mercoledì 27 novembre 2019

Sergio Magaldi presenta il suo ultimo libro: La regione sconosciuta

martedì 26 novembre 2019

25 NOVEMBRE GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE




ESSERE DONNA E' TERRIBILMENTE DIFFICILE, PERCHE' CONSISTE SOPRATTUTTO NELL'AVERE A CHE FARE CON GLI UOMINI  (Joseph Conrad, Fortuna)



lunedì 25 novembre 2019

ROMA CAPITALE E IL II MUNICIPIO CHIUDONO IL PARCO NEMORENSE DI ROMA




 Quindici giorni fa i frequentatori del Parco Nemorense del quartiere Trieste di Roma hanno trovato i cancelli chiusi. Solo all’entrata principale (ce ne sono diverse) era appeso un cartello con la scritta “LAVORI IN CORSO”. Restavano aperti l’angolo riservato ai cani e la piccola area delle giostre a pagamento per i bambini. L’anello più esterno, sul quale la gente fa ginnastica, correndo o camminando speditamente, era invece chiuso così come il bar e tutto il resto del parco.


Il Parco Virgiliano, oggi conosciuto come Parco Nemorense, fu realizzato nel 1930 dall’architetto Raffaele De Vico e dedicato al grande poeta latino Virgilio – la guida di Dante nell’Inferno e nel Purgatorio – in occasione del bimillenario della sua nascita.

Solo una settimana dopo la chiusura, senza che si scorgesse ancora traccia di lavori all’interno del parco, veniva affisso all’entrata un cartello gigante in cui si portava a conoscenza dei cittadini che Roma Capitale e il II Municipio, nell’ambito di un progetto di riqualifica del verde a Roma, disponevano la chiusura del parco per 180 giorni, a datare dal giorno 11 novembre, per non meglio precisati lavori di restauro. Veniva invece riportato l’elenco dei nomi dei dirigenti (oltre 15) responsabili-osservatori del progetto, nonché il costo dell’opera, la ditta appaltatrice etc…

In rete, tuttavia, si apprende che i suddetti lavori consistono: 1) nel taglio degli alberi 2) nell’apposizione di nuovi cestini per i rifiuti 3) nella cura delle aiuole 4) nella riparazione del sistema idraulico del laghetto 5) nella sistemazione delle panchine e poco altro.

La pur lodevole iniziativa lascia comunque perplessi i cittadini per una serie di motivi. Il primo dei quali è che in luogo di stanziare fondi per la riparazione delle malridotte strade del quartiere, per rimuovere i grandi rami degli alberi, tagliati o schiantati a terra ormai da diversi mesi e lasciati marcire sui marciapiedi, bonificare i cassonetti stracolmi di immondizia maleodorante che si rovescia sulla strada e installarne di nuovi, si sia preferito intervenire per “restaurare” un’area che versa in condizioni relativamente migliori rispetto allo stato generale dell’intero quartiere. Il secondo motivo è che il periodo di sei mesi di chiusura del parco non è giustificato dalla mole delle opere annunciate, anche considerando che le panchine sono state già tutte restaurate ad opera d’arte dall’associazione privata per la cura e la manutenzione del parco che ha provveduto di recente alla sostituzione di tutto il legno marcio. Il terzo motivo è che i 180 giorni sono sicuramente da intendersi come lavorativi, escludendo quindi le festività e i giorni in cui sarà impossibile lavorare per il maltempo. E considerando che dopo 15 giorni di inutile chiusura i lavori non sono ancora iniziati, si può ragionevolmente prevedere che il Parco Nemorense non sarà riaperto tra 165 giorni, come pure annunciato, calcolando i 180 giorni dalla data di chiusura (11 novembre). Il quarto motivo è che nel progetto non si dica nulla sull’area del parco prospiciente la via Martignano dove vengono custoditi i camion della nettezza urbana che rendono impossibile in qualsiasi periodo dell’anno sostare in quella parte sovrastante del parco per la presenza di mosche e zanzare.

Alla luce di quanto sopra, si rivolge un appello alle forze politiche che governano Roma Capitale e il II Municipio (rispettivamente Cinquestelle e PD) per accelerare i progettati lavori di restauro e – mediante apposita recinzione – consentire a chi viene a correre nel parco di usufruire almeno dell’anello più esterno.

sergio magaldi

domenica 17 novembre 2019

LE PADRONE DI CASA





 Ciò che colpisce di questo romanzo non è tanto la storia in sé, la trama di cui è intessuto per farne – come si annuncia di solito prima della narrazione –un’opera di fantasia, dove nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore. La sorpresa non è tanto la criminalità organizzata raccontata al femminile, quanto il modo di raccontarla. Storie di donne, sorelle così diverse ma accomunate da un solo giuramento che quasi non le distingui più le une dalle altre, in un turbinio di parole dove hai come l’impressione che il verbo s’è fatto carne di una città intera.

