martedì 28 giugno 2016

IL GRANDE ANDROGINO [Parte Prima]




 Non c'è forse maggiore equivoco di quello generato dalla figura dell'androgino. La fonte è nei due noti versetti del Genesi biblico, in cui è detto che Dio creò l'uomo a propria immagine e somiglianza (Genesi, 1:26) e che lo creò maschio e femmina (Genesi, 1:27).

Da allora non si è smesso quasi di assegnare a Dio entrambi i sessi, tralasciando di indagare la natura reale del frutto della divina creazione.

“Il fatto che uomo e donna siano creati a immagine di Dio sottintende che Dio sia un'entità maschile/femminile, e non solo maschile", scrive G. Dreifuss [1]. Tesi, questa, condivisa da autori come Kaplan e Moshe Idel. Dreifuss, tuttavia, osserva che 'nel giudaismo normativo questa immagine di un'entità divina maschile/femminile non trova espressione' (Ibid., p. 31), mentre è presente nella letteratura midrashica (Genesi Rabbah 8:1 e 17:6, Levitico Rabbah, 14:1, Midrash Salmi, 139, bEruvim, 18°), contrariamente a ciò che sostiene E. Zolla (The Androgyne. Fusion of the Sexes, trad.it., Incontro con l'androgino, red edizioni, Como, 1995, p. 57), un autore che, per la verità, non sembra avere molta dimestichezza con 'la tradizione esoterica ebraica' cui, pure, dedica un paragrafo del suo libro. 

L'immagine maschile/femminile della divinità è anche ben presente nella Qabbalah dello Zohar e, soprattutto, nella Qabbalah luriana dei Partzufim, dove il carattere antropomorfico della divinità è addirittura esaltato. Fa tuttavia notare Moshe Idel che in nessun caso l'unione del maschio e della femmina è funzionale all’emergere di una divinità androgina, ma è piuttosto 'l'insistenza per l'ottenimento di una relazione armoniosa tra principi opposti, la cui esistenza separata è indispensabile per il benessere dell'intero universo. O per dirla con altre parole: la cabala teosofica non ha cercato una ristrutturazione drastica dell'esistenza, sia attraverso la trasformazione del femminile in maschile, sia attraverso la loro fusione finale in un'entità bisessuata o asessuata... Nella concezione gnostica, il mondo inferiore deve sforzarsi di copiare la regola superiore dell'androginia o della asessualità. L'attitudine gnostica risulta essere a certo riguardo simile all'attitudine cristiana di fronte alla sessualità, esse costituiscono un aspetto importante del loro più generale rigetto di questo mondo; le escatologie gnostiche e cristiane propongono una salvezza spirituale che riguarda sia la restaurazione dell'androginia paradisiaca sia uno statuto di asessualità per il credente.' (cfr. M. Idel, Cabala ed erotismo, Mimesis, Milano, 1993, pp. 35 - 36). Più avanti, in nota, Moshe Idel riporta, condividendolo, il pensiero del Meeks (The image of the Androgyne, p. 186): "Nell'ebraismo, il mito dell'androgino serve a risolvere un dilemma esegetico e a consolidare la monogamia". E Moshe Idel osserva: "In ogni caso, la cabala estatica utilizza a volte una produzione di immagini androginiche, sotto l'influenza della filosofia greca, e attraverso la mediazione delle opere di Maimonide...Un'altra differenza cruciale tra le concezioni ebraiche e greche dell'androginia è la visione ebraica positiva della separazione tra il maschio e la femmina, mentre in Platone la separazione è vista come una punizione..." ( M. Idel, op.cit., nota 84, p. 55).

Potremmo parimenti scoprire che l'Adam Qadmon non è in alcun modo da confondersi con un ipotetico uomo cosmico di natura bisessuale e neppure con la sua larvata presenza asessuata e tuttavia spiritualmente comprensiva tanto del principio femminile che di quello maschile. E pare proprio che le due interpretazioni si dividano il campo, l'una inferendo che l'androgino Adamo è il riflesso di Dio, l'altra osservando che l'androginia di Adamo è soltanto spirituale perché l'uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio ma solo per lo spirito.

