domenica 26 novembre 2017

Perché IL PARTITO DEMOCRATICO PROGRESSISTA?A quale domanda sociale e politica intende rispondere? [Seconda e ultima parte]




SEGUE da:

 Quali le ragioni del fallimento dei governi di centrodestra e di centrosinistra che hanno governato l’Italia nell’ultimo quarto di secolo, trascinandola sull’orlo dell’abisso, e che rendono impensabile per i cittadini affidarsi nuovamente a loro? Un identico modo di gestire il potere: clientelismo, corporativismo, spreco, incompetenza, corruzione generalizzata e un’identica propensione, nonostante le tante promesse elettorali, a non risolvere i problemi della gente, limitandosi alla mala gestione dell’ordinario e alla cura individuale del carrierismo politico. Ciò che ha reso impalpabile agli occhi di molti la differenza tra destra, sinistra e centro che pure storicamente e idealmente esiste e non può non esistere! Ma la notte della politica italiana, in cui “tutte le vacche sono nere” e i partiti intercambiabili fra loro, ha radici sociologiche ben precise, determinate dal reclutamento delle classi dirigenti negli ultimi decenni, accomunate non solo e non tanto dalla stessa estrazione sociale, quanto piuttosto da formazione politica inadeguata, scarsa onestà e mancanza di immaginazione.

 E ancora: non è che destra e sinistra siano la stessa cosa, ma ciò che ha accomunato centrodestra e centrosinistra nei governi degli ultimi decenni è stata l’identica sostanziale accettazione del modello di sviluppo imposto dall’egemonia del capitale finanziario. Le uniche differenze sono state le misure effimere adottate per rendere tale modello più digeribile al proprio elettorato di riferimento. Così è stato e così sarà per il futuro, se i cittadini non prenderanno coscienza di essere i soli titolari della sovranità che legittima lo stato democratico. Pur tra conclamati obiettivi diversi, le coalizioni che hanno governato il Paese negli ultimi decenni, hanno finito per adottare le stesse politiche e oggi le ripropongono anche per il futuro: il centrodestra attraverso l’amalgama tra i sedicenti moderati e i cosiddetti populisti e con l’unico scopo di mantenere i privilegi dello status quo, il centrosinistra mediante un contenitore più disinvolto che ha finito con alimentare il frazionismo, il velleitarismo e l’impotenza. Quanto al Movimento Cinque Stelle valga quanto già osservavo nel post sopra citato:

 ”Infine, il Movimento Cinque Stelle – al quale occorre riconoscere il merito di aver cercato di opporsi alla deriva del centrosinistra e del centrodestra – denuncia sempre più la mancanza di una classe politica all’altezza della situazione, l’isolamento e la vaghezza di un progetto politico che si limita ad alcune rivendicazioni sociali, senza tuttavia affrontare alla radice il problema del modello di sviluppo che si intende perseguire. Con in più il rischio dell’accerchiamento, come dimostra la nuova legge elettorale, per aver lasciato cadere il cosiddetto modello tedesco e prima ancora per non aver avuto la lungimiranza politica di prevedere, a suo tempo, ciò che era abbastanza prevedibile e cioè che una volta cancellato l’italicum – la legge elettorale maggioritaria che avrebbe favorito il governo del partito più votato e dunque con ogni probabilità il Movimento Cinque Stelle – le forze concorrenti di centrodestra e di centrosinistra avrebbero fatto di tutto per vedere assottigliata, nelle prossime elezioni politiche generali, la rappresentanza parlamentare del Movimento”.
 Al netto di queste considerazioni, l’attenzione con cui i Cinque Stelle  hanno riguardato i cittadini emarginati dalle scelte che li riguardano, creando nel Paese le condizioni di un massiccio voto di opinione in loro favore, non deve essere trascurata e induce a riconoscere – finalmente senza pregiudizi di bandiera – la bontà di molte intuizioni alle quali purtroppo è mancata la concretezza dell’azione politica. Il fenomeno fa anche riflettere sull’esistenza di uno spazio che può essere colmato da un soggetto politico nuovo, capace non tanto di cavalcare lo scontento, ma di preparare una classe dirigente che si dimostri all’altezza di coniugare insieme la domanda di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica con la progettazione di autentiche misure di riscatto e di trasformazione sociale.
Al Partito Democratico va invece riconosciuto di essere nato con ben altre aspirazioni, come si legge nella relazione con la quale Piero Fassino introdusse il processo costituente:
  “Diamo vita al Partito Democratico non per un'esigenza dei DS o della Margherita o di un ceto politico. No. Il Partito Democratico è una necessità del Paese, serve all'Italia. Vogliamo dare vita ad un soggetto politico non moderato o centrista, bensì progressista, riformista e riformatore. Un partito che faccia incontrare i valori storici per cui la sinistra è nata e vive - libertà, democrazia, giustizia, uguaglianza, solidarietà, lavoro - con l'alfabeto del nuovo secolo: cittadinanza, diritti, laicità, innovazione, integrazione, merito, multi-culturalità, pari opportunità, sicurezza, sostenibilità, sopranazionalità. E per questo dovrà essere un partito del lavoro, dello sviluppo sostenibile, della cittadinanza e dei diritti, dell'innovazione e del merito, del sapere e della conoscenza, della persona e della laicità, della democrazia e dell'autogoverno locale, dell'Europa e dell'integrazione sopranazionale, della pace e della sicurezza”.
 Belle parole, ma destinate subito a restare sulla carta, perché già il Manifesto del PD, approvato il 16 febbraio del 2008, rende evidente il carattere astratto e velleitario di formulazioni generiche – fatte più per la coesistenza e il compromesso tra ceppi antichi e diversi [che il Manifesto chiama “grandi tradizioni”], in passato spesso ostili tra loro – che per essere effettivamente realizzate. Il Manifesto si articola in sette punti:
 1. Le ragioni del Partito Democratico”, individuate: a) nella necessità di fare un “Italia nuova” ricollocandola “negli inediti scenari aperti dalla globalizzazione del mondo”, b) nell’obiettivo di un “profondo rinnovamento della società italiana” e nella “formazione di una nuova classe dirigente”, c) nella volontà di “dare adeguate risposte ai grandi problemi del presente e del futuro”.