 Sin dalle prime pagine mi è venuto in mente La Pelle di Curzio Malaparte, cui ho subito affiancato il ricordo di Napoli milionaria che il grande Eduardo scrive nel ’45, quando l’Italia del nord è ancora nelle mani dei tedeschi e nei vicoli napoletani tutti si arrangiano per sopravvivere.

Annota Grazia Fresu in un articolo di tre anni fa:
«Quella stessa città durante la lotta contro il Nazifascismo si era trovata compatta e eroica di fronte  al nemico, quel nemico da cui  si era  liberata, prima dell’arrivo degli Alleati, con una ribellione strenua e coraggiosa in cui persino i bambini avevano fatto la loro parte. Ma ora al contatto col liberatore si degrada, per salvare a tutti i costi, non più dalla morte ma dalla miseria, quella pelle di cui si parla nel titolo del romanzo […] Tutto è feroce scambio in questa Napoli stordita dal bisogno, dove l’unica legge è quella della sopravvivenza e dove per salvare la pelle bisogna modellarsi sull’immagine del liberatore, ma solo per recita, per il gioco crudele che la Storia ha imposto a vincitori e vinti» [CinquecolonneMagazine, “La Napoli di Curzio Malaparte”, Grazia Fresu, docente di letteratura italiana nell'Università Nazionale di Cuyo a Mendoza (Argentina) 08/11/2016].

 Il romanzo di Maria Pia Selvaggio si scompone e si ricompone di due parti: l’una scritta in corsivo, cronaca ma anche confessione, sfogo e pensieri riposti di protagonisti, l’altra che più che di letteratura sa di pittura alla maniera di Bosch, dei suoi epigoni ed eredi, come Pieter van der Heyden e le riproduzioni del grande maestro, come Bruegel il vecchio, con “I pesci grossi che mangiano i pesci piccoli”, o come Füssli con il suo “Incubo”.

«Altro che fantasie, altro che incubi […] la realtà nuda e cruda che gli stava davanti […] Io dissi: “Capisco […] Tornerà sempre a suo merito, di Bosch, l’aver dato una forma completa a quei fantasmi… Però lei non mi dirà che quegli esseri orrendi, rettili antropomorfi, osceni meccanismi, utensili trasformati in membra, gnomi e insetti abominevoli, lui li vedesse veramente […] “Non li vedeva?” fece lui arrogante: “Non giravano per le nostre strade? Oh, non mi faccia parlare!” […] Confessò che pure lui, non tutti i giorni ma abbastanza spesso, ‘vedeva’ il mondo come Bosch: quel pomeriggio, per esempio. Parecchie di quelle amorevoli mammine venute con la carrozzella del neonato non erano – mi garantì – che laidi uccelli dal becco adunco, lucertoloni neri gonfi d’odio, avidi cercopitechi sdentati, vesciche infami con gambe di ragno. Tra i bambini stessi aveva visto qualche ributtante esemplare di ornitorinco e di gnomo, armato di uncini sanguinolenti» [L’opera completa di Bosch, presentazione di Dino Buzzati, Rizzoli, 1966, pp.6-7].




                 




 Né mancano nelle pagine del romanzo lampi di poesia, lumi che di tanto in tanto si accendono nella notte delle anime e dei corpi. Siamo sullo scorcio del XX Secolo e le donne di Maria Pia Selvaggio, eroine al negativo di un mondo “altro”, raccontano la propria storia dove tutto è scandito dalla ricerca del potere, del denaro e del piacere, senza i veli,  gli infingimenti e le ipocrisie degli altri, di tutti quelli che hanno gli stessi desideri ma hanno imparato a nasconderli perché hanno perso la forza e la capacità di realizzarli. Un mondo dove il contratto sociale è stracciato perché ha fallito miseramente e la gente comune è impotente a pretenderne un altro. Così, patto e regole devono essere riscritti ma in un codice diverso.

 Maria, la prima a parlare, si annuncia con un’innocenza che non le appartiene ma che sa ancora riconoscere, perché anche se il suo universo è altrove, è pur vero che tutti i mondi alla fine sono contigui:

«Napoli non sa nulla di me e forse se ne infischia. Se sapesse avrebbe paura! La città è splendida e fiorita e si diverte. Sulle spiagge di Santa Lucia, Chiaia e Mergellina gruppi di scugnizzi e ragazzine s’arrostiscono beati, avvolti dagli odori di salsedine e cipolla provenienti dai banchetti ambulanti. Ostricari veloci spaccano conchiglie con i coltellacci ricurvi e strizzano gocce di limone su cozze, fasolari e cannolicchi, che arrivano fino ai miei occhi, pungendomi. Seduta ai tavolini dei bar, molta gente: leccano gelati monumentali e sughi alla panna. Sugo di pesca, menta,ciliegio e caffè mischiato all’anice: un sogno! Dietro Castel dell’Ovo i primi sbuffi di un grecale gentile. I gabbiani impennano nel cielo azzurro, girano in cerchio, sorvolano la rotonda. È come se, camminando, perdessi la strada, mi confondessi. Forse avrei voluto vivere qui, e non nel lusso statico e preciso, nella continua voglia di essere “meglio” degli altri» [p.34]

 D’altra parte, come dirà Maria Luisa, tra le donne della nuova generazione, quei mondi che sembrano così distanti tra di loro si avvicinano sempre più che quasi ormai si confondono:

 «Si sono spente delle lampade della violenza suggestiva, ma altre si sono accese, e nessuno se ne è reso conto. Il problema: le mafie? No, non più, o almeno non solo. Potenti gruppi economico-finanziari e aggregati politico-amministrativi, con a capo “donne di potere”, hanno affinato la competenza tecnica, trasformando i problemi in emergenze e le emergenze in affari» [p.97]

 L’autrice mostra una rara abilità nel far parlare tutte le “sue” donne, come immedesimata in loro, come se indossasse la loro pelle, quasi realizzando l’ideale conoscitivo dei filosofi antichi: la perfetta identità tra soggetto e oggetto. E la cosa riesce perché avviene senza la prospettiva di un distacco, di un giudizio morale persino superfluo, perché non avrebbe altro esito che allentare la presa di una narrazione che ti prende alla gola e s’insinua nei meandri del corpo e ti immalinconisce l’anima. Salvo che in Elisa, la donna che parla per ultima.


sergio magaldi

venerdì 15 novembre 2019

DIALOGO su LA REGIONE SCONOSCIUTA e... dintorni







Francesca Rita Rombolà di PoesiaeLetteratura.it mi ha rivolto alcune domande, a cominciare dal romanzo La Regione Sconosciuta – il sequel de L’Amore Consapevole in libreria da pochi giorni – per continuare sugli altri miei romanzi, sul rapporto tra poesia e filosofia, sul senso del divino, sulla gnosi e sul destino dell’uomo come animale politico.
D – Professor Magaldi, iniziamo questo dialogo col parlare del suo ultimo libro “La Regione Sconosciuta”.
R – “La Regione Sconosciuta”, in libreria da pochi giorni, presuppone la lettura de “L’Amore Consapevole” di cui appunto costituisce il sequel. Naturalmente può essere letto in modo del tutto autonomo, anche perché nel nuovo romanzo non mancano i riferimenti al precedente che è di un anno fa. Nel corso di una presentazione del libro appena uscito si è posto l’accento sulla diversità di ritmo dei due romanzi che non dipende soltanto dalla mole del primo(472 pagine) rispetto al secondo(264), ma dal differente approccio: più emozionale e articolato nella sua struttura “L’Amore Consapevole”, più razionale e stringato nel suo ritmo incalzante “La Regione Sconosciuta”. Il protagonista in entrambi i romanzi è lo stesso, ma qui egli abbandona i luoghi consueti e le alterne vicende di un’esistenza in cui ha creduto, forse ingenuamente, che l’amore, tanto quello vissuto personalmente, quanto quello inteso come eros universale, avesse il potere di rivoluzionare le coscienze persino più di una rivoluzione politica. Ora, invece, è misteriosamente invitato a compiere un viaggio in una dimensione sconosciuta dove non esiste il tempo o, per meglio dire, dove il divenire si manifesta nello spazio. Scoprirà ben presto che la sorte degli esseri umani dipende proprio da questo mondo sconosciuto in cui sta viaggiando, da coloro che lo abitano e che non sono migliori né peggiori degli uomini e delle donne della dimensione da cui proviene, ma che di loro hanno infinitamente più potere. Grazie alla guida che indirizza i suoi passi in questo mondo “altro”, il protagonista si rende finalmente conto che l’eros universale da solo è insufficiente a trasformare l’umanità e che c’è invece bisogno di una nuova presa di coscienza: la consapevolezza che la libertà e la pace del mondo da cui proviene è continuamente minacciata proprio dall’ignorare che esiste una regione sconosciuta. Solo nel finale si riaccende la speranza per un’autentica liberazione del genere umano, ma su questo non voglio aggiungere nulla per lasciare, a chi vorrà leggere il libro, il piacere della scoperta.
D – Gli altri tre romanzi che ha pubblicato hanno dei titoli, a mio parere, davvero particolari e intriganti. Ne vuole parlare un po’?
R – Sì, il primo, “TIPHERETH sentieri d’armonia”, ha effettivamente un titolo particolare e di nicchia. Qui l’io narrante è un giornalista che racconta il viaggio iniziatico di Michele, psicanalista di professione e intellettuale onnivoro, lungo nove sentieri dell’Albero della Vita o Albero delle Sephiroth, a cominciare dal più basso fino a raggiungere Tiphereth che è il centro e il cuore dell’Albero. In realtà, su ciascuno dei sentieri percorsi, Michele trova tracce del proprio passato e crede di ricevere, per così dire, le chiavi per comprenderlo. Infine, una volta in Tiphereth, per eccellenza luogo di armonia, Michele si domanda se quella ottenuta sia una condizione di stabilità o se la stessa convinzione di essere sulla giusta via non diventi superbia… In apertura del libro, tra gli altri ringraziamenti, c’è in particolare quello rivolto ad Alberto Bevilacqua che aveva letto il libro e ne era rimasto colpito favorevolmente, ma che mi aveva consigliato di rimuovere dalla stesura tutta la parte cosiddetta teorica (la Qabbalah), lasciando solo “la polpa romanzesca”. Io non gli ho dato retta e, in seguito, me ne sono pentito. Di tutt’altro genere il secondo libro, “La tinozza di rame”, anche perché nasce dall’esigenza reale di scrivere la sceneggiatura per un film sulle figure di papa Innocenzo X e di sua cognata Olimpia Maidalchini Pamphili. In realtà si tratta di un romanzo storico solo in apparenza perché è incentrato sulla vita di un frate agostiniano che si trova al centro degli eventi narrati e che, condannato ingiustamente, riuscirà infine a ribaltare il proprio infelice destino. Il terzo libro, pubblicato un anno fa, è “L’Amore Consapevole” cui accennavo sopra […]