Così, chi attribuisce fisicità e umanità all'Adam Qadmon non sfugge alla necessità di dover attribuire a Dio forma e bisessualità, chi, al contrario, opta per lo spirito, perde, per così dire, il bandolo della matassa perché concepisce Adamo, prima ancora del peccato che lo escluderà dalla condizione edenica e immortale, come un essere metà spirito, per ciò che è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e metà carne, per ciò che, fisicamente, egli è fatto di terra (Adamah). Ma, se è fatto di terra, Adamo, nascendo, è già condannato al male e alla morte, a meno che...a meno che il compito affidatogli non sia proprio quella di trasformare la propria terra corruttibile in metallo incorruttibile. Ma, chiamato alla prova, Adamo fallisce e, in luogo dell'oro, mostra intatta la zavorra con cui è stato formato dal suo creatore.

E’ interessante osservare come il cabbalista medievale Joseph Gikatila attribuisca la 'caduta' di Adamo al non aver saputo attendere che il frutto dell'albero fosse maturo, prima di cibarsene. Fu dunque l'impazienza a perdere il genere umano precipitandolo nel regno della vita e della morte. Il frutto dell'albero della vita si mutò così nel frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male.
Scrive Gikatila in Cha 'aré Orah (Le Porte della Luce):

   "Il serpente primordiale...inflisse un danno alla luna (la sephirah Malkhout) per via del primo uomo, il quale...non attese che (il serpente) mangiasse la propria parte...nel qual caso l'albero sarebbe stato chiamato del bene e non del male e lui avrebbe potuto mangiarne tanto quanto ne desiderasse: ne avrebbe mangiato e avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22), secondo il segreto dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza..." (f. 105a).

La luna, che nel linguaggio cabbalistico rappresenta anche la terra, nell'accezione ermetica simboleggia la materia prima. Il serpente, simbolo ctonio per eccellenza, bene traduce la forma di Adamo fatta di terra, non già le sembianze di Dio, privo di forma ma spesso idolatrato come Grande Androgino.

Tutto ciò dimostra che in origine non c'è che un albero e che questo è l’albero della vita e che la terra si sarebbe trasformata se Adamo avesse saputo attendere. I denti non gli si sarebbero legati se egli non si fosse cibato del frutto ancora acerbo. Solo mangiando del frutto maturo, segno dell'avvenuta trasformazione, Adamo avrebbe guadagnato l'immortalità.

D'altra parte, la prova cui Adamo dovette sottostare non fu capriccio divino. Dio, infatti, non avrebbe potuto concepirlo del tutto identico a sé, creando un altro se stesso, ma solo a propria immagine e somiglianza, così come fece, mediante il suo spirito e dandogli  forma col fango della terra (Genesi, 2:7). La presunzione e l'impazienza persero Adamo. La prima, nel fargli credere di essere in tutto e per tutto simile a Dio (mentre Dio non ha forma), la seconda nel ritenere che, in breve tempo, anche il suo potere sarebbe stato identico a quello di Dio. Scrive ancora Gikatila in Sod ha - Nahach (Il Segreto del Serpente):

    "... E' per questo motivo che Dio comanda al primo uomo di non toccare l'albero della conoscenza, fin quando il bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno fosse all'interno e l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse staccato il prepuzio, com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio (Levitico,19:23), ora è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6). Introdusse un idolo nel Palazzo (T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò all'interno." (f. 276a-b).

Il prepuzio è la scorza dura, assimilabile alla terra (Adamah) di cui è fatto Adamo. Solo quando la scorza fosse caduta, il frutto, ormai maturo, avrebbe potuto essere mangiato e la terra di Adamo si sarebbe mutata nell'oro dello spirito. Il 'sogno divino' di mutare la terra in oro è votato allo scacco? Il Golem ha fallito la prova? Peggio per lui! Che ci riprovi da solo, ma fuori dell'Eden e in condizioni difficili. Saranno proprio le difficoltà ad acuire il suo ingegno e forse un giorno gli riuscirà finalmente di rendere al creatore la terra ricevuta... trasformata in oro.  [SEGUE]

sergio magaldi


[1] G. Dreifuss, Maschio e femmina li creò. L'amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche, La Giuntina, Firenze, 1996, p. 30

