sabato 29 febbraio 2020

IL BELPAESE E IL VIRUS



 A parte l’atteggiamento del governo che contro il coronavirus propaganda sui media l’adozione di misure eccezionali, sbagliando quasi tutto, come soprattutto bloccando gli scali diretti dalla Cina, senza controllare tutti quelli che dal continente asiatico hanno fatto ritorno in Italia per altre vie, diffondendo il contagio, qual è l’atteggiamento degli italiani di fronte al virus? Si dividono in “minimalisti” che, rivendicando il diritto di libertà di movimento dentro e fuori i confini, negano di trovarci di fronte ad una vera e propria epidemia, tant’è che continuano a ripetere che fa più morti una comune influenza che il virus cinese, i “catastrofisti” che vagheggiano di milioni di morti, gli “incidentalisti” che giurano sulla fuoriuscita incidentale del virus dal laboratorio di Wuhan, i “complottisti” che si articolano in due categorie: a) la diffusione del morbo è parte di una strategia cinese, b) di un piano angloamericano. Spuntano ora anche i “normalizzatori” – per lo più tra gente di scienza, di TV e di potere – che si affannano a spiegare che i morti sono solo sessantenni, settantenni e ottantenni “per lo più soggetti già malati che se ne vanno all’aldilà con il coronavirus non per il coronavirus!”, e neppure mancano i “nazionalisti” che spiegano il primato europeo dell’Italia per numero di contagi con il maggior numero di controlli effettuati rispetto a Francia, Germania, Spagna etc… Tesi smentita dal fatto che in circa 15 paesi europei ed extraeuropei si è potuto accertare che la diffusione del morbo ha origine da “untori” italiani, in movimento in quei paesi per turismo o per affari.
Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parla non più di epidemia ma di vera e propria pandemia, visto che il Sars-Cov-2  è ormai diffuso in oltre 50 paesi, mentre in Italia le cifre ufficiali parlano nell’ultima settimana di un aumento dei contagiati da circa 50 agli 888 di questa mattina.

Di seguito un breve estratto della ricostruzione che della peste del 1630 (già iniziata sul finire dell’anno precedente) fa Alessandro Manzoni nel XXXI capitolo de “I Promessi Sposi”. Mutatis mutandis, anche allora l’atteggiamento popolare fu di scetticismo e incredulità, di denuncia delle libertà conculcate dalle autorità sanitarie, poi di fronte all’evidenza dell’epidemia cominciarono a circolare panico e tesi di complotto.

