domenica 30 settembre 2018

NOTE SULLA QABBALAH: parte XVII, onnipotenza e libertà




SEGUE DA:





NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo perleggere)

NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)














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ONNIPOTENZA DIVINA E LIBERTA’ UMANA


 Solo con un altro filosofo, Hans Jonas [1903-1993], la questione posta dalla teodicea per rapporto alla Shoah, sembra avere un chiarimento che in un certo senso è anche la soluzione e la morte della teodicea classica. Jonas ritiene che dopo Auschwitz non sia più possibile conciliare tra loro onnipotenza, bontà e misericordia di Dio, e ad essere sacrificato è l’attributo dell’onnipotenza non quello della bontà, della misericordia e della partecipazione di Dio alla sofferenza umana. 

 L’argomento trae il suo fondamento dalla narrazione della creazione dell’uomo e del mondo del noto cabbalista  di Safed,  Yitzhak Luria [1534 – 1572], detto il leone: la creazione non consiste – come già si è accennato – in un prolungamento o in una concentrazione di Dio nel mondo, ma in uno Tzimtzum, cioè in una contrazione, in un ritrarsi di Dio da uno spazio che da quel momento diviene altro da sé, e rispetto al quale Dio è tutt’altro che indifferente ma sul quale non può intervenire, pena la fine stessa del mondo. 

 Perché tutto questo? Jonas rende esplicito in senso filosofico l’argomento di Luria: se Dio, come totalità, si fosse semplicemente steso, prolungato o concentrato nel mondo, rendendolo simile a se stesso, per l’uomo e per la vita, così come la conosciamo non ci sarebbe stato posto, ma è altrettanto vero che con lo Tzimtzum, lasciando nascere l’uomo e il mondo, Dio lasci entrare nello spazio lasciato libero, anche il male metafisico, il male fisico e morale. L’argomento di Luria e di Jonas, naturalmente, è stato giudicato eretico dalla teologia ebraica e anche dalle altre due teologie monoteistiche, ma sembra l’unica spiegazione possibile, nel linguaggio della Qabbalah e della filosofia, per conciliare tutti gli attributi divini con l’esistenza del male, con Auschwitz e con la Shoah.

 Diversamente, Emil Ludwig Fackenheim [Halle 1916-Gerusalemme 2003], che fu filosofo, ma anche rabbino e teologo, vede la questione della Shoah e dell’onnipotenza divina nel solco della tradizione teologica ebraica. Il disegno di Dio, anche nel male che colpisce i giusti, come nel caso del sacrificio di Isacco e come soprattutto nelle sventure di Giobbe, se non è immediatamente comprensibile, lo diviene più tardi col divenire della storia umana.  Fackenheim ritiene che la fine della diaspora, la voglia di sopravvivere del popolo ebraico alla follia sterminatrice di Hitler e dei suoi aguzzini, sia stata la migliore risposta alla Shoah e che sempre, al silenzio di Dio, debba corrispondere il silenzio dell’uomo e il tiqqun ha’olam, la riparazione del mondo. 

 Un concetto teologico, dunque, anche questo mutuato dalla tradizione cabalistica e che diventa persino comprensibile in una accezione puramente laica. Scrive Fackenheim [The Holocaust and the State of Israel: Their Relation, in E. Fleischner (cur.), Auschwitz: Beginning of a New Era?, KTAV (1977), pp. 209-210]:Gli storici vedono una connessione causale tra l'Olocausto e la fondazione dello Stato d'Israele. Il ragionamento è come segue: se non fosse stato per la catastrofe ebraica europea, tutti quei secoli di anelito religioso per Sion, tutti quei decenni di attività sionista secolare, insieme a tutto l'incoraggiamento dato dalla Dichiarazione Balfour, avrebbe prodotto al massimo un ghetto palestinese. Avrebbe certo potuto essere una comunità con stupendi risultati interni, ma piuttosto che una "patria" per ebrei dispersi senza tetto, sarebbe invece stata alla mercé di un qualche governo straniero di dubbia benevolenza. Solo l'Olocausto ha prodotto quella disperata determinazione dei sopravvissuti e di coloro che ci si identificavano; fece finire le incertezze dei leader sionisti... e produsse un momento di respiro dal cinismo politico della comunità internazionale, abbastanza a lungo da sancire legalmente lo Stato Ebraico”. 

 La tesi, ancorché intrigante, non sembra in grado di mettere in discussione l’estraneità di Dio al mondo, dopo il gesto primordiale dello Tzimtzum che di fatto separa l’universo dal suo creatore, e il venir meno – come sostiene Jonas sulla scia della qabbalah luriana – dell’attributo dell’onnipotenza divina relativamente a ciò che è divenuto altro da sé, ma è almeno rassicurante rispetto al dio aristotelico, spettatore impassibile e indifferente. Su ogni vicenda mondana, determinata insieme dalla libertà del’uomo e dalla necessità della natura, si proietta d’ora in poi, attraverso la Shekinah degli ebrei, la Provvidenza dei cristiani o la Misericordia [Rahma] degli islamici - solo per restare tra le cosiddette religioni del libro - la luce divina capace, prima o poi nel corso della Storia, di illuminare la coscienza degli esseri umani.

sergio magaldi


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