giovedì 28 maggio 2020

"TUTTI A CASA". La confusione nella cura sbagliata del coronavirus




Tutto dovrà avere una spiegazione, specialmente quando, come accade oggi, la mano destra finge di non sapere quello che fa la sinistra

di Alberto Zei


“La prova scientifica”
 A distanza di mesi dall’insorgere dei contagi da coronavirus, la progressione è stata fin dall’inizio molto significativa per le prospettive cui andava incontro l’intera popolazione. È vero che in Italia la Sanità non aveva la “prova scientifica” che potesse trattarsi di una vera emergenza, quantunque la comparsa di epidemie molto simili, come la “sars e la ”mers”, a distanza di poco più di un lustro, non lasciava presagire qualcosa di diverso.
E’ pur vero che se per ogni preannunciato pericolo dovessimo preparare logisticamente le strutture di prevenzione o di contenimento, non avremmo possibilità di dedicare alla realtà quotidiana le nostre modeste risorse nazionali. Altra cosa però è la preparazione mentale all’ emergenza, non mancando né la cultura, l’intelligenza, né l’esperienza, né l’improvvisazione nonché la creatività tipica del nostro Paese, se fossimo stati almeno meglio informati.
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Il disorientamento
“Uomo avvisato mezzo salvato” recita un vecchio adagio di saggezza popolare.
Quando infatti si è verificato nella realtà, ciò che in teoria poteva prevedersi, ecco che qui il fallimento è stato pressoché totale. Il disorientamento che è subentrato non è stato soltanto logistico per la mancanza delle idonee strutture sanitarie che ovviamente in Italia non erano approntate, ma soprattutto per le mancate direttive di coordinamento centrale, sia da parte del Governo, sia da parte del Ministero della Salute e dei suoi distretti nazionali





 Lo smarrimento è stato tale da ritenere emblematico quello immortalato nel celebre film “Tutti a casa”, dove la confusione generale bloccava ogni iniziativa.
In riferimento all’individuazione della patologia e ai metodi di cura, anche con il passare del tempo di settimane nonché di mesi, non si è ancora arrivati ad un coordinamento unitario sul tipo di malattia e conseguentemente sulle cure necessarie da adottare per non morire.  
Il medioevale ricorso all’isolamento è stato l’unico rimedio trovato dalle Autorità sanitarie per sottrarci dal contagio dei contatti ravvicinati. Ma per la terapia da individuare e da applicare con urgenza ai cittadini che si presentano in ospedale con la tipica gravità della malattia?
I vari distretti sanitari stanno ancora adattando i sintomi della patologia alle proprie risorse terapeutiche, anziché la malattia alle oggettive necessità di cura. Infatti, a fronte di diagnosi clamorosamente sbagliate, come quella delle polmoniti interstiziali, malgrado il numero elevato di autopsie eseguite nel nostro Paese, non è stata ancora ufficialmente accertata la vera natura delle morti sopravvenute. Quindi, ciò che più conta, le autorità sanitarie preposte non sono state in condizione di indicare a tutte le strutture ospedaliere il protocollo terapeutico da praticare per la grave forma di tromboflebite diffusa covid-19, da tempo diagnosticata da alcuni encomiabili medici ricercatori.

I ventilatori polmonari
Le iniziative adottate sono state quelle di reperire con l’urgenza di vita o di morte, i ventilatori per insufflare ossigeno nei polmoni al fine di migliorare la scarsa capacità di respirazione dei ricoverati in terapia intensiva, così come tipicamente avviene quando è già in corso una vera polmonite. Ma se i pazienti non reagivano a questo tipico trattamento, già si doveva dedurre che polmonite non era. Ma di cosa altro allora poteva trattarsi, neppure se ne parlava.
Non solo, ma i vari distretti della Sanità nazionale erano mobilitati nell’inutile approvvigionamento di altri ventilatori polmonari con richiesta di onerose forniture persino dalla Cina. La patologia che però si rifletteva sui polmoni compromettendo la respirazione aveva prima invaso altri presidi tra cui il cuore, oltre che le vene delle gambe e altri organi importanti. Se il cuore non cedeva prima, specie nei più anziani, l’aggravamento della malattia provocava  non la polmonite,  ma un’ infiammazione diffusa che a sua volta causava emboli nelle piccole vene e nel tessuto capillare dei polmoni. Dal blocco della circolazione del sangue che ne conseguiva, subentrava la rapida necrosi del tessuto polmonare a valle dell’ostruzione e la morte del malcapitato.