 «[...]Il tribunale allora si risolvette e si contentò di spedire un commissario che, strada facendo, prendesse un medico a Como, e si portasse con lui a visitare i luoghi indicati. Tutt'e due, "o per ignoranza o per altro, si lasciorno persuadere da un vecchio et ignorante barbiero di Bellano, che quella sorte de mali non era Peste" (Tadino, ivi.); ma, in alcuni luoghi, effetto consueto dell'emanazioni autunnali delle paludi, e negli altri, effetto de' disagi e degli strapazzi sofferti, nel passaggio degli alemanni. Una tale assicurazione fu riportata al tribunale, il quale pare che ne mettesse il cuore in pace.
 Ma arrivando senza posa altre e altre notizie di morte da diverse parti, furono spediti due delegati a vedere e a provvedere: il Tadino suddetto, e un auditore del tribunale. Quando questi giunsero, il male s'era già tanto dilatato, che le prove si offrivano, senza che bisognasse andarne in cerca. Scorsero il territorio di Lecco, la Valsassina, le coste del lago di Como, i distretti denominati il Monte di Brianza, e la Gera d'Adda; e per tutto trovarono paesi chiusi da cancelli all'entrature, altri quasi deserti, e gli abitanti scappati e attendati alla campagna, o dispersi: "et ci parevano, – dice il Tadino, – tante creature seluatiche, portando in mano chi l'herba menta, chi la ruta, chi il rosmarino et chi una ampolla d'aceto". S'informarono del numero de' morti: era spaventevole; visitarono infermi e cadaveri, e per tutto trovarono le brutte e terribili marche della pestilenza. Diedero subito, per lettere, quelle sinistre nuove al tribunale della sanità, il quale, al riceverle, che fu il 30 d'ottobre, "si dispose", dice il medesimo Tadino, a prescriver le bullette, per chiuder fuori dalla Città le persone provenienti da' paesi dove il contagio s'era manifestato; "et mentre si compilaua la grida", ne diede anticipatamente qualche ordine sommario a' gabellieri.
 […] Siccome però, a ogni scoperta che gli riuscisse fare, il tribunale ordinava di bruciar robe, metteva in sequestro case, mandava famiglie al lazzeretto, così è facile argomentare quanta dovesse essere contro di esso l'ira e la mormorazione del pubblico, "della Nobiltà, delli Mercanti et della plebe", dice il Tadino; persuasi, com'eran tutti, che fossero vessazioni senza motivo, e senza costrutto. L'odio principale cadeva sui due medici; il suddetto Tadino, e Senatore Settala, figlio del protofisico: a tal segno, che ormai non potevano attraversar le piazze senza essere assaliti da parolacce, quando non eran sassi. E certo fu singolare, e merita che ne sia fatta memoria, la condizione in cui, per qualche mese, si trovaron quegli uomini, di veder venire avanti un orribile flagello, d'affaticarsi in ogni maniera a stornarlo, d'incontrare ostacoli dove cercavano aiuti, e d'essere insieme bersaglio delle grida, avere il nome di nemici della patria: pro patriae hostibus, dice il Ripamonti.
Di quell'odio ne toccava una parte anche agli altri medici che, convinti come loro, della realtà del contagio, suggerivano precauzioni, cercavano di comunicare a tutti la loro dolorosa certezza. I più discreti li tacciavano di credulità e d'ostinazione: per tutti gli altri, era manifesta impostura, cabala ordita per far bottega sul pubblico spavento.
Il protofisico Lodovico Settala, allora poco men che ottuagenario, stato professore di medicina all'università di Pavia, poi di filosofia morale a Milano, autore di molte opere riputatissime allora, chiaro per inviti a cattedre d'altre università, Ingolstadt, Pisa, Bologna, Padova, e per il rifiuto di tutti questi inviti, era certamente uno degli uomini più autorevoli del suo tempo. Alla riputazione della scienza s'aggiungeva quella della vita, e all'ammirazione la benevolenza, per la sua gran carità nel curare e nel beneficare i poveri […] Un giorno che andava in bussola a visitare i suoi ammalati, principiò a radunarglisi intorno gente, gridando esser lui il capo di coloro che volevano per forza che ci fosse la peste; lui che metteva in ispavento la città, con quel suo cipiglio, con quella sua barbaccia: tutto per dar da fare ai medici […] Ma sul finire del mese di marzo, cominciarono, prima nel borgo di porta orientale, poi in ogni quartiere della città, a farsi frequenti le malattie, le morti, con accidenti strani di spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delirio, con quelle insegne funeste di lividi e di bubboni; morti per lo più celeri, violente, non di rado repentine, senza alcun indizio antecedente di malattia. I medici opposti alla opinion del contagio, non volendo ora confessare ciò che avevan deriso, e dovendo pur dare un nome generico alla nuova malattia, divenuta troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono quello di febbri maligne, di febbri pestilenti: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno; perché, figurando di riconoscere la verità, riusciva ancora a non lasciar credere ciò che più importava di credere, di vedere, che il male s'attaccava per mezzo del contatto. I magistrati, come chi si risente da un profondo sonno, principiarono a dare un po' più orecchio agli avvisi, alle proposte della Sanità, a far eseguire i suoi editti, i sequestri ordinati, le quarantene prescritte da quel tribunale.
[…]Anche nel pubblico, quella caparbietà di negar la peste andava naturalmente cedendo e perdendosi, di mano in mano che il morbo si diffondeva, e si diffondeva per via del contatto e della pratica; e tanto più quando, dopo esser qualche tempo rimasto solamente tra' poveri, cominciò a toccar persone più conosciute […] Ma l'uscite, i ripieghi, le vendette, per dir così, della caparbietà convinta, sono alle volte tali da far desiderare che fosse rimasta ferma e invitta, fino all'ultimo, contro la ragione e l'evidenza: e questa fu bene una di quelle volte. Coloro i quali avevano impugnato così risolutamente, e così a lungo, che ci fosse vicino a loro, tra loro, un germe di male, che poteva, per mezzi naturali, propagarsi e fare una strage; non potendo ormai negare il propagamento di esso, e non volendo attribuirlo a que' mezzi (che sarebbe stato confessare a un tempo un grand'inganno e una gran colpa), erano tanto più disposti a trovarci qualche altra causa, a menar buona qualunque ne venisse messa in campo […] Mentre il tribunale cercava, molti nel pubblico, come accade, avevan già trovato. Coloro che credevano esser quella un'unzione velenosa, chi voleva che la fosse una vendetta di don Gonzalo Fernandez de Cordova, per gl'insulti ricevuti nella sua partenza, chi un ritrovato del cardinal di Richelieu, per spopolar Milano, e impadronirsene senza fatica; altri, e non si sa per quali ragioni, ne volevano autore il conte di Collalto, Wallenstein, questo, quell'altro gentiluomo milanese […] C'era, del resto, un certo numero di persone non ancora persuase che questa peste ci fosse. E perché, tanto nel lazzeretto, come per la città, alcuni pur ne guarivano, "si diceua" (gli ultimi argomenti d'una opinione battuta dall'evidenza son sempre curiosi a sapersi), "si diceua dalla plebe, et ancora da molti medici partiali, non essere vera peste, perché tutti sarebbero morti" […] In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l'idea s'ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s'è attaccata un'altra idea, l'idea del venefizio e del malefizio».



sergio magaldi

domenica 23 febbraio 2020

MAZAL TOV, parte VII (L'astrologia e gli autori, 2)



SEGUE DA:

MAZAL TOV, parte I   (L’astrologia nella Torah)