giovedì 23 giugno 2016

GLI DEI DEL CALCIO AGLI EUROPEI 2016




   Partita inguardabile degli azzurri contro l’Irlanda, né vale osservare che eravamo già qualificati e al primo posto del girone [purtroppo!] e che abbiamo giocato sostituendo 9 giocatori rispetto a quelli impiegati nelle due precedenti partite. Gara col Belgio a parte, l’Italia di ieri notte è stata solo peggiore a quella della brutta partita vinta dai cosiddetti titolari contro gli svedesi [vedi in proposito il post: Europei di calcio: il goal di Eder, un bene per gli azzurri? Cliccando sul titolo per leggere]. Una partita, questa persa con gli irlandesi, che si poteva giocare in scioltezza e soprattutto senza i consueti arroccamenti difensivi e senza rischiare inutilmente Bonucci, graziato dall’arbitro in un paio di occasioni e che, per evitare l’ammonizione, ha eluso il più possibile i contrasti, meritando un 4 in pagella e finendo come uno tra i maggiori responsabili del goal della vittoria irlandese. Al solito, Conte ci ha messo del suo, come sempre avviene nel bene e nel male: ostinato nel rischiare inutilmente uno dei migliori centrali europei, nel confermare il suo 3-5-2 che di fatto si è presto trasformato in un 5-3-2, oltremodo difensivo contro i modesti avversari, mentre con un 4-4-2 o meglio con un 4-3-3 avrebbe risparmiato Bonucci, consentendo maggiori rifornimenti all’attacco: se così si può chiamare l’inguardabile vagare di Immobile per il campo e il saltellare inutilmente grintoso di Zaza, solo quarto attaccante nella Juve, ma quasi titolare in nazionale. Non sarebbe stato meglio sostituirli entrambi, almeno alla fine del primo tempo, con i più tecnici Insigne [che appena entrato ha rischiato di farci vincere senza merito] ed  El Shaarawy, messi in campo solo a pochi minuti dalla fine? Qui però finiscono le responsabilità di Conte [convocazioni a parte: Vasquez, Jorginho, Bonaventura, Pavoletti, Gabbiadini, Saponara, forse persino Lapadula e qualche altro non avrebbero aumentato lo scarso tasso tecnico di questa squadra, con la possibilità anche di segnare qualche rete in più?], perché la maggior parte dei calciatori italiani visti in campo ieri notte è apparsa addirittura priva dei fondamentali. E ora ci tocca la Spagna [campione d’Europa in carica] negli Ottavi e, nell’ipotesi del miracolo, peraltro sempre possibile conoscendo le virtù di Conte, la Germania [campione del mondo] nei Quarti. Forse è meglio così, perché questa squadra è così brutta che non merita di andare avanti. Inutile d’altra parte sperare che la Federcalcio faccia tesoro della lezione. Si dirà, come va ripetendo Conte da una settimana, che un traguardo è stato raggiunto: il passaggio agli Ottavi, cioè quello che è riuscito anche a Galles, Irlanda del Nord, Irlanda, Islanda, Svizzera, Polonia, Slovacchia e Ungheria, tutte nazionali che non hanno mai vinto nulla. Resta il fatto che col primo posto del girone, all’Italia tocca la Spagna, mentre al Belgio, secondo, tocca l’Ungheria e che gli dei del calcio, come sempre avviene in queste competizioni, sono intervenuti pesantemente creando le condizioni perché la corsa delle quattro potenze calcistiche europee [Spagna, Inghilterra, Germania e Francia] fosse facilitata e lasciando che gli outsider [Belgio, Italia, Portogallo e Croazia] se la vedessero tra loro. Se tutto fosse andato come nei piani degli dei, infatti, la Spagna, prima del girone, negli Ottavi avrebbe incontrato una tra Galles, Slovacchia, Russia, Irlanda, Svezia, Austria, Ungheria e l’Islanda, alla Germania e alla Francia sarebbero capitate  due nazionali di modesto livello [e in effetti se la vedranno rispettivamente con Slovacchia e Irlanda], mentre per l’Inghilterra era pronto il paracadute: se fosse arrivata prima avrebbe incrociato una tra Albania, Svizzera, Romania, Irlanda del Nord, Ucraina, Turchia e Repubblica Ceca, se seconda, la seconda del gruppo F [Ungheria, Austria o Islanda] e infatti, arrivando  seconda del suo girone, gli inglesi incroceranno la sorprendente Islanda. Tutto diverso il discorso per gli outsider: al temuto Belgio, dato per scontato il suo primato nel girone E, negli ottavi sarebbe toccata la Croazia, mentre all’Italia, presumibile seconda classificata dello stesso girone, il Portogallo di cui si dava ugualmente per scontata la vittoria del girone F. Insomma i 4 outsider erano destinati dagli dei del calcio a ridursi a 2 dopo gli Ottavi. Ma Spagna, Italia e Portogallo hanno stravolto il piano degli dei: la Spagna perde il primo posto del suo girone a pochi minuti dalla fine dell’ultima partita, Il Portogallo con tre pareggi fatica la qualificazione al terzo posto e l’Italia, data per sicura perdente contro il Belgio [dal quale era stato sconfitto alla vigilia degli europei con un sonoro 3-1], vince e si classifica al primo posto del girone. Così la trappola degli dei scatta solo a metà: per il Portogallo e  la Croazia che si scontreranno negli Ottavi, non per il Belgio che grazie alla sconfitta con l’Italia trova una via di scampo nella parte sinistra [per l’osservatore] del tabellone e se la vedrà con l’Ungheria, non per l’Italia, la cui trappola si trasforma in un vero e proprio abisso: sfugge al predestinato incontro col Portogallo per incontrare la Spagna che la trascina nel vortice della parte destra del tabellone, insieme a Germania, Francia e Inghilterra. La vera mina vagante del progetto divino del calcio è stata la Spagna, costretta ora ad affrontare una dopo l’altra, Italia, Germania e Francia, per accedere alla finale.


