venerdì 29 aprile 2016

PERFETTI SCONOSCIUTI


Perfetti sconosciuti, regia di Paolo Genovese, Italia, 2016, 97 minuti


 Facile comprendere il successo di pubblico di Perfetti sconosciuti, in programmazione ormai da tre mesi nelle sale romane. Un film che rispecchia fedelmente il modo di essere e di vivere di tanta parte della piccola e media borghesia. Sette personaggi [due coppie tra i quaranta e i cinquanta, una coppia più giovane e un single, Peppe, interpretato con la consueta efficacia espressiva da Giuseppe Battiston] riuniti una sera a cena per celebrare il rito del cibo, se non altro cucinato [a buon diritto la location è semplice e senza sorprese, del noto e fortunato filone “Metti una sera a cena…”], tutti pronti a comunicare tra loro con battute della lunghezza di un sms, tant’è che il discorso più lungo lo fa Rocco [Marco Giallini] a sua moglie Eva [Kasia Smutniak], quando si appartano nel bel mezzo della bufera che già infuria tra i convitati: "Non trasformare ogni discussione in una lotta di supremazia. Non credo che sia debole chi è disposto a cedere, anzi, è pure saggio. Le uniche coppie che vedo durare sono quelle dove uno dei due, non importa chi, riesce a fare un passo indietro. E invece sta un passo avanti. Io non voglio che finiamo come Barbie e Ken: tu tutta rifatta e io senza palle".

 Mentre la battuta più drammatica e al tempo stesso comica, perché più di ogni altra suscita il riso del pubblico [ciò che invita a riflettere], è quella che Lele [Valerio Mastrandrea], parlando come a se stesso, in realtà pronuncia per tutti, con l’eccezione della moglie Carlotta [Anna Foglietta] che non può ascoltarla, perché è appena uscita sbattendo la porta di casa degli amici che l’hanno ospitata, e di Bianca [Alba Rohrwacher], la sposa recente di Cosimo [Edoardo Leo], il dongiovanni tassista, che chiusa in bagno tra i singhiozzi, per un miracolo della sceneggiatura, mostrerà poco dopo in realtà di averla udita e interpretata a dovere. So frocio solo da du ore e già m'è bastato…”, era stato il commento di Lele.

 Sono gli stessi personaggi che consumano i propri fasti nelle foto dei tablet e degli smartphone – talora impreziosite dall’apparizione su facebook e instagram e scandite dai tanti reciproci “mi piace” – chiamate a immortalare i momenti topici dell’esistenza: immagini dei paesaggi sublimi delle vacanze, album di nozze, torte di compleanno, pietanze prelibate a esorcizzare il cattivo gusto contemporaneo, animali graziosi o fieri, piante esotiche, fiori multicolori, e persino massime e proverbi in neretto come altrettante perle di saggezza. Sette personaggi che trovano il loro autore in Paolo Genovese, coadiuvato da una sceneggiatura pensata e scritta a cinque teste e altrettante mani, con un cast dignitoso che ha la sua maggiore performance nell’interpretazione di Alba Rohrwacher, come sempre bravissima.



 
You will learn at your expense that in the long journey of life you will encounter many masks and few faces. (Luigi Pirandello, Italian Nobel Prize)


  Se la borghesia medio-alta degli anni Trenta del secolo scorso, per mascherare la propria crisi si esibiva in lunghi discorsi infarciti di filosofemi, trovando in Pirandello il proprio vate, questa borghesia piccola e media cerca di colmare il proprio vuoto e la propria noia con giochi “pericolosi”: perché non posare sul tavolo il proprio cellulare, mettendo il vivavoce per far sentire a tutti che non abbiamo segreti? La proposta viene da Eva che si crede al riparo da ogni sorpresa e che con scarso acume psicologico [lei che è psicoanalista di professione!] la difende quasi con sadismo dal timido dissenso dei maschi, scoprendo così l’opinione che la figlia ha di lei [“la mamma è una stronza” dirà al padre per telefono], dovendo poi fare consapevoli i presenti che presto si rifarà le tette, per tacere di altro, vera ciliegina sulla torta, a completare la figura di quella che è l’unica intellettuale tra le donne del gruppo. 

 E suo marito, Rocco, il chirurgo estetico, nel ruolo del saggio che fornisce a tutti pillole di tolleranza e civile convivenza e che, nel bel mezzo della crisi che ormai investe ognuno dei convitati, pronuncia, indicando il cellulare, la frase che riassume un’intera filosofia di vita e che è anche il leitmotiv dell’intero film: "Qua dentro ci abbiamo messo tutto! Questo qua ormai è diventata la scatola nera della nostra vita!". 

 Poi, il finale imprevedibile solo in apparenza. Che ognuno lo interpreti come crede, purché se ne parli: finzione o realtà? E se di verità si tratta, come induce a pensare la santa trinità della logica aristotelica, quale migliore conclusione che far finta di niente, lasciando che il principio di realtà prevalga sul principio del piacere, il calcolo e la convenienza sull'amore e il sogno, l’abitudine e i compromessi sul desiderio e il bisogno di autenticità?   

 In definitiva, una delle migliori rappresentazioni di certa borghesia italiana dell’era della globalizzazione, una narrazione dell’ovvio e della banalità sublimata e che tuttavia si dipana a pieno ritmo come in un ottimo thriller. Un film che finisce col compiacere lo spettatore che si vede ritratto come in uno specchio, ma dove purtroppo non si percepisce mai “la presa di distanza” degli autori [regia e sceneggiatura].

sergio magaldi

lunedì 25 aprile 2016

PER NON DIMENTICARE




Epigrafe per i caduti di Marzabotto 
di Salvatore Quasimodo


Questa è memoria di sangue
di fuoco, di martirio,
del più vile sterminio di popolo
voluto dai nazisti di von Kesselring
e dai loro soldati di ventura
dell’ultima servitù di Salò
per ritorcere azioni di guerra partigiana.

I milleottocentotrenta dell’altipiano
fucilati ed arsi
da oscura cronaca contadina e operaia
entrano nella storia del mondo
col nome di Marzabotto.
Terribile e giusta la loro gloria:
indica ai potenti le leggi del diritto,
il civile consenso
per governare anche il cuore dell’uomo,
non chiede compianto o ira,
onore invece di libere armi
davanti alle montagne e alle selve
dove il Lupo e la sua Brigata
piegarono più volte
i nemici della libertà.
La loro morte copre uno spazio immenso,
in esso uomini di ogni terra
non dimenticano Marzabotto,
il suo feroce evo
di barbarie contemporanea.

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sabato 23 aprile 2016

QUALCHE RIFLESSIONE SUL MOVIMENTO ROOSEVELT

  


  
   Ad un anno ormai dalla nascita del Movimento Roosevelt, è forse venuto il momento di chiedersi cos’è stato il movimento sin qui, nelle parole di chi ha tentato di divulgarne il pensiero e soprattutto nell’azione concreta dei suoi militanti. 

