martedì 20 novembre 2018

I LIBRI PIU’ BELLI SULL’AMORE, parte II, Werther e Jacopo Ortis





SEGUE DA 


 Se Lettera di una sconosciuta di Stefan Zweig è il romanzo dell’amore assoluto e non corrisposto di una donna, il prototipo dell’amore infelice e tragico, spesso segreto, perché uno dei due amanti – quasi sempre una donna, per motivi familiari o sociali destinata ad altri – non si trova, per così dire, sulla stessa lunghezza d’onda dell’altro, è rappresentato da I dolori del giovane Werther che Goethe pubblicò nel 1774, e dalla sua “variante” italiana, Ultime lettere di Jacopo Ortis  di Ugo Foscolo, apparso nel 1802. Entrambi i romanzi non fanno parte della classifica dei “venti libri d’amore più importanti della storia” di Tuttolibri, ma figurano in altre graduatorie dei “libri più belli sull’amore” che circolano in rete. In comune con Lettera di una sconosciuta, hanno la caratteristica di essere romanzi epistolari, dove a scrivere è per di più uno solo dei due amanti, evitando un intreccio poco probabile, vuoi per il senso che la storia narrata è destinato ad assumere, vuoi per la segretezza che deve essere mantenuta.
  I dolori del giovane Werther si iscrive a buon diritto nel clima preromantico, suscitato dal movimento cosiddetto dello Sturm und Drang (tempesta ed impeto), il cui manifesto è rappresentato  dai  Saggi intorno al carattere e all’arte dei tedeschi, redatto nel 1773 da Herder, Goethe e Moeser. Valori di riferimento sono l’esaltazione del genio individuale e della spontaneità del popolo, lo spirito libero e la vita secondo natura intesa alla maniera di Jean Jacques Rousseau (1712-1778), il chiaro di luna e la musica quasi simboli del connubio tra natura e spirito, l’amore e la poesia come nella grande stagione di William Shakespeare (1564-1616). All’idealismo dominante, tuttavia, fa riscontro l’idea della vanità e della precarietà della vita umana, quasi la nostalgia di un paradiso perduto, lo struggimento per non poter cogliere l’assoluto, l’eros e thanatos (amore e morte) come punti nodali dell’esistenza, la materia sepolcrale dell’ossianesimo, cosiddetto da Ossian, principe e antico cantore di epica presso i celti, nonché protagonista dell'opera di Macpherson, I canti di Ossian (1760-1773), dove l’esaltazione del sentimento e della natura si tinge di malinconia e si accompagna alla narrazione di imprese leggendarie e cavalleresche. Non a caso Goethe nel suo romanzo fa in modo che Werther legga a Carlotta alcuni passi dei Canti di Ossian:

«…"Non avete niente da leggere?" chiese. Werther non
aveva nulla. "Là, nel mio cassetto, riprese Carlotta, c'è
la vostra traduzione di alcuni canti di Ossian: non li ho
ancora letti, perché speravo sempre di udirli da voi, ma
da allora non è mai stato possibile".
Egli sorrise, prese il poema, e un brivido lo scosse
quando lo ebbe fra le mani, e gli occhi gli si riempirono
di lacrime quando li posò sullo scritto. Sedette, e cominciò
a leggere:"Stella della notte crepuscolare, tu risplendi
fulgida all'occidente, tu alzi dal seno della tua
nuvola la testa raggiante, e maestosamente
avanzi sulla tua collina. Che cosa guardi nella
brughiera? I venti tempestosi si sono calmati,
da lontano giunge il mormorio del torrente;
onde sussurranti si frangono contro la roccia
lontana; nei campi si diffonde il ronzio degli
insetti della sera. Che cosa guardi, bella luce?
Ma tu sorridi, e passi, e ti circondano i flutti
che bagnano la tua chioma graziosa. Addio,
raggio tranquillo. Risplendi tu, splendida luce
dell'anima ossianica!”…» [I dolori del giovane Werther, ebook Progetto Manuzio, liberliber, pp.148-149]

Come nasce la passione di Werther per Carlotta? Naturalmente si tratta di amore a prima vista, come il giovane racconta in una delle lettere al suo amico:

«16 giugno.
Perché non ti scrivo? Me lo domandi proprio tu che
sei un sapiente! Dovresti indovinare che sto bene e
che... In breve ho fatto una conoscenza che mi tocca
proprio il cuore. Ho... non so quel che ho!
Sarà difficile che io possa raccontarti ordinatamente
come ho conosciuto la più deliziosa fra le creature. Sono
soddisfatto e contento; e per conseguenza non sono un
buono storico.
Un angelo! ahi, questo ognuno lo dice della sua amata.
E quindi non so come fare a dirti come lei sia perfetta,
perché sia perfetta: in breve lei è riuscita ad avvincere
tutto il mio essere.
Una grande purezza si unisce a una grande intelligenza,
e la bontà e l'energia, la pace dell'animo e l'amore
alla vita attiva armonizzano in lei. Tutte le cose che ti
scrivo non sono che chiacchiere inutili e vane astrazioni
che non esprimono nulla di quello che lei è.» [Ibid., pp.22-23]

Ed è una condizione di felicità quella che pochi giorni più tardi Werther descrive in un’altra lettera all’amico. Una beatitudine che si appaga già solo della vicinanza alla donna amata:

«21 giugno.
Vivo giorni così felici, quali Dio ne concede ai suoi
beati: qualunque cosa possa avvenirmi ora, non potrò
dire di non aver gustato le più pure gioie della vita. Tu
conosci il mio Wahlheim; là mi sono definitivamente
stabilito: sono soltanto a una mezz'ora di distanza da
Carlotta e vi godo tutta la felicità che può essere concessa
a un uomo. Eppure non avrei pensato, scegliendo Wahlheim
come meta delle mie passeggiate, che esso sarebbe
stato così vicino al cielo. E quante volte nelle mie
lunghe escursioni ho contemplato, dal monte, o dalla
pianura che si stende al di là del fiume, la casa di caccia
che ora racchiude tutti i miei desideri!» [Ibid., pp.35-36]

Ora Werther si dice certo con l’amico di essere riamato da Carlotta e che questo lo fa sentire migliore, insomma “se altri mi ama per ciò stesso sono giustificato ad esistere”, un concetto che, d’après Sartre, ricorre spesso nella narrativa dell’esistenzialismo di quasi due secoli più tardi, ma il primo germe dell’infelicità è già all’opera: Carlotta ha un fidanzato verso cui nutre tutt’altro che indifferenza. Nella lettera del 16 luglio ricompare nuovamente e con più forza il motivo medievale della donna “angelicata” cara al “dolce stil novo” ma, quanto più la donna appare di natura angelica, tanto più infelice e tragico sarà il destino dell’amante:

«13 luglio.
No, non m'inganno: leggo nei suoi occhi neri un vero
interesse per me, per la mia sorte. Io sento, e posso lasciar
parlare il mio cuore, sento che lei... devo in queste
parole esprimere la mia celeste felicità? sento che lei mi
ama!
Mi ama! E come sono divenuto caro a me stesso! a te
posso dirlo perché hai l'animo atto a comprendermi.
Come mi sento elevato ai miei propri occhi da quando
lei mi ama!
È forse presunzione? o è coscienza dei veri sentimenti
che ci uniscono? Io non conosco nessun uomo di cui
temere l'influenza sul cuore di Carlotta. Pure quando lei
parla del suo fidanzato con tanto calore e con tanto affetto,
mi sento come un uomo al quale si sottraggano
tutti i suoi onori e le sue dignità, e a cui si porti via la
sua spada.

16 luglio.
Quale brivido mi corre nelle vene quando per caso le
mie dita toccano le sue, quando i nostri piedi s'incontrano
sotto la tavola! Mi ritiro come dal fuoco, una segreta
forza mi spinge avanti di nuovo, e tutti i miei sensi sono
presi da vertigine. E la sua innocenza, la sua anima
ignara non le lasciano comprendere come queste piccole
familiarità mi fanno male. Se, parlando, lei posa la sua
mano sulla mia, se nel calore della conversazione si avvicina
a me in modo che il suo alito divino sfiori le mie
labbra, io credo di morire, come percosso dal fulmine. E
se una volta, Guglielmo, quell'anima celeste e fiduciosa
io osassi... tu mi capisci? No, il mio cuore non è così
corrotto! Ma è debole, molto debole, e questa non è forse
corruzione?
Lei mi è sacra. Ogni desiderio tace alla sua presenza.
Non posso dire quello che succede in me quando le sono
vicino; mi pare che tutta l'anima si riversi nei miei nervi.
Carlotta sa una melodia che suona al pianoforte con
un'angelica espressione, con grande semplicità e spirito.
È la sua aria preferita, e appena suona la prima nota,
fuggono lontano da me pene, preoccupazioni, capricci.»[Ibid. pp.49-51]

