tabù che la riguarda, solo una foto ingiallita che la ritrae bella, giovanissima e sorridente, vestita da sposa e con un ramo di fiori in mano? Di ottima famiglia borghese, di origine basca per parte di padre e catalana per parte di madre, Amelia nasce a Madrid nel 1917. Di lei Guillermo ricostruisce l’adolescenza grazie all’esistenza di un diario e ne coglie tutta la determinazione giovanile, grazie ai racconti di Edurne, la sua vecchia “tata”: il precoce matrimonio, sconsigliato dai genitori per la giovane età, la nascita del figlio a soli diciotto anni, la conoscenza di Lola, militante socialista, l’ingresso nella sua vita di Pierre, il  giovane comunista, franco-russo, di cui si innamorerà sino a fuggire con lui, abbandonando il marito e Javier, il figlioletto di quattro mesi, che poi risulta essere il nonno di Guillermo.

 Già in questa scelta di abbandonare il tetto coniugale, con la motivazione di voler lottare per l’affermazione degli ideali comunisti, c’è in nuce tutta la figura della futura Amelia. Una donna sensibile e generosa ma al tempo stesso egoista, facilmente influenzabile soprattutto in questa fase della sua esistenza, e che non conosce “gli ostacoli” della ragione. Una creatura all’apparenza dolce e delicata, ma in realtà forte e implacabile nel perseguire uno scopo, quale che esso sia, senza preoccuparsi della conseguenza delle proprie azioni, salvo a pentirsene più tardi quando è impossibile tornare indietro. Sarà così ogni volta: il matrimonio, di cui si pentirà quasi subito, la fuga con l’amante e l’adesione agli ideali comunisti, quando si accorgerà che Pierre, agente sovietico con la copertura di libraio, si è servito di lei e che il comunismo di Stalin è solo l’altra faccia del terrore con cui la Germania di Hitler minaccia la pace del mondo. Inutile sarà a quel punto pentirsi e cercare la via del ritorno: il marito tradito non le permetterà più di accostarsi a suo figlio, “ciò che ha di più caro al mondo”, continuerà a ripetere Amelia, senza tuttavia lottare – come pure saprà fare in seguito anche in situazioni disperate e a rischio della vita – perché il suo diritto di madre sia riconosciuto dalla legge. Una lotta impossibile, sembra giustificarla l’autrice. La Spagna repubblicana e libertaria, caduta nelle mani dei fascisti del generalissimo Françisco Franco, si è ormai trasformata in una dittatura dove classismo e maschilismo la fanno da padroni. Neppure un giudice avrebbe stigmatizzato il comportamento di Santiago, il marito di Amelia, vendicativo al punto di utilizzare il figlio da lei concepito per punirla, neanche a un giudice sarebbe venuto in mente di indagare sul comportamento di quest’uomo prima e durante il matrimonio,  su un’abitudine che aveva già prima del fidanzamento: scomparire anche per più di una settimana per viaggi di affari e senza avvertire nessuno. L’atteggiamento più egoista e crudele che si possa immaginare nei confronti delle persone amate. Il dialogo tra la madre di Amelia e quella di Santiago [pp.76-77] è molto eloquente in proposito:

 “La madre de Santiago informò a la madre de Amelia que su hijo no estaba, que no había acudido a almorzar ni había telefoneado, y no sabía si aparecería a la hora de la cena. A doña Teresa le sorprendío que la madre de Santiago no se mostrara alarmada, pero ésta le explicó que su hijo tenia por costumbre desaparecer sin decir adónde iba.
    No es que vaya a ningún lugar que no deba, todo lo contrario, siempre es por trabajo; ya sabe que mi marido le ha encargado que se haga cargo de las compras para la empresa, y es Santiago quien viaja a Francia, Alemania, Barcelona … en fin, donde tenga que ir. Santiago siempre se va sin decirnos nada; al principio me asustaba, pero ahora sé que no le pasa nada – explicaba doña Blanca
       Pero usted se dará cuenta de que se va porque saldrá de casa con maleta – respondío un tanto escandalizata doña Teresa.
       Es que mi hijo nunca lleva maleta.
       ¿Pero como? Esos viajes tan largos… de tantos días… – exclamó doña Teresa.
    Santiago dice que él lleva el equipaje en la cartera.
        ¿ Cómo dice?
       Sí, que él se sube al tren y cuando llega a su destino compra lo que necesita; siempre lo ha hecho así. Ya le digo que al principio me preocupaba, e incluso su padre le reconvenía, pero nos hemos acostumbrado.Tranquilice a Amelia, Santiago llegará a tiempo para la boda.¡Está tan enamorado!”.