L’ostinazione terapeutica
La risposta sanitaria nazionale di fronte a questa importantissima rivelazione  non vi è stata. La terapia praticata ha continuato al lungo ad essere quella della polmonite interstiziale con i risultati che tutti possiamo constatare. Solo alcuni Enti, per lo più privati, hanno potuto discostarsi da questo protocollo a seguito di una più accurata osservazione di ciò che effettivamente avveniva nell’organismo a causa del devastante effetto del covid-19. Rendendosi conto di questa anomalia polmonare alcuni medici non hanno inteso continuare le cure fino allora adottate. Questi pertanto, sono ricorsi all’uso di farmaci antinfiammatori e antiaggreganti per evitare la formazione di micro trombi diffusi nei capillari che, come detto, bloccando la circolazione del sangue, causano la morte del tessuto polmonare.  Il risultato è stato eccellente così come rivelano i casi – già menzionati in un precedente post – del Dott. Giampaolo Palma cardiologo titolare di un Centro medico di Nocera Inferiore, e del Prof. Maurizio Viecca primario del reparto di cardiologia presso l’ Ospedale Sacco di Milano.

In attesa del perché
Prima ancora del ritorno al  medioevo per sfuggire con l’ isolamento al covid-19, sarebbe stato sufficiente riferirsi ai primi successi terapeutici ottenuti all’inizio del secolo scorso con un metodo di terapia meno gravoso e più efficace. Si tratta di un tipo di cura basato sull’esperienza e sulla conoscenza della scienza medica del recente passato a fronte dei positivi risultati ottenuti fin dalla terribile influenza del 1918, denominata “spagnola”. In quegli anni era stato trovato un rimedio di cura, una sorta di vaccino (per rendere l’idea) mediante iniezione di siero contenente gli anticorpi presenti nel plasma delle persone guarite da quella stessa malattia. La qualcosa, ripetuta da alcuni medici anche in questa circostanza, ha portato a guarigione le persone così trattate, prevenendo gli ulteriori irreversibili aggravamenti che hanno già causato nel nostro Paese decine di migliaia di decessi. Naturalmente non si tratta di plasma “leva e metti” tra un paziente e l’altro perché come è arcinoto, quando hanno luogo le trasfusioni deve essere prima accertata la compatibilità per evitare uno shock anafilattico o altre gravi reazioni di rigetto. Ma questa è prassi medica consolidata.

La matrioska delle obiezioni
Del tutto pretestuose sono invece le obiezioni secondo cui, senza la prova scientifica della terapia da adottare, paradossalmente si arriverebbe a curare ad esempio il cancro, con quelle sostanze di fantasia che periodicamente vengono proposte in deroga ai protocolli terapeutici ufficiali. Ma un conto è il caso di malattie potenzialmente mortali, come appunto quelle degenerative, il cui decorso si protrae per anni; altro invece è quello di una patologia conclamata come il covid-19 il cui aggravamento senza farmaci è sinonimo di morte pressoché certa  nell’arco di qualche giorno.