 La consuetudine con Carlotta e il suo fidanzato non farà che aumentare la disperazione di Werther, sino al proposito del giovane e sfortunato amante di scomparire definitivamente:

« Avevo già trascorso una mezz'ora immerso nei tristi e
dolci pensieri della separazione e del rivedersi, quando
li sentii salire sulla terrazza. Corsi loro incontro e, con
un brivido, presi la mano di lei e la baciai. Eravamo appunto
arrivati, quando la luna si levò dalla collina coperta
di cespugli; conversammo un poco e poi giungemmo
al gabinetto oscuro. Carlotta entrò e si sedette, Alberto
si mise vicino a lei e io pure; ma la mia inquietudine
non mi permise di stare a lungo seduto; mi alzai, mi
misi davanti a Carlotta; feci qualche passo in su e in giù,
mi sedetti di nuovo: era uno stato di angoscia. Lei ci
fece osservare il bell'effetto di luna che dal fondo del
boschetto di faggi illuminava davanti a noi tutta la terrazza;
il colpo d'occhio era splendido e ci colpiva ancor
più, in quanto eravamo avvolti da una profonda oscurità.
Eravamo silenziosi e, dopo qualche tempo, lei cominciò
a dire: non posso mai passeggiare al chiaro di luna senza
pensare a tutti i miei morti, senza esser presa dal sentimento
della morte e dell'avvenire. Noi avremo una seconda
vita, proseguì con accento forte e sentito; ma,
Werther, ci potremo ritrovare, riconoscere? Che cosa
pensate, che ne dite voi?
- Carlotta - dissi, e le tesi la mano mentre gli occhi
mi si riempivano di lacrime - ci rivedremo; qui e lassù,
noi ci rivedremo. - Non potei dire altro. Guglielmo, doveva
lei farmi questa domanda mentre io avevo in cuore
l'angoscia dell'addio? [Ibid. pp.76-77]

In che il romanzo di Jacopo Ortis si differenzia da quello del giovane Werther? La formula epistolare è la stessa, con  le lettere scritte ad un caro amico (Lorenzo Alderani), quasi identico l’intreccio narrativo, perfettamente identico il finale. Anche qui c’è l’amore a prima vista e il tema della donna angelicata anche se espressi con maggiore sobrietà:

«26 Ottobre
La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te ne
ringrazio. La trovai seduta miniando il proprio ritratto.
Si rizzò salutandomi come s'ella mi conoscesse, e ordinò
a un servitore che andasse a cercar di suo padre.» [Ultime Lettere di Jacopo Ortis, Grande Universale Mursia, Milano, 1965, p.24]

«Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non
quanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que' pochi angioli
sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditare
l'amore dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scampo
si aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il resto
del mondo?» [Op.cit., p.54]

 A differenza di Carlotta, tuttavia, che nutre per Werther un amore fraterno, Teresa ama Jacopo, anche se l’essere stata promessa, per gravi ragioni economiche, da suo padre a Odoardo, le impedirà ugualmente di vivere il proprio amore, pronunciando la frase che spezzerà il cuore di Jacopo: “Non posso essere vostra mai!”:

«14 Maggio, a sera
O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto
continuare: mi sento un po' calmato e torno a scriverti. –
Teresa giacea sotto il gelso – ma e che posso dirti che
non sia tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A queste
parole tutto ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso
dell'universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cielo,
e mi parea ch'egli si spalancasse per accoglierci! deh!
a che non venne la morte? e l'ho invocata. Sì; ho baciato
Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento un
odore soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuonavano
da lontano; e tutte le cose s'abbellivano allo splendore
della Luna che era tutta piena della luce infinita
della Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella
gioja di due cuori ebbri di amore – ho baciata e ribaciata
quella mano – e Teresa mi abbracciava tutta tremante, e
trasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore
palpitava su questo petto: mirandomi co' suoi grandi occhi
languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, socchiuse
mormoravano su le mie – ahi! che ad un tratto mi
si è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorella
e s'alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, e
tendeva le braccia come per afferrar le sue vesti – ma
non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù –
e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgomentava:
sentiva e sento rimorso di averla io primo eccitata
nel suo cuore innocente. Ed è rimorso – rimorso
di tradimento! Ahi mio cuore codardo! – Me le sono accostato
tremando. – Non posso essere vostra mai! – e
pronunciò queste parole dal cuore profondo e con una
occhiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi.» [Ibid. pp.65-66]

 Un’altra differenza tra i due romanzi epistolari consiste nel fatto che in Jacopo Ortis c’è spazio per la politica e l’amor patrio. All’impossibilità di vivere il suo amore con Teresa, si aggiunge infatti la delusione di un veneziano per il tradimento compiuto da Napoleone con il trattato di Campoformio [17 ottobre 1797] che segnò la fine della Repubblica di Venezia.

sergio magaldi


domenica 11 novembre 2018

CIVIS ROMANUS SUM e vado a votare…




 Oggi, domenica 11 novembre, dalle 8 alle 20, i cittadini romani possono finalmente recarsi alle urne per esprimere il proprio parere sulla gestione del trasporto urbano: se questo debba continuare in regime di monopolio, oppure se non sia il caso di indire una regolare gara d’appalto per decidere a chi affidare la gestione di questo delicato servizio pubblico. Insomma, si tratta di continuare con Atac oppure no. Per quanto sia vero che il referendum abbia solo valore consultivo, a giudicare dal clima degli ultimi giorni, la consultazione sembra avere la sua importanza. D’altra parte, la presenza del quorum del 33,3% lascia poco sperare su un risultato tangibile, qualunque esso sia; c’è inoltre da considerare, circa l’esito del voto, la solita propaganda che contrappone il servizio pubblico al privato, lasciando credere che, con il trasporto urbano gestito da privati, i primi a rimetterci sarebbero i cittadini, perché inevitabilmente molte corse “improduttive” sarebbero tagliate e il costo del biglietto aumenterebbe.

 La verità è che, volutamente, si continua a fare confusione tra liberalizzare e privatizzare. La gestione dei mezzi di trasporto di necessità deve rimanere pubblica, ma un conto è darne la gestione ad una municipalizzata, con il risultato che in tal caso l’ente da controllare (ATAC) non si distingue dal suo controllore (COMUNE), un’altra è stabilire le regole del servizio pubblico e poi affidarne, mediante gara d’appalto, la gestione all’ente autonomo, pubblico o privato, che risulti vincitore.

  Interessante la posizione assunta dai partiti sul voto referendario. A schierarsi per il Sì - radicali a parte che sono anche i promotori del Referendum - i principali partiti di opposizione al governo pentastellato del comune di Roma, gli stessi che, sino a poco più di due anni fa, hanno alternativamente gestito il trasporto pubblico in regime di monopolio, incrementando di oltre un miliardo e mezzo il debito pubblico dei romani, mentre a schierarsi per il No (lasciando  tutto com’è, cioè l’Atac e i suoi numerosi problemi) è soprattutto  il Movimento Cinque Stelle, ora che è il suo turno di governare la Città. Come sempre, dunque, è il potere a decidere, non la razionalità delle scelte e il benessere dei cittadini. Quanto alla Lega, a parte le voci che la dicono schierata a fianco del M5S, bisogna prendere atto che non ha dato precise indicazioni, per bocca di Salvini limitandosi ad invitare i cittadini a recarsi alle urne, per evitare l’inutilità della consultazione.

sergio magaldi

sabato 10 novembre 2018

I CITTADINI ROMANI ALLE URNE (si spera anche gli automobilisti...)