MAZAL TOV, parte II  (L’astrologia nella Bibbia)

MAZAL TOV, parte III (L’astrologia nella Bibbia,2)

MAZAL TOV, parte IV  (L’astrologia nel Talmud)

MAZAL TOV, parte V   (L’astrologia nel Talmud, 2)

MAZAL TOV, parte VI  (L’astrologia e gli autori)



Tra Mashallah e Abraham bar Hiyya, cronologicamente, si colloca Ibn Gabirol detto Avicebron (1020-1057), poeta e filosofo di Saragozza che nel poema Kether Malchuth (“La Corona del Regno”) esalta la bellezza degli astri senza entrare nel merito dei loro effetti benefici o malefici. Più o meno contemporaneo di Abraham bar Hiyya è invece Yehudah ben Samuel ha Lewi (1075-1141), castigliano, medico, teologo, filosofo e poeta. Scrisse in arabo il notissimo Il re dei Kùzari, tradotto in ebraico solo trent’anni più tardi. I Kùzari erano una popolazione situata nella regione compresa tra il Caucaso, il Volga e il Don. Il re dei Kùzari si convertì all’ebraismo nell’ottavo secolo e a un suo discendente riuscì di diffondere la religione ebraica tra le classi aristocratiche. Nel libro, che si articola sottoforma di un dialogo tra un re dei Kùzari e un saggio, l’autore si occupa di astrologia soprattutto esponendo il contenuto del Sepher Yetzirah, di cui parlerò più avanti. Nel dialogo che segue si delinea con sufficiente chiarezza il punto di vista di Yehudah. Egli ritiene incomprensibile per l’uomo una reale e autonoma influenza di astri e pianeti:

Re dei Kùzari: Se è così, vedo che riconosci il dominio delle ore e dei luoghi come fanno gli astrologi.

Saggio: Forse neghiamo loro che le cose superne abbiano influenza sulle cose terrestri? Noi ammettiamo che la materia della generazione e della corruzione proceda dalle sfere; però le forme sono di colui che le governa, e che stabilì come strumenti per la conservazione di tutte le cose che Egli vuole che esistano senza che noi possiamo conoscere i loro particolari, mentre l’astrologo dice che le comprende, ma noi gli neghiamo ciò, e stimiamo che una creatura di carne e di sangue non le può comprendere; e se di questa scienza si trovasse qualcosa che fosse fondata nella scienza legale divina, l’ammetteremmo; e la nostra mente è soddisfatta per ciò che riguarda le cose della scienza degli astri delle parole dei nostri savi, perché crediamo che le abbiano ricevute per virtù divina, e che perciò sono vere; e se non è così, tutte le cose (che dicono gli astrologi) sono (soltanto) considerazioni, e le sorti (tratte dall’osservazione) del cielo sono meno ancora attendibili di quelle dei geomanti” [1].

In conclusione, Yehuda ha-Lewi sembra avere una certa riluttanza nei confronti dell’astrologia e sente come un privilegio il fatto che Israele non sia soggetta all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel).

Al contrario, Abraham ben meir Ibn Ezra (1092-1168), ritenuto il più noto astrologo ebreo e autore tra l’altro di una Enciclopedia astrologica, non considera una fortuna che Israele sia senza mazal (astro) e gli attribuisce invece il pianeta Saturno e il segno dell’Acquario [2], mentre la Palestina è per lui collegata a Marte per via dei sacrifici cruenti, il capro espiatorio, la circoncisione ecc…, tutte pratiche volte ad esorcizzare il sentimento della collera. Ezra è convinto che astri e pianeti non fanno altro che compiere la volontà divina e che, d’altra parte, la loro posizione nel cielo determini il destino materiale degli individui, non quello spirituale [3]. L’atteggiamento di Ezra mira, in definitiva, a conciliare l’astrologia con la Torah ed egli arriva addirittura a collegare i comandamenti divini (ad eccezione del primo: Io sono il Signore tuo Dio) alle orbite celesti.

Un atteggiamento anti-astrologico e talora anti-talmudico, per ciò che diversi trattati del Talmud considerano l’astrologia con una certa benevolenza, è invece quello di Maimonide [4]. Sull’astrologia, egli scrisse due Epistole. La prima, diretta alla comunità yemenita, mira a sconfiggere l’idea, allora assai diffusa in quella comunità, di un’influenza delle grandi congiunzioni planetarie negli accadimenti storici. Egli così scrive agli yemeniti: “ Noto che siete inclini a credere nell’Astrologia e all’influenza delle congiunzioni planetarie, passate e future, sugli eventi umani. Dovete scacciare tali idee dalla vostra testa (…) I veri saggi, che siano o no religiosi, rifiutano di credere nella verità di questa scienza. I suoi postulati possono essere respinti con vere prove e su base razionale…” [5].

