lunedì 20 novembre 2017

PERCHE' IL PARTITO DEMOCRATICO PROGRESSISTA? A quale domanda sociale e politica intende rispondere?





 Con un precedente post: “Che cos’è il Partito Democratico Progressista, cosa vuole essere” [clicca sul titolo per leggere] ho cercato di chiarire la natura e i propositi di questo nuovo soggetto politico, a giudicare dai suoi documenti pubblici. Con questo post, intendo soffermarmi sulla domanda sociale e politica alla quale il costituendo partito sembra intenzionato a rispondere.

 L’annunciata Assemblea Costituente del Partito Democratico Progressista nasce da una iniziativa di alcuni soci del Movimento Roosevelt [fondato a Perugia circa due anni fa], che non hanno inteso sottoporsi alla complessa procedura per trasformare il Movimento da soggetto metapartitico in un vero e proprio partito politico. Recita infatti l’art.2 dello statuto del Movimento:

Per poter essere trasformato in soggetto direttamente politico-partitico, è necessario che venga presentata al Presidente dell’Associazione una mozione firmata da almeno 60 membri dell’Assemblea Generale e che tale mozione, calendarizzata per il voto entro e non oltre 30 giorni dalla sua presentazione, venga poi votata da almeno il 60% dei presenti al voto il giorno della deliberazione in sede di Assemblea Generale.
Dopo di che, entro altri 30 giorni a partire da tale votazione con la maggioranza qualificata del 60%, tale eventuale trasformazione in soggetto direttamente politico-partitico del Movimento dovrà avere una conferma referendaria a suffragio universale dei soci (sia fondatori che ordinari), con l’approvazione di almeno il 60% dei voti referendari effettivamente espressi (e NON del 60% degli aventi diritto”.

 Si è preferito piuttosto lanciare una sorta di Opa, non certo per “pigrizia burocratica”, ma per verificare se esistano le condizioni per la nascita di un soggetto politico nuovo, inteso non come un contenitore per raccogliere lo scontento che da più parti si leva dal Paese, ma come un’offerta di partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. I presupposti sono peraltro già presenti nel citato statuto del Movimento Roosevelt, allorché all’art.3,1 è detto: “Il Movimento Roosevelt ha anzitutto l’obiettivo di difendere, rigenerare e promuovere la sovranità popolare sostanziale e non solo formale (democrazia compiutamente dispiegata e funzionante, in termini sia rappresentativi che diretti) a tutti i livelli delle istituzioni pubbliche” e quando al successivo comma si dichiara che “Il Movimento Roosevelt intende difendere e promuovere l’affermazione ideale e concreta dei diritti stabiliti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata all’ONU il 10 dicembre 1948”, ciò che non riguarda solo i diritti civili e politici, ma anche il diritto ad una occupazione che garantisca una vita dignitosa a tutti i cittadini.

 In proposito e non a caso, uno dei candidati a rivestire la carica di segretario generale del MR [Patrizia Scanu], nel presentare la propria piattaforma per le elezioni che si terranno nell’Assemblea del Movimento del prossimo gennaio, ricorda un passo di Eleanor Roosevelt in Your Hands del 27 marzo 1958:

Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani sia nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità”.

 E la candidata alla segreteria generale del Movimento così annota in merito alla citazione:La figura forte e propositiva di Eleanor Roosevelt e la sua riflessione sulla consapevolezza individuale e sull’esercizio solidale dei diritti umani nella vita quotidiana costituiscono la fonte di ispirazione della mia proposta programmatica. […] Dal mio punto di vista, il MR dovrebbe darsi come obiettivo quello di risvegliare le coscienze addormentate, riportando l’attenzione delle persone all’esistenza e alle concrete modalità di rivendicazione dei propri diritti”.