2. Un partito aperto nel mondo globalizzato”, che dichiara solennemente: a) di battersi per l’universalità del sapere, considerata come “un grande progetto di democrazia della conoscenza“, b) di riconoscere “la centralità e l’universalità dei diritti umani”.

3. Nel solco della Costituzione: etica pubblica e laicità”, dove si ribadisce il valore della Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista, e la necessità di realizzarne la piena attuazione e l’aggiornamento “nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise”.

4. Un’Italia più libera, più giusta e più prospera”, con il quale si annuncia tra l’altro di volere “un’Italia più libera, più giusta e più prospera […] una società aperta che consideri le persone in base alle loro qualità, rimuovendo gli ostacoli economici e sociali, e premiando il merito e non i privilegi. Vogliamo che a ciascuno sia garantita la libertà di realizzarsi secondo i suoi talenti e le sue inclinazioni”.

5. Il pluralismo sociale, per una comunità forte e solidale”, dove, a tutela della famiglia, si annuncia il “bonus bebè”, si considera l’accoglienza dei migranti più un’opportunità che un problema e si proclama la valorizzazione e la promozione delle autonomie locali, “la cultura della sicurezza e della legalità”, la lotta contro “il degrado urbano e sociale […], la corruzione e la criminalità organizzata”.

6. L’educazione, la formazione, la ricerca scientifica”, con la proclamata centralità della scuola dove – è detto – “si pongono le premesse della cultura democratica indispensabile alla convivenza in una società sempre più plurale e multiculturale”, con “un sistema scolastico pubblico, imperniato sulla valorizzazione del ruolo educativo degli insegnanti” e il pieno sostegno “della libertà della ricerca scientifica”.

7. La speranza della pace: la storia non è finita”, dove si enfatizza l’aver tratteggiato “il profilo di un partito nuovo” e si prospetta l’elaborazione di “una nuova idea di progresso”.

 Come si vede, il cosiddetto Manifesto dei valori del Partito Democratico contiene già in nuce i segni della retorica, del velleitarismo e dell’ impotenza. Se si eccettua il riferimento al noto “bonus bebè”, una sorta di mancia elettorale che non ha certo risolto i problemi delle famiglie italiane, tutti i solenni propositi contenuti nei sette punti in cui il Manifesto si articola non sono sostenuti dall’indicazione, non dico di misure, ma almeno di proposte per la loro effettiva sostenibilità e realizzazione. A guardar bene, anzi, si direbbe che la società vagheggiata astrattamente dai fondatori del Partito Democratico, sia venuta evolvendosi proprio in senso contrario alle grandi affermazioni di principio contenute nel citato Manifesto. E l’astrattezza dei valori non è soltanto imputabile all’opportunismo politico che determinò la nascita di questo partito, ma al fatto che il Partito Democratico fu soprattutto un’unione di vecchie sigle e vecchie nomenklature, poco di cittadini intenzionati a dar vita ad una nuova e diversa formazione politica e animati dal desiderio di cambiare davvero le cattive abitudini di cui la classe dirigente, già nel passato, aveva fornito prove eloquenti.