   [“La madre di Santiago informò la madre di Amelia che suo figlio non c’era, che non c’era stato per pranzo né aveva telefonato, e che non sapeva se sarebbe apparso per l’ora di cena. Donna Teresa fu sorpresa che la madre di Santiago non fosse preoccupata, però questa le spiegò che suo figlio aveva per abitudine di sparire senza dire dove andasse.
       Non che vada in qualche luogo dove non debba andare, al contrario, è sempre per lavoro; lei già sa che mio marito lo ha incaricato di fare acquisti per la nostra impresa, ed è Santiago che viaggia in Francia, Germania, a Barcellona… insomma dove deve andare. Santiago sempre va via senza dirci nulla; all’inizio mi angustiavo, però ora so che non gli succede nulla – spiegava donna Blanca.
       Però lei si renderà conto che è partito, perché uscirà di casa con la valigia – rispose un po’ scandalizzata donna Teresa.
       È che mio figlio non porta con sé una valigia.
       Com’è possibile? Questi viaggi tanto lunghi… di tanti giorni – esclamò donna Teresa.
       Santiago dice che ha il suo bagaglio nel portafoglio.
       Come dice?
       Sì, che egli sale sul treno e quando arriva a destinazione compra ciò di cui ha bisogno; ha fatto sempre così. Già le ho detto che al principio mi preoccupavo e suo padre con me, però ormai ci siamo abituati.Tranquillizzi Amelia, Santiago giungerà in tempo per le nozze. È tanto innamorato!” [trad. mia].

 Insomma, i diritti di madre di una donna infedele non sarebbero stati riconosciuti e nella Spagna clerico-fascista di Franco quasi sicuramente Amelia sarebbe finita in carcere per adulterio.








 Comunque sia, il ritratto di Amelia non è quello della foto ingiallita di famiglia, di sposa e di madre borghese destinata a invecchiare negli agi e nella serenità. Innocente per non aver tradito il proprio ruolo, colpevole per l’indifferenza e/o l’estraneità di fronte ai drammatici avvenimenti del XX secolo. Amelia è in realtà una metafora della libertà. Lei è sempre lì dove c’è bisogno di lottare contro l’oppressore e ovunque l’uomo si trovi in catene per motivi ideologici o razziali. Sempre disposta a rischiare la vita pur di salvare il prossimo ingiustamente soggiogato da un potere demoniaco e finché non trionfi la giustizia che è l’altra faccia della libertà. Amelia non è una intellettuale, non ha mai letto Shakespeare e il suo impegno non è il frutto di complesse teorie,  ma è l’azione spontanea del combattente che utilizza ogni mezzo pur di raggiungere il proprio fine. Questa lotta ha però un prezzo, perché la libertà non può essere conquistata senza pagarne il corrispettivo in termini di sentimenti negati, di sacrificio e di sangue. E quando il suo compito sarà terminato, eccola scomparire tra la folla facendo perdere le proprie tracce.

 La chiave del libro, e in fondo la sua bellezza, è proprio nel racconto di Amelia come metafora della libertà. Ma non è questo a determinare il successo di una narrazione che ha tutte le caratteristiche per essere definita una sorta di romanzo popolare. Paradossalmente, credo che a decretare la fortuna del libro siano stati piuttosto gli elementi che sotto il profilo stilistico e strutturale lo rendono più debole: la prosa eccessivamente semplice e giornalistica ma più facilmente accessibile al vasto pubblico, la dimensione tutta esteriore in cui i personaggi raccontano se stessi, con poche riflessioni di carattere intimistico, le fortunate coincidenze per le quali i fatti narrati s’incastrano gli uni con gli altri, la prodigiosa longevità di molti testimoni, l’incredibile puntualizzazione di dettagli riportati da chi non poteva essere presente ai fatti, e soprattutto l’aver proposto la narrazione quasi sempre in forma diretta, come se le vicende riguardassero il presente e non un lontano passato. Inoltre, un finale prevedibile ma largamente auspicabile da parte dei lettori. Al netto di tali qualità accattivanti, ma non propriamente ortodosse, il romanzo ormai a cinque anni dalla sua prima apparizione, si lascia leggere con interesse e senza mai annoiare, nonostante le sue mille pagine.


sergio magaldi

lunedì 24 agosto 2015

JUVE E ROMA STECCANO LA PRIMA...

Il nuovo pallone del campionato di calcio


  Sconfitta storica per la Juventus che non aveva mai perso la prima di campionato, la Roma pareggia a Verona, giocando male come nell’ultima parte della scorsa stagione. Perdono anche Milan e Napoli per un torneo che si apre all’insegna della mediocrità.

 Nonostante i nuovi arrivi [Dzdeko e Salah], la squadra giallorossa non è molto diversa da quella che di recente ho visto all’opera  al Camp Nou di Barcellona [lenta, con le rare eccezioni di Florenzi e Nainggolan, prevedibile, e senza raccordo tra centrocampo e attacco], dove, contro i blaugrana, ha perso poco onorevolmente per tre reti a zero solo grazie alle parate di Szczesny, il portiere della nazionale polacca dal nome impronunciabile, ma al momento forse l’unico acquisto indovinato. Rudi Garcia si ostina a schierare un centrocampo a tre che di fatto si riduce al solo Nainggolan, costretto a correre per tutto il campo e dunque portato a strafare e a sbagliare, nonostante il suo indiscusso valore. De Rossi fa il difensore aggiunto, quasi il libero, e Pjanic, più che un centrocampista, è in realtà un trequartista. In difesa, si conoscono i limiti di Torosidis, e Florenzi, schierato terzino, e come Nainggolan costretto a correre per tutto il campo, nonostante il goal fortunoso che ha permesso alla Roma di pareggiare, sembra sprecato in un ruolo non suo e finisce incolpevolmente per rendere vulnerabile il fianco di una difesa, dove al centro, accanto al collaudato Manolas, si rivede un ancora impacciato Castan, comprensibilmente direi, visto l’incidente che per quasi due anni l’ha tenuto fuori dal campo.