 Così, analogamente, l’invito a partecipare all’Assemblea Costituente di un nuovo soggetto politico si qualifica per la sua diversità da ogni altra offerta già nelle “premesse”, come si legge sul sito del costituendo Partito Democratico Progressista:

Iscriversi all’Assemblea Costituente del PDP significa, per singoli cittadini delusi dall’inconsistenza dell’offerta politica corrente, per gli aderenti a gruppi, movimenti e partiti politici che si sentano alternativi agli ormai logori e insignificanti “centrodestra” e “centrosinistra” tradizionali, per gli stessi militanti, attivisti, dirigenti e rappresentanti istituzionali di quelle forze politiche che hanno deluso gli interessi degli italiani dal 1992 in avanti, partecipare alla costruzione di una nuova, inedita e solida Casa Comune.
Tutti i costituenti, individualmente o organizzati legittimamente in correnti (in quanto magari aderenti in blocco come membri di associazioni, movimenti o partiti pre-esistenti) avranno la stessa titolarità e sovranità nel discutere, determinare la confezione e l’approvazione dello Statuto PDP e nell’elaborare un preciso programma di governo per l’Italia e i suoi territori”.
 La novità più grande tuttavia – che qualifica l’offerta per tutti i cittadini e in particolare per quanti siano stanchi e annoiati dalla politica e delusi dalla costatazione che ogni scelta dei politici di professione continui a passare sopra le loro teste – è rappresentata dalla proposta contenuta nel 21° principio fondativo che il PDP intende sottoporre all’attenzione della futura Assemblea Costituente. Non ancora resa esplicita in modo conclusivo, per lasciarne la cura definitiva alla sovranità dell’Assemblea, tale proposta – è detto - si richiama ad “alcune innovative integrazioni costituzionali, nell’interesse del popolo sovrano e della sostanzialità dei processi democratici e della divisione dei poteri”.
 La necessaria difesa della Costituzione Repubblicana non va scambiata con l’immobilismo, e la giusta rivendicazione della sua piena attuazione deve farci consapevoli che, se in circa settanta anni di vita molti dei suoi principi non hanno trovato concreta attuazione, ciò significa che erano forse suscettibili di varia interpretazione, secondo uno spirito di parte e in base alla volontà dei governi che nel tempo si sono succeduti. Al contrario, più di una modifica in senso peggiorativo è stata introdotta sbrigativamente nel testo che i padri costituenti ci hanno consegnato nel lontano 1948. In questa ottica, nel Convegno del Movimento Roosevelt, tenutosi a Roma presso il Teatro Anfitrione lo scorso 4 novembre, sono state individuate proposte di modifica e di integrazione del dettato costituzionale che saranno portate all’attenzione della futura Assemblea Costituente del PDP.
Occorre rammentare che alcuni articoli della Costituzione sono da considerarsi immodificabili: l’art. 138 che sottopone le procedure di riforma costituzionale ad una precisa e complessa normativa, l’art.139 che istituisce la forma repubblicana, gli articoli 2, 13-26, 24 e 27, in quanto attengono al diritto di libertà e ai diritti inviolabili dell’uomo, l’art. 5 che sancisce l’unità e l’indivisibilità della Repubblica. Sarebbero inoltre immodificabili, secondo la giurisprudenza costituzionale, ma non in base ad un preciso dettato, anche tutti i primi 12 articoli, perché ritenuti i Principi Fondamentali che «appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». Così, per esempio, l’art. 1 sarebbe intangibile in quanto sancisce che tutto l’ordinamento dello Stato si basa sul principio della sovranità popolare. Il che significa che una modifica dell’art. 1, che declini in modo più ampio e significativo il concetto di tale sovranità, debba ritenersi possibile.  
 E in effetti la riforma dell’art. 1 della Costituzione, proprio in questo senso, è contemplata nelle proposte presentate al Convegno del Teatro Anfitrione di Roma, divenendo una sorta di “cervello” di tutto il restante corpo costituzionale, con l’avvertenza che qualora la giurisprudenza, per motivi politico-giuridici più che sostanziali, valutasse l’articolo immodificabile, tutto il suo contenuto troverebbe comunque legittimamente posto in altri articoli della carta costituzionale, opportunamente modificabili in base alle procedure previste dall’art.138. Altre proposte di modifica riguardano, almeno per il momento, gli articoli  49, 56, 67, 75 e 81, la cui formulazione è di seguito riprodotta, utilizzando il neretto per ciò che viene mantenuto, il blu per ciò che si intende cancellare e il rosso per ciò che si propone di inserire. L’art.49 aggiunge un secondo e un terzo comma per meglio regolare la vita interna dei partiti e garantirne un tasso più elevato di democrazia. Con gli articoli  56 e 67 è introdotta l’innovazione di maggiore portata, al fine di rendere sostanziale un concetto di democrazia sempre più formale e di rendere il cittadino – richiesto periodicamente solo di un voto rituale che sancisca le decisioni delle segreterie dei partiti e al quale egli finisce sempre più per sottrarsi, apprezzandone l’inutilità – vero protagonista della vita politica e delle scelte che lo riguardano nel quotidiano. Con l’art. 75 si propone, per rendere meno aleatorio il concetto di sovranità popolare, una normativa semplificata del referendum. Infine, con l’art.81 si demanda allo Stato la tutela del benessere sociale dei cittadini e si cancella la norma sul pareggio di bilancio, introdotta proditoriamente e di recente da tutti i partiti politici, con la sola eccezione del Movimento Cinque Stelle, i cui rappresentanti non erano ancora presenti in Parlamento.
Art.1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata [sul lavoro] sul diritto al lavoro e sul dovere istituzionale di garantire la piena occupazione dei cittadini.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita [nelle forme e nei limiti della Costituzione]: attraverso il potere monetario dello Stato, mediante l’istituto della democrazia rappresentativa, della democrazia stocastica e nelle forme della democrazia diretta, quali il referendum abrogativo, propositivo e l’uso del digitale certificato.  