 In conclusione, dunque, perché il PDP?
Alla generica idea di progresso presente nel Manifesto dei valori del Partito Democratico, alla sua corruzione e inconcludenza nell’azione politica, al velleitarismo dei cosiddetti movimenti e campi che rivendicano la patente di progressisti, unicamente perché si collocano alla sinistra del PD, dopo averne sempre condiviso le peggiori scelte politiche ed economiche, al frazionismo dilagante delle formazioni che si richiamano ai valori della sinistra “dura e pura”, alle promesse di risanamento sociale e nazionale, mai mantenute, dei sedicenti moderati del centrodestra, alle lusinghe antieuropeistiche dei loro alleati, destinate ad emarginare il Paese dal processo produttivo mondiale e a far girare al contrario la ruota della Storia, ai pronunciamenti rivoluzionari del Movimento Cinque Stelle, non suffragati nella realtà dal governo di alcune città metropolitane, allo splendido isolamento che ne rappresenta insieme il punto di forza e il limite, alla vaghezza di una proposta politica, ad una classe dirigente  impreparata a gestire l’ampio consenso ricevuto da milioni di cittadini, il costituendo Partito Democratico Progressista oppone un progetto di un’autentica trasformazione sociale, basato su un’idea di progresso, né generico né velleitario, ma orientato su alcuni temi specifici che si riferiscono:
1) Al concetto di democrazia: l’istituto della democrazia rappresentativa e quello della democrazia diretta, limitati alla delega, al referendum abrogativo e alle leggi di iniziativa popolare con procedure complesse e farraginose che ne scoraggiano l’utilizzo e che per di più non sono ammesse per alcune materie fondamentali, va rivisto nella direzione di un progressivo allargamento che contempli: a) forme più snelle di partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica da parte dei cittadini, b) l’introduzione della democrazia stocastica qualificata [sorteggio qualificato per l’elezione dei deputati], c) le primarie stabilite per legge e limitate agli iscritti per scegliere le cariche interne dei partiti e i relativi candidati per ogni tipo di elezione, dove sia in gioco la rappresentanza politica dei cittadini.
2) Alla manifestazione della sovranità popolare che progressivamente abbandoni ogni riferimento astratto, e si concretizzi sempre più in forme reali ed efficaci.
3) Alla pratica della delega in bianco, quale si manifesta attualmente per ogni tipo di elezione, e che una visione progressista non può che rimuovere, perché fa dei membri del Parlamento i rappresentanti della nazione e non dei cittadini, praticamente inamovibili – se non per reati comuni e attraverso complesse procedure – e che dunque rende gli eletti disponibili per ogni genere di trasformismo.
4) Alla piena, progressiva attuazione dei diritti civili, politici e sociali contenuti nella Costituzione Italiana e nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
5) Alla riaffermazione della sovranità monetaria dello Stato per rendere progressivamente ed effettivamente possibile la pratica attuazione del 2° comma del 3° articolo della Costituzione: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. 
6) Al progressivo raggiungimento della piena occupazione, sancito ma sempre disatteso dalle attuali politiche, volte a perseguire l’austerità e il pareggio di bilancio e non già il dettato del 4° Principio Fondamentale della Costituzione Italiana, il quale recita: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

7) Ad un benessere sociale, non più pensato come esclusivo appannaggio di ristrette oligarchie e/o di determinate classi, ma  destinato progressivamente ad includere il maggior numero possibile di cittadini.
 Mi sembra di poter dire che gli obiettivi del PDP siano concreti, perché indicano dei percorsi effettivi per la loro realizzazione. Ciò non significa che il cammino sia semplice. Occorre, innanzi tutto, sciogliere i nodi contenuti in alcuni dei principi fondativi da sottoporre all’attenzione dell’Assemblea Costituente, primi fra tutti quelli che segnalavo altrove [Che cos’è il Partito Democratico Progressista, cosa vuole essere? Clicca sul titolo per leggere]:

 “Restano tuttavia diversi interrogativi: come si può essere certi che “politiche economiche di carattere fortemente espansivo” siano in grado di dare i risultati auspicati e cioè la crescita economica e la progressiva realizzazione della piena occupazione? E ancora: dando per scontata la bontà di queste teorie, sulla base di precedenti storici e di politiche simili messe in campo nel presente e con successo da paesi a sovranità monetaria, come sarebbe possibile introdurre i principi del keynesismo, sia pure aggiornato, in un paese che fa parte di un’Europa dominata dalla moneta unica, dalla Germania e dalle teorie neoliberiste? Il rischio dell’isolamento e del boicottaggio economico sarebbe dietro l’angolo. E se anche fosse possibile esportare tale modello di sviluppo in altri paesi dell’Unione Europea, per quale motivo le élite finanziare internazionali dovrebbero stare a guardare, rinunciando ad un progetto di egemonia a lungo coltivato e realizzato con scientifica determinazione? È auspicabile che l’Assemblea Costituente del nuovo partito sciolga questi nodi, ma intanto occorre sottolineare il coraggio di una costituenda forza politica che invita i cittadini a passare all’azione per evitare che il cerchio si chiuda in una sorta di neofeudalesimo sociale”.

 Non basta. Bisognerà poi risvegliare molte coscienze addormentate o ancora assopite e preparare una nuova classe dirigente. In questa prospettiva il Movimento Roosevelt - che resta una realtà politica ma non partitica – è chiamata a svolgere una funzione determinante in fatto di informazione, cultura e pedagogia. Perché è abbastanza evidente che nulla potrà mai cambiare veramente se i tanti delusi dal linguaggio e dall’agire della politica non coglieranno l’opportunità di una rivoluzione copernicana che rovesci il tradizionale rapporto stato-cittadini: lo stato non più concepito come un’entità astratta che impone i propri comandamenti, attraverso inamovibili oligarchie, ma finalmente inteso come il risultato di un patto sociale nel quale i cittadini si possano riconoscere. 


sergio magaldi

lunedì 20 novembre 2017

PERCHE' IL PARTITO DEMOCRATICO PROGRESSISTA? A quale domanda sociale e politica intende rispondere?





 Con un precedente post: “Che cos’è il Partito Democratico Progressista, cosa vuole essere” [clicca sul titolo per leggere] ho cercato di chiarire la natura e i propositi di questo nuovo soggetto politico, a giudicare dai suoi documenti pubblici. Con questo post, intendo soffermarmi sulla domanda sociale e politica alla quale il costituendo partito sembra intenzionato a rispondere.