 Innanzi tutto la difficile questione del rapporto tra Movimento Roosevelt e Massoneria. Il rischio che il movimento sia percepito come “longa manus” di un non meglio precisato apparato massonico è reale. Qualcuno ha definito tale rapporto con parole suggestive ma per nulla esagerate: ingombrante come un “elefante”, una “barriera” da rimuovere e così via.

 Per la verità, l’impressione è che tale rischio sia più che altro paventato dai militanti, dal momento che l’opinione pubblica – intendendo con ciò larghi strati di cittadini sparsi in modo omogeneo sul  territorio nazionale e con i quali si riesca a comunicare non solo attraverso i social network –  non sembra ancora essersi misurata con il problema. E questo, in un certo senso è un bene, perché consente di predisporre opportune strategie di comunicazione per affermare il diritto del MR ad esistere e confrontarsi nell’agone politico con gli altri movimenti e partiti politici. E in questo senso e in un primo tempo non è tanto importante – come acutamente ha osservato qualcuno tra i militanti – definire le linee programmatiche o comunicare le nostre politiche, bensì "mostrare la nostra immagine". Tanto più che già nel nome il movimento si richiama a contenuti ideologici facilmente riconoscibili, perché attengono alla sfera dei diritti umani, tanto materiali che esistenziali dell’individuo e della collettività. Solo in un secondo momento verrà poi la questione di stabilire le priorità [e questo fa ancora parte della strategia della comunicazione, oltre che della strategia politica] e, da ultimo, dirimere in una linea condivisa le molteplici interpretazioni tra diritti reali di tutti e diritti desiderati che tuttavia non possono pretendere l’universalità.

 Ma la netta separazione tra Movimento Roosevelt e Massoneria deve già avvenire in questa prima fase, altrimenti c’è davvero il rischio di essere identificati come “massoni” o “paramassoni” e l’opinione pubblica, come tutti sappiamo, è stata educata, o per meglio dire “diseducata”, a voltare la faccia dall’altra parte allorché avverte l’odore della massoneria nella politica. Altro e diverso è il discorso e l’auspicio che la Massoneria si presenti in futuro davanti all’opinione pubblica in una luce diversa. Ciò non può e non deve riguardare il Movimento Roosevelt.

 È vero, d’altra parte, che il movimento trae la sua ragion d’essere dalla consapevolezza che “Il mondo moderno e contemporaneo è stato costruito dalla massoneria, sconfiggendo le antiche aristocrazie ecclesiastiche e del sangue. E oggi i suoi membri più eminenti ne controllano e gestiscono il funzionamento per finalità benemerite (democratiche, liberali, libertarie, laiche, ugualitarie e filantropiche) o esecrabili, come la costituzione di nuove oligarchie dello spirito e della finanza sovraordinate alla sovranità popolare, che viene svuotata di sostanza.” [“Massoni…”, Chiarelettere, p.26].





 Tuttavia, se il libro Massoni. Società a responsabilità illimitata può essere considerato una pietra miliare per riscrivere la storia del mondo e ricordare quale fu il ruolo della Massoneria nei secoli scorsi a sostegno del liberalismo, della democrazia e dei diritti umani, ma anche per comprendere l’attualità, occorre tener presente che il discorso dell’autore sembra avere una duplice valenza: da una parte parla per tutti coloro che vogliano e sappiano comprendere la realtà in cui vivono e/o hanno vissuto i loro padri, dall’altra si rivolge agli “addetti ai lavori”della libera muratoria in un linguaggio determinato, come per esempio quando annota: “La massoneria ordinaria è quella rappresentata dal circuito delle Gran Logge e dei Grandi Orienti (…) organizzati su base nazionale e dotati di rapporti diplomatici internazionali con altre potenze massoniche. Si tratta di in circuito che ha alimentato, combattuto e vinto le grandi sfide della modernità, ma che adesso è in grave stato di crisi e declino a causa del suo conservatorismo, della sclerotizzazione delle sue strutture, del suo dogmatismo pseudo ecclesiale, della sua tendenza a scomunicare ogni istanza eretica e critica al suo interno, del suo atteggiamento non inclusivo e accogliente verso comunioni massoniche minori, della sua colpevole inclinazione a ‘disunire ciò che è integro’ invece di ‘riunire ciò che è sparso’, tipica locuzione e tipico dovere iniziatico dei massoni autentici. Ma soprattutto, a pesare è stata la perdita di vocazione avanguardistica, sul piano ideologico e culturale, rispetto alle sfide di un mondo ipercomplesso e globalizzato come quello attuale.” [cit., p.22].

 È chiaro che al Movimento Roosevelt deve interessare solo la prima delle due interlocuzioni e che anche questa deve essere offerta scevra di sovrastrutture storiche e ideologiche che ne zavorrino il messaggio, lasciando trasparire nel linguaggio più semplice ed efficace possibile la voce del movimento, che si sostanzia nella lotta per l’acquisizione dei diritti fondamentali ancora negati ai cittadini, quali soprattutto il diritto al lavoro, alla sicurezza, alla dignità della vita, alla libertà di opinione e di espressione. È altrettanto chiaro che per questo scopo sono necessarie precise strategie politiche e che nulla deve essere lasciato all’improvvisazione. Come pure deve essere trasparente il momento decisionale, preso da pochi, ma poi condiviso in sede assembleare dalla maggioranza dei militanti o, per questioni di massima urgenza, sottoposto all’approvazione degli iscritti attraverso la rete e nella garanzia che la minoranza accetti la regola aurea della democrazia che impone, all’interno di uno stesso movimento, l’accettazione, sia pure critica, della volontà della maggior parte. Ma questo è già il secondo obiettivo dal quale ne scaturisce un terzo, quello dell’organizzazione capillare. Deve tuttavia essere chiaro che entrambi questi obiettivi ne presuppongono un primo che, come già detto, è quello della strategia della comunicazione ed è altrettanto evidente che sin da questo primo momento deve interrompersi agli occhi dell’opinione pubblica, se c’è mai stato, il circolo vizioso Movimento Roosevelt-Massoneria che rischia di creare molteplici fraintendimenti, se persino chi ha ricoperto in passato la carica di Segretario Generale del MR, in un recente post del suo blog, si lascia andare a considerazioni quanto meno inattuali circa il rapporto fecondo tra il messaggio di Cristo e il concetto di “sovranità popolare” e che, quel che è peggio, vede nella Patristica prima e nella Scolastica dopo, la fonte di ciò che di buono offre la modernità e che per contro fa discendere la modernità maligna da una “sapienzialità altra”, con più che probabile riferimento alla Massoneria genericamente intesa, senza che neppure gli passi per la testa e per la penna che la società moderna – con le sue categorie di libertà di pensiero, di espressione e di parola, con le sue istituzioni liberali e democratiche, ancorché suscettibili di costante perfezionamento – nasce non già dall’integralismo teologico più o meno vagheggiato dai dottori della Chiesa, ma per contrapposizione a quello, attraverso la riforma luterana, le rivoluzioni inglesi, il giusnaturalismo, le sette leggi noachide – di cui fu portatrice la Massoneria già ben prima della costituzione delle prime logge londinesi –, l’illuminismo, la rivoluzione americana, la rivoluzione francese, le tante dichiarazioni sui diritti intangibili degli esseri umani: pensiero e azioni che videro in prima linea la libera muratoria, anche grazie al sangue versato da tanti massoni.