Nell’Epistola ai rabbini di Provenza del 1194, Maimonide polemizza con l’astrologia oraria la cui pratica era diffusa nelle comunità ebraiche del Mediterraneo e rispolvera l’idea che, in fondo, l’astrologia altro non sia che astolatria [6].


sergio magaldi

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[1] Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Boringhieri, Torino, 1991, p.209. Di seguito si fornisce qualche dato sul contenuto del libro: Divisione dell’opera (pp.10-12)- Il re (p. 19)- I Kuzari (nota 4 pp.8-9) - Critica della concezione aristotelica dell’eternità del mondo (pp.37-38-193-212-272) - La materia prima dei filosofi aristotelici (p.246-7)- Contro Epicuro e la casualità del mondo (p.250 e cfr. Salmo 104) - L’essere ebreo(p.63)- la lingua ebraica (p.111) - prescrizioni rituali (p.132) - I Caraiti (nota 1 p.9 e tutta la parte III) - Il nome di Dio: Elohim-Tetragramma-Adonai (pp. 193-195-197-214-215-216-217) – astrologia (p.209-218-235) - Il Sepher Yezirah (pp.223 e ss.)

[2] Cfr. J. Halbronn, cit. parte I, p. 214. Sulla figura e sull’opera di Ibn Ezra cfr. ibid., p. 163 e ss.

[3] Cfr. O.Pompeo Faracovi, cit. parte I, p.178, nota 20 compresa

[4] Mosè Maimonide (1135-1168) cordovese, medico e filosofo di grande fama. La sua maggiore opera è La Guida degli smarriti, terminata di scrivere in arabo nel 1190 e tradotta in ebraico nel 1204. La sua vasta opera è in realtà l’interpretazione della legge ebraica (Halakhah) e dei fondamentali concetti biblici secondo il metodo aristotelico, anche se egli non concorda con Aristotele circa l’esistenza ab aeterno del mondo. Nella maggior parte dei casi – dice Maimonide – non c’è contraddizione tra fede e ragione, in altri casi anche se la ragione non è in grado di provare alcune verità di fede, può almeno provare l’infondatezza delle tesi opposte. “Io credo –dice Maimonide- (GuidaI, 71) che il vero metodo che elimina il dubbio consiste nello stabilire l’esistenza di Dio, la sua unità e la sua incorporeità coi procedimenti dei filosofi, procedimenti fondati sull’eternità del mondo. Ciò non perché io creda all’eternità del mondo o faccia a questo proposito qualche concessione; ma perché soltanto con questo metodo la dimostrazione diventa sicura e si ottiene certezza su tre punti: 1) che Dio esiste 2) che è uno 3) che è incorporeo, senza che importi decidere nulla rispetto al mondo cioè se esso sia eterno o creato…” Più avanti, tuttavia (Guida II, 19), Maimonide nega la necessità dell’Essere e dunque l’eternità del mondo dicendo che il mondo avrebbe potuto essere diverso da quello che è e se, dunque, è quello che è, ciò è dovuto ad una libera scelta di Dio, una scelta creatrice:“Se al di sotto della sfera celeste vi è tanta disparità di cose, nonostante la materia sia una, tu puoi dire che tale disparità è dovuta all’influenza delle sfere celesti e alle posizioni differenti che la materia assume di fronte ad esse, come ha insegnato Aristotele. Ma la diversità che esiste tra le sfere stesse, chi ha potuto determinarla, se non Dio?(…) Dio ha determinato la direzione e la rapidità del movimento di ciascuna sfera, ma noi ignoriamo il modo in cui, nella sua saggezza egli ha effettuata la cosa”.

[5] Mosé Maimonide, Epistola allo Yemen, cit. in J. Halbronn cit. parte I, p.235. La traduzione dal francese è mia.

[6] Cfr. sull’Epistola ai rabbini di Provenza, J. Halbronn, cit. parte I, pp.237 e ss.


mercoledì 12 febbraio 2020

MAZAL TOV, parte VI (L'astrologia e gli autori)




SEGUE DA: (clicca sul titolo per leggere)







 La rassegna che segue prende succintamente in esame alcuni tra gli autori e/o pensatori che si occuparono di astrologia ebraica. Inizia con Filone alessandrino e termina con Maimonide, più o meno in coincidenza col diffondersi della Qabbalah storica, alla quale dedicherò, per ciò che si riferisce all’astrologia, le successive e ultime parti di questo scritto.

Filone, vissuto tra il 13 a.C. e il 54 d.C. nell’ambiente ebraico ellenizzante di Alessandria, coglie il significato simbolico della “doppia” migrazione di Abramo: una prima volta dalla Caldea, una seconda da Haràn che significa “caverna”. L’uscita dalla Caldea con riferimento al Genesi significa l’abbandono dell’astrologia. «Infatti – scrive Filone – i Caldei, più degli altri popoli, sembrano aver praticato l’astronomia e l’arte di fare oroscopi, connettendo i fenomeni terrestri con quelli atmosferici e i fenomeni celesti con quelli che riguardano la superficie della Terra. In tal modo hanno dimostrato, attraverso rapporti musicali, la perfetta armonia del tutto, in forza del (principio della) comunanza reciproca e della simpatia delle parti […] Costoro hanno ipotizzato che il nostro mondo di fenomeni sia il solo essere che è veramente, ossia che esso è Dio, oppure che in sé include Dio (inteso) come l’anima del tutto. E (per ciò stesso), avendo divinizzato il fato e la necessità, hanno riempito la vita umana di una molteplice empietà, insegnando che al di fuori dei fenomeni non c’è nulla, che non c’è alcuna causa, ma che sono i movimenti del Sole, della Luna e di tutti gli altri astri a dispensare a ciascuno degli esseri i beni e i loro opposti» [1].