sergio magaldi

mercoledì 22 giugno 2016

GLI ERRORI DI MATTEO RENZI




   Coreografia semplice ma efficace per salutare la vittoria dei Cinque Stelle: Virginia Raggi a mezzo busto sullo sfondo di Roma antica, indossando una sorta di tunica bianca vagamente cristica [in realtà una lunga camicia], con i capelli neri che le sfiorano le spalle e che scuote di continuo per le pose dei fotografi. Beppe Grillo che si affaccia dall’hotel Forum della capitale, sollevando le braccia al cielo e recando appeso al collo della camicia un comune appendino, simbolo dell’inattesa vittoria di Torino. E, in effetti, se la vittoria di Roma era quasi scontata e il voto massiccio degli elettori delle liste di destra [Meloni: 86% il flusso elettorale a favore della Raggi] e di centrodestra [Marchini: 67% del flusso] si aggiunge semplicemente, portando alla candidata M5S circa 350.000 voti in più di quelli presi il 5 Giugno, più che raddoppiando i voti di Giachetti; a Torino, dove Chiara Appendino prende oltre il 20% in più dei voti del primo turno, la scelta degli elettori di centrodestra è stata determinante per battere Fassino. Insomma il “Tutti contro Renzi” ha funzionato e potrebbe funzionare ancora nel futuro, anche se Sallusti scrive oggi su Il Giornale che Beppe Grillo “prende i voti di centrodestra e scappa”, non ricambiando il favore né a Milano né a Bologna dove il ballottaggio vedeva i candidati di Lega e Forza Italia in lizza contro quelli del centrosinistra. L’analisi di Sallusti per la verità è approssimativa, perché stando ai flussi elettorali, risulta che a Bologna un certo numero di elettori pentastellati abbia effettivamente votato per Lucia Borgonzoni della Lega, consentendole di raggiungere una percentuale che, se non l’aiuta a vincere, è però di tutto rispetto [45,35%]. Il fine di Sallusti è in realtà quello di sottolineare la distanza incommensurabile che c’è tra Centrodestra e M5S: i grillini, a suo giudizio, sono assistenzialisti [reddito di cittadinanza anche per i fannulloni] e per nulla liberali, dicendo di no a tutte le iniziative in grado di muovere l’economia del Paese [No-tav, no-Olimpiadi, no-stadio ecc…], sono moralisti e giustizialisti soprattutto con gli altri, e predicano la “decrescita felice”. Di segno opposto è invece il giudizio che della vittoria dei Cinque Stelle dà Matteo Renzi. Non solo, egli non chiama in causa l’apporto di destra alla vittoria pentastellata, esclude anche trattarsi di un voto di protesta, riconoscendogli invece la volontà del cambiamento. Insomma, Renzi non vede nel M5S un movimento alternativo, ma concorrenziale. Il problema nasce, tuttavia, quando dalle analisi si passa ai propositi, laddove questi sembrano orientati a riprendere la rottamazione all’interno del suo partito, in luogo di proporla finalmente nei confronti delle burocrazie, delle banche e delle corporazioni che, vuoi per tradizionale inefficienza, vuoi per privilegi di casta, impediscono il reale sviluppo del Paese. Avrà Renzi la forza per esaminare, almeno nel privato, le vere ragioni di questa sconfitta che fa perdere al PD ben 13 capoluoghi a fronte dei 3 guadagnati e altri 42 comuni contro i 17 di nuovo insediamento? Personalmente non credo che l’ascesa dell’ex sindaco di Firenze [41% nelle elezioni europee del 2014] abbia messo la marcia indietro a causa dell’Italicum, della Riforma Costituzionale o del Jobs Act. Sostenerlo, significa essere in malafede, perché chi ha sempre osteggiato queste misure non avrebbe comunque votato per il PD. L’appannamento o addirittura la caduta del mito di Renzi ha secondo me ragioni più semplici.