D - La sua formazione filosofica è stata molto importante nella sua vita, vero?


R - Non c’è dubbio e questo già a cominciare dal liceo classico, dove potevo ingenuamente vantarmi di riportare in pagella un 10 in Filosofia. La scintilla della mia passione per gli studi filosofici si è accesa con i gli antichi pensatori greci e con la conoscenza di Kant, di Hegel e di Marx. Non meno importanti nella mia formazione sono stati KierkegaardNietzsche, Husserl, Heidegger e soprattutto Jean Paul Sartre. Devo molto anche a Franco Lombardi che per breve tratto ho seguito nella cattedra di Filosofia Morale dell’Università di Roma presso cui sono stato ricercatore retribuito. Il suo concetto di “libertà pesante” che coniuga la libertà dell’uomo con i condizionamenti della storia, della natura e della società mi ha sempre affascinato. Peccato solo che oggi non se ne parli più [...]

Vedi il testo integrale dell’intervista cliccando su 
www.poesiaeletteratura.it 


LA REGIONE SCONOSCIUTA

Acquista su:

https://www.amazon.it/dp/B07YPWCD3M


https://www.ibs.it/regione-sconosciuta-libro-sergio-magaldi/e/9788869346064


mercoledì 6 novembre 2019

Presentazione de LA REGIONE SCONOSCIUTA





VENERDI’ 8 NOVEMBRE p.v.  ORE 17  PRESENTAZIONE de LA REGIONE SCONOSCIUTA

presso il TEATRO LO SPAZIO di via LOCRI 42-44 (San Giovanni) a Roma.











  La narrazione si profila come la continuazione ideale di L’Amore Consapevole – il romanzo pubblicato un anno fa e definito “avvincente come un thriller e sfumato nelle tinte rosa”,– anche perché, oltre al direttore editoriale, ritroviamo qui, sia pure in una prospettiva diversa, alcuni dei personaggi che già conoscevamo, a cominciare proprio dalla ragazza della libreria.




 Nel nuovo romanzo, reintegrato nel suo ufficio, il direttore editoriale della Chiaroscuro decide di accettare il misterioso invito a recarsi nella cosiddetta Regione Sconosciuta, dove a fargli da guida sarà una bellissima creatura dai poteri indecifrabili. Forse non può rifiutare l’invito, forse è spinto a compiere il viaggio per lasciarsi alle spalle la delusione del suo amore per Virginia, la ragazzina conosciuta tanti anni prima in libreria, persa, ritrovata, e nuovamente persa.
Questa volta, però, il protagonista non dovrà combattere contro se stesso o contro invisibili poteri occulti, peraltro facilmente identificabili nella realtà quotidiana, ma vivrà un’esperienza del tutto fuori dell’ordinario e la sua nuova consapevolezza sarà nello scoprire che nulla avviene a caso nell’universo dal quale proviene e che la libertà degli esseri umani è continuamente minacciata proprio dall’ignorare che esiste una Regione Sconosciuta.