 In definitiva, l’unico modo per esorcizzare “l’elefante” mi sembra quello di non montarci sopra, sia pure nell’intento di far crescere il movimento. Gli spazi politici offerti dall’attualità consentono ben altre e più agevoli andature. Il Movimento Cinque Stelle ha mai spiegato alla gente che il termine “cittadini” con cui si chiamano tra loro eletti ed elettori ha la sua fonte nella rivoluzione francese, sicuramente la più massonica di tutte le rivoluzioni? Ciò non significa, naturalmente, accodarsi alla politica di un movimento che ha ormai raggiunto un quarto dell’elettorato. Come pure è da evitare la leggerezza e la superficialità con la quale alcuni militanti e diversi cittadini hanno fatto proprie sui social network le considerazioni di un membro del Direttorio pentastellato, circa l’opportunità di denunciare Renzi e Napolitano in base all’art.98 del Testo Unico delle leggi elettorali [Titolo VII: Disposizioni penali] che prevede il carcere per i pubblici ufficiali che costringano o inducano mediante coercizione gli elettori ad astenersi in occasione di un referendum. In realtà, il presidente del consiglio e l’ex presidente della Repubblica si sono limitati ad esprimere l’opinione – giusta o sbagliata che fosse, secondo il punto di vista – che sarebbe stato preferibile astenersi su un tale interrogativo, e l’hanno fatto in base a una cattiva legge che prevede un “quorum” tanto elevato per legittimare un referendum e che di conseguenza trasforma l’astensione in una vera e propria scelta elettorale, persino più importante del e del no. Premesso che il MR dovrebbe battersi per l’abolizione del “quorum”, resta la considerazione su certo opportunismo di un dirigente politico di primo piano che, utilizzando la rete, fa dimenticare anche ai militanti più attivi e meritevoli, al di là della lettera del testo in questione, uno dei fondamentali diritti umani: la libertà di espressione di ogni cittadino [anche se titolare di un importante incarico pubblico], purché non si traduca in affermazioni diffamatorie e/o offensive, non può trasformarsi in un reato.

 Il Movimento Roosevelt ha una sua specificità che lo rende diverso dai Cinque Stelle, proprio perché ha la pretesa di conoscere la storia da cui proviene, in particolare le vicende che vanno dall’avvento del nazifascismo sino alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che Eleonora Roosevelt fece approvare dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre del 1948, all’indomani di una guerra che il presidente americano Franklin Delano Roosevelt fu costretto a portare in Europa per fermare il nazismo e la più grande negazione dei diritti umani che la Storia abbia mai conosciuto in epoca moderna. La forza, la peculiarità e la lotta del MR devono basarsi sulla consapevolezza che taluni di questi fondamentali diritti non hanno trovato concreta attuazione in Italia, in Europa e nel mondo e che una globalizzazione selvaggia rischia di renderli inapplicabili almeno per i prossimi cinquant’anni.

 Non accodarsi, certo, ma ove possibile percorrere tratti di strada in comune con i Cinque Stelle, così come del resto con altre forze politiche, su questioni di reciproco interesse, ricordando tuttavia che almeno uno dei tanti motivi di successo della strategia pentastellata si deve proprio all’immagine offerta all’opinione pubblica, a torto o a ragione, di essere un movimento politico diverso da tutti gli altri.


 sergio magaldi

sabato 16 aprile 2016

TRIVELLARE O NON TRIVELLARE?





 Trivellare o non trivellare? That is the question:  Wheter ‘tis nobler… Questo è il dilemma: se sia più nobile per gli italiani andare a votare oppure non recarsi alle urne e se andando a votare, rispondere , come vorrebbero i vescovi degli Abruzzi, Travaglio, i comunisti alla Ferrero, Freccero e tanti altri, oppure rispondere no come consiglia Brunetta, ma andando a votare per far vincere il e affondare Renzi.
                                                                               Insomma, per farla breve, un problema ideologico che in apparenza divide gli italiani tra coloro che odiano le trivelle perché distruggerebbero l’ambiente e quanti le enfatizzano come indispensabili strumenti di ricchezza per il Paese. Ma il quesito referendario domanda soltanto di decidere se si vuole continuare a trivellare sino ad esaurimento dei pozzi [e allora bisogna rispondere no o non andare a votare] oppure prendere la matita e scrivere sì, se si vuole porre fine alle trivelle già con l’esaurimento delle concessioni, lasciando in fondo ai pozzi le eventuali restanti risorse energetiche, considerate nefaste e diaboliche. Ma il vero dilemma è: cosa è più dannoso per l’ambiente? Dismettere i pozzi prima che siano esauriti o chiuderli naturalmente una volta esauriti? Naturalmente, come sempre avviene in questi casi, i pareri sono discordi. Ma gli scienziati dove sono? Non spetterebbe a loro la decisione su un quesito di sapore tecnico più che ideologico? Nel Protagora di Platone, Socrate così poneva la questione:

Noto che, in assemblea, quando la città deve deliberare sulla costruzione di un edificio, vengono chiamati gli architetti come consiglieri; quando invece bisogna deliberare sulla costruzione di navi, vengono chiamati i costruttori di navi e nello stesso modo si procede per tutte le altre cose che si ritiene possano essere insegnate e apprese”. 

 La tesi di Socrate s’è riproposta ieri sera, in merito al quesito referendario, nella nota trasmissione televisiva della Gruber. A farla propria implicitamente, un vecchio militante comunista e grande vignettista come Bobo [Sergio Staino], ora iscritto del PD, non renziano e tuttavia costretto a difendere il segretario del suo partito dagli attacchi concentrici di Ferrero e Sgarbi. 

 Pur continuando a non fidarsi di Renzi – come ebbe a dichiarare ad Alessandra Longo in una intervista di Repubblica.it di circa 8 mesi fa – Bobo è convinto che l’ex sindaco di Firenze debba governare perché  è ancora “il più bravo di tutti”. Alla giornalista che in quell’occasione gli aveva posto la domanda: “Staino ha sentito cosa ha detto Renzi? Che l’unica cosa non di sinistra che ha fatto finora è stato vincere le elezioni”. “Lo vede? – aveva replicato Bobo – Ha una marcia in più. È spiritoso, ci frega con il suo humour. I nostri dirigenti non sapevano ridere”.

 Ieri sera Bobo ha invece opposto a Freccero e Sgarbi – saliti entrambi con disinvoltura sulla cattedra della sinistra per dire che l’alleanza del PD con Verdini è improponibile [Freccero], che Renzi è di destra e che s’è alleato col diavolo [Sgarbi!] – che Renzi è e rimane di sinistra, non solo perché, a differenza di altri, ha portato il partito nell’internazionale socialista, ma anche perché tutto ciò che oggi, all’interno del partito, si rimprovera al segretario è già stato fatto e con minore successo proprio da quelli che lo rimproverano. Forse che Mastella è meglio di Alfano e di Verdini? Senza contare che proprio la nuova legge elettorale, voluta da Renzi, dovrebbe servire ad eliminare per il futuro il trasformismo e le maggioranze ibride.