 L’annunciata Assemblea Costituente del Partito Democratico Progressista nasce da una iniziativa di alcuni soci del Movimento Roosevelt [fondato a Perugia circa due anni fa], che non hanno inteso sottoporsi alla complessa procedura per trasformare il Movimento da soggetto metapartitico in un vero e proprio partito politico. Recita infatti l’art.2 dello statuto del Movimento:

Per poter essere trasformato in soggetto direttamente politico-partitico, è necessario che venga presentata al Presidente dell’Associazione una mozione firmata da almeno 60 membri dell’Assemblea Generale e che tale mozione, calendarizzata per il voto entro e non oltre 30 giorni dalla sua presentazione, venga poi votata da almeno il 60% dei presenti al voto il giorno della deliberazione in sede di Assemblea Generale.
Dopo di che, entro altri 30 giorni a partire da tale votazione con la maggioranza qualificata del 60%, tale eventuale trasformazione in soggetto direttamente politico-partitico del Movimento dovrà avere una conferma referendaria a suffragio universale dei soci (sia fondatori che ordinari), con l’approvazione di almeno il 60% dei voti referendari effettivamente espressi (e NON del 60% degli aventi diritto”.

 Si è preferito piuttosto lanciare una sorta di Opa, non certo per “pigrizia burocratica”, ma per verificare se esistano le condizioni per la nascita di un soggetto politico nuovo, inteso non come un contenitore per raccogliere lo scontento che da più parti si leva dal Paese, ma come un’offerta di partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. I presupposti sono peraltro già presenti nel citato statuto del Movimento Roosevelt, allorché all’art.3,1 è detto: “Il Movimento Roosevelt ha anzitutto l’obiettivo di difendere, rigenerare e promuovere la sovranità popolare sostanziale e non solo formale (democrazia compiutamente dispiegata e funzionante, in termini sia rappresentativi che diretti) a tutti i livelli delle istituzioni pubbliche” e quando al successivo comma si dichiara che “Il Movimento Roosevelt intende difendere e promuovere l’affermazione ideale e concreta dei diritti stabiliti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata all’ONU il 10 dicembre 1948”, ciò che non riguarda solo i diritti civili e politici, ma anche il diritto ad una occupazione che garantisca una vita dignitosa a tutti i cittadini.

 In proposito e non a caso, uno dei candidati a rivestire la carica di segretario generale del MR [Patrizia Scanu], nel presentare la propria piattaforma per le elezioni che si terranno nell’Assemblea del Movimento del prossimo gennaio, ricorda un passo di Eleanor Roosevelt in Your Hands del 27 marzo 1958:

Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani sia nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità”.

 E la candidata alla segreteria generale del Movimento così annota in merito alla citazione:La figura forte e propositiva di Eleanor Roosevelt e la sua riflessione sulla consapevolezza individuale e sull’esercizio solidale dei diritti umani nella vita quotidiana costituiscono la fonte di ispirazione della mia proposta programmatica. […] Dal mio punto di vista, il MR dovrebbe darsi come obiettivo quello di risvegliare le coscienze addormentate, riportando l’attenzione delle persone all’esistenza e alle concrete modalità di rivendicazione dei propri diritti”.

 Così, analogamente, l’invito a partecipare all’Assemblea Costituente di un nuovo soggetto politico si qualifica per la sua diversità da ogni altra offerta già nelle “premesse”, come si legge sul sito del costituendo Partito Democratico Progressista:

Iscriversi all’Assemblea Costituente del PDP significa, per singoli cittadini delusi dall’inconsistenza dell’offerta politica corrente, per gli aderenti a gruppi, movimenti e partiti politici che si sentano alternativi agli ormai logori e insignificanti “centrodestra” e “centrosinistra” tradizionali, per gli stessi militanti, attivisti, dirigenti e rappresentanti istituzionali di quelle forze politiche che hanno deluso gli interessi degli italiani dal 1992 in avanti, partecipare alla costruzione di una nuova, inedita e solida Casa Comune.
Tutti i costituenti, individualmente o organizzati legittimamente in correnti (in quanto magari aderenti in blocco come membri di associazioni, movimenti o partiti pre-esistenti) avranno la stessa titolarità e sovranità nel discutere, determinare la confezione e l’approvazione dello Statuto PDP e nell’elaborare un preciso programma di governo per l’Italia e i suoi territori”.
 La novità più grande tuttavia – che qualifica l’offerta per tutti i cittadini e in particolare per quanti siano stanchi e annoiati dalla politica e delusi dalla costatazione che ogni scelta dei politici di professione continui a passare sopra le loro teste – è rappresentata dalla proposta contenuta nel 21° principio fondativo che il PDP intende sottoporre all’attenzione della futura Assemblea Costituente. Non ancora resa esplicita in modo conclusivo, per lasciarne la cura definitiva alla sovranità dell’Assemblea, tale proposta – è detto - si richiama ad “alcune innovative integrazioni costituzionali, nell’interesse del popolo sovrano e della sostanzialità dei processi democratici e della divisione dei poteri”.
 La necessaria difesa della Costituzione Repubblicana non va scambiata con l’immobilismo, e la giusta rivendicazione della sua piena attuazione deve farci consapevoli che, se in circa settanta anni di vita molti dei suoi principi non hanno trovato concreta attuazione, ciò significa che erano forse suscettibili di varia interpretazione, secondo uno spirito di parte e in base alla volontà dei governi che nel tempo si sono succeduti. Al contrario, più di una modifica in senso peggiorativo è stata introdotta sbrigativamente nel testo che i padri costituenti ci hanno consegnato nel lontano 1948. In questa ottica, nel Convegno del Movimento Roosevelt, tenutosi a Roma presso il Teatro Anfitrione lo scorso 4 novembre, sono state individuate proposte di modifica e di integrazione del dettato costituzionale che saranno portate all’attenzione della futura Assemblea Costituente del PDP.
Occorre rammentare che alcuni articoli della Costituzione sono da considerarsi immodificabili: l’art. 138 che sottopone le procedure di riforma costituzionale ad una precisa e complessa normativa, l’art.139 che istituisce la forma repubblicana, gli articoli 2, 13-26, 24 e 27, in quanto attengono al diritto di libertà e ai diritti inviolabili dell’uomo, l’art. 5 che sancisce l’unità e l’indivisibilità della Repubblica. Sarebbero inoltre immodificabili, secondo la giurisprudenza costituzionale, ma non in base ad un preciso dettato, anche tutti i primi 12 articoli, perché ritenuti i Principi Fondamentali che «appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». Così, per esempio, l’art. 1 sarebbe intangibile in quanto sancisce che tutto l’ordinamento dello Stato si basa sul principio della sovranità popolare. Il che significa che una modifica dell’art. 1, che declini in modo più ampio e significativo il concetto di tale sovranità, debba ritenersi possibile.  
 E in effetti la riforma dell’art. 1 della Costituzione, proprio in questo senso, è contemplata nelle proposte presentate al Convegno del Teatro Anfitrione di Roma, divenendo una sorta di “cervello” di tutto il restante corpo costituzionale, con l’avvertenza che qualora la giurisprudenza, per motivi politico-giuridici più che sostanziali, valutasse l’articolo immodificabile, tutto il suo contenuto troverebbe comunque legittimamente posto in altri articoli della carta costituzionale, opportunamente modificabili in base alle procedure previste dall’art.138. Altre proposte di modifica riguardano, almeno per il momento, gli articoli  49, 56, 67, 75 e 81, la cui formulazione è di seguito riprodotta, utilizzando il neretto per ciò che viene mantenuto, il blu per ciò che si intende cancellare e il rosso per ciò che si propone di inserire. L’art.49 aggiunge un secondo e un terzo comma per meglio regolare la vita interna dei partiti e garantirne un tasso più elevato di democrazia. Con gli articoli  56 e 67 è introdotta l’innovazione di maggiore portata, al fine di rendere sostanziale un concetto di democrazia sempre più formale e di rendere il cittadino – richiesto periodicamente solo di un voto rituale che sancisca le decisioni delle segreterie dei partiti e al quale egli finisce sempre più per sottrarsi, apprezzandone l’inutilità – vero protagonista della vita politica e delle scelte che lo riguardano nel quotidiano. Con l’art. 75 si propone, per rendere meno aleatorio il concetto di sovranità popolare, una normativa semplificata del referendum. Infine, con l’art.81 si demanda allo Stato la tutela del benessere sociale dei cittadini e si cancella la norma sul pareggio di bilancio, introdotta proditoriamente e di recente da tutti i partiti politici, con la sola eccezione del Movimento Cinque Stelle, i cui rappresentanti non erano ancora presenti in Parlamento.
Art.1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata [sul lavoro] sul diritto al lavoro e sul dovere istituzionale di garantire la piena occupazione dei cittadini.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita [nelle forme e nei limiti della Costituzione]: attraverso il potere monetario dello Stato, mediante l’istituto della democrazia rappresentativa, della democrazia stocastica e nelle forme della democrazia diretta, quali il referendum abrogativo, propositivo e l’uso del digitale certificato.  

Titolo IV. Rapporti politici
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Le linee programmatiche dei partiti devono essere decise attraverso periodiche assemblee degli iscritti e in ogni caso deve essere garantito il diritto delle minoranze.
La scelta dei candidati per il Senato è determinata dalle Primarie, indette da partiti e movimenti politici tra i propri iscritti, con modalità che possono prevedere l’utilizzo del digitale certificato. La legge stabilisce termini e tempi dei ricorsi.

PARTE SECONDA. ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
Titolo I. Il Parlamento
Sezione I. Le Camere
[La Camera dei deputati]  L’Assemblea del Popolo è eletta [a suffragio universale e diretto] per estrazione a sorte tra tutti i cittadini italiani che ne abbiano diritto.
Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che [nel giorno delle elezioni hanno] abbiano compiuto i venticinque anni di età al momento di chiusura annuale delle liste comunali di elettorato passivo. Alle liste si accede a domanda e a giudizio inappellabile di commissioni di esperti, costituite su base regionale, che abbiano accertato mediante colloquio che il candidato, indipendentemente dal titolo di studio, mostri competenza in materia di storia, economia e diritto. Il cittadino escluso ha il diritto di rinnovare la richiesta negli anni successivi.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. L’estrazione a sorte dei candidati all’Assemblea del Popolo segue la ripartizione dei seggi assegnati alle circoscrizioni.
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Art. 67
Ogni membro del Parlamento rappresenta [la Nazione] il Popolo [ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato]. I deputati del Popolo e i senatori della Repubblica possono essere revocati dall’incarico mediante proposta di destituzione, firmata da almeno cinquantamila cittadini e sottoposta a referendum confermativo. I senatori sono revocati automaticamente nel momento stesso in cui non facciano più parte, per loro scelta, del partito o del movimento politico in cui siano stati eletti. Nei casi di espulsione è ammesso ricorso e i senatori restano in carica sino a giudizio definitivo della magistratura. Deputati e senatori cessano dal mandato, senza possibilità di appello, dopo cinque assenze consecutive ingiustificate dai lavori delle Camere.

