domenica 22 ottobre 2017

LA CRISI CATALANA E L'USO ELETTORALE DELLA RAGIONE

La  risposta della piazza di Barcellona alle misure repressive di Rajoy


 Applicando alla lettera il primo comma dell’articolo 155, nei giorni scorsi Rajoy aveva inviato a Puigdemont, presidente della Generalità Catalana, un “requerimiento”, cioè una richiesta per sapere se nel fatto era stata proclamata

Artículo 155


Articolo 155
1.Si una Comunidad Autónoma no cumpliere las obligaciones que la Constitución u otras leyes le impongan, o actuare de forma que atente gravemente al interés general de España, el Gobierno, previo requerimiento al Presidente de la Comunidad Autónoma y, en el caso de no ser atendido, con la aprobación por mayoría absoluta del Senado, podrá adoptar las medidas necesarias para obligar a aquélla al cumplimiento forzoso de dichas obligaciones o para la protección del mencionado interés general.


1. Ove la Comunità Autonoma non ottemperi agli obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, o si comporti in modo da attentare gravemente agli interessi generali della Spagna, il Governo, previa richiesta al Presidente della Comunità Autonoma e, ove questa sia disattesa con l'approvazione della maggioranza assoluta del Senato, potrà prendere le misure necessarie por obbligarla all'adempimento forzato di tali obblighi o per la protezione di detti interessi.
2.Para la ejecución de las medidas previstas en el apartado anterior, el Gobierno podrá dar instrucciones a todas las autoridades de las Comunidades Autónomas.


2. Il Governo potrà dare istruzioni a tutte le Autorità delle Comunità Autonome per l'esecuzione delle misure previste nel comma precedente.

l’indipendenza della Catalogna, nel qual caso – specificava la missiva di Rajoy – il governo avrebbe deliberato e poi sottoposto all’approvazione del Senato la sospensione dell’autonomia catalana. Nella risposta, Puigdemont – che in un precedente intervento pubblico davanti all’Assemblea catalana aveva già dichiarato sospesa l’indipendenza – lamentava il silenzio di Rajoy di fronte alla sua offerta di dialogo e l’escalation della repressione con l’arresto di due esponenti indipendentisti: Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, rispettivamente presidenti di ANC [Assemblea Nacional Catalana] e Omnium Cultural. Puigdemont aggiungeva poi, implicitamente rispondendo a Rajoy, che continuando la repressione, la mancanza di dialogo e ove il governo spagnolo avesse applicato il dettato dell’art. 155, il Parlamento catalano avrebbe potuto decidere di sottoporre a votazione la dichiarazione formale di indipendenza. Dunque una repubblica di Catalogna  non c’è mai stata, per il semplice motivo che, secondo l’interpretazione dello stesso Puigdemont, la sua proclamazione spetta unicamente al Parlamento catalano. Sino all’ultimo momento, il presidente spagnolo aveva a disposizione due strade: la prima era accettare il dialogo offerto da Puigdemont, sia pure proponendolo alle sue condizioni e non a quelle del presidente della Generalità; la seconda era quella di convocare il Consiglio dei ministri in applicazione dell’art.155 che prevede in casi eccezionali la revoca delle autonomie comunitarie. Naturalmente, Rajoy ha scelto questa seconda strada e lo ha fatto sulla base di precise considerazioni, nessuna delle quali farà il bene della Spagna. Forte del fatto che numerose imprese e banche catalane hanno trasferito la sede legale dalla Catalogna a diverse località della Spagna, che può contare sull’appoggio non solo di Albert Rivera, presidente di Ciudadanos – un partito costruito ad arte dai popolari del centrodestra per rispondere a Podemos – ma anche di Pedro Sánchez, segretario generale del PSOE [Partido Socialista Ovrero Español], che Filippo VI, re di Spagna, è al suo fianco con un secondo e insulso discorso e che soprattutto l’elettorato spagnolo si attende una risposta risoluta, Mariano Rajoy ha varcato, per così dire, il Rubicone, fiducioso di trarne vantaggi nelle prossime elezioni politiche generali per il suo PP [Partito Popolare, di derivazione neofranchista], anche in considerazione che attualmente il governo monocolore del PP sopravvive con pochi voti di maggioranza. Lo stesso calcolo elettorale deve aver fatto il socialista Sánchez che a differenza di Alicia Romero del PSC [Partito Socialista Catalano, versione catalana dello stesso PSOE] – la quale ha dichiarato ufficialmente: “né il 155, né la dichiarazione di indipendenza” – ha scelto di appoggiare Rajoy nel brandire l’art.155, augurandosi ipocritamente, prima della riunione del Consiglio dei ministri, che l’intervento contro l’autonomia catalana si fosse limitato a convocare elezioni politiche anticipate in Catalogna. Altrettanto ipocritamente, l’ex ministra socialista Carmen Calvo ha dichiarato che sarebbe stato stupendo se Puigdemont avesse convocato nuove elezioni spontaneamente e prima del mese di gennaio.

 Per la verità, le misure annunciate da Rajoy al termine del Consiglio dei ministri, in applicazione dell’art. 155 e che prima di diventare esecutive dovranno essere approvate venerdì 27 ottobre dal Senato, sono persino peggiori di quanto ci si potesse attendere, tant’è che ieri a Barcellona sono subito scesi in piazza più di 450.000 cittadini e Podemos, benché contrario all’indipendenza, parla di un vero e proprio attentato alla democrazia e i socialisti che avevano parlato di “applicazione minimalista del 155” sono divisi tra di loro. Infatti, al di là dell’affermazione incredibile che non viene sospeso l’autogoverno della Catalogna, all’autonomia  sono tolte tutte le prerogative. Destituiti il presidente e la giunta,  ogni potere passa nelle mani del governo di Madrid: dalla TV al sequestro delle risorse economiche, dal comando dei mossos [polizia] alla gestione di nuove elezioni, non più previste per gennaio, come sembrava essere stato concordato con il PSOE, ma nell’arco di sei mesi.

 Non c’è dubbio che l’arma risolutiva fornita a Rajoy per fronteggiare a modo suo la crisi è stata la defezione di alcune banche e di oltre mille imprese che lasciano la sede legale catalana, e sotto questo profilo, occorre riconoscere che neppure Puigdemont e i suoi hanno fatto buon uso della ragione. Prima di gettarsi in questa avventura e arrivare al referendum indipendentista del 1:O, avrebbero dovuto assicurarsi la tenuta di banche e imprese, se non l’hanno fatto è stato per mero calcolo elettorale e oggi devono anche fare i conti con la borghesia catalana, molto sensibile alle questioni di denaro. È vero però che le misure adottate dal governo di Madrid, se soddisfano l’opinione pubblica spagnola, decisamente unionista, non solo non risolvono, ma addirittura inaspriscono il conflitto tra Spagna e Catalogna nella prospettiva di risvolti oggi  ancora impensabili. Se avesse davvero voluto venire a capo della questione, Rajoy avrebbe dovuto lasciare da parte i calcoli elettorali e magari dare ascolto a quanto suggeriva qualche giorno fa il New York Times: accettare il dialogo offerto da Puigdemont per arrivare ad una soluzione concordata che, in cambio della rinuncia alla secessione, ridava ai catalani almeno lo statuto del 2006 che, regolarmente approvato dal Parlamento spagnolo, fu poi revocato a seguito della denuncia presentata alla Corte Costituzionale da parte di alcuni deputati del Partito Popolare di Rajoy, lo stesso partito che ieri ha imposto la repressione dura.

sergio magaldi

  

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