 Prima e dopo aver tirato fuori dal cilindro, in prossimità delle elezioni europee, ottanta euro mensili per i redditi più bassi e di questa “misura di sinistra” aver fatto ossessivamente il proprio fiore all’occhiello, Renzi fa tabula rasa di una sinistra interna da tempo sterile e velleitaria. Rottama all’interno del suo partito dirigenti vecchi e nuovi ex DS, ex PCI, e solo chi si adegua alla nuova politica è lasciato sopravvivere con funzioni decorative. Con molti è facile, ma non tiene in giusto conto un personaggio che un giorno potrebbe fargliela pagare, rifiutandogli un prestigioso incarico europeo, dopo - a quanto pare - averglielo promesso, e con ciò commette il primo errore strategico. Renzi poco se ne cura, perché il decisionismo, il dinamismo e la spregiudicatezza gli attirano le simpatie di parte dell’elettorato di centrodestra, già favorevolmente orientato nei suoi confronti anche per via dei passati endorsement di Berlusconi. Stringe il Patto del Nazareno per una giusta causa [una nuova legge elettorale e la fine del bicameralismo perfetto], è “sbranato” a sinistra, ma procede imperterrito, perché ha capito che le maggioranze in Italia si fanno con i voti del centrodestra. Quando però qualcuno avverte Berlusconi che, di quel passo, Lega e PD risucchieranno l’elettorato di Forza Italia,  il Patto si rompe e Renzi è costretto a navigare in mare aperto. L’errore non consiste nell’aver stipulato il famoso Patto, voluto anche da Napolitano per mettere fine, dopo trent’anni che se ne parla, al bicameralismo perfetto, ma nel fornire a Berlusconi un alibi per la rottura, eleggendo da solo, con un capolavoro politico che presto gli si torcerà contro, il nuovo presidente della Repubblica. E da questo momento, da quando si mette a fare il democristiano [lui che lo è per cultura dei padri ma non per indole e atteggiamento, tant’è che in un recente passato rimproverò a Letta le sue “democristianerie”], i suoi errori non si contano più. Credendo di aver sfondato nell’elettorato di centrodestra, che l’ha sempre guardato con simpatia, vagheggia il partito della nazione, cioè un PD tipo “balena bianca”, con percentuali elettorali superiori costantemente al 40%. Cambia anche il suo modo di comunicare: non appare più concorrenziale rispetto ai Cinque Stelle, si circonda di personaggi mediocri ancorché di provata fedeltà, e annuncia solennemente misure che si rivelano insignificanti o “fastidiose” per la borghesia piccola e media: la riforma fiscale, di cui in Italia si parla da almeno vent’anni, si riduce al 730 precompilato di Equitalia. Per ottenerlo, il cittadino deve compiere una vera e propria maratona informatica: dopo aver faticosamente e quasi miracolosamente ottenuto il cosiddetto pin dispositivo, con un po’ di fortuna il contribuente può vedere finalmente apparire sul desktop pc il famoso modello precompilato, fatto più di parole che di cifre, e quando finalmente gli riesce di far apparire i numeri, si accorge che è incompleto in molte sue parti e che deve ricominciare da capo, come nel gioco dell’oca. L’alternativa è recarsi presso un sindacato e presentare lì la propria dichiarazione dei redditi, solo che ora deve pagare, mentre prima la semplice presentazione era gratis. Con astuzia di bottegaio, Renzi riesce dove nessun governante prima di lui era mai riuscito: far pagare l’abbonamento TV a tutti gli italiani, inserendo il balzello nelle già esose bollette dell’energia elettrica, laddove molti cittadini si sarebbero aspettati da lui la liberalizzazione della Rai e la fine del pagamento del canone a vantaggio di un’azienda pubblica dove gli sprechi, l'assenteismo e il debito sono la regola. D’ora in poi, come un sole al centro dell’universo, fa espandere la propria luce sui pianeti di destra e di sinistra che s’illude di conoscere bene. Alla destra regala l’abolizione dell’odiosa tassa [IMU] sulla casa di abitazione, restaurando il dono di Berlusconi, alla sinistra [ma a quale sinistra?] la legge sulle unioni civili che vuole l’Europa, ma che gli aliena parte del voto cattolico e la benevolenza della Chiesa, che non piace all’elettorato di centrodestra e non accontenta neppure il popolo gay che avrebbe voluto via libera al matrimonio vero e proprio e alle adozioni. Una legge peraltro giusta nello spirito, ma incostituzionale perché discrimina gli eterosessuali: solo il vedovo della coppia gay e non quello dell’unione eterosessuale avrà diritto alla pensione di reversibilità, per gli etero c’è il matrimonio, che si sposino dunque! Il contrario sarebbe stato troppo per la chiesa cattolica e per le casse dello stato! E ancora: la miniriforma Renzi-Giannini, della cosiddetta buona scuola, che non intacca minimamente l’odiata Riforma Gelmini ma ha la pretesa, per così dire, di stabilizzare il tradizionale voto al PD degli insegnanti. Con mance per i docenti ritenuti meritevoli e l’assunzione in pianta stabile di circa centomila precari, con l’ulteriore proletarizzazione del personale insegnante, sulla scia dei governi degli ultimi cinquant’anni, differenziandosi solo per il massiccio numero di nuove immissioni, giustificato dall’esigenza di mettere un freno alla girandola delle supplenze che danneggia studenti e famiglie, e motivato da un calcolo elettorale rivelatosi errato: molti docenti avrebbero preferito insegnare come precari nella scuola vicino a casa, piuttosto che essere trasferiti come docenti di ruolo da una parte all’altra dell’Italia, stante anche l’equivalenza o addirittura la minore retribuzione [già di gran lunga inferiore alla media europea] almeno nei primi anni del ruolo. Se a queste misure, talora e in un certo senso persino lodevoli, ma attuate all’insegna dell’impopolarità, si aggiunge l’eccessiva personalizzazione che Renzi mette nella pratica di governo, il malgoverno e la corruzione di molte amministrazioni governate dal suo partito, una cattiva burocrazia che, per aver fatto male i suoi calcoli, costringe ora alcuni cittadini alla restituzione dei famosi ottanta euro mensili, si comprende il calo dei consensi a sinistra da parte del PD. Quanto alla perdita più consistente dei voti dell’elettorato di centrodestra, che aveva votato il PD nelle elezioni europee solo per scommettere su Renzi, se ne percepisce ancora più facilmente la causa: la rottura del Patto del Nazareno, la legge sulle unioni civili e soprattutto una politica giudicata imbelle nei confronti dei migranti.