Sezione II. La formazione delle leggi
E' indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, nonché la destituzione di un deputato del popolo o di un senatore della Repubblica, quando lo richiedono [cinquecentomila] cinquantamila elettori [o cinque Consigli regionali].
E’ indetto referendum popolare propositivo per approvare una legge, quando lo richiedono centomila elettori e la legge da approvare non sia lesiva dei principi sanciti dalla dichiarazione universale dei diritti umani.
[Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. ]
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere [la Camera dei deputati] il Senato della Repubblica.
La proposta soggetta a referendum abrogativo è approvata [se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto,e] se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Art. 81
Lo Stato [assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.], nella prospettiva di assicurare il benessere sociale, si fa carico di gestire e ricorrere all’indebitamento nella necessità di investimenti per rilanciare l’occupazione e per far fronte al verificarsi di eventi eccezionali, calamità naturali e recessioni economiche.
Lo Stato [Il ricorso] può ricorrere all’indebitamento [è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e,], previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti [al verificarsi di eventi eccezionali].
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare [l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e] la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale.

 Il nome di questo nuovo soggetto politico: Partito Democratico Progressista [PDP] fa pensare quasi ad una rifondazione dell’esistente Partito Democratico, alla reintegrazione di quanto di recente s’è venuto formando dalla sua costola, richiamandosi a vaghe idee di progresso, all’inclusione persino di tutte quelle articolazioni che da tempo si agitano e si spezzettano all’infinito e senza alcun costrutto alla sua sinistra. Niente di meno vero. La connotazione di “progressista”, checché ne pensi il senso comune, non caratterizza necessariamente le formazioni della sinistra, tant’è che vi si richiamano ancora oggi nel mondo, e indifferentemente, partiti e movimenti politici liberali, di centro, di destra e di sinistra. Del resto, l’idea stessa di progresso sconta l’ambiguità contenuta nel suo proprio concetto, allorché rimanda ad un tragitto da compiere, il cui unico comune denominatore tra coloro che lo percorrono è rappresentato dal passaggio da un punto a un altro, da un prima a un dopo, da un presente a un futuro la cui natura soltanto è chiamata a qualificarne il senso. Il termine sconta anche la sua etimologia, perché il latino progredior, “vado avanti”, significa semplicemente che mi sto muovendo, non in quale direzione fisica o ideale stia andando. In altri termini, non qualifica la mia marcia, né il senso dello spostamento se non per quello che io stesso gli assegno come fine. Non a caso gli antichi non avevano l’idea di progresso o perché ritenevano che la storia rappresentasse piuttosto un “regresso” rispetto ad una mitica e felice condizione originaria o perché la loro concezione del tempo era di tipo circolare. Per quanto paradossale possa sembrare fu solo con il cristianesimo che l’idea di progresso entrò nella storia, con l’abbattimento della circolarità temporale e l’assunzione del tempo lineare visto in funzione di un progressivo avvicinamento a Dio. Solo con l’Illuminismo la concezione di progresso comincia ad essere scandita in termini propriamente umani, perché la fede in Dio è sostituita dalla fiducia nella ragione umana, mentre il Positivismo del secolo successivo coniugherà l’idea di progresso con la divinizzazione della scienza. Nessuna concezione umana, tuttavia, scompare veramente, anche se si traveste in modo tale da non essere riconosciuta: così l’idea di progresso, quando non si dia un contenuto specifico e si prefissi una meta oggettivamente perseguibile, riconduce alla sterile e mitica età dell’oro degli antichi o, peggio ancora, resta un proclama generico per attrarre gli ingenui, ma si dà anche il caso di una sua palese contraddizione, testimoniata dal ripresentarsi costantemente di vicende umane caratterizzate da crudeltà, violenza e sopraffazione.

Tutto ciò premesso, la qualifica di “progressista” che caratterizza questo costituendo soggetto politico non significa necessariamente, come si potrebbe pensare – indotti in errore dall’etichetta assunta da alcuni gruppi di recente costituzione, separatosi dal Partito Democratico –  “di sinistra”, ma attiene ad un concetto di progresso ben  più determinato e specifico su cui vale la pena di soffermarsi ulteriormente allo scopo di coglierne le differenze con l’idea generica di progresso, presente tanto nel Manifesto dei valori del Partito Democratico, al momento della sua fondazione [2008], quanto nel più recente e sedicente “campo progressista”. [SEGUE]