La maggiore polemica di Filone è però diretta, nel De Providentia, contro la Genetliologia (anticipazione della cosiddetta astrologia giudiziaria). Più che mai – osserva Filone – il giudizio degli astri nei confronti dei singoli non si addice al popolo ebraico: la circoncisione, l’osservanza della Legge, lo Shabbat, l’alimentazione kasher e tanto altro ancora sono la scelta comune di tutto un popolo, come ciò – egli si domanda – può interferire con i differenti destini individuali proposti dalle tecniche genetliologiche?

Un medievalista insigne come Emile Bréhier osserva, tuttavia, che Filone tratta l’astrologia con molta benevolenza tanto da sembrare di averla addirittura praticata lui stesso e un altro studioso, il Wendland, sottolinea l’interesse di Filone per l’astrologia allorché si tratta di interpretare le undici stelle del sogno di Giuseppe in analogia con altrettanti segni zodiacali e del dodicesimo (cioè il segno dei Pesci) simbolicamente rappresentato dallo stesso Giuseppe [2].

La verità è che Filone nega agli astri di essere “cause prime” ma gli riconosce il merito, in quanto opera di Dio, di fungere da segnali dotati di quel certo potere che Dio stesso gli ha concesso. E’ da escludere comunque che gli astri siano divinità e che godano di una qualche autonomia [3]. E’ abbastanza comprensibile che la concezione degli astri come segni della volontà di Dio abbia poi avuto fortuna in ambiente cristiano e talora goduto di qualche apprezzamento persino tra i maghi-filosofi del Rinascimento.

Il primo vero grande astrologo ebreo, sia pure di nome e di lingua araba, fu Mashallah vissuto nel secolo ottavo e all’inizio del nono, autore di numerosi trattati tra cui un De significatione Planetorum in Nativitatibus e un commentario del famoso Tetrabiblos di Tolomeo [4], nonché di un trattato sulle Grandi Congiunzioni planetarie che fece molto discutere. Mashallah, il cui nome ebraico pare fosse Gioele o Giobbe, fu chiamato a decidere insieme all’astrologo arabo Al–Naubacht, sul momento migliore per fondare la grande città di Bagdad (anno 762). Nel suo trattato sulle congiunzioni, egli sostiene che gli eventi del mondo sono scanditi dalle congiunzioni tra i pianeti, in particolare dalla congiunzione Saturno-Giove ( o congiunzione maggiore), Saturno-Marte (media) e Giove-Marte (minore).

In particolare, la venuta di un profeta, sarebbe annunciata da un intero ciclo di congiunzioni attraverso le quattro triplicità (cioè tre segni zodiacali per ognuno dei quattro elementi della tradizione empedoclea). Nell’ambito della congiunzione cosiddetta maggiore (Saturno-Giove) si hanno poi ulteriori distinzioni in piccole, medie e grandi congiunzioni: l’incontro di Saturno con Giove, che si verifica ogni venti anni (piccola congiunzione), produce la congiunzione media ogni 240 anni circa allorché si passa da una triplicità all’altra e la grande congiunzione ogni 953 anni, nel momento del ritorno di Saturno e di Giove sullo stesso grado dello zodiaco [5].

Sulla questione conviene ascoltare Abraham bar Hiyya, astrologo e studioso di Torah (già ricordato a proposito dell’astrologia oraria), che in Meguilat Hamegalé o Sefer Haqtzim riprende il tema delle congiunzioni planetarie di Mashallah e del suo discepolo arabo Abu Mashar: dalla congiunzione Saturno-Giove nel segno di Ariete e dal momento del suo passaggio nelle quattro triplicità: del Fuoco (Ariete, Leone, Sagittario), della Terra: (Toro, Vergine, Capricorno), dell’Aria (Gemelli, Bilancia, Acquario) e dell’Acqua (Cancro, Scorpione, Pesci), trascorrono 953 anni e il tempo di 48 congiunzioni. Dopo tale periodo, caratterizzato dunque da 953 anni e 48 congiunzioni (12 per ciascuno dei 4 elementi), la congiunzione si ripresenta nel fuoco secondo del Leone e dopo altrettanto nel fuoco terzo del Sagittario. Perché la congiunzione Saturno-Giove ‘esaurisca’ la triplicità di fuoco occorrono in tutto 2859 anni (953 x 3) e 144 congiunzioni (48 x 3).