La prima domanda che molti cittadini pongono per ora a loro stessi, ma nel futuro la porranno anche ad altri, è: "Perché mai si è continuato a curare i pazienti nello stesso modo sbagliato?". Allo stato delle cose non si intravedono valide ragioni, di fronte a casi di progressiva gravità mortale, per astenersi da differenti e più efficaci terapie, solo perché queste non hanno ancora ottenuto la cosiddetta “prova scientifica”.

lunedì 25 maggio 2020

GRANDI CONGIUNZIONI PLANETARIE E CORONAVIRUS, parte VII (Saturno e il mito)






SEGUE DA (clicca sui titoli per leggere):








I significati di Saturno


 Come il mito di Hades-Plutone, anche il mito di Krono-Saturno contiene leggende attribuite a due diverse divinità che finirono col fondersi nell’immaginario collettivo. Saturno fa parte dei numina (potenze o forze genericamente intese della natura) venerati nel Lazio insieme ai Lari e ai Penati ed è già presente nei primi insediamenti romani sul Palatino, prima ancora che gli Etruschi fondassero la città che in onore della dea etrusca Ruma (“mammella”), che dava il nutrimento a chi nasceva, chiamarono Roma, da cui prese il nome Romolo – il leggendario fondatore della città con una ritualità tutta etrusca – che si diceva discendere da Enea e dal dio Marte e che fu divinizzato post mortem con il nome di Quirino. Dopo di lui, i sette re di Roma, di cui gli ultimi tre furono sicuramente etruschi, mentre i quattro precedenti erano stati sabini con legami di parentela sia con i Prisci Latini che con gli Etruschi. La fondazione etrusca di Roma, infatti, avvenne all’insegna del sinecismo tra antiche tribù (Ramni, Tizi e Luceri) e popoli diversi, di cui i più importanti furono certamente Latini, Sabini ed Etruschi. Ad eccezione di questi ultimi – provenienti dalla Lidia (Asia minore) o addirittura indigeni con il nome di Tirreni – tutti gli altri erano popoli indoeuropei mescolatisi sin dall’età del bronzo con gli abitanti degli insediamenti autoctoni. Non a caso, prima che apparissero le triadi capitoline, le divinità più arcaiche dei Romani furono Saturno e Giano.

Saturno: Sat dalla radice sanscrita indoeuropea che designa l’abbondanza e Urnus, dal latino Urna che significa vaso, recipiente, strumento che gli antichi attribuiscono alla costellazione dell’Acquario. Non a caso Saturno astrologico governa tanto il segno del Capricorno che con il simbolo della cornucopia manifesta la prosperità, quanto il segno dell’Acquario, rappresentato da una brocca che attinge acqua e la versa generosamente per chi ne abbia bisogno. Nello specifico Urnus designa una funzione temporale, legata al ciclo della vegetazione. Saturno, dunque, è il dio dell’agricoltura, delle stagioni della semina e del raccolto, di un’età felice che mette fine al nomadismo, quella del SATYA YUGA, la prima era (YUGA in sanscrito) secondo il tempo ciclico induista che divide il mondo in quattro ere, di cui la prima è l’età dell’oro, che nel mito greco si trasformerà nell’oro inverso del piombo quando Saturno sarà spodestato e fatto prigioniero. Alla prima era seguono il Treta Yuga o età dell’argento, il Dvapara Yuga o età del bronzo e l’attuale Kali Yuga o età del ferro, dopo la quale ritornerà il Satya Yuga, l’età dell’oro e Saturno, sempre secondo la mitologia greca, sarà nuovamente liberato.

Virgilio nel VII libro (vv.179-181) dell’Eneide parla di Giano come di una divinità almeno arcaica quanto Saturno: «curvam servans sub imagine falcem, Saturnusque senex Ianique bifrontis imago vestibulo adstabant».E Giano e Saturno si corrispondono, entrambi collegati al tempo, entrambi guardiani della soglia, anche se Giano è una divinità etrusca, come il Culsans bifronte del Pantheon etrusco, ed è figlio della Grande Madre, identificata in Diana, Janua, dove il figlio Janus segna forse il passaggio dal matriarcato (che con ogni probabilità era la struttura originaria della società etrusca) al patriarcato, mentre Saturnus appartiene da sempre all’organizzazione patriarcale tipica degli indoeuropei, popoli di guerrieri e sacerdoti dove il ruolo della donna era marginale se non addirittura simile a quello degli schiavi.   