 In conclusione, è auspicabile per i cittadini che, quale che sia la decisione da prendere domani, questa non sia determinata da conformismo e/o mancanza di consapevolezza.

sergio magaldi


    

venerdì 15 aprile 2016

IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [5°ASTROLOGIA E QABBALAH]



SEGUE DA:

 

  IL RUOLO DELL’ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell’umanità [4°PENSATORI DELL’ANTICHITA’] clicca sul titolo per leggere


  IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [3°ASTROLOGIA E TRADIZIONE EBRAICA] clicca sul titolo per leggere


  IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [2°ASTROLOGIA E ASTROLATRIA] clicca sul titolo per leggere


  IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [1°MASSONERIA E ASTROLOGIA] clicca sul titolo per leggere



Il Sepher Yetzirah o “Libro della Formazione” [1] è alla base dell’astrologia cabalistica, sin dal I Capitolo allorché si parla delle 22 lettere dell’alfabeto con cui Dio creò il mondo. Tre di queste lettere: Shin-Alef-Mem sono dette madri e rappresentano i tre elementi della tradizione empedoclea: acqua-aria-fuoco, altre sette di queste lettere rappresentano i sette pianeti (considerando i due luminari e i cinque pianeti della tradizione): Bet- Dalet- Ghimel- Kaf- Phe- Resh- Taw mentre le restanti dodici lettere rappresentano i 12 segni zodiacali, unitamente alla 12 tribù di Israele.

Ancora, in 1:8 del Sepher Yetzirah si fa riferimento, oltre che alle dieci Sephiroth [2] - che molti cabbalisti considerano in analogia coi pianeti - [3] alle Hayot o ‘creature viventi’ della visione di Ezechiele, in analogia coi segni zodiacali.

Non è un caso che il rifiorire del culto degli astri, tra gli ebrei, coincida con la distruzione di Israele. Perché Israele è fuori da Ur dei Caldei, fuori dall’Egitto, fuori dalla condizione in cui vivono tutti gli altri popoli della terra e quando gli ebrei si comportano come tutti gli altri, Israele non ha più ragione di essere, perché Israele nasconde nel nome, anzi è, la totalità delle porte della conoscenza di questo universo. Infatti, distanziando tra loro le lettere ebraiche che formano la parola Israel [Yud-Shin-Resh-Alef-Lamed] e invertendo di posto la Alef e la Lamed si ha Iesh relà [Yud-Shin e Resh-Lamed-Alef] che significa ‘è 231 con chiaro riferimento alle 231 Porte della Conoscenza.

Le Porte si conoscono utilizzando le 22 lettere dell’alfabeto ebraico, in connessione al Galgal o ruota celeste (che nel Talmud designa la ruota dello zodiaco), com’è scritto nel Sepher Yetzirah (2:4): “22 lettere…Le collocò in circolo come un muro con 231 Porte”. Applicando la formula che segue, conosceremo le Porte: dato un certo numero di punti (n) in una circonferenza, il numero delle linee (L) che si ricavano connettendo tra loro tutti i punti è L=n (n-1) / 2. Se n sono le 22 lettere si ha: L= 22x21/2=231.

In 2:4, in relazione alle 231 Porte della Conoscenza, è nominata la ruota dello Zodiaco o Galgal e da 4:7 a 4:14 si parla dei sette pianeti. In 5:4 sono citate le 12 costellazioni dell’universo (i cui nomi corrispondono ai 12 segni zodiacali). Unendo la lettera del segno zodiacale col proprio rispettivo elemento (Aria-Fuoco-Acqua-Terra), avremo 12 radici per ciascuno dei 12 segni zodiacali. Da queste radici e talora dalle loro ghematrie [4] è possibile raccogliere qualche indicazione sul significato del segno zodiacale. Per i segni di Terra, mancando la corrispondente lettera ‘madre’, varrà l’unione di ciascuna lettera della triplicità di Terra con la lettera Mem (acqua).

Abbiamo così, unendo la Alef  alle lettere dei tre segni di Aria, la radice Az (Alef-Zain, Gemelli) che significa ‘allora’, nel senso che è giunto il momento di scegliere tra una strada e l’altra,  El (Alef-Lamed, Bilancia) che è uno dei nomi di Dio, Atz (Alef-Tzade, Acquario) e che indica ‘l’affrettarsi’, il procedere speditamente sulla via della conoscenza.

Unendo poi la lettera Shin alle tre lettere dei segni di Fuoco, abbiamo la radice Sheh (Shin-He, Ariete) che è il capo del gregge, con chiaro riferimento alle capacità decisionali dei nativi del segno e il cui valore numerico, 305, forma significative ghematrie: Or Tzach ‘Luce ripulita’ e Orlah ‘Prepuzio’. Dall’unione delle lettere corrispondenti agli altri due segni di fuoco si formano le radici Shat (Shin-Teth, Leone) che significa ‘ribelle’ e Shas (Shin-Samekh, Sagittario) che rinvia a significati di velocità e combattimento.

L’unione della Mem con le lettere della triplicità di Acqua forma rispettivamente le radici: Cham (Chet-Mem, Cancro) che significa ‘caldo’, ad indicare un’acqua che si riscalda facilmente,  Min (Mem-Nun, Scorpione) cioè ‘sesso’ o ‘specie’ e  Mem-Quf (Pesci) radice che significa lo ‘stare in piedi’, il ‘sostenere’, con chiaro riferimento ai piedi che sostengono il nativo nell’andare avanti.

Infine, l’unione della stessa lettera madre, la Mem, con le lettere della triplicità di Terra forma la radice: Mu (Mem-Waw, Toro) cioè il suono onomatopeico del muggire, con le caratteristiche dell’animale che si trasferiscono ai nativi del segno, e ancora la radice  Mi (Mem-Yud, Vergine) che significa ‘Chi?’ e bene indica la curiosità dei nativi di questo segno zodiacale, e ancora la radice  Am (Ayin-Mem, Capricorno) che si riferisce al ‘popolo’. Non a caso i nativi del Capricorno possiedono una naturale inclinazione per la politica.

Insomma, chi volesse saperne di più sulle caratteristiche del proprio segno, dal punto di vista dell’astrologia ebraica, non ha che da approfondire lo studio delle singole lettere che formano la radice del segno stesso.