In riferimento alla storia ebraica, con l’anno 2365 del calendario ebraico e la prima congiunzione Saturno-Giove nella triplicità d’acqua (segno zodiacale dei Pesci), si ha la nascita di Aronne e tre anni dopo quella di Mosé e tutto questo periodo dei segni d’acqua corrisponde all’esodo e ai 40 anni trascorsi nel deserto. L’entrata della congiunzione nella triplicità del fuoco corrisponde al periodo dei Giudici. La triplicità d’aria inizia nel 2841 e nel 2854 nasce David. La distruzione del I Tempio sarà opera dei babilonesi, all’epoca del ripresentarsi della congiunzione Saturno-Giove nella triplicità di acqua [6].

sergio magaldi

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[1] Filone di Alessandria, De Migrat. Abr.XXXII: pp.178 e ss., Rusconi, Milano, 1988. Circa il significato della ‘seconda’ migrazione di Abramo da Haran (caverna), che non è oggetto di questa specifica trattazione, mi limito a osservare che, secondo Filone, si tratta di uscire dalla propria interiorità sensibile per accedere, mediante l’intelletto, alla chiara visione dell’intellegibile (Ibid., da XXXIV a XXXIX, pp.397-405).

[2] Cfr., J. Halbronn, op.cit.parte I., p.266. Come si ricorderà, il sogno di Giuseppe si riferisce a Genesi 37:9. Circa l’attribuzione dei dodici segni zodiacali ai dodici figli di Giacobbe e alle dodici tribù di Israele, esiste un’abbondante letteratura in merito e le differenti attribuzioni si basano su criteri diversi e non sempre attendibili. Sulla questione cfr. J. Halbronn, cit., pp.74 e ss.

[3] Cfr.,O. Pompeo Faracovi, op.cit.parte I.,  pp.164-166

[4] Claudio Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C., forse nativo di Alessandria, fu il più grande astronomo-astrologo dell’antichità. Le sue opere principali sono l’Almagesto, nome arabo di un trattato di astronomia chiamato Sistema matematico o Massimo sistema, e il Tetabiblos o Apotelesmatikà un’opera di astrologia che ebbe grande fortuna e che ancora oggi esercita la sua influenza tra gli studiosi del campo.

[5] Cfr. J. Halbronn, cit., pp.139 e ss.

[6] Cit. ibid., pp. 141-142

lunedì 10 febbraio 2020

LAZIO E INTER IN CARROZZA




 Lazio e Inter in carrozza, guidate dalla buona sorte e dai favori degli dei del calcio (che tutto faranno pur di impedire il nono scudetto consecutivo della stessa squadra) piombano su una Juve che continua a camminare a piedi. Due sconfitte nelle prime quattro partite del girone di ritorno (quattro negli ultimi due mesi, compresa la sconfitta in Supercoppa del 22 dicembre contro la Lazio) – quando la prima e unica sconfitta dell’andata risale alla quindicesima giornata (sempre contro la Lazio) – mostrano l’involuzione dei bianconeri nel gioco e nei risultati, nonostante Ronaldo sia in gran forma, andando a segno ininterrottamente nelle ultime dieci giornate di Campionato.

Si diceva (e si sperava da parte dei tifosi) che la maestria di Sarri, anche se lentamente assimilata, avrebbe portato la Juventus prima o poi a fare il salto di qualità nel gioco e, invece, stanno persino mancando le striminzite e talora fortunose vittorie del girone d’andata (se si escludono le belle vittorie di Torino contro il Napoli e di Milano contro l’Inter e poco altro) che la tengono ancora al vertice della classifica insieme all’Inter e con un punto di vantaggio sulla Lazio. Nove punti (63 contro 54) in meno rispetto all’anno passato, 20 vittorie e 3 pareggi contro le 17 vittorie, i 3 pareggi e le 3 sconfitte di quest’anno, 49 goal fatti e 15 subiti contro i 44 goal fatti e i 23 subiti del campionato in corso sono le cifre che narrano di una Juve che continua a giocare male come la squadra di Allegri ma che di quella non ottiene gli stessi risultati.

L’ultimo mercato della Juve non è stato all’altezza dei precedenti e continua l’illusione dei “grandi centrocampisti” presi a parametro zero ma che non giocano o sono una delusione, senza contare che tutta la rosa è sopravvalutata e si ha come l’impressione che le alternative reali siano davvero poche. Scrivevo in un post di poco più di un mese fa: «Sarri non ha modificato in meglio il gioco della Juve, brutta ma vincente con Allegri, ha però il merito di aver spostato in avanti di una decina di metri il baricentro della squadra e di aver riportato in attacco e rivalutato Dybala, costretto da Allegri per anni a fare il mediano, ma i difensori continuano con i troppi passaggi orizzontali, gli attaccanti segnano poco e tirano ancor meno nella porta avversaria […] Douglas Costa è un fantasma bellissimo e, ciliegina sulla torta, Sarri ha creato Bernardeschi – sempre fischiato a Torino – trequartista del nulla».

