sabato 5 novembre 2016

RIFORMA COSTITUZIONALE: 3° ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA





   Il MOVIMENTO ROOSEVELT [MR] lancia un’iniziativa lodevole in occasione del voto del prossimo 4 Dicembre sul Referendum Costituzionale: ha creato un sito apposito www.referendumsiono.it dove in sintesi rapida ma efficace sono elencate le conseguenze derivanti dal voto degli elettori [ o No] sull’intero Referendum, con la possibilità per i cittadini di interagire, esprimendo il proprio parere. Si badi bene, si tratta solo di conseguenze costituzionali, non politiche – sulle quali ultime ogni cittadino è libero di farsi le idee che crede – e pertanto non soggette a valutazioni soggettive. In più, si riportano le principali obiezioni degli uni contro gli altri, senza tuttavia mai intervenire in merito. Un pregio non da poco, questo, visto che ogni altra simile iniziativa si dilunga nel tentativo di “tradurre” per intero il difficile e talora incomprensibile linguaggio dei politici-costituzionalisti e/o prende decisamente posizione per l’uno o l’altro “partito”. Il senso di questa operazione lanciata dal Movimento Roosevelt, al di là del voto sicuramente differenziato dei suoi militanti, sta tutto nella natura del movimento che, per bocca del suo Presidente, dichiara esplicitamente che tra i suoi fini c’è innanzi tutto quello di informare i cittadini mediante una sorta di pedagogia della politica [vedi in proposito: https://www.youtube.com/watch?v=HrYgEwhiACY].
Ebbene, il sito appositamente creato dal MR affronta la questione, passando al vaglio i sei “Grandi temi della Riforma” e cioè:

1° Il Bicameralismo perfetto o paritario [Punto già esaminato nel post:  RIFORMA COSTITUZIONALE: 1° IL BICAMERALISMO PERFETTO. Clicca sul titolo per leggere]

2° Riforma del Senato [Punto già esaminato nel post: RIFORMA COSTITUZIONALE: 2° RIFORMA DEL SENATO. Clicca sul titolo per leggere]

3° Elezione del Presidente della Repubblica

4° Abolizione del CNEL [Consiglio Nazionale Economia e Lavoro]

5° Riforma del Titolo V della Costituzione, sulle competenze di Stato e Regioni

6° Riforma sui Referendum abrogativi e leggi di iniziativa popolare.

                                - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

 L’elettore sa che con un approva l’intero “pacchetto”, mentre con un No lo respinge in blocco, lasciando inalterato l’attuale dettato costituzionale sulla materia. I radicali avevano lanciato la proposta di “spacchettare” i temi della Riforma, lasciando i cittadini liberi di esprimersi su ciascuno di essi. Il Parlamento, tuttavia, non ha recepito la proposta, sia da parte dei sostenitori del che da quella dei sostenitori del No. L’eventuale “spacchettamento” avrebbe sicuramente impedito l’attuale disputa in stile “Guelfi-Ghibellini”, ma le opposizioni avrebbero perso l’occasione di costringere il governo Renzi a dimettersi nell’eventualità della vittoria del No, mentre i partiti di governo, abbastanza sicuri di vincere sui punti 1° e 4°, avrebbero rischiato su tutti gli altri e in particolare sul Titolo V che, insieme al superamento del bicameralismo perfetto, è il punto nevralgico dell’intera proposta di riforma costituzionale. In più, occorre riconoscere che appare abbastanza problematico, se non addirittura arduo, separare tra loro i primi tre punti della riforma, essendo chiara la loro stretta interdipendenza.

 Ho sin qui esaminato le implicazioni riguardanti il 1° e il 2° punto della Riforma. Procedo ora con l’analisi di ciò che è scritto nel sito citato a proposito del 3° punto: ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

SE VOTI 

Il Presidente della Repubblica verrà eletto dal Parlamento in seduta comune, ma non vi parteciperanno più i delegati delle Regioni (visto che i nuovi senatori saranno scelti dal territorio).
Nelle prime tre votazioni, serviranno ancora i 2/3 degli aventi diritto (circa 500 elettori) per eleggere il Presidente. Dalla quarta votazione fino al 6°scrutinio sono necessari i 3/5 degli aventi diritto al voto (circa 440 elettori); dal 7° in poi, la maggioranza dei 3/5 dei votanti (cioè quelli che sono presenti e votano effettivamente).
Il Presidente della Repubblica potrà, sentito il suo Presidente, sciogliere la sola Camera dei Deputati (e non più il Senato).
Durante l’assenza del Presidente della Repubblica, a farne le veci sarà il Presidente della Camera.

SE VOTI No

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune (Camera e Senato). Alle’elezione partecipano anche dei delegati regionali, in modo che sia assicurata la presenza delle minoranze.
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei votanti (50% +1).
Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse.
Durante l’assenza del Presidente della Repubblica, a farne le veci è il Presidente del Senato.

 Per i primi due punti della Riforma, sin qui esaminati [clicca sui punti sopra sottolineati per leggere], le differenze di prospettiva, tra i sostenitori del No e quelli del sono immediatamente visibili: tra chi vuole continuare con due Rami del Parlamento dagli identici poteri, mantenendo inalterato il numero dei senatori retribuiti [No] e chi vuole differenziare i poteri di Camera e Senato, ponendo fine, dopo 70 anni al bicameralismo perfetto o paritario, ad un lungo, complesso e niente affatto sicuro procedimento per l’approvazione delle leggi, nonché risparmiare sulla retribuzione di 315 senatori, sostituiti da 100 senatori, non retribuiti per questa specifica funzione ed eletti solo indirettamente dal popolo [].
 Diversamente si propone la questione circa l’elezione del Presidente della Repubblica. Le ragioni del No e quelle del a prima vista sembrano risibili: con la Riforma, il Parlamento è convocato in seduta comune, esattamente come avviene oggi. Tuttavia, in conseguenza dei primi due punti [eliminazione del bicameralismo perfetto e riforma del Senato], la composizione dell’elettorato, rispetto al presente, muta sia in qualità che soprattutto in quantità. Infatti, con la Riforma, il numero dei senatori si riduce di 215 unità [315 oggi, 100 con la Riforma], determinando un nuovo rapporto tra senatori e deputati: attualmente “i grandi elettori” del Presidente della Repubblica sono circa 1010, infatti ai 630 deputati si aggiungono circa 380 membri del Senato [calcolando oltre ai 315 senatori eletti, i 58 rappresentanti delle regioni e i senatori a vita] con una percentuale di circa il 62,4% per la Camera e del 37,96% per il Senato. Con la Riforma, il numero dei cosiddetti grandi elettori si riduce a 735 [630 deputati e 105 senatori, calcolando anche i senatori a vita] e le percentuali di rappresentanza tra Camera e Senato diventano rispettivamente: 85,8% per la Camera e 14,2% per il Senato. Questo diminuito numero di senatori, rispetto ai deputati, nel determinare l’elezione del Presidente è l’argomento principe utilizzato dai promotori del No, in quanto si sostiene che ad eleggere il Presidente sarebbero in realtà i deputati, mentre i senatori avrebbero una funzione meramente decorativa. E, in apparenza, lo si sostiene con qualche ragione. Se si approfondisce il discorso, tuttavia, si vede che, anche se nelle prime tre votazioni occorrono all’incirca 674 grandi elettori per determinare l’elezione - un numero di poco superiore rispetto ai 630 deputati aventi diritto al voto - a partire dalla quarta votazione e nelle successive, il numero dei deputati sufficiente ad eleggere il Presidente diminuisce a poco meno di 510 elettori, cifra di gran lunga inferiore ai 630 dei deputati aventi diritto al voto. Dunque, se si resta in questa logica, puramente teorica e niente affatto politica, anche oggi si può tranquillamente affermare che l’elezione del Presidente della Repubblica è determinata unicamente dai deputati. Infatti, solo con Cossiga e con Ciampi [oltre che con Enrico De Nicola, primo Presidente della Repubblica tra il gennaio e il maggio 1948, eletto quasi per acclamazione con 405 voti su 435, dopo essere stato capo provvisorio dello stato dal luglio del 1946] si ebbe l’elezione del Presidente al primo scrutinio e perciò a maggioranza qualificata, con un numero che comprendeva di necessità anche il voto dei senatori [752 voti su 1011 per eleggere Cossiga, 707 su 1007 per eleggere Ciampi], ma in tali casi fu decisivo non già il numero dei senatori, bensì l’accordo tra i partiti trovato per via extraparlamentare e determinato dalla contingenza politica e dalle logiche di spartizione del potere.
 C’è in più, forse in favore della Riforma, la considerazione che i nuovi senatori non sarebbero come gli attuali, espressione della stessa base sociopolitica che elegge i deputati. D’altra parte, cosa accadrebbe con la Riforma? Certo, i deputati, ove si trovassero d’accordo [ipotesi politicamente impossibile] potrebbero eleggere il Presidente sin dalla prima votazione, occorrendo poco più di 490 voti su 735. Dal quarto e sino al sesto scrutinio ne occorrerebbero circa 442 e solo dal settimo in poi sarebbero sufficienti i 3/5 dei presenti in aula e non degli aventi diritto, con quel rischio, tutto teorico, che in tal caso, la legge elettorale attualmente in vigore per l’elezione dei deputati [italicum], darebbe alla lista che abbia ottenuto il premio di maggioranza  di 340 deputati lo strumento per eleggere praticamente da sola il Presidente. Ipotesi pretestuosa e puramente di scuola, perché presuppone che siano assenti dalla votazione più di 100 grandi elettori dell’opposizione.

 In conclusione si può dire che, ove la Riforma fosse “spacchettata”, non vi sarebbe un gran vantaggio nel votare piuttosto che No, perché poco o nulla si modificherebbe nella sostanza. Ma se il 4 Dicembre si andrà a votare per l’intero pacchetto, non c’è dubbio che votare sarebbe la diretta conseguenza dell’aver considerato favorevolmente i due precedenti punti della Riforma, mentre votare No significherebbe esattamente il contrario.


sergio magaldi

Nessun commento:

Posta un commento