 Domani, finalmente, i cittadini romani potranno recarsi alle urne e dare il proprio parere - grazie al referendum voluto dai Radicali Italiani e ritardato il più possibile dalla sindaca Raggi – circa la questione del trasporto urbano: se questo debba continuare in regime di monopolio oppure se non sia il caso di indire una regolare gara d’appalto per decidere a chi affidare la gestione di questo delicato servizio pubblico. Insomma, si tratta di continuare con Atac (autobus che si rompono in pieno traffico e/o che prendono fuoco, manutenzione inesistente, viaggiatori che non pagano il biglietto, circolazione di biglietti falsi, tempi d’attesa che raggiungono facilmente i 40-50 minuti, indebitamento per circa un miliardo e mezzo di euro etc…) oppure no. 

 È vero che il referendum ha soltanto valore consultivo, ma a giudicare dagli ultimi giorni, la consultazione sembra avere la sua importanza. Infatti, cos’è accaduto di nuovo all’inizio di questa settimana? Che i mezzi pubblici, quasi miracolosamente, abbiano ripreso a funzionare e che i tempi di attesa alle fermate degli autobus si siano più che dimezzati. D'altra parte, la presenza del quorum del 33,3% lascia poche spazio al successo dell’iniziativa radicale, inoltre c’è da considerare, circa l’esito del voto, la solita propaganda che contrappone il servizio pubblico al privato, lasciando credere che, con il trasporto urbano gestito da privati, i primi a rimetterci sarebbero i cittadini, perché inevitabilmente molte corse “improduttive” sarebbero tagliate e il prezzo del biglietto potrebbe aumentare.

 La verità è che, volutamente, si continua a fare confusione tra liberalizzare e privatizzare. La gestione dei mezzi di trasporto di necessità deve rimanere pubblica, ma un conto è darne la gestione ad una municipalizzata, appendice del comune - con il risultato che l’ente da controllare (ATAC) non si distingue dal suo controllore (COMUNE) - un’altra è stabilire le regole del servizio pubblico e poi affidarne, mediante gara d’appalto, la gestione all’ente autonomo, pubblico o privato, che risulti vincitore.

 C’è qualcosa di divertente nella propaganda di queste ore di vigilia elettorale (si potrà votare domani 11 Novembre dalla mattina alle 8 e sino alle 20 della sera negli stessi seggi dove i cittadini si recano abitualmente a votare), perché a schierarsi per il Sì, radicali a parte, sono strumentalmente i partiti di opposizione al governo gialloverde, i quali sino a poco più di 2 anni fa hanno alternativamente gestito il trasporto pubblico in regime di monopolio, creando, oltre al disservizio, l’ennesimo buco di bilancio del comune di Roma, mentre a schierarsi per il No (lasciando  tutto com’è e cioè l’Atac, il debito gigantesco e la disfunzione del servizio) è soprattutto (oltre agli estremisti di destra e di sinistra) il Movimento Cinque Stelle, ora che è il suo turno di governare la Città. Come sempre, dunque, è il potere a decidere, non la razionalità delle scelte e il benessere dei cittadini. Quanto alla Lega, a parte le voci interessate che la vedrebbero schierata a fianco del M5S, bisogna prendere atto che non ha dato indicazioni, per bocca di Salvini limitandosi ad invitare i cittadini a recarsi alle urne, per evitare l’inutilità della consultazione.

sergio magaldi

giovedì 8 novembre 2018

JUVE: come non vincere la CHAMPIONS…






 Mancano meno di dieci minuti al termine della partita, la Juve è in vantaggio sul Manchester United di Mourinho grazie ad un goal eccelso di Ronaldo e, dunque, è vicina alla qualificazione matematica agli ottavi di Champions, al primo posto del suo girone. Che succede ad un tratto? Che il geniale tecnico portoghese decide di giocare il tutto per tutto, facendo entrare in campo due attaccanti. Con questa mossa, Mourinho sa di spaventare Allegri, il quale, forte del minimo vantaggio, arretra il baricentro della squadra (misura in passato altrettanto infausta per la Juve di Champions) che, per palleggio e controllo del campo, sino a quel momento aveva dominato e, a suggello della contromossa, fa due sostituzioni che si rivelano (casualmente) fatali: dagli errori dei nuovi entrati, infatti, nascono le due palle inattive che rovesciano il risultato a vantaggio del Manchester, da 1-0 a 1-2.