Resta vero che Sarri ci metta del suo nel:

1) …continuare a pretendere che Cuadrado faccia insieme l’esterno basso e l’esterno alto, costringendolo a un “tour de force” che gli fa perdere di lucidità sia in fase difensiva che offensiva, tanto più considerando che il colombiano è sempre stato, ed è tuttora, determinante nel gioco offensivo della Juve. Non si vede perché Sarri non lo debba utilizzare come faceva con Callejón nel Napoli, impiegando invece Danilo come esterno basso.

2) …non domandarsi perché Higuain e Dybala abbiano segnato 10 goal in due, anche se utilizzati alternativamente. Come non rendersi conto che vengono cercati poco dai centrocampisti?

3) …sembrare non porsi il problema del perché la squadra tiri così poco nella porta avversaria.

4) …essere contrario alle verticalizzazioni (che fanno invece la fortuna di squadre come Lazio e Atalanta, ma anche di Verona e Bologna, e in parte dell’Inter) e prediligere uno sterile e stucchevole possesso palla a velocità ridotta che finisce col favorire le difese avversarie.

5) …non riuscire a cambiare la mentalità dei difensori, troppo bassi e portati agli scambi orizzontali e ai passaggi all’indietro come nei cinque anni di Allegri, quando almeno in questo modo si riusciva a blindare la difesa.

In definitiva, se si guarda al prossimo futuro in Campionato, a giudicare dal presente, le previsioni non sono ottimistiche. Al momento, Lazio e soprattutto Inter sembrano più attrezzate per la vittoria finale e, se non si sveglia al più presto, la Juve rischia addirittura di non andare oltre il terzo posto. Quanto alla Champions – Lione a parte che pure darà filo da torcere ma che non dovrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile – resta l’incognita di cosa accadrà quando i bianconeri troveranno sulla loro strada squadre ben più forti di quelle sin qui assegnate da un sorteggio benevolo. Pessimismo dell’intelligenza a parte, la speranza e l’augurio è che la Juve si riprenda in fretta.

 

sergio magaldi


venerdì 7 febbraio 2020

MAZAL TOV, parte V (L'astrologia nel Talmud, 2)



SEGUE DA:






 La recita dello Shemà, l’osservanza della Torah o la pratica della carità, come si racconta nel Talmud, in un altro aneddoto, possono modificare il destino sfavorevole indicato dagli astri: «Due discepoli di R.Channina uscirono a tagliar legna. Un astrologo li vide e disse: ‘Ecco due uomini che sono usciti ma che non rientreranno’. Mentre erano in cammino, incontrarono un vecchio, che disse loro: ‘fatemi la carità, chè da tre giorni non mangio’. Avevano un pezzo di pane, lo tagliarono in due parti e gliene dettero una. Quegli mangiò e pregò per loro, dicendo: ‘Possiate salvarvi oggi la vita, come oggi avete salvato la mia’. Andarono in pace e tornarono in pace. Si trovarono per caso colà alcuni che avevano udito la predizione dell’astrologo, al quale allora domandarono: ‘Non avevi detto che questi due uomini sarebbero andati ma non sarebbero tornati?’ ‘C’è qui un mentitore (alludendo a se stesso) – egli rispose – poiché le sue previsioni sono false’. Perciò andarono e investigarono sulla questione; e trovarono un serpente tagliato in due, mezzo nel carico di legna di uno, mezzo nel carico di legno dell’altro discepolo. La gente chiese loro: ‘Che vi è capitato oggi?’ Quelli riferirono l’incidente e l’astrologo esclamò: ‘Che cosa posso fare io se il Dio degli Ebrei si placa con la metà di un pezzo di pane?’ » [1]

I dotti del Talmud discutono spesso tra loro se, ad influenzare la vita degli individui, sia il pianeta del giorno o piuttosto quello dell’ora di nascita. Le preferenze vanno al pianeta dell’ora e le interpretazioni sono quelle tradizionali della mitologia greca e dell’astrologia classica. Così, chi nasce nell’ora del Sole sarà indipendente, agiato e di carattere aperto e chiaro, chi nasce nell’ora di Venere sarà di natura sensuale, chi in quella di Mercurio sarà saggio e di buona memoria e così via… [2]

E’ proprio il discorso sull’astrologia oraria che mi induce a riprendere la tesi cui ho già accennato nelle pagine iniziali di questo scritto e cioè quella del comune atteggiamento dell’ermetismo e della tradizione ebraica nei confronti dell’astrologia. Tuttavia, l’accettazione delle tecniche di interrogazione e di elezione dell’astrologia oraria, proprie dell’ermetismo, da parte di autorevoli Rabbi della comunità di Babilonia non modifica, a mio giudizio, le similitudini e le differenze esistenti tra le due concezioni [3]. Al più, induce l’ebreo ad accostarsi all’astrologia senza tema di peccato. Intanto perché, come osserva Abraham bar Hiyya [4] solo all’ebreo in stato di purità è dato emanciparsi dal fato e poi perché solo a lui è dato legittimamente interrogare le stelle per conoscere ore favorevoli e ore nefaste [5].