 Ma il vero mistero giallorosso è rappresentato da una rosa che oltre a Totti [poco utilizzato, anche quando ce ne sarebbe bisogno, come a un certo punto della partita di ieri], dispone di un solo vero attaccante [Dzeko, il nuovo acquisto] e di un “pacchetto” tra mezze punte o trequartisti e attaccanti di fascia: Ljajic, Iturbe, Falque [ma ce n’era proprio bisogno?], Ibarbo, Gervinho, Salah, tutti con scarsa attitudine al goal e dei quali l’unico indispensabile alla squadra sembra essere Gervinho [il solo che stava per essere ceduto, né siamo certi che non lo sarà nei prossimi giorni o magari a Gennaio], per la sua capacità di smarcarsi, dare profondità alla squadra, fornire assist. Per Salah, appena arrivato, il discorso sulla sua utilità resta aperto. Quanto allo Dzeko visto ieri [acquistato relativamente a buon mercato: 4 milioni per il prestito, 11 per il riscatto + bonus, ciò che dovrebbe far riflettere], l’impressione è – nonostante la fama che lo precede, ma anche considerando la deludente prova fornita lo scorso campionato nel Manchester City – che si tratti di uno Llorente più mobile, ma meno abile di testa. Penso, insomma, che se non sfoltirà la rosa dei suoi finti attaccanti, non ricostituirà il centrocampo che è stato il punto di forza del primo anno di Garcia, magari modificando un modulo di gioco ormai usurato, sarà difficile per la Roma riconfermarsi per il terzo anno di seguito al secondo posto della classifica. Intendiamoci, la squadra ha tutte le possibilità per cambiare rotta in corso d’opera, magari con qualche nuovo innesto e sempre che allenatore e dirigenti sappiano fare autocritica.

 Quanto alla Juve, il discorso è diverso solo in apparenza. L’alibi della partenza di Pirlo, Vidal e Tevez vale solo sino a un certo punto. Certo, con Pirlo magari a segno su punizione, forse ieri i bianconeri non avrebbero perso in casa con l’Udinese, ma occorre ricordare che Vidal nello scorso campionato non ha brillato come negli anni precedenti, che è stato rimpiazzato dall’ottimo Khedira [ora purtroppo infortunato] e che, per non far rimpiangere Tevez, sono arrivati Mandzukic, Dybala, Zaza e ora anche Cuadrado. La squadra s’è inoltre rafforzata anche in altri settori. Insomma ai dirigenti non si poteva chiedere di più. Si può chiedere invece ad Allegri maggiore fantasia. Che senso ha avuto, ieri, in una gara casalinga, lasciare in panchina Dybala che, entrato oltre la metà del secondo tempo, è stato il migliore degli attaccanti? E Llorente, perché schierarlo solo negli ultimi minuti, quando s’è visto chiaramente che Mandzukic falliva tutte le occasioni, persino una palla che era più facile sospingere in rete che “passare” al portiere? Perché giocare con 5 centrocampisti, quando Evra, Lichtsteiner e Padoin centrocampisti non sono e Pereyra nemmeno, visto che è un trequartista e che per giunta ieri sonnecchiava in campo? Perché riproporre pigramente il 3-5-2 di Conte, quando non disponi di Pirlo, Marchisio [infortunato] e Vidal? Non era preferibile il 4-3-3 con Dybala e Llorente accanto a Mandzukic [vista anche l’indisponibilità di Morata] e con Coman, non come seconda punta, ma semmai al posto di uno spento Pereyra, sostituito sempre troppo tardi? Incomprensibile poi la scelta di acquistare Zaza per girarlo in prestito al West Ham. E Allegri sbaglia se è sua intenzione utilizzare Cuadrado come trequartista. L’ex-viola deve trovare posto come terzino in un 4-4-2 o in un 4-3-3 e persino in un 3-5-2 come esterno di fascia, perché è in questo ruolo che il colombiano ha dato sempre il meglio di sé. Insomma, la Juve di quest’anno dispone di molti campioni, all’allenatore il compito di saperli utilizzare.

 Per concludere, non può sfuggire che nel nuovo campionato si è ulteriormente assottigliata l’esigua pattuglia dei calciatori italiani utilizzati in campo. La Roma, che lo scorso anno ha giocato anche con 5 giocatori del Bel Paese [De Santis- Florenzi-Astorri-De Rossi e Totti], nella partita contro il Verona, dopo l’uscita di De Rossi, si è ritrovata con il solo Florenzi. Non parliamo neppure delle altre cosiddette grandi o delle piccole. Resta ormai solo la Juve con la sua “rappresentanza” italiana. Ma quando, e purtroppo tra non molto, smetteranno di giocare i Buffon, i Barzagli ecc… , finirà con l’adeguarsi a tutte le altre squadre del campionato. Ma su ciò ho detto abbastanza in altri post. Vedi per tutti, l’ultimo del 17 Giugno u.s. [Il non-gioco della nazionale italiana questa volta non paga, clicca sul titolo per leggere]. Ripetevo allora ciò che avevo già scritto in passato e che ribadisco ancora oggi:

 “[…]E si può stare certi che nulla cambierà per il prossimo futuro: le squadre italiane continueranno a giocare in campionato con 9, 10 e anche undici calciatori stranieri. I vivai giovanili, dove sopravvivono, servono solo al calcio minore e si riempiono di extracomunitari giustamente in cerca di mutare la propria sorte. L’importazione dei giocatori dai vari continenti e l’arricchimento dei procuratori, dei loro affini e compari, continuerà come prima e ogni anno vedremo arrivare nel Bel Paese non già qualche grande campione, ma comitive di “mezze seghe” che qualche direttore tecnico spaccerà per grandi campioni, salvo a liberarsene l’anno dopo per un nuovo e proficuo ‘rifornimento’.”
                                                                            

sergio magaldi

venerdì 21 agosto 2015

CECI PER I SUDDITI...




 Da giorni non si fa che parlare, in Italia come in Europa, della questione dell’accoglienza dei migranti. Nel Bel Paese, lo fa soprattutto la chiesa cattolica, ma lo fanno anche i politici, lo fanno i giornali, e i cittadini non sono da meno esprimendo in rete le proprie convinzioni. Ognuno sembra avere le idee chiare e propone ricette con la sicumera di essere nel giusto.

 Così, monsignor Galantino – che definisce “piazzisti da quattro soldi” i politici che vorrebbero interrompere i flussi migratori, e accusa persino il governo di praticare sul tema dell’immigrazione una politica equivoca – affronta la questione dal punto di vista evangelico, o meglio non l’affronta, ma di sicuro la chiude, proponendo per tutti un’accoglienza illimitata e gratificante: “Lo so – dichiara – Lo so che l’accoglienza è faticosa; lo so che è difficile aprire le proprie case, aprire il proprio cuore, aprire le proprie realtà all'accoglienza". Marcello Pera chiosa le parole del segretario della Cei, cercando di dimostrare, con la logica ma anche con la sofistica, che dal fatto di essere un buon cristiano non discende automaticamente che io debba aiutare tutti e ciascuno. Insomma, conclude l’ineffabile Pera – né la sua conclusione poteva essere diversa, come ogni volta che un benpensante vede la Chiesa pericolosamente appiattirsi sulle posizioni della sinistra radicale – , il rischio è “la trasformazione di una religione di salvezza in una ideologia sociale”.

 Proprio come monsignor Galantino, anche i politici della Lega Nord e affini hanno la loro ricetta. E la si conosce da tempo. Si tratta di impedire ai migranti di prendere la via del mare, andando sulle coste libiche e costituendo in loco altrettanti campi profughi, in sostituzione di quelli sempre più numerosi già esistenti sul territorio nazionale. Va da sé che l’operazione non potrebbe essere condotta a termine, recando in mano ramoscelli d’ulivo. Considerando la congiuntura politica e militare di quelle terre e l’interesse dei negrieri al traffico migratorio, dubito fortemente circa la sua fattibilità. E poi chi dovrebbe andare? L’esercito italiano o un fantomatico esercito europeo? E quale interesse avrebbero i paesi dell’Europa continentale, dal momento che in base al trattato di Dublino, è l’Italia  lo stato cui compete l’accoglienza dei migranti provenienti dalle coste libiche? È vero che lo stesso trattato prevede poi il trasferimento ad eventuale altro stato richiesto dal rifugiato, ma è altrettanto vero che lo prevede a certe condizioni [il legittimo diritto di asilo] che gli italiani non sembrano in grado di accertare o non vogliono.

 In questa ottica, le proposte del Movimento Cinque Stelle appaiono le più sensate, ancorché risultino difficilmente praticabili e neppure condivise dall’intero movimento. Si possono riassumere in 4 punti:

 “1)Giro di vite sui permessi di soggiorno per protezione umanitaria. 2)Istituzione di sistemi efficienti per il rimpatrio forzato delle persone a cui viene respinta la domanda di asilo. 3) Istituzione di una procedura specifica per la trattazione dei ricorsi contro il diniego dell'asilo.4)Sorveglianza più stretta dei profughi nel sistema di accoglienza.”

  Ispirate dalla logica del buon senso, che tiene conto della totale inefficienza con la quale il nostro paese gestisce l’accoglienza, nonché dell’astuta ingenuità delle autorità competenti – che spesso evitano l’identificazione dei profughi e li lasciano fuggire dai centri di accoglienza nella speranza che lascino il suolo nazionale, con l’effetto boomerang che, proprio in base al trattato di Dublino, vengono rispediti al mittente [Vedi il caso recente di Ventimiglia] – queste norme, forse per un bisogno di concretezza, sembrano ignorare le realistiche valutazioni apparse lo scorso 6 Agosto proprio sul Blog di Beppe Grillo:

 I clandestini sono il nuovo oro nero per le mafie e per le cooperative, non vengono identificati anche per anni, nonostante le norme internazionali per i profughi siano di tre settimane, e stazionano sul nostro territorio con costi pari a 1.050 euro al mese che ovviamente non vanno a loro ma alle mafie e ai politici di collegamento. E' una sorta di finanziamento clandestino alle cooperative collegate con i partiti e con le mafie.”
 