 A questo punto, il “Tutti contro Renzi” che già viene rilanciato per il referendum costituzionale di Ottobre, si presta a molte riflessioni. Per disinnescare l’alleanza indiretta M5S-Centrodestra, c’è chi consiglia [la minoranza PD e gran parte di Forza Italia] di modificare la legge elettorale, spostando il premio di maggioranza dalla lista alle coalizioni. Così facendo, Renzi si assicurerebbe forse la vittoria nel referendum, ma darebbe prova di debolezza e di scarsa coerenza, senza essere sicuro neppure di vincere le lezioni del 2018. Ma il paradosso più divertente è il massiccio impegno annunciato dal M5S  per il No al Referendum, quando proprio il Sì, con il mantenimento dell’Italicum così com’è, gli darebbe molte probabilità di vincere le elezioni. Si preferisce invece far cadere Renzi, con le riforme costituzionali e la nuova legge elettorale, con la speranza che il caos politico che ne seguirebbe finirebbe per favorire l’ascesa dei pentastellati al potere. Illusione: nel PD, nel caso prevalesse il No al Referendum, sono già pronte alternative moderate e dialoganti con il centrodestra, per un nuovo governo delle larghe intese che metta nell’angolo tanto la Lega di Salvini che i Cinque Stelle.


sergio magaldi  

sabato 18 giugno 2016

EUROPEI DI CALCIO: il goal di Eder, un bene per gli azzurri?