C’è anche chi attribuisce notevole importanza al giorno della nascita, ma qui l’influsso favorevole o sfavorevole non dipende più dai pianeti, bensì dai giorni della creazione: “Chi nasce di Domenica sarà interamente buono o interamente cattivo, perché in quel giorno furono create la luce e l’oscurità. Chi nasce di Lunedì sarà di cattivo carattere perché in quel giorno furono divise le acque [6]Chi nasce di Martedì sarà ricco e sensuale perché in quel giorno furono create le piante. Chi nasce di Mercoledì sarà saggio e dotato di buona memoria, perché in quel giorno furono sospesi gli astri nel firmamento. Chi nasce di Giovedì sarà benefico, perché in quel giorno furono sospesi gli astri nel firmamento. Chi nasce di Venerdì sarà attivo, o secondo un’altra versione, zelante nell’adempiere i precetti (mitzvoth). Chi nasce di Shabbat morirà di Shabbat perché per causa sua fu profanato il giorno sacro” [7]. C’è infine (Shabbat, 156a) chi aggiunge che il nato di Shabbat, sarà colmo di zelo religioso (Rabbi Nachman ben Ytzchak) e che sarà chiamato uomo grande e santo (Rabbi bar Shila).

Il dibattito infinito sulla legittimità dell’astrologia, sulla possibilità che l’ebreo ha di conciliarla con la Torah, porta qualcuno a chiedersi: Dio avrebbe creato gli astri se questi rappresentassero davvero un rischio per la fede? [8]. A questa domanda, per così dire, conciliativa, si danno spesso risposte in chiave umoristica, come quella contenuta nel Midrash Rabba (Genesi X:3-4): «Questo si può comparare a un re che è entrato in una provincia ed è stato sedotto dall’entusiasmo con cui gli abitanti lo hanno accolto. Per ringraziarli, egli decise di farli divertire con la corsa dei carri. Ecco perché c’è un pianeta che percorre la sua orbita in dodici mesi ed è il Sole, un altro in dodici anni ed è Giove, un altro in trenta giorni ed è la Luna, un altro ancora in trenta anni ed è Saturno etc…» [9]. Fuori del suo contesto, la risposta del Midrash fa venire in mente Piero Pomponazzi e la sua concezione dell’astrologia come ‘gioco di Dio’ [10]


sergio magaldi

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[1] P. Shabbat, 8d in op.cit., p. 334

[2] Cfr.Shabbat, 156a

[3] «Alle prospettive dell’ermetismo si riallaccia la strutturazione delle tecniche dell’astrologia oraria, volte nella pratica delle interrogazioni, a predire l’esito delle azioni intraprese, e, in quella delle elezioni, a individuare il momento propizio per le nuove iniziative. In correlazione con queste tecniche, riemerge, come già nell’ermetismo antico, il motivo del superamento o, quanto meno, del ridimensionamento, del destino. Da una parte, infatti, l’universo materiale appare governato da una necessità che non tollera eccezioni; dall’altra, si lascia spazio a un’emancipazione dal fato, riservata alle anime che, superando una difficile iniziazione, divengono capaci di elevarsi fino all’unione con il divino. Con questa ricerca di emancipazione possono far nodo le tecniche dell’astrologia oraria, che predicendo il corso cui gli eventi sarebbero sottoposti per effetto della necessità naturale, aprono spazi a una iniziativa consapevolmente volta alla liberazione dalla fatalità».
E’ sulla base di questo assunto che le tecniche delle interrogazioni e delle elezioni sono legittimate dai dotti ebrei, che discutono le pagine del Talmud babilonese, dedicate al tema dell’immunità di Israele dall’influsso astrale. Particolare importanza rivestono, alle radici del dibattito medievale sul talmudico Ein Mazal le Israel, i responsi di rabbi Sherira (906-1006), gaon dell’Accademia babilonese di Pumbedita, e del suo successore e figlio Hayy ben Sherira (939-1038). In essi si afferma infatti formalmente che l’uomo nella sua sapienza fa cose che non sono gli astri a determinare, e che, con la sua competenza, egli può modificare quel che gli astri hanno determinato’ [Cfr., Ornella Pompeo Faracovi Scritto negli astri. L’astrologia nella cultura dell’Occidente, Marsilio, Milano, 1996, pp.176-177]

[4] Ebreo barcellonese, astrologo e studioso di Torah, vissuto nella prima metà del XII secolo, autore, tra l’altro, di una lettera sull’astrologia in risposta a quella inviatagli dal rabbi di Barcellona, Yeudah ben Barzilai, che lo rimproverava di aver consigliato un amico di rinviare il momento delle nozze in attesa di un tempo migliore (cfr. J.Halbronn,cit., p.122)

[5] O.Pompeo Faracovi, cit., p.177.

[6] E’ il secondo giorno della creazione, l’unico del quale Dio non dice che fu ‘cosa buona’ (cfr. Genesi)

[7] Shabbat, 156a in op. cit., pp.335-336

[8] J. Halbronn, op.cit., p.252

[9] ibid., p.253

[10] Cfr. Supra, parte I