Titolo IV. Rapporti politici
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Le linee programmatiche dei partiti devono essere decise attraverso periodiche assemblee degli iscritti e in ogni caso deve essere garantito il diritto delle minoranze.
La scelta dei candidati per il Senato è determinata dalle Primarie, indette da partiti e movimenti politici tra i propri iscritti, con modalità che possono prevedere l’utilizzo del digitale certificato. La legge stabilisce termini e tempi dei ricorsi.

PARTE SECONDA. ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
Titolo I. Il Parlamento
Sezione I. Le Camere
[La Camera dei deputati]  L’Assemblea del Popolo è eletta [a suffragio universale e diretto] per estrazione a sorte tra tutti i cittadini italiani che ne abbiano diritto.
Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che [nel giorno delle elezioni hanno] abbiano compiuto i venticinque anni di età al momento di chiusura annuale delle liste comunali di elettorato passivo. Alle liste si accede a domanda e a giudizio inappellabile di commissioni di esperti, costituite su base regionale, che abbiano accertato mediante colloquio che il candidato, indipendentemente dal titolo di studio, mostri competenza in materia di storia, economia e diritto. Il cittadino escluso ha il diritto di rinnovare la richiesta negli anni successivi.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. L’estrazione a sorte dei candidati all’Assemblea del Popolo segue la ripartizione dei seggi assegnati alle circoscrizioni.
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Art. 67
Ogni membro del Parlamento rappresenta [la Nazione] il Popolo [ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato]. I deputati del Popolo e i senatori della Repubblica possono essere revocati dall’incarico mediante proposta di destituzione, firmata da almeno cinquantamila cittadini e sottoposta a referendum confermativo. I senatori sono revocati automaticamente nel momento stesso in cui non facciano più parte, per loro scelta, del partito o del movimento politico in cui siano stati eletti. Nei casi di espulsione è ammesso ricorso e i senatori restano in carica sino a giudizio definitivo della magistratura. Deputati e senatori cessano dal mandato, senza possibilità di appello, dopo cinque assenze consecutive ingiustificate dai lavori delle Camere.

Sezione II. La formazione delle leggi
E' indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, nonché la destituzione di un deputato del popolo o di un senatore della Repubblica, quando lo richiedono [cinquecentomila] cinquantamila elettori [o cinque Consigli regionali].
E’ indetto referendum popolare propositivo per approvare una legge, quando lo richiedono centomila elettori e la legge da approvare non sia lesiva dei principi sanciti dalla dichiarazione universale dei diritti umani.
[Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. ]
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere [la Camera dei deputati] il Senato della Repubblica.
La proposta soggetta a referendum abrogativo è approvata [se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto,e] se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Art. 81
Lo Stato [assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.], nella prospettiva di assicurare il benessere sociale, si fa carico di gestire e ricorrere all’indebitamento nella necessità di investimenti per rilanciare l’occupazione e per far fronte al verificarsi di eventi eccezionali, calamità naturali e recessioni economiche.
Lo Stato [Il ricorso] può ricorrere all’indebitamento [è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e,], previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti [al verificarsi di eventi eccezionali].
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare [l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e] la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale.

 Il nome di questo nuovo soggetto politico: Partito Democratico Progressista [PDP] fa pensare quasi ad una rifondazione dell’esistente Partito Democratico, alla reintegrazione di quanto di recente s’è venuto formando dalla sua costola, richiamandosi a vaghe idee di progresso, all’inclusione persino di tutte quelle articolazioni che da tempo si agitano e si spezzettano all’infinito e senza alcun costrutto alla sua sinistra. Niente di meno vero. La connotazione di “progressista”, checché ne pensi il senso comune, non caratterizza necessariamente le formazioni della sinistra, tant’è che vi si richiamano ancora oggi nel mondo, e indifferentemente, partiti e movimenti politici liberali, di centro, di destra e di sinistra. Del resto, l’idea stessa di progresso sconta l’ambiguità contenuta nel suo proprio concetto, allorché rimanda ad un tragitto da compiere, il cui unico comune denominatore tra coloro che lo percorrono è rappresentato dal passaggio da un punto a un altro, da un prima a un dopo, da un presente a un futuro la cui natura soltanto è chiamata a qualificarne il senso. Il termine sconta anche la sua etimologia, perché il latino progredior, “vado avanti”, significa semplicemente che mi sto muovendo, non in quale direzione fisica o ideale stia andando. In altri termini, non qualifica la mia marcia, né il senso dello spostamento se non per quello che io stesso gli assegno come fine. Non a caso gli antichi non avevano l’idea di progresso o perché ritenevano che la storia rappresentasse piuttosto un “regresso” rispetto ad una mitica e felice condizione originaria o perché la loro concezione del tempo era di tipo circolare. Per quanto paradossale possa sembrare fu solo con il cristianesimo che l’idea di progresso entrò nella storia, con l’abbattimento della circolarità temporale e l’assunzione del tempo lineare visto in funzione di un progressivo avvicinamento a Dio. Solo con l’Illuminismo la concezione di progresso comincia ad essere scandita in termini propriamente umani, perché la fede in Dio è sostituita dalla fiducia nella ragione umana, mentre il Positivismo del secolo successivo coniugherà l’idea di progresso con la divinizzazione della scienza. Nessuna concezione umana, tuttavia, scompare veramente, anche se si traveste in modo tale da non essere riconosciuta: così l’idea di progresso, quando non si dia un contenuto specifico e si prefissi una meta oggettivamente perseguibile, riconduce alla sterile e mitica età dell’oro degli antichi o, peggio ancora, resta un proclama generico per attrarre gli ingenui, ma si dà anche il caso di una sua palese contraddizione, testimoniata dal ripresentarsi costantemente di vicende umane caratterizzate da crudeltà, violenza e sopraffazione.

Tutto ciò premesso, la qualifica di “progressista” che caratterizza questo costituendo soggetto politico non significa necessariamente, come si potrebbe pensare – indotti in errore dall’etichetta assunta da alcuni gruppi di recente costituzione, separatosi dal Partito Democratico –  “di sinistra”, ma attiene ad un concetto di progresso ben  più determinato e specifico su cui vale la pena di soffermarsi ulteriormente allo scopo di coglierne le differenze con l’idea generica di progresso, presente tanto nel Manifesto dei valori del Partito Democratico, al momento della sua fondazione [2008], quanto nel più recente e sedicente “campo progressista”. [SEGUE]

sergio magaldi

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