 Il bellissimo goal di Eder che, negli ultimi minuti della partita contro la Svezia, dà all’Italia il primato del girone e la qualificazione agli ottavi, induce a qualche riflessione sul futuro cammino degli azzurri agli europei di calcio. Per uno strano paradosso [quanto strano e non invece voluto per ingabbiare il Belgio, di cui alla vigilia si dava per scontato il primo posto del girone E?], la vincente del girone E affronterà negli ottavi la seconda classificata del girone D, cioè Croazia o Spagna, più difficilmente la Repubblica Ceca, ed eventualmente Germania o Polonia per l’accesso alle semifinali, mentre la seconda del girone E se la vedrà con la vincente del girone F, cioè Portogallo o Ungheria e presumibilmente con l’Inghilterra o la Slovacchia nei quarti di finale. Insomma, col primo posto l’Italia incrocerà la Croazia [peggio ancora se dovesse toccarle la Spagna] e, se dovesse andar bene, la Germania, cioè una delle tre favorite per la vittoria finale [oltre a Francia e Spagna]. Qualora invece l’Italia fosse finita al secondo posto del girone, per arrivare alle semifinali, se la sarebbe vista con Ungheria o Portogallo e poi con Inghilterra e Slovacchia, cioè con almeno tre squadre su quattro alla sua portata. Questo significa che l’Italia avrebbe fatto meglio a non vincere contro la Svezia? Evidentemente no, innanzi tutto perché sarebbe stato poco sportivo e persino pericoloso giocare per il pareggio, poi perché la sorte può sempre riservare sorprese. Certo è che, per il gioco espresso, l’Italia, prodezza di Eder a parte, non ha meritato di vincere e non ha confermato la bella prova fornita contro il Belgio, l’unica partita ufficiale in cui la nazionale, pur fra le tante vittorie conseguite nei due anni di gestione di Conte, ha messo in mostra sprazzi di bel gioco [Vedi in proposito il post di un anno fa: IL NON-GIOCOdella Nazionale di calcio questa volta non paga, cliccando sul titolo per leggere].

 La stanchezza, il caldo per una partita giocata alle tre del pomeriggio, le risorse nervose consumate nella sfida, ritenuta proibitiva, contro il Belgio [seconda nel ranking mondiale dopo l’Argentina] possono spiegare la brutta partita disputata ieri sera dall’Italia? In parte, forse, ma occorre ricordare che l’Italia calcistica non dispone più come nel passato di autentici campioni e la causa di ciò è facilmente comprensibile. Le responsabilità della Federcalcio, come scrivevo in un post di due anni fa [IL NON-CALCIO DELLA NAZIONALE ITALIANA, clicca sul titolo per leggere] sono sotto gli occhi di tutti. È solo grazie alla bravura di Conte che gli azzurri, nonostante il pessimo gioco spesso messo in mostra, abbiano ottenuto risultati importanti. È vero, d’altra parte, che il tecnico ha dovuto rinunciare per gli europei agli infortunati Marchisio e Verratti che avrebbero dato al centrocampo italiano ben altra consistenza ed è vero altresì che si può discutere qualche scelta del commissario azzurro, come per esempio aver lasciato a casa Vasquez, Jorginho, Pavoletti e qualche altro. Ma è altrettanto evidente e forse giusto che Conte abbia voluto affidarsi, nel costruire la nazionale, alla metà di quei giocatori con cui ha vinto con la Juventus i suoi scudetti, con una difesa che presenta i soli calciatori italiani di livello internazionale.

 Che possiamo aspettarci dal cammino europeo di questa nazionale? C’è, tra gli addetti ai lavori, chi dice che aver ottenuto la qualificazione agli ottavi è già un grande risultato e chi si esalta parlando persino della possibilità di una vittoria finale. Francamente, Belgio a parte, Svezia e Irlanda erano avversari alla nostra portata e fallire la qualificazione agli ottavi avrebbe avuto il sapore di un’autentica disfatta, tanto più che a qualificarsi saranno anche le terze classificate di ogni girone, con la sola esclusione delle due peggiori [quattro terze su sei, dunque]. Quanto alle probabilità, non dico di una vittoria finale, ma almeno di un ingresso in semifinale ho più di una perplessità. Se i nostri avversari saranno Croazia o Spagna e Germania, dubito [naturalmente mi auguro di sbagliare] che si possa continuare nel nostro cammino europeo, ma se dovesse accadere, per un regalo del destino, di affrontare la Repubblica Ceca e la Polonia, allora avremmo concrete possibilità di accedere alle semifinali.  


sergio magaldi