Concludendo sul Sepher Yetzirah, particolare importanza riveste l’asse del mondo o Teli (6:1), conosciuto anche come Drago e che in astrologia si riferisce alla testa e alla coda dello zodiaco, cioè ai cosiddetti nodi lunari, come più spesso vengono chiamati. Questi punti nodali rappresentano l’intersezione dell’ Equatore con l’eclittica e secondo il grande cabbalista Abulafia [5] ‘la testa del Drago’ significa merito mentre la coda significa responsabilità e in tutte le tradizioni ha un significato ‘malefico’ quando, nel cielo di nascita (l’oroscopo) è congiunta al Sole. Analogamente gli Esseni, [6] nel tracciare gli oroscopi, davano molta importanza ai nodi lunari che insieme ai 5 pianeti, al Sole e alla Luna formavano le ‘nove parti’. Il pronostico, fatto sul tema di nascita, era favorevole quando la luce prevaleva sulle tenebre, quando cioè le ‘nove parti’ erano in prevalenza nel cosiddetto emisfero di luce, individuato al di sopra dell’orizzonte. Nessun uomo, naturalmente, era interamente nella luce o interamente nelle tenebre perché il nodo lunare nord (testa del Drago) si trova di necessità sopra l’orizzonte e il nodo lunare sud (coda del Drago) sotto l’orizzonte. Il più puro o ‘illuminato’ era dunque colui che aveva ‘sette parti’ (oltre alla testa del Drago) sopra l’orizzonte, il più impuro quello che aveva le ‘sette parti’, cioè i 5 pianeti e i due luminari (oltre alla coda del Drago) al di sotto. [7]

L’interesse per l’astrologia fu presente anche nelle prime scuole di Qabbalah storica, che si diffusero in età medievale, sulle rive del Mediterraneo, tra le fiorenti comunità ebraiche. Alcuni scolari del grande Isacco [8] se ne occuparono in particolare: Azriel di Girona, [9] Nachmanide suo discepolo, e i meno noti Ezra di Girona, forse fratello di Azriel, e Jacob ben Sheshet.

Nei suoi commentari, Azriel sviluppa la tesi che l’uomo saggio e pio può correggere ciò che nel suo destino è sfavorevole, mentre l’uomo malvagio finisce con l’annullare ciò che il destino gli ha riservato di favorevole. Egli sottolinea l’interrelazione dei destini umani e ritiene che per coloro che si siano pentiti durante lo Yom Kippur, o giorno di espiazione e di purificazione, si danno due possibilità: se, dopo il pentimento, cadono nuovamente nel peccato, ciò che di positivo c’era nel loro destino si realizza ugualmente senza tuttavia che possano approfittarne. Se, invece, non si sono pentiti nel giorno stabilito (Yom Kippur) ma lo fanno successivamente, ciò che di negativo c’era nel loro destino si verifica ma per loro non produce effetti malefici.

Il discepolo di Azriel, Nachmanide si occupa di astrologia nel Commentario del Deuteronomio, 18:9, riconoscendo che per volontà divina gli astri esercitano la loro influenza sugli uomini e che agli angeli è assegnato il compito di regolare tale influenza. Egli raccomanda comunque di tener conto delle indicazioni di astri e costellazioni e soprattutto di fare penitenza nei giorni cosiddetti sfavorevoli. Di un anonimo cabbalista è il Sepher Halevana o ‘Libro della Luna’, citato da Nachmanide e dove sono esaminate le 28 dimore della Luna, quelle favorevoli e quelle sfavorevoli, nonché i relativi talismani.

Il rapporto angeli-astri è invece ripreso da Jacob ben Sheshet il quale sostiene che il destino di ognuno è simbolicamente descritto nel suo tema natale e che gli angeli eseguono il volere di Dio, scritto negli astri sin dai giorni della Creazione. Gli angeli, tuttavia, nell’eseguire la volontà divina possono sfumare i significati del destino perché se gli astri garantiscono l’ordine dell’universo e rappresentano, usando il linguaggio aristotelico, la ‘Potenza’ di ciò che deve accadere, gli angeli sono gli strumenti della Provvidenza e gli artefici del passaggio dalla ‘Potenza all’Atto’. Nel commentario al trattato talmudico Moed Katan, Jacob ben Sheshet sostiene che se il giusto può annullare o modificare il decreto degli astri, su tre cose gli riesce difficilmente intervenire: sul numero dei figli, sulla lunghezza della vita e sulla ricchezza. Può solo sperare di modificarle supplicando e moltiplicando le sue preghiere, in aggiunta all’osservanza dei Mitzvoth (precetti) e al merito personale. [10]

In diversi passi dello Zohar [11] è ripresa la problematica talmudica sull’astrologia, in particolare per ciò che riguarda la discendenza di Abramo. Nel trattato Lekh Lekha 78a la questione è risolta al modo di Filone di Alessandria [12] e in Pinhas (Numeri)216b è detto chiaramente che il destino di Abramo fu modificato dall’aver egli cambiato di residenza (le ‘migrazioni’ di cui parla Filone) e dall’aver aggiunto la lettera He al suo nome, perché tale lettera simboleggia i 5 libri del Pentateuco e della Torah. Analogamente, se, in passato, il numero dei figli, la durata della vita e la ricchezza erano determinati dagli astri, da quando Israele ha ricevuto la Legge tutto ciò è stato modificato.

Nel trattato Vayéshev 180b è detto che i nati nel giorno della Luna nuova, quando il luminare scompare dal cielo e Ghevurah, [13] il Rigore si afferma nell’universo, dovranno sopportare povertà e ogni genere di sofferenza e ciò prescindendo dal fatto che siano giusti o empi. Tuttavia, la preghiera potrà migliorare la loro sorte. Al contrario, chi nasce di Luna piena godrà di ogni bene, di figli e di buona salute. Il rapporto angeli-astri è invece contenuto in un altro trattato zoharico (Teroumah, 171b-172b), col dire che ogni stella, pianeta o costellazione ha il suo angelo in grado di governare gli eventi e il destino.

Infine, in Jethro, 76a-b è detto che gli astri lasciano sul viso e sul corpo dell’uomo i segni del destino, [14]  proprio come nel firmamento: “Così come nel firmamento sono incisi gli astri e altri segni leggibili ai saggi, sulla pelle che ricopre ogni uomo sono incise rughe e linee che non hanno segreti per i saggi, soprattutto rughe e linee del viso…”



sergio magaldi






[1] Per la bibliografia e per la data di composizione, che secondo gli studiosi, oscilla tra il II e il VI secolo d.C., si rimanda a G. G. Scholem, Le Origini della Kabbalah, Bologna, 1990, pp.32-44. Circa i contenuti si rinvia allo stesso volume nonché a G. G. Scholem, La Cabala, Roma, 1989, pp.14, 30-61, 70-72, 96, 101 e ss.

[2] Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’, facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico Safor che significa contare e che delle sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Le sephiroth sono perciò ‘luci’ o ‘pure forme’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, le sephiroth si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. Ad ogni sephirah è attribuito un nome. Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether corona, 6 Tiphereth bellezza e armonia, 9 Yesod fondamento o generazione, 10 Malchuth regno o terra. Alla colonna di destra: 2 ‘Hochmah sapienza, 4 ‘Hesed grazia 7 Netzach vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah intelligenza, 5 Gheburah forza e rigore, 8 Hod splendore.

[3] Cfr. J. Halbronn, cit., nei precedenti post di Il ruolo dell’astrologia…, pp.304-312

[4] S’intende per ghematria il medesimo valore numerico dato dai cabbalisti a singole parole o intere preposizioni in base al principio che nell’alfabeto ebraico ogni lettera è numero e ogni numero è lettera.