Gli antichi romani celebravano il nuovo inizio, onorando Giano bifronte, leggendario re di una remota età dell’oro, asceso al divino e raffigurato con un volto duplice che guarda contemporaneamente avanti e dietro di sé: una porta [ianua in latino] chiusa, per una porta che si apre a rappresentare un nuovo inizio. La festa di Ianus, dio dell’inizio e della fine si celebrava il primo giorno di Gennaio, ma secondo la testimonianza di Ovidio e di altri autori latini, aveva il suo coronamento nelle Agonalia Iani del 9 Gennaio, con ludi sportivi e il sacrificio di un montone, compiuto dal rex sacrorum sul colle del Quirinale. Giano rappresenta il movimento, dunque il tempo in rapporto allo spazio, e scandisce l’inizio di un’impresa e il suo termine, il momento della pace e quello della guerra, Saturno nel significato indoeuropeo, ancora non contaminato dal dio greco Krono, indica il tempo stagionale della semina e della raccolta delle messi che si ripete ogni anno e che assicura il nutrimento. Giano e Saturno insieme in un’età aurea e felice che sostituisce alla guerra e al nomadismo, la vita stanziale, la pace e la nascita dell’agricoltura. Fu solo più tardi, quando il Saturno latino si colora del mito greco di Kronos che Giano appare addirittura precedere Saturno nel Pantheon romano. È la narrazione del mito greco, secondo cui Saturno-Krono, che divora i suoi figli, è infine sconfitto e destituito del potere sugli uomini e sugli dei dal figlio Zeus. Imprigionato sottoterra nel regno di Hades, Krono-Saturno è al centro di due distinte narrazioni: a) liberato da Zeus che lo destina a vivere nell’isola dei beati, durante la felice età dell’oro; b) autoliberatosi, nel suo peregrinare trova infine una terra dove nascondersi e che da lui sarà detta Lazio, secondo la ricostruzione che ne fece Macrobio [370-430] nei Saturnalia (Dicta quoque est Latium terra latente Deo), e dove Giano lo accoglie con grandi onori. Per ringraziamento Saturno insegnò l’agricoltura ai Prisci Latini e concesse a Giano bifronte il dono di conoscere il passato e il futuro. Giano e Saturno entrambi onorati: Giano sul Mons Ianiculum (Gianicolo) e Saturno sul Mons Saturnus o Capitolium (Campidoglio).    

Non è un caso dunque che entrambi gli dei, Saturno e Giano bifronte, siano presenti nel simbolismo di diverse tradizioni a rappresentare la possibilità stessa di una nuova iniziazione, di un percorso nuovo da compiere, di un passaggio da una condizione di vita ordinaria ad una esistenza in cui si sceglie di procedere in modo alternativo e diverso, per rettificare se stessi, alla luce di una nuova consapevolezza o, se si vuole, di una illuminazione che prospetti la liberazione dalla prigionia della vita profana.
[S E G U E ]


sergio magaldi

sabato 16 maggio 2020

GRANDI CONGIUNZIONI PLANETARIE E CORONAVIRUS, parte VI (Plutone e l'inconscio)





SEGUE DA (clicca sui titoli per leggere):