 E non solo – aggiungerei – perché a gestire il business dell’accoglienza ci sono, oltre alle Caritas, grandi organizzazioni religiose, come per esempio la Domus Caritatis, vicina a Comunione e Liberazione, finita nel mirino di Save the Children, per lo scandalo di adulti spacciati per minori non accompagnati, allo scopo di “strappare” rette più alte sulle testa di ogni migrante. Peccato che monsignor Galantino ignori il fenomeno o forse lo ritiene marginale, non solo rispetto al precetto evangelico di soccorrere i diseredati della terra [e non c’è dubbio che i migranti lo siano!], ma anche in considerazione della tradizionale politica della chiesa cattolica, sempre attenta nell’inserirsi nei processi di emarginazione umana e sociale per apportare nuova linfa alla cristianità. E gli fa onore, in questo anelito di misericordia, non tener conto che la  gran parte di questa infelice umanità che continua a riversarsi in Europa sia di religione islamica.

 E il governo? Cosa fa l’esigua maggioranza di centrosinistra-centrodestra che gestisce il potere? Nulla! Salvo decantare la grande umanità degli italiani che ha permesso di salvare molte vite umane. Cosa vera, senza dubbio, e che ci fa onore, ma che purtroppo non risolve i gravi e grandi problemi dell’immigrazione clandestina: il traffico miserabile di esseri umani, le tante morti per affogamento, le squallide condizioni di vita alle quali gli scampati dalle acque sono costretti nei cosiddetti centri di accoglienza, il progressivo degrado delle città in cui sono “stipati”, il costo economico che, contrariamente a quanto si afferma, solo in minima parte è coperto da denaro comunitario, lo sfruttamento, ad opera di organizzazioni senza scrupoli, delle risorse destinate alla sopravvivenza dei profughi.


Immagine ripresa da "Il fatto quotidiano"


 E mentre i francesi chiudono la frontiera di Ventimiglia, gli inglesi quella di Calais, gli spagnoli quella col Marocco, già all’epoca del socialista Zapatero, gli ungheresi costruiscono un muro, i macedoni sbarrano le porte alla Grecia, per impedire il passaggio dei migranti attraverso il “corridoio balcanico”, i tedeschi propongono di rivedere il trattato di Schengen; gli italiani, dal canto loro, discutono tanto, ma poi adottano la politica del laisser faire, laisser passer e neppure vengono interpellati allorché francesi, inglesi e tedeschi si riuniscono, come in queste ore, per fare il punto sulle politiche comunitarie dell’immigrazione.

 Alla luce di quanto sopra, i flussi migratori in Europa continueranno per molti anni e a ritmi sempre crescenti, perché il fenomeno non è gestibile né vuole essere gestito nella sua complessità. Ogni stato si arrangerà come può, a misura del suo potere e della determinazione dei suoi governanti A pagarne il maggior costo politico, economico e sociale, saranno soprattutto l’Italia e la Grecia, per la loro posizione geografica e per l’endemica debolezza intrinseca di chi le rappresenta. Le diverse soluzioni prospettate qui da noi hanno di sicuro altre finalità che non quelle di risolvere davvero il problema. Il perché è molto semplice ed è ben noto ai politici: la globalizzazione, almeno nella forma in cui è stata sinora realizzata, si coniuga necessariamente con l’austerità e con l’immigrazione clandestina organizzata. L’Italia, poi, aggiunge di suo l’indolenza, l’inefficienza, la rapacità e l’opportunismo della casta politica, burocratica e manageriale che controlla il Paese e che detiene ormai gran parte della ricchezza nazionale. Corporativismo, Evasione fiscale, Corruzione, Immigrazione [C.E.C.I] saranno anche per il futuro gli ingredienti del piatto forte da servire agli italiani, destinati a diventare sempre più sudditi e sempre più poveri.

sergio magaldi

martedì 4 agosto 2015

MASSONI.SOCIETA' A RESPONSABILITA' ILLIMITATA [Riscrivere la storia del mondo, parte I]

Gioele Magaldi, Massoni. Società a responsabilità illimitata, Chiarelettere, Novembre 2014, pp.653


 Più che “una dichiarazione di guerra all’ala più reazionaria della massoneria”, come scrive l’editore nella sua pur pregevole nota d’apertura del volume, il libro mi sembra un tentativo di riscrivere la storia del mondo, almeno dall’avvento del nazifascismo sino ai nostri giorni. Riscriverla perché? Perché – osserva l’autore – “Il mondo moderno e contemporaneo è stato costruito dalla massoneria, sconfiggendo le antiche aristocrazie ecclesiastiche e del sangue. E oggi i suoi membri più eminenti ne controllano e gestiscono il funzionamento per finalità benemerite (democratiche, liberali, libertarie, laiche, ugualitarie e filantropiche) o esecrabili, come la costituzione di nuove oligarchie dello spirito e della finanza sovraordinate alla sovranità popolare, che viene svuotata di sostanza.” [op.cit., p.26].

 Insomma, quel che ha tutta l’aria di una dichiarazione di guerra verso una parte della massoneria si stempera in realtà nel riconoscimento che è la massoneria nel suo complesso a gestire il mondo in cui viviamo, almeno a partire dal XVIII Secolo. In più, la lunga conversazione riportata nell’ultimo capitolo del libro [pp.491- 586] tra autorevoli esponenti “dell’élite massonica mondiale”, mostra chiaramente che non solo il dibattito è sempre aperto tra massoni di diverse e talora opposte tendenze politiche, ma che la legittimazione dell’altro è data per scontata: ancorché egli sia ritenuto un avversario, resta pur sempre un fratello. Ciò non è senza conseguenze – come vedremo – nel progetto di riscrivere la storia del mondo, anche solo a partire dall’avvento del nazifascismo.

 Generalmente lo storico è solito porre l’attenzione su alcuni fattori che a suo giudizio hanno determinato gli accadimenti, influenzato governi e opinione pubblica, sancito il prevalere di alcuni popoli su altri negli inevitabili conflitti che la realtà ripropone costantemente. In tale prospettiva, lo storico avrà buon gioco nel sostenere che il primato politico spetti di diritto a chi potrà vantare una superiorità economica, militare, strategica, finanche culturale e/o semplicemente dovuta alla bontà delle idee. E anche laddove egli richiami trame segrete ad arricchire la ricostruzione degli eventi, lo fa sempre pensando ai propri lettori. Dirà quel che è nell’aria, quel che la gente si aspetta di sentire perché da sempre ritiene di averne avuto l’intuizione.

 Così procedendo, lo storico coglierà solo l’aspetto esteriore e marginale della realtà, a meno che egli non voglia sussumere gli eventi descritti sotto un principio universale. Sarà allora la lotta di classe il motore della Storia oppure la razionalità del reale o ancora l’idea di una Provvidenza che, pur fra atrocità e sofferenze, alla fine farà prevalere i più giusti. Un principio, per quanto universale, resta un principio. Un assunto disincarnato che vorrebbe spiegarci tutto ma che alla fine giustifica solo se stesso. Ciò non significa, naturalmente, che la realtà non abbia una sua fetta di razionalità, che un segno provvidenziale non illumini talora l’oscurità più profonda, che la differenza di classe e, oggi più che mai, di censo, non sia la costante di ogni società. Tutte queste sono però categorie astratte, vere, certo, ma inadeguate a spiegare l’ordine e il disordine di questo mondo che, in prima fila, vede una buona  parte degli esseri umani di carne e sangue lottare per la propria sopravvivenza, mentre pochi altri detengono gli strumenti della ricchezza e s’impossessano di tutte le risorse disponibili sul pianeta.

 Così lo storico che voglia emanciparsi dalla “palla al piede” di un principio universale in grado di fornirgli ogni ausilio per la comprensione della realtà, dovrà accontentarsi di descrivere i fattori contingenti che a suo giudizio hanno determinato taluni eventi, ma nulla sarà in grado di dire sulla genesi di quei fattori, e si limiterà a prendere atto che probabilmente sono frutto del caso. In fondo è un po’ quello che avviene allorché parliamo dell’universo. Scienziati, filosofi, artisti sono in grado di descriverlo e di rappresentarlo, ma quando si tratta di chiarirne la fondazione non risultano né convincenti né esaustivi. Si dividono allora, proprio come avviene per la gente comune, tra quanti si astengono dal giudizio, quanti accettano una fede religiosa in grado di spiegare tutto e quanti – e tra i laici sono la maggior parte – ritengono che l’universo in cui abitiamo e la vita stessa siano frutto del caso. Poco importa a questo riguardo che la stessa scienza abbia dimostrato quasi impossibile che il mondo che conosciamo sia un prodotto del caso. L’affermazione, da chi è convinto del contrario, è riguardata con indifferenza o peggio ancora è considerata come l’argomentazione classica di chi ripone ogni fiducia nell’esistenza di un Dio personale.

 Per poco che riflettiamo su come funziona l’universo fisico, ci rendiamo conto, non tanto che non possa essere stato generato dal caso, quanto piuttosto di come il caso possa mantenerlo in costante equilibrio mediante leggi che nella ricerca dell’ordine includono anche il disordine. Perché se il caso è intelligente, allora non è più il caso, ma un legislatore cosciente di sé, un Grande Architetto. Analogamente il regno degli umani per sopravvivere a se stesso ha avuto bisogno di regole. Se così non fosse stato sin dagli albori della civiltà, il caos ne avrebbe già provocato l’estinzione.

 Non desti dunque meraviglia se i potenti della terra [poco importa al momento e sotto questo riguardo interrogarsi sulla genesi del loro potere] – al di là dei contatti ufficiali e dei convegni sotto gli occhi di tutti, dove poco si decide perché tutto è già stato deciso prima di maniera occulta – abbiano da sempre cercato scorciatoie per costruire un Ordine Mondiale capace di conservare l’esistente e anche affrontandosi in campo aperto mai rinunciavano a cercare un accordo per garantire l’ordine costituito. E quando questo appariva, anche a una sola delle parti, inadeguato o seriamente compromesso, eccoli ricercare, attraverso un disordine necessario ma controllato, un Nuovo Ordine che prima o poi sarebbe stato accettato con il beneplacito di tutti. Quasi sempre il nuovo assetto si produceva su un’ottava superiore, ma non era neppure da escludere che avvenisse su una inferiore. In tal caso l’equilibrio raggiunto sarebbe stato precario e avrebbe finito col provocare nel breve un nuovo disordine che a sua volta avrebbe generato un ordine relativamente più stabile.