sergio magaldi

lunedì 13 novembre 2017

Italia alla ventura già fuori dal mondiale

Sant'Ambrogio, il santo patrono di Milano



 Questa sera l’Italia del calcio sarà ufficialmente fuori dal mondiale di Russia. Naturalmente i miracoli sono sempre possibili. Si gioca a Milano, allo stadio di San Siro e quale che sia l’identità di questo santo –  il ragazzo che, secondo il Vangelo di Giovanni (Gv. 6,8) aveva i cinque pani d’orzo e i due pesci coi quali Gesù sfamò la folla e che sarebbe rimasto tra gli apostoli sino ad annunciare la buona novella nella pianura padana, o il vescovo di Pavia vissuto nel IV secolo o ancora [e qui il miracolo si fa meno probabile per una questione di campanile] quel San Siro vescovo di Genova vissuto anche lui nel IV secolo – ci si attende da lui un intervento provvidenziale sino a spingere una spenta nazionale a segnare due goal alla Svezia senza subirne alcuno, garantendole così quel posto in paradiso dove l’attendono le nazionali di quasi tutti gli altri paesi europei. La missione è ardua anche per un santo e giocandosi la partita a Milano forse varrebbe chiamare in causa anche Sant’Ambrogio, il santo patrono della città. Cosa poi sarebbero capace di fare gli azzurri, una volta in paradiso, è un altro discorso. Non c’è un gioco, qualche raro campione è già sulla via del tramonto, qualche altro è utilizzato male o addirittura non impiegato e per il resto si tratta di figure intercambiabili.

 Scontiamo la politica di questi anni, anzi la non politica calcistica che ha prodotto soltanto l’esperimento pilota del VAR (Video Assistant Referee) che lascia comunque e sempre l’ultima parola all’arbitro, ma si continua a permettere alle squadre italiane di tutti i campionati di schierarsi in campo anche con 11 giocatori stranieri. Scontiamo la nomina, così come in altri settori nevralgici della vita nazionale, di dirigenti scelti con criteri clientelari. Nello specifico, aver affidato la nazionale ad un allenatore di lungo corso ma aduso a lottare per il centro classifica della serie A significa non aver capito la realtà del calcio italiano, soprattutto quando a scendere in campo non sono Paolo Rossi, Totti, Baggio, Pirlo o Del Piero etc., ma i loro tardi epigoni. Conte, con la sua organizzazione di gioco, con la sua capacità  di trasmettere ai giocatori una volontà ferrea, ha dimostrato con una squadra tecnicamente anche inferiore a questa, di poter giocare alla pari contro le nazionali più forti come Spagna, Germania etc.; la nazionale di Ventura, in 95 minuti di gioco, non riesce ad entrare che una sola volta nell’area svedese [colpo di testa di Belotti che fallisce di poco il bersaglio], utilizza Insigne come mediano a venti minuti dalla fine, schiera Verratti – uno dei pochi calciatori italiani oggi di fama internazionale – e tanti altri in un ruolo non loro, ignora la regola fondamentale del calcio che le partite si vincono a centrocampo, insiste con il vecchio modulo dei due centravanti che finiscono con l’ostacolarsi a vicenda. Personalmente ritengo che sarebbe bastato Balotelli per aver ragione di questa Svezia, ma com’è noto il giocatore è tabù per i dirigenti e forse anche per alcuni calciatori di questa nazionale. Resta il fatto che, dopo le dimissioni di Conte, bisognava avere il coraggio di chiamare alla guida della nazionale un altro allenatore di prestigio, pagandolo a prezzo di mercato e non lesinando su un ingaggio alla portata della Federazione.

 Quali le novità di questa sera per tentare la rimonta? Gabbiadini al posto di Belotti, Florenzi e Jorginho al posto di De Rossi e Verratti [squalificato], mentre Insigne ed El Shaarawy, gli attaccanti italiani più in forma di questo momento, continuano a restare fuori. Forse una squadra persino più debole di quella sconfitta in Svezia e alla quale si chiede, per qualificarci al mondiale, di segnare – contro una difesa fisica che praticamente non ci ha permesso di entrare nella propria area di rigore – un numero di goal pari a quelli realizzati nelle ultime cinque partite della gestione Ventura. Un compito quasi impossibile, ma è vero che questa volta si gioca in Italia, a Milano, e che si spera che a dare una mano, e magari a guidare un piede al bersaglio, siano gli autorevoli santi locali.

sergio magaldi


mercoledì 8 novembre 2017

Convegno di Roma del Movimento Roosevelt: "Costituzione. Come difenderla, mantenerla o migliorarla" (4 novembre 2017)




 L'intervento di Sergio Magaldi al Convegno di Roma, presso il teatro Anfitrione, dal titolo: "Costituzione. Come difenderla, mantenerla o migliorarla" (4 novembre 2017). Sergio Magaldi presenta sinteticamente le proposte di riforma costituzionale che, a seguire, saranno ampiamente illustrate e commentate ad una ad una sui canali mediatici ufficiali rooseveltiani. Per vedere il video, clicca di seguito:



martedì 7 novembre 2017

Sacro impero europeo della nazione germanica: neofeudalesimo e autonomie




 Da Carlo Magno [742-814] a Ottone il Grande [912-973], da Ottone il Grande, re di Germania, a Massimiliano I d’Asburgo [1459-1519], da Massimiliano I ad Angela Dorothea Kasner Merkel [1954-?], Cancelliera tedesca da 12 anni, c’è una continuità politica del continente europeo che più che guardare all’Europa dei popoli, ad una Confederazione tra le nazioni europee o ad una Federazione Europea o agli Stati Uniti d’Europa, sembra sempre più ispirarsi alla tradizione del Sacro Romano impero della nazione germanica, ufficialmente decaduto solo nel 1806 per volontà del “Cesare progressivo”, come fu chiamato da Gramsci Napoleone Buonaparte o Bonaparte, secondo il suo cognome francesizzato, [1769-1821] che poco aveva di germanico, essendo nato in Corsica da genitori italiani.