[5] Abraham Abulafia (1240-1291) è il maggior rappresentante della Qabbalah estatica o mistica che si basa essenzialmente sulla contemplazione e sulla meditazione. Sulla vita, l’opera, il pensiero cfr. M. Idel, L’Esperienza mistica in Abraham Abulafia, trad.it., Jaca Book, Milano, 1992. Di rilevante interesse su Abulafia anche il IV capitolo di G.G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Il Saggiatore, Mondadori, Milano, 1965 e edit. il melangolo, Genova, 1990. Su Teli e i nodi lunari cfr. A. Kaplan, Sefer Yetzirah, commento, ediz. Spagnola, Edit., Mirach, S.L., Madrid, 1994, pp. 265-274

[6] Setta ebraica di ispirazione ascetica (II sec. A. C – I sec. d.C) che risiedeva a Qumran sulla riva occidentale del Mar Morto. La comunità essenica conosceva una rigida organizzazione sociale e si caratterizzava per gli ideali di purezza con cui cercava di vivere la fede ebraica.

[7] Cfr. J. Halbronn, cit., pp.332-333

[8] Isacco(1160-1235), detto il Cieco, paradossalmente, perché possedeva luce in eccesso (era un ‘illuminato’), fu il primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah che operarono in Provenza e in Catalogna in un clima di grande sviluppo culturale e sociale delle comunità ebraiche. Si occupò di indagini sul nome di Dio, di preghiere, di luce e di tenebre, delle Sephiroth dell’Albero della vita e dei 32 Sentieri, di Kavanah (meditazione) e di Deveqùth (communio), della catena degli esseri, di simpatia universale. Assai prima della Qabbalah luriana, sembra abbia parlato di trasmigrazione delle anime, limitandola a tre ritorni, come si annuncia in Giobbe 33:29: ‘Tutto ciò Dio la fa tre volte in un uomo:ricondurre l’anima dalla sua putrefazione, affinché essa brilli nella luce della vita’. Isacco anticipò, inoltre, il tema dei cicli cosmici o shemittoth del Sepher Temunah (con riferimento anche alla trasmigrazione animale) e il tema della luce del Sepher Iyyùn.Tra le sue opere: un commento del Sepher Yetzirah, circa 70 frammenti sulla mistica della luce e sui segreti (sodot) della Torah, e qualcuno gli attribuì anche il Sepher Bahir. Sotto la spinta di Isacco il cieco, nel 1230 sorge il gruppo cabbalistico di Girona: la Chaburah qedoshah o ‘Associazione Sacra’, vero e proprio punto di riferimento per la diffusione dell’ebraismo e della Qabbalah in tutto il Mediterraneo.

[9] Azriel visse a Girona nella I metà del XIII secolo. Le sue opere più importanti sono diversi commentari (Commento al Libro della Formazione, Commentario sull’unificazione del nome, Commentario sulle leggende talmudiche ecc…) Il Portico dell’interrogante nel quale si pone domande sulle sephiroth, sull’infinito En Soph, sulla creazione dal nulla, sul tempo, sull’Uno, sui colori, sull’anima e sul corpo. A lui è attribuito anche il libro Le 18 benedizioni, più che altro un testo di preghiere ma anche di contemplazione e di meditazione sull’acqua e sui colori, sulla postura durante le preghiere e sul significato dello Shemà Israel.

[10] Cfr. sull’intera questione, J. Halbronn, cit., pp.294 e ss.

[11] Il Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Sugli argomenti, la data di composizione, l’autore: cfr. G.G. Scholem, La Cabala, trad.it., Roma 1989, pp.215-244 e G.Busi, La Qabbalah, Laterza, Bari, 1998, pp. 70-75. Per un maggiore approfondimento cfr. i capitoli V e VI di Le grandi correnti della mistica ebraica, cit., di G.G. Scholem. L’edizione dello Zohar attualmente in commercio è quella della versione francese a cura di C. Mopsik pubblicata dalla casa editrice Verdier.

[12]  Su Filone si veda il post precedente in  'Il ruolo dell'astrologia...'

[13] Ghevurah o Din o Pachad (Potenza e Rigore, Giudizio e Terrore) sono gli attributi della quinta sephirah dell’Albero della vita. Sull’Albero della vita nel pensiero ebraico-cabbalistico, cfr. G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999, soprattutto le pp. 53-58.

[14] La Fisiognomica o arte di individuare le caratteristiche psichiche e morali delle persone dal loro aspetto fisico, è oggetto di una specifica trattazione nello Zohar



mercoledì 13 aprile 2016

IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [4°PENSATORI DELL'ANTICHITA']



SEGUE DA:

  IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [3°ASTROLOGIA E TRADIZIONE EBRAICA] clicca sul titolo per leggere
  IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [2°ASTROLOGIA E ASTROLATRIA] clicca sul titolo per leggere

  IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [1°MASSONERIA E ASTROLOGIA] clicca sul titolo per leggere


 


Filone, vissuto tra il 13 a.C e il 54 d.C nell’ambiente ebraico ellenizzante di Alessandria, coglie il significato simbolico della ‘doppia’ migrazione di Abramo: una prima volta dalla Caldea, una seconda da Haràn che significa ‘caverna’. L’uscita dalla Caldea, con riferimento al Genesi, significa l’abbandono dell’astrologia. Infatti – scrive Filone –  “I Caldei, più degli altri popoli, sembrano aver praticato l’astronomia e l’arte di fare oroscopi, connettendo i fenomeni terrestri con quelli atmosferici e i fenomeni celesti con quelli che riguardano la superficie della terra. In tal modo hanno dimostrato attraverso rapporti musicali la perfetta armonia del tutto, in forza del (principio della) comunanza reciproca e della simpatia delle parti, le quali, se risultano separate dal punto di vista spaziale, non lo sono certo dal punto di vista dell'affinità sostanziale. Costoro hanno ipotizzato che il nostro mondo di fenomeni sia il solo essere che è veramente, ossia che esso è Dio, oppure che in sé include Dio, (inteso) come l’anima del tutto. E (per ciò stesso), avendo divinizzato il fato e la necessità, hanno riempito la vita umana di una molteplice empietà, insegnando che al di fuori dei fenomeni non c’è nulla, che non c’è alcuna causa, ma che sono i movimenti del sole, della luna e di tutti gli altri astri a dispensare a ciascuno degli esseri i beni e i loro opposti (…) Né il cosmo, né l’anima del mondo sono Dio in senso eminente; e neanche gli astri e i loro movimenti sono le cause originarie delle vicende umane, ma tutto questo, nella sua totalità, è tenuto insieme dalle Potenze invisibili che l’Artefice ha disteso dagli estremi lembi della terra fino ai confini del cielo, provvedendo saggiamente che esse restassero come legami indissolubili; e, effettivamente, le Potenze sono i legami saldissimi del tutto (…) o gente stravagante, com’è che vi siete così d’improvviso alzati da terra e, sospesi ad altezze strabilianti, al di là del cielo, vagate per l’aria a studiare da vicino i moti del sole, i corsi della luna e le danze armoniose e musicali di tutti gli astri? Queste cose sono più grandi delle vostre menti e la condizione che esse hanno in sorte è certo più felice e divina. Scendete, dunque, dal cielo e, una volta scesi, non tornate ad esaminare la terra, il mare, i fiumi e le specie animali e vegetali. Piuttosto studiate voi stessi e la vostra natura, non abitando in altro luogo che dentro di voi. Esaminando le cose di casa vostra – a quale parte di essa spetta il comando, a quale l’essere sottomessa, qual è la parte animata e quella inanimata, quella razionale e quella irrazionale, la parte mortale e immortale, migliore e peggiore – , subito avrete con chiarezza la scienza di Dio e delle Sue opere.” [1]


 La maggiore polemica di Filone è però diretta, nel De Providentia, contro la Genetliologia (anticipazione della cosiddetta astrologia giudiziaria). Più che mai – osserva Filone –  il giudizio degli astri nei confronti dei singoli non si addice al popolo ebraico: la circoncisione, l’osservanza della Legge, lo Shabbat, l’alimentazione kasher e tanto altro ancora sono la scelta comune di tutto un popolo, come ciò – egli si domanda – può interferire con i differenti destini individuali proposti dalle tecniche genetliologiche?