 La società moderna nasce proprio dalla ricerca di un Nuovo Ordine su un’ottava superiore. Lutero e le rivoluzioni inglesi, la guerra per l’indipendenza e l’unione di tredici stati americani, la rivoluzione francese e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ne sono gli antefatti. Dopo di allora nulla sarà più come prima. Ma il processo non avrà mai termine. Scrive in proposito l’autore di Massoni. Società a responsabilità illimitata:

 “Intendiamoci bene, sin dall’alba delle civiltà e per millenni, prima degli straordinari eventi che hanno dato origine alla modernità e alla contemporaneità, a fronte di caste sacerdotali e aristocratiche composte da relativamente pochi privilegiati, la gran parte della popolazione umana ha vissuto la sua vita (solitamente breve)in condizioni mediamente orribili e infelici.
 Fra malattie incurabili, pestilenze, guerre, genocidi, ingiustizie sociali, schiavitù di diritto e di fatto, persecuzioni razziali o religiose, infime condizioni di vita materiale, i popoli della Terra hanno conosciuto per lo più un’esistenza grama e/o infernale.
 Con qualche luce, in mezzo a tante tenebre […]. Eppure, dalle civiltà dell’antica Mesopotamia alla fioritura antico-egizia, dalle millenarie culture orientali della Cina e della valle dell’Indo agli sfavillanti sviluppi occidentali antichi e tardo-antichi(poleis greche, regni ellenistici, Impero romano), dai secoli dell’Età di mezzo (espansione cristiana in Occidente e islamica in Medio ed Estremo Oriente)alle rivoluzioni culturali, scientifiche e politiche rinascimentali e moderne – ivi compresa la scoperta del continente americano e delle sue civiltà native – l’uomo ha edificato, creato, immaginato, distrutto e rigenerato monumentali e bellissime opere, frutto del suo ingegno materiale e dei suoi talenti intellettuali e spirituali […]. Così, quando l’umanità si è trovata alla fine del Secondo millennio e poi all’alba del Terzo, spettatrice ed erede di più di tre secoli di ininterrotte rivoluzioni politiche, culturali, economiche, scientifiche e tecnologiche che in un lasso di tempo relativamente breve hanno completamente trasformato il volto sociale e ambientale non solo dell’Occidente, ma dell’intero globo terracqueo, qualcuno pensava di aver ormai raggiunto una fase di indefinita stabilità e serenità, in grado di elargire un minimo garantito di felici condizioni esistenziali e sicurezza sociale a ogni singolo nuovo nato del pianeta Terra […]. Autorevolmente, si prefigurava una stabilizzazione senza precedenti delle dinamiche storiche.
 Ma era una prefigurazione sbagliata.” [Op.cit., pp.52-54].

 Con la società moderna, un’associazione segreta nei rituali ma non negli intenti s’impone all’attenzione dell’opinione pubblica. È la Massoneria, protagonista degli eventi rivoluzionari del XVII e XVIII Secolo, e perciò legittimata d’ora in poi ad ogni futura trattativa che riguardi gli assetti europei e mondiali. D’altra parte, quale luogo, più del milieu massonico sembra adatto a comporre i conflitti sociali e internazionali, a gettare le basi per un Nuovo Ordine? L’iniziato libero muratore si dichiara disposto ad abbracciare fraternamente anche il proprio avversario politico, sa che all’interno della loggia non valgono le discriminazioni sociali e di classe [si pensi all’importanza che assume questo aspetto soprattutto nel XVIII e nel IX Secolo] ed è perfettamente consapevole che entrando in un’officina gli sarà vietato di parlare di politica e di religione. I fratelli saranno intenti ad occuparsi di altro. Innanzi tutto a sgrossare la propria “pietra grezza”, poi a studiare la Storia, il simbolismo massonico, l’esoterismo, e quant’altro lecito, secondo la sovranità di ciascuna loggia: il luogo ideale dove il massone progressista possa fraternizzare con quello conservatore o addirittura reazionario, senza scontrarsi a causa delle diverse ideologie politiche e/o credenze religiose. Alla domanda della giornalista Laura Maragnani che gli chiede conferma circa il fatto che ai massoni non è consentito occuparsi di “cose terrene e profane come la politica e la religione”, così risponde l’autore:

 “I massoni si sono sempre occupati di cose terrene e profane come la politica e la religione. Il fine stesso della libera muratoria è non soltanto lavorare alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo, ma anche per il bene e il progresso dell’umanità” [cit., p.39].

 Per il chiarimento di tutti sarà bene osservare che il divieto di occuparsi di politica e di religione vale soltanto quando il massone si trova a lavorare in loggia con gli altri fratelli. Inoltre, per i gradi supremi di alcune Obbedienze e/o Riti massonici, tale divieto decade naturalmente, in virtù di una ritualità che lo prevede espressamente e non senza ragionevoli motivazioni.