 Prima della metà del secolo scorso la restaurazione del Sacro romano impero della nazione germanica fu già tentata da Adolf Hitler [1889-1945], ma il Führer lo fece in modo sgangherato ricorrendo alle armi, con l’aiuto del capitalismo classico e col massacro di milioni di ebrei [che secondo il Museo dell'Olocausto di Washington non furono “soltanto” i sei milioni uccisi nei campi di concentramento, ma complessivamente tra i 15 e i 20 milioni se si considerano le oltre 42mila strutture create in tutta l’Europa per sterminare gli ebrei]. Con la nascita della UE [Unione Europea], la Germania ha di fatto restaurato nel continente europeo quell’impero che Napoleone aveva abbattuto due secoli prima e lo ha fatto: 1)Riunificando il proprio Paese a spese della comunità europea. 2)Grazie all’apporto del capitalismo finanziario. 3)Con l’appoggio della Francia, suo principale Vassallo. 4)Togliendo la sovranità monetaria ai paesi dell’Unione. 5)Imponendo in tutta Europa il pareggio di bilancio e una politica di austerità che rende i governi nazionali – a prescindere dalle forze politiche che ne facciano parte – meri esecutori di un impero centralizzato e globalizzato la cui anima è rappresentata dalla BCE [Banca Centrale Europea] con sede in Germania, a Francoforte sul Meno. 6)Distruggendo le economie nazionali a proprio vantaggio. 7)Strutturando il territorio europeo in tanti feudi con stati vassalli, valvassori e valvassini, senza tuttavia lasciar sopravvivere quell’economia curtense che caratterizzò positivamente l’alto Medioevo.

 È più che mai comprensibile che in questo feudalesimo di ritorno trovino spazio, all’interno degli stati nazionali europei, spinte autonomistiche e indipendentistiche con l’obiettivo di instaurare direttamente un rapporto con l’UE, vista ormai la manifesta impotenza delle nazioni a decidere sulle scelte di politica economica e sociale e che per converso si traduce in un maggiore “sfruttamento” delle risorse locali a vantaggio di una nazione sempre più impoverita dalla necessità di far quadrare i propri conti in ossequio alle ristrettezze imposte dall’impero teutonico. D’altra parte – al di là di qualche fuga in avanti rappresentata da movimenti e partiti politici che per motivi elettorali si spingono sino a chiedere l’uscita dall’euro e/o dall’Europa – le autonomie consolidate, che per antica vocazione hanno una qualche possibilità di coniugare il verbo dell’indipendenza, si guardano bene dal dichiarare di voler prescindere dalla moneta unica e dall’Europa. È il caso ultimo della Catalogna che, volendo separarsi dalla Spagna, non ha mai smesso di innalzare nei giorni scorsi, insieme alla bandiera con stella e strisce giallorosse, anche la bandiera blu dell’Europa con il cerchio a 12 stelle. E questo è un punto di forza, ma anche di debolezza delle aspirazioni indipendentistiche. Perché se da una parte tende a rassicurare l’Europa e il Mercato, dall’altra non guadagna il favore di quella parte, sempre più consistente, dell’opinione pubblica europea che non vede, come per esempio, nella dichiarazione di indipendenza della Catalogna una sfida a Eurogermania, ma semplicemente un anelito egoistico e di parte. Il rovescio della medaglia è che, almeno in questa fase storica, l’UE tedesca con stampella francese e corteo di servili vassalli europei non può permettersi di assecondare le aspirazioni all’indipendentismo di regioni controllate dagli stati che dell’Unione fanno parte, per almeno tre ordini di motivi:1)Non scontentare i propri fedeli vassalli rischiando imprevedibili colpi di testa da parte loro. 2)Garantire il più possibile, attraverso il controllo nazionale, la tenuta dell’intero sistema. 3)Evitare assolutamente che dietro le aspirazioni indipendentistiche di alcune regioni europee si nascondano e/o possano manifestarsi col tempo ben altre intenzioni, quale soprattutto la messa in questione delle attuali politiche economiche e sociali imposte a tutto il continente dall’impero europeo della nazione tedesca.

 E tutto ciò con buona pace dei soliti complottisti che hanno creduto di vedere, nei recenti avvenimenti catalani, addirittura lo zampino dell’UE per mettere in crisi la Spagna, lanciata verso una crescita del proprio prodotto nazionale lordo ben superiore a quella di tutti gli altri paesi europei. Crescita che peraltro non ha ridotto la disoccupazione [ben superiore a quella dell’Italia e di altri stati], né implementato i bassi salari e le esigue pensioni [2500-3000 euro è l’ammontare massimo delle pensioni più ricche elargite dal sistema pensionistico spagnolo], né incrementato i consumi, né ridotto l’indebitamento con le istituzioni internazionali e neppure risolto la crisi politica che si trascina da tre elezioni politiche generali con un governo neofranchista che si regge sull’astensione dei socialisti del PSOE e che spera con Rajoy in una prossima e schiacciante vittoria elettorale per il pugno duro usato contro i catalani.


sergio magaldi