Un medievalista insigne come Emile Bréhier osserva, tuttavia, che Filone tratta l’astrologia con molta benevolenza tanto da sembrare di averla addirittura praticata lui stesso e un altro studioso, il Wendland, sottolinea l’interesse di Filone per l’astrologia allorché si tratta di interpretare le undici stelle del sogno di Giuseppe in analogia con altrettanti segni zodiacali e del dodicesimo (cioè il segno dei Pesci) simbolicamente rappresentato dallo stesso Giuseppe.[2]

 La verità è che Filone nega agli astri di essere ‘cause prime’ ma gli riconosce il merito, in quanto opera di Dio, di fungere da segnali dotati di quel certo potere che Dio stesso gli ha concesso. E’ da escludere comunque che gli astri siano divinità e che godano di una qualche autonomia. E’ abbastanza comprensibile che la concezione degli astri come segni della volontà di Dio abbia poi avuto fortuna in ambiente cristiano e talora goduto di qualche apprezzamento persino tra i maghi-filosofi del Rinascimento.

 Il primo vero grande astrologo ebreo, sia pure di nome e di lingua araba, fu Mashallah vissuto nel secolo ottavo e all’inizio del nono, autore di numerosi trattati tra cui un De significatione Planetorum in Nativitatibus e un commentario del famoso Tetrabiblos di Tolomeo,[3] nonché di un trattato sulle Grandi Congiunzioni planetarie che fece molto discutere. Mashallah, il cui nome ebraico pare fosse Gioele o Giobbe, fu chiamato a decidere insieme all’astrologo arabo Al–Naubacht, sul momento migliore per fondare la grande città di Bagdad (anno 762). Nel suo trattato sulle congiunzioni, egli sostiene che gli eventi del mondo sono scanditi dalle congiunzioni tra i pianeti, in particolare dalla congiunzione Saturno-Giove (o congiunzione maggiore), Saturno-Marte (media) e Giove-Marte (minore).

 In particolare, la venuta di un profeta, sarebbe annunciata da un intero ciclo di congiunzioni attraverso le quattro triplicità (cioè tre segni zodiacali per ognuno dei quattro elementi della tradizione empedoclea). Nell’ambito della congiunzione cosiddetta maggiore (Saturno-Giove) si hanno poi ulteriori distinzioni in piccole, medie e grandi congiunzioni: l’incontro di Saturno con Giove, che si verifica ogni venti anni (piccola congiunzione), produce la congiunzione media ogni 240 anni circa allorché si passa da una triplicità all’altra e la grande congiunzione ogni 953 anni, nel momento del ritorno di Saturno e di Giove sullo stesso grado dello zodiaco. Sulla questione conviene ascoltare Abraham bar Hiyya, astrologo e studioso di Torah che in Meguilat Hamegalé o Sefer Haqtzim riprende il tema delle congiunzioni planetarie di Mashallah e del suo discepolo arabo Abu Mashar: dalla congiunzione Saturno-Giove nel segno di Ariete e dal momento del suo passaggio nelle quattro triplicità: del Fuoco (Ariete, Leone, Sagittario), della Terra: (Toro, Vergine, Capricorno), dell’Aria (Gemelli, Bilancia, Acquario) e dell’Acqua (Cancro, Scorpione, Pesci), trascorrono 953 anni e il tempo di 48 congiunzioni. Dopo tale periodo, caratterizzato dunque da 953 anni e 48 congiunzioni (12 per ciascuno dei 4 elementi), la congiunzione si ripresenta nel fuoco secondo del Leone e dopo altrettanto nel fuoco terzo del Sagittario. Perché la congiunzione Saturno-Giove ‘esaurisca’ la triplicità di fuoco occorrono in tutto 2859 anni (953 x 3) e 144 congiunzioni (48 x 3).

 In riferimento alla storia ebraica, con l’anno 2365 del calendario ebraico e la prima congiunzione Saturno-Giove nella triplicità d’acqua (segno zodiacale dei Pesci), si ha la nascita di Aronne e tre anni dopo quella di Mosé e tutto questo periodo dei segni d’acqua corrisponde all’esodo e ai 40 anni trascorsi nel deserto. L’entrata della congiunzione nella triplicità del fuoco corrisponde al periodo dei Giudici. La triplicità d’aria inizia nel 2841 e nel 2854 nasce David. La distruzione del I Tempio sarà opera dei babilonesi, all’epoca del ripresentarsi della congiunzione Saturno-Giove nella triplicità di acqua. Tra Mashallah e Abraham bar Hiyya, cronologicamente, si colloca Ibn Gabirol detto Avicebron (1020-1057), poeta e filosofo di Saragozza che nel poema Kether Malchuth (“La Corona del Regno”) esalta la bellezza degli astri senza entrare nel merito dei loro effetti benefici o malefici. Più o meno contemporaneo di Abraham bar Hiyya è invece Yehudah ben Samuel ha Lewi (1075-1141), castigliano, medico, teologo, filosofo e poeta. Scrisse in arabo il notissimo Il re dei Kùzari, tradotto in ebraico solo trent’anni più tardi. I Kùzari erano una popolazione situata nella regione compresa tra il Caucaso, il Volga e il Don. Il re dei Kùzari si convertì all’ebraismo nell’ottavo secolo e a un suo discendente riuscì di diffondere la religione ebraica tra le classi aristocratiche. Nel libro, che si articola sottoforma di un dialogo tra il re dei Kùzari e un saggio, l’autore si occupa di astrologia soprattutto esponendo il contenuto del Sepher Yetzirah. Nel dialogo che segue appare incomprensibile una reale autonomia dell’astrologia:

Re dei Kùzari: Se è così, vedo che riconosci il dominio delle ore e dei luoghi come fanno gli astrologi.

Saggio: Forse neghiamo loro che le cose superne abbiano influenza sulle cose terrestri? Noi ammettiamo che la materia della generazione e della corruzione proceda dalle sfere; però le forme sono di colui che le governa, e che stabilì come strumenti per la conservazione di tutte le cose che Egli vuole che esistano senza che noi possiamo conoscere i loro particolari, mentre l’astrologo dice che le comprende, ma noi gli neghiamo ciò, e stimiamo che una creatura di carne e di sangue non le può comprendere; e se di questa scienza si trovasse qualcosa che fosse fondata nella scienza legale divina, l’ammetteremmo; e la nostra mente è soddisfatta per ciò che riguarda le cose della scienza degli astri delle parole dei nostri savi, perché crediamo che le abbiano ricevute per virtù divina, e che perciò sono vere; e se non è così, tutte le cose (che dicono gli astrologi) sono (soltanto) considerazioni, e le sorti (tratte dall’osservazione) del cielo sono meno ancora attendibili di quelle dei geomanti”[4]

 In conclusione, Yehuda ha-Lewi sembra avere una certa riluttanza nei confronti dell’astrologia e sente come un privilegio il fatto che Israele non sia soggetta all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel). Al contrario, Abraham ben meir Ibn Ezra (1092-1168), ritenuto il più noto astrologo ebreo e autore tra l’altro di una Enciclopedia astrologica, non considera una fortuna che Israele sia senza mazal (astro) e gli attribuisce invece il pianeta Saturno e il segno dell’Acquario, mentre la Palestina è per lui collegata a Marte per via dei sacrifici cruenti, il capro espiatorio, la circoncisione ecc…, tutte pratiche volte ad esorcizzare il sentimento della collera. Ezra è convinto che astri e pianeti non fanno altro che compiere la volontà divina e che, d’altra parte, la loro posizione nel cielo determini il destino materiale degli individui, ma non quello spirituale.  L’atteggiamento di Ezra mira, in definitiva, a conciliare l’astrologia con la Torah ed egli arriva addirittura a collegare i comandamenti divini (ad eccezione del primo: Io sono il Signore tuo Dio) alle orbite celesti.

 Un atteggiamento anti-astrologico e talora anti-talmudico, per ciò che diversi trattati del Talmud considerano l’astrologia con una certa benevolenza, è invece quello di Maimonide.[5] Sull’astrologia, egli scrisse due Epistole. La prima, diretta alla comunità yemenita, mira a sconfiggere l’idea, allora assai diffusa in quella comunità, di un’influenza delle grandi congiunzioni planetarie negli accadimenti storici. Egli così scrive agli yemeniti: “Noto che siete inclini a credere nell’Astrologia e all’influenza delle congiunzioni planetarie, passate e future, sugli eventi umani. Dovete scacciare tali idee dalla vostra testa (…) I veri saggi, che siano o no religiosi, rifiutano di credere nella verità di questa scienza. I suoi postulati possono essere respinti con vere prove e su base razionale…”. Nell’Epistola ai rabbini di Provenza del 1194, Maimonide polemizza con l’astrologia oraria la cui pratica era diffusa nelle comunità ebraiche del Mediterraneo e rispolvera l’idea che, in fondo, l’astrologia altro non sia che astolatria.

[segue]

sergio magaldi




[1] Filone di Alessandria, De Migrat. Abr., XXXII:178-179 e 181, XXXIII:184-185 Rusconi, Milano, 1988, p.395-396. Circa il significato della ‘seconda’ migrazione di Abramo da Haran (caverna), che non è oggetto di questa specifica trattazione, mi limito a osservare che, secondo Filone, si tratta di uscire dalla propria interiorità sensibile per accedere, mediante l’intelletto, alla chiara visione dell’intellegibile (Ibid., da XXXIV a XXXIX, pp.397-405).

[2] Il sogno di Giuseppe si riferisce a Genesi 37:9. Circa l’attribuzione dei dodici segni zodiacali ai dodici figli di Giacobbe e alle dodici tribù di Israele, esiste un’abbondante letteratura in merito e le differenti attribuzioni si basano su criteri diversi e non sempre attendibili.

[3] Claudio Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C., forse nativo di Alessandria, fu il più grande astronomo-astrologo dell’antichità. Le sue opere principali sono l’Almagesto, nome arabo di un trattato di astronomia chiamato Sistema matematico o Massimo sistema, e il Tetabiblos o Apotelesmatikà un’opera di astrologia che ebbe grande fortuna e che ancora oggi esercita la sua influenza tra gli studiosi del campo.

4] Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Boringhieri, Torino, 1991, p.209. Di seguito si fornisce qualche dato sul contenuto del libro: Divisione dell’opera (pp.10-12)- Il re (p. 19)- I Kuzari (nota 4 pp.8-9)- Critica della concezione aristotelica dell’eternità del mondo (pp.37-38-193-212-272)-La materia prima dei filosofi aristotelici (p.246-7)- Contro Epicuro e la casualità del mondo (p.250 e cfr. Salmo 104)- L’essere ebreo(p.63)- la lingua ebraica (p.111)- prescrizioni rituali (p.132)- I Caraiti (nota 1 p.9 e tutta la parte III)-Il nome di Dio: Elohim-Tetragramma-Adonai (pp. 193-195-197-214-215-216-217)- astrologia(p.209-218-235)- Il Sepher Yezirah (pp.223 e ss.)

[5] Mosè Maimonide (1135-1168) cordovese, medico e filosofo di grande fama. La sua maggiore opera è La Guida degli smarriti, terminata di scrivere in arabo nel 1190 e tradotta in ebraico nel 1204. La sua vasta opera è in realtà l’interpretazione della legge ebraica (Halakhah) e dei fondamentali concetti biblici secondo il metodo aristotelico, anche se egli non concorda con Aristotele circa l’esistenza ab aeterno del mondo. Nella maggior parte dei casi –dice Maimonide- non c’è contraddizione tra fede e ragione, in altri casi anche se la ragione non è in grado di provare alcune verità di fede, può almeno provare l’infondatezza delle tesi opposte. “Io credo –dice Maimonide- (Guida, I, 71) che il vero metodo che elimina il dubbio consiste nello stabilire l’esistenza di Dio, la sua unità e la sua incorporeità coi procedimenti dei filosofi, procedimenti fondati sull’eternità del mondo. Ciò non perché io creda all’eternità del mondo o faccia a questo proposito qualche concessione; ma perché soltanto con questo metodo la dimostrazione diventa sicura e si ottiene certezza su tre punti: 1) che Dio esiste 2) che è uno 3) che è incorporeo, senza che importi decidere nulla rispetto al mondo cioè se esso sia eterno o creato…” Più avanti, tuttavia (Guida II, 19), Maimonide nega la necessità dell’Essere e dunque l’eternità del mondo dicendo che il mondo avrebbe potuto essere diverso da quello che è e se, dunque, è quello che è, ciò è dovuto ad una libera scelta di Dio, una scelta creatrice:“Se al di sotto della sfera celeste vi è tanta disparità di cose, nonostante la materia sia una, tu puoi dire che tale disparità è dovuta all’influenza delle sfere celesti e alle posizioni differenti che la materia assume di fronte ad esse, come ha insegnato Aristotele. Ma la diversità che esiste tra le sfere stesse, chi ha potuto determinarla, se non Dio?(…) Dio ha determinato la direzione e la rapidità del movimento di ciascuna sfera, ma noi ignoriamo il modo in cui, nella sua saggezza egli ha effettuata la cosa”.