 La critica della stampa sportiva di questa mattina, parla di errori nelle sostituzioni operate da Allegri, del goal del 2-0 mancato da Cuadrado e, più in generale, delle troppe occasioni sprecate dalla Juve. Come al solito si guarda agli effetti, ma si continua ad ignorare le cause. Più o meno le stesse sostituzioni, fatte altre volte, non hanno avuto l’esito negativo della notte scorsa, semmai il problema – come dicevo – è stato l’eccessivo arretramento della squadra, come spesso avviene anche in Campionato, con l’apparente paradosso che, anche vincendo,  la squadra subisce più goal di un anno fa e ne fa di meno: da quanto tempo la Juve non vince con 4 o 5 goal di scarto, come la settimana scorsa è capitato a Inter e Napoli? Prendersela con Cuadrado, poi, è una vera e propria bestemmia: il colombiano è l’unico, in questo periodo, capace di dare avvio e profondità alle manovre della Juve ed è anche uno dei pochi, insieme a Bonucci, che si preoccupi di servire Ronaldo. Quanto alle troppe occasioni sprecate, occorre dire che effettivamente la Juve segna poco rispetto a quanto in apparenza produce. In apparenza, appunto, perché, se è vero che i bianconeri tengono molto la palla [e per fortuna da quando è arrivato Ronaldo la trattengano meno tra difesa e centrocampo], l’impressione che nel complesso si ha nel vedere il gioco della Juve è quello di trovarsi di fronte ad esibizioni accademiche per nulla finalizzate alla realizzazione del goal. Un passo avanti, dal punto di vista dello spettacolo, rispetto ad un passato non troppo lontano - non  c’è dubbio - e che dà l’illusione che la squadra sia molto più forte di prima. In realtà, nulla è veramente cambiato, se si esclude l’effetto psicologico della presenza di Ronaldo che guarda sempre verso la porta avversaria e che dà coraggio ai compagni; oltre naturalmente ai goal del fuoriclasse portoghese, che però stanno al posto di quelli di Higuain che ormai non ci sono più.

 Così, i fattori che con molta probabilità impediranno ancora una volta alla Juve di vincere la Champions [naturalmente mi auguro di sbagliare!] non sono soltanto il “difensivismo” all’italiana, opportunamente mascherato dallo schierare in campo anche sino a quattro attaccanti, né l’organizzazione di gioco che da anni costringe Dybala a fare il mediano e Mandžukić il terzino aggiunto, e neppure la scarsa presenza nell’area di rigore avversaria o l’esasperato individualismo di più di un giocatore, ma è anche e soprattutto l’aver ceduto Higuain per un piatto di lenticchie, per di più rinunciando ad utilizzare al suo posto una vera punta centrale. E non si dica che di necessità si è dovuto cedere l’argentino per far posto al portoghese, vuoi per questioni di incompatibilità tra i due, vuoi per questioni di denaro. Il Real Madrid non ha mai realizzato tanti goal come nel periodo in cui Ronaldo e Higuain giocavano insieme e, quanto al denaro, la Juve non otterrà tra un anno neppure la metà di quanto aveva sborsato circa un anno e mezzo fa per strappare Higuain al Napoli (con una minusvalenza di bilancio incredibilmente negativa), accontentandosi per ora di darlo in prestito ad una società, evidentemente molto amica.

 Prima ancora dell’arrivo di Ronaldo, d’altra parte, giravano varie possibili transazioni per cedere l’argentino, un personaggio forse scomodo per qualcuno o ritenuto non determinante per vincere la Champions, dimenticando il ruolo decisivo avuto da Higuain nell’ultimo scudetto (i goal della rimonta contro l’Inter) e nel passaggio ai quarti di finale della Champions dello scorso anno. Higuain + 50 milioni di euro per Icardi, Higuain + x milioni di euro per Griezmann erano voci di mercato molto diffuse. Insomma che Higuain dovesse andarsene era già stato deciso prima ancora di “mettere le mani” su Ronaldo.

 Resta da chiedersi perché rinunciare a questa coppia, potenzialmente da 50 goal e più, quando e se si decide davvero di dare l’assalto alla Champions.

sergio magaldi