 Dove allora i potenti della terra che siano anche espressione di popoli e/o nazioni in conflitto – vuoi per la politica, la religione, l’economia e l’ alta finanza – potrebbero meglio incontrarsi tra loro, se non in specifiche logge sovranazionali? E all’occorrenza scontrarsi tra membri di UR-LODGES di diversa ispirazione e tendenza? È questo l’argomento principe di Massoni. Società a responsabilità illimitata: informare i cittadini circa l’esistenza di Url-Lodges dove i destini del mondo sarebbero gestiti nei minimi dettagli. Cosa siano esattamente queste superlogge internazionali e in che differiscano dalle logge tradizionali lo chiarisce l’autore:

 “La massoneria ordinaria è quella rappresentata dal circuito delle Gran Logge e dei Grandi Orienti (federazioni di logge che adoperano spesso e volentieri differenti rituali ma si auto amministrano in modo unitario e centralizzato), organizzati sui base nazionale e dotati di rapporti diplomatici internazionali con altre potenze massoniche. Si tratta di in circuito che ha alimentato, combattuto e vinto le grandi sfide della modernità, ma che adesso è in grave stato di crisi e declino a causa del suo conservatorismo, della sclerotizzazione delle sue strutture, del suo dogmatismo pseudo ecclesiale, della sua tendenza a scomunicare ogni istanza eretica e critica al suo interno, del suo atteggiamento non inclusivo e accogliente verso comunioni massoniche minori, della sua colpevole inclinazione a ‘disunire ciò che è integro’ invece di ‘riunire ciò che è sparso’, tipica locuzione e tipico dovere iniziatico dei massoni autentici. Ma soprattutto, a pesare è stata la perdita di vocazione avanguardistica, sul piano ideologico e culturale, rispetto alle sfide di un mondo ipercomplesso e globalizzato come quello attuale.” [cit., p.22].

 Ed ecco infine la descrizione che egli fa delle cosiddette Url-Lodges:

 “Queste superlogge, da quando sono nate, hanno affiliato sempre e soltanto i più eminenti e ragguardevoli membri della massoneria ordinaria, che si sono trovati così nella preziosa condizione di muoversi con disinvoltura in entrambi gli ambienti e di disporre dei migliori strumenti dell’uno e dell’altro circuito per conseguire le loro finalità. Aggiungiamoci l’iniziazione ex novo di donne e uomini profani ma di particolare prestigio politico, economico-finanziario, mediatico, ecclesiale, intellettuale, artistico, eccetera, alla sola condizione che in costoro si manifestassero i segni indubitabili di un desiderio autentico di perfezionamento sapienziale ed esoterico.” [cit., pp.22-23].

 Resta da chiedersi quali siano le motivazioni che spingono l’autore a questa opera di informazione e di divulgazione di un ambiente iniziatico che per sua stessa natura ha sempre battuto sentieri lontani dalla cosiddetta profanità. Proprio questo è il punto e anche il titolo di maggior pregio del suo poderoso volume. Dal momento – egli sostiene – che da almeno tre secoli la Massoneria s’è imposta alla guida dei complessi processi che regolano la vita di società, nazioni e continenti, non c’è più ragione di occultare quanto ogni individuo cosciente ha il diritto di sapere, perché riguarda la sua vita, come la vita di tutti. Altra cosa sarebbe rivelare a chi massone non è il lavoro che l’iniziato deve compiere per rettificare se stesso o peggio ancora introdurlo alla conoscenza del patrimonio sapienziale dell’umanità di cui la Massoneria è geloso custode.

 Qualcuno ha parlato di un lavoro di “controiniziazione” e del suo autore come di un controiniziato, senza magari aver letto il libro, qualche altro di carenza delle fonti che renderebbe il discorso vano e pretestuoso, più simile ad un romanzo che a una trattazione scientifica. Della questioni delle fonti, mi occuperò in un successivo e prossimo intervento, allorché esaminerò nel dettaglio eventi storici e protagonisti citati nel libro. Quanto al fatto che ci troveremmo di fronte all’opera di un controiniziato, debbo subito osservare che Massoni. Società a responsabilità illimitata è forse l’atto d’amore più coraggioso che sia stato mai concepito nei confronti dei liberi muratori. Basti osservare le dediche riportate all’inizio del libro, per rendere onore al lavoro di centinaia di “luci” che in ogni età illuminarono i templi massonici. E l’intento dell’autore, se non ho frainteso il suo pensiero, ha una triplice valenza, nessuna delle quali mi sembra di natura controiniziatica:

1)Dare consapevolezza a massoni e non massoni del ruolo di grande responsabilità che la Massoneria si assume nel gestire la post-modernità.

2)Rilanciare tale consapevolezza al di dentro delle logge tradizionali per modo che cessino dal torpore dell’attuale funzione – che l’autore del libro ritiene ormai meramente ornamentale – per riprendere il glorioso cammino del passato, allorché lavorare sulla propria pietra grezza era non solo la condizione, ma anche la premessa per lavorare “al bene e al progresso dell’umanità”.

3)Contribuire a far ripartire il motore della Storia verso un Nuovo Ordine Mondiale, capace di riformare una società “malamente globalizzata” e di dare all’Europa un’autentica unità politica ed economica, rispettosa della sovranità popolare, sottraendola all’arbitrio di oligarchie che, in nome dell’austerità e dei propri affari, hanno fatto e continuano a fare opera di “macelleria sociale”.   [SEGUE]



sergio magaldi