I significati di Plutone

 Nell'articolo Das Unbewusst ("L'Inconscio") del 1915, Freud dichiara che i con­tenuti dell'inconscio sono sostitutivi di pulsioni che non possono divenire oggetto di coscienza. Pertanto, le rappresentazioni inconsce sono organizzate in fantasmi [dal greco  phàntasma, apparizione] oppure in trame immaginarie alle quali le pulsioni si fissano e che appaiono come "vere messe in scena del desiderio". In tale prospettiva, il contenuto dell'inconscio è assimilabile a ciò che è stato rimosso, con in più, osser­va Freud, "un nucleo originario di contenuti filogenetici", cioè di quell’esperienza accumulata nel corso del tempo, che siamo soliti denominare inconscio collettivo.
Jung, al quale va il merito di aver ampliato il concetto freudiano di inconscio, sottolinea la quasi totale identificazione di inconscio e destino. In Psicologia e Al­chimia egli osserva che quando parliamo del nostro destino, mettiamo in campo una volontà che non coincide con quella dell'io e, poiché tale volontà si oppone all'io, noi vi scorgiamo un potere divino o infernale, a seconda dei casi.
Nella tragedia greca, il mito, quale archetipo universale, è la chiave che ci consente di entrare nella psiche dei personaggi e di cogliere il filo che sorregge la trama di tutte le loro azioni. La stessa guerra tra gli dei - che i miti raccontano - è finalmente intesa come la guerra che gli individui combattono contro se stessi. La cieca fatalità che spesso sembra dar corso agli eventi, secondo il principio che le colpe dei padri ricadono sui figli, si colora infine di senso. Liz Greene, la nota psicoanalista e cultrice di astrologia afferma che, per com­prendere il tema natale di un singolo, occorre tracciare la carta di nascita dei suoi genitori e che forse non basta, perché bisognerebbe anche conoscere il tema natale degli antenati [1]. Quale il significato di tale affermazione? Lo psicoanalista e ricercatore è convinto che il proprio paziente sia vittima, oltre che dei suoi, anche dei conflitti inconsci rimasti irrisolti nei genitori e nella famiglia d’origine.
È interessante osservare che per secoli l'astrologia giudiziaria ha considerato simboli privilegiati per l'ascolto dell'inconscio il luminare della Luna e, in particolare, Lilith, la sua zona oscura, talora identificata con la Luna Nera. Né, d'altra parte, erano noti altri simboli spazio-temporali per descrivere l'inconscio. In proposito, occorre appena accennare che sulla stessa esistenza fisica della Luna Nera si continua ancora a dubitare, tanto che è stata spesso diversamente interpretata: 1. Come Luna non visibile o Luna nuova al momento della sua congiunzione col Sole (Ecate o Artemide dei Greci); 2. Come secondo satellite della Terra, scoperto nel XVII Secolo dal gesuita Giovanbattista Riccioli e con un passo giornaliero di 3 gradi, ma di cui l'esistenza non è stata ancora accertata; 3. Come un punto fittizio dell'orbita lunare.
Che la Luna rappresenti simbolicamente il femminile, la fantasia, il sogno, l'immaginazione è perfettamente accettabile; che l'inconscio possa essere identificato col simbolismo lunare è altamente improbabile. Dane Rudhyar ha chiaramente dimostrato che è proprio la dinamica Saturno (l'io, la forma) - Luna (l'energia vitale) a rendere conto del nostro io cosciente [2] Inoltre, la Luna è talmente veloce nello spazio che male rappresenta un contenuto psichico così fortemente cristallizza­to quale l'inconscio, la cui trasformazione richiede un processo lentissimo, addirittura generazionale, prima di poter avvertire un significativo mutamento. 
Occorre tuttavia riconoscere che la figura di Lilith-Ecate è presente tanto nella mitologia ebraica che in quella greco-romana con la funzione di rappresentare gli istinti più riposti della personalità, ma a parte il dubbio sul potersi giovare di un suo corrispettivo fisico nello spazio, questo simbolo resta, anche solo come concetto, un po' troppo angusto per una reale connotazione dell'incon­scio, e semmai può essere chiamato a rappresentare lo strato immediatamente al di sotto della coscienza, ciò che Freud definiva preconscio. Né, d’altra parte, appare convincente l'idea di un inconscio limitato al ruolo di controparte di polarità sessuale. Tale  ruolo sembra più che altro spettare all'Anima per l'uomo e all’Animus per la donna. E “anima” e “animus” appartengono alla coscienza o tutt’al più al subconscio (o preconscio) e forse è proprio questo il regno di Lilith.  
Ciò premesso, la tentazione di sottomettere o redimere l’inconscio è quanto mai ardua e pericolosa. Questo pericolo è di tutti, ma più che mai è presente nel santo, nell'eroe, nell'ini­ziato. I quali tutti, per “mestiere” sono portati a rifiutare l'inconscio oppure a costruirse­ne uno di comodo cui relazionarsi con lo scopo sublime di sottometterlo o di razionalizzarlo. Queste anime belle spesso si coprono gli occhi per non vedere e si turano il naso per non sentire il fetore che viene dalla “stanza accanto” della loro coscienza illuminata. Insomma, tra Alto e Basso, bisogna trovare - come già auspicava Marsilio Ficino - un luogo intermedio dove sia possibile incontrare il cosiddetto mondo interiore. 
Che c'è, in realtà, di così difficile e inquietante nel tentare di sottomettere o redimere l'inconscio? L'ener­gia che sprigiona questa forza invisibile è talmente grande che l'esigua energia della coscienza rischia di esserne travolta. La coscienza può uscirne mutilata nel suo processo di individuazione che presuppone, appunto, il coraggio del confronto con l'inconscio non la sua sottomissione o redenzione. Il dialogo può essere spiacevole, doloroso, forse pericoloso, ma è l'unico mezzo che abbiamo per rompere le cristal­lizzazioni saturnine, allargando progressivamente le frontiere della coscienza.
Non è un caso che all'inizio del secolo, proprio quando appare “L’interpretazione dei sogni” di Freud, l'astronomo Percival Lowel, per spiegare le perturbazioni del­l'orbita di Urano, calcoli la posizione di un invisibile pianeta, all'estremo del siste­ma solare. Neppure è un caso che Jung nel 1929 congedi il suo saggio di commento al “Segreto del fiore d'oro”, antico testo di alchimia taoista, prospettando una visione dell'inconscio che riprende e amplia la stessa concezione freudiana e che, pochi mesi più tardi, con l'ingresso del Sole in Acquario (febbraio 1930), un astrono­mo americano riesca per la prima volta a fotografare il pianeta “invisibile”: Plutone.
Per la verità, Rudhyar attribuisce la rappresentazione simbolica dell’inconscio a tutti e tre i pianeti trans-saturnini: Urano, scoperto nel 1781, poco prima della Rivoluzione francese, Nettuno scoperto nel 1846 e Plutone scoperto esatta­mente 84 anni dopo Nettuno, a distanza di un ciclo completo di Urano. Ai tre pianeti, egli assegna tre diverse funzioni simboliche: Urano rappresenta la forza “proiettiva” dell'inconscio, Nettuno quella “dissolvente”, e Plutone quella “rigenerante[3].
In conclusione, dunque, il concetto più compiuto e al tempo stesso più produttivo con cui siamo oggi in grado di rappresentare l'inconscio, nella sua dinamica spazio-temporale, è Plutone.
Il mito poetico, l'astronomia. E l’astrologia come vede Plutone? Lo collo­ca nel segno dello Scorpione, opposto alla Terra prima del Toro, lui che è il Signore del sottosuolo. Come forza rigenerante nel bene e nel male, Plutone non può che appartenere a questo segno zodiacale dove lo scorpione può evolversi sino al serpente e all'aquila solare. Se il Sole è il simbolo del principio di individuazione, con la potenzialità di assimilare e trasformare i contenuti dell'inconscio, Plutone è definito “Sole di mezzanotte” per “il materiale” che è in grado di offrire per questa assimilazione e trasformazione.
Erede della Grande Madre e di Eros – come già si è visto –  Hades-Plutone è il Signore della vita, della morte e della rigenerazione di cui detiene il seme, il principio erotico universale che anima la materia. Ma Eros, come suggerisce il mito ellenistico di Amore e Psiche, rimanda alla dimensione inconscia che della psiche è anche la parte più importante e segreta. Nella totalità dell’inconscio, infatti, risiede l’Es, mentre le altre due ipostasi freudiane, l’Io e il Super-io hanno una collocazione che si articola tra coscienza, inconscio e preconscio (o subconscio), per quest’ultimo intendendo ciò che si trova appena al di sotto della coscienza ma che in determinate circostanze può facilmente riaffiorare. La parte cosciente dell’Io così come quella conscia e inconscia del Super-io non sono affari che riguardano Plutone che lascia volentieri ad occuparsene il vecchio Saturno. Com’è noto, l’Io si basa sul principio di realtà e deve continuamente difendersi non solo da quello che ancora non ha compreso di sé (Io inconscio) e dalle regole della società in cui vive (Super-io conscio) ma soprattutto da Es e Super-io inconsci che troppo spesso finiscono per governare le sue azioni. Così, l’Es governato dal principio del piacere spinge l’Io alla soddisfazione delle pulsioni primordiali, dei bisogni e dei desideri senza alcuna censura e senza curarsi del principio di realtà, laddove il Super-io svolge la funzione completamente opposta, intimando all’Io che le sue azioni siano conformi al costume morale, ai divieti e agli ideali che gli sono stati inculcati dall’educazione genitoriale e dall’ambiente circostante. Quanto più l’Io saprà districarsi tra Es e Super-io, tanto più egli sarà in grado di portare alla luce nuovi territori, con un ampliamento di coscienza di cui essere grato a Hades-Plutone. È lo schema incontrato parlando dei “doni di Plutone” [Cfr. il post GRANDI CONGIUNZIONI PLANETARIE E CORONAVIRUS, parte V(i doni di Plutone), cliccando sopra per leggere]: dalla vita alla morte e alla rigenerazione, dall’eros all’inconscio e all’ampliamento di coscienza. Ma Hades-Plutone possiede anche un terzo nome: Trofonio, colui che nutre, e che attraverso il nutrimento genera l’energia che mantiene in vita e che consente agli esseri umani di agire. Le azioni hanno un risultato evidente nella realtà e un risultato invisibile (quello che gli orientali chiamano Karma, il nam myoho renge kyo dei seguaci del Soka Gakkai, per intenderci) che si colloca nel regno di Hades, senza implicazioni moralistiche ma determinando la necessità di un equilibrio che, se venuto meno, deve essere ritrovato. Saper leggere nell’invisibile, aumentando la consapevolezza delle proprie azioni è l’ultimo dei tanti “doni” di Plutone, quello che forse appare come il meno gradito ma che in realtà è il più importante di tutti perché, come osserva Jung in Psicologia e Alchimia, il timore e la resistenza che ogni essere umano prova quando scava troppo a fondo in se stesso sono in ultima analisi la paura del viaggio nell’Ade. «Con l’intervento di Hades – annota lo psicoanalista junghiano James Hillman –, il mondo è capovolto. Il punto di vista della vita cessa di valere. Ora i fenomeni sono visti non solo attraverso gli occhi di Eros, della vita umana e dell’amore, ma anche attraverso quelli di Thanatos, le cui fredde immote profondità non hanno legame con la vita» [4]  
(S E G U E)

sergio magaldi


[1] L.Greene, The Astrology of Fate, 1984, trad.it., “Astrologia e Destino”, Armenia, Milano 1995, pp.98-132
[2] Dane Rudhyar, Astrologia della personalità, trad.it., Roma, 1986, pp.205-209
[3] cit., pp.209-220
[4] James Hillman, Il Sogno e il Mondo infero (“The Dream and the Underwold”),trad.it.di A.Bottini, Adelphi,2003,pp.65-66.

mercoledì 13 maggio 2020

CORONAVIRUS: la vera natura della malattia

Dott.Giampaolo Palma, cardiologo Centro medico di Nocera Inferiore



Coronavirus: finalmente la verità sulla natura
della malattia
Ora si spera che a fronte della scoperta sulla natura della patologia si possa rapