venerdì 3 febbraio 2017

LA NORMALIZZAZIONE DI MATTEO RENZI



 Dopo aver creduto che seminando nel campo dei miracoli i suoi zecchini d’oro [circa il 24% dei voti di cui disponevano insieme il PD e il NCD, al netto dei voti negati dalla sinistra del partito democratico], questi si sarebbero più che raddoppiati [nonostante il 70% dell’elettorato fosse nelle mani di tutti gli altri partiti], consentendogli di vincere il Referendum e di continuare a governare, Matteo Renzi compiva il “bel gesto” [controproducente, rispetto alle intenzioni, lo giudica questa mattina Ferrara su Il foglio] di dimettersi da presidente del consiglio con un compromesso che consegnava il suo governo al fido Gentiloni. Da quel momento, confidando nella fatina azzurra, Renzi lavorava alacremente per andare il più presto alle urne, forte di quel 41% che la semina gli aveva comunque fatto raccogliere. Allo scopo, dimenticando il passato, chiamava a raccolta il gatto e la volpe e con loro lanciava un’opa per andare a votare in primavera. Ma la fatina azzurra non ama gli animali populisti e, un po’ con le buone, un po’ con le cattive, gli intima una volta per tutte di uscire dalla favola e Matteo Renzi sembra prenderne atto e si mostra disponibile a fare marcia indietro.

 Nell’odierna intervista a Massimo Franco sul Corriere della Sera, l’ex sindaco di Firenze lascia infatti trasparire una nuova consapevolezza: la bacchetta magica in questo infelice Paese è saldamente nelle mani del correntone democristiano del suo partito e della ex nomenklatura del partito comunista, entrambi illuminati dal vecchio e dal nuovo inquilino del Colle. Ma soprattutto una cosa sembra comprendere Renzi: se vuole sopravvivere nella politica italiana, deve dismettere quei toni e quegli atteggiamenti da “straordinaria presenza” che gli hanno permesso di scalare il vertice del PD e del governo, e rientrare il più in fretta possibile nella normalità. Solo a questa condizione gli sarà consentito di prendere parte [ma non da protagonista] alla “gestione del nulla” di questa vergognosa classe dirigente che, passo dopo passo, spingerà l’Italia nel baratro. D’altra parte, nella sua coscienza di cattolico, Renzi continua a rimproverarsi di essere stato sconfitto nel Referendum e sente di doverne pagare le conseguenze e non lo sfiora minimamente l’idea laica che a metterlo fuori gioco sia stata in realtà la semina dei suoi “zecchini” nel campo dei miracoli, sperando ingenuamente, e/o accecato da ubris, che raddoppiassero.

 Ma la nota più intrigante e al tempo stesso più comica del giorno è rappresentata dal giubilo che si leva dalle forze trasversali del NO al voto, nell’apprendere che a due mesi di distanza dal Referendum e dopo la sentenza della Consulta, bisognerà ora attendere un altro mese per conoscere le motivazioni della sentenza costituzionale, prima di mettere mano ai “ritocchi” dell’Italicum e del Consultellum, cioè delle sole due leggi attualmente valide per eleggere rispettivamente i rappresentanti del popolo alla Camera e al Senato. Una ammissione di impotenza e una manifestazione di ipocrisia che serve unicamente a: 1) Preservare, almeno per il momento, l’unità del partito democratico. 2) Tenere a bada i Cinquestelle, nell’auspicio che le vicende della Raggi, col passare delle ore sempre più complesse sotto il profilo giudiziario, facciano diminuire il consenso nei confronti del movimento fondato da Grillo e Casaleggio. 3) Consentire alla minoranza del PD di organizzarsi e di trovare nuove alleanze per modo di togliere di mezzo una volta per tutte Matteo Renzi. 4) Ridare fiato a Forza Italia perché recuperi nell’ambito del centrodestra i voti che oggi perderebbe a favore della Lega e di Fratelli d’Italia. 5) Trovare un accordo per spostare il premio di maggioranza dalle liste alle coalizioni, prefigurando così le forze di governo del dopo-voto e spegnendo di fatto ogni velleità di governi “straordinari”, formati anche accidentalmente dai cosiddetti partiti populisti. 6) Permettere agli onorevoli di prima nomina di utilizzare i contributi versati per aggiudicarsi una pensione dopo 4 anni, sei mesi e rotti di lavoro parlamentare.

 Insomma, se gli italiani si aspettavano di andare alle urne in primavera, è quasi certo che nella bella stagione – che prelude ai bagni di sole, di mare e ai viaggi e alle vacanze per quelli che possono permetterselo –troveranno una stangata fiscale per recuperare i 3,4 miliardi di sforamento di bilancio che Eurogermania ci intima di pagare e che il governo italiano, succube della propria tradizionale impotenza, pagherà volentieri, prendendo i soldi dalle nostre tasche e attribuendone la responsabilità a Matteo Renzi per aver distribuito [male e con intenzioni puerili: il Sì al voto referendario] qualche mancia alla popolazione, sottraendola comunque al tritacarne degli sprechi, della corruzione e delle prebende. Con il risultato che, quando tra un anno o poco più si andrà finalmente a votare, lo “straordinario” patrimonio renziano del 41% si sarà ampiamente polverizzato.

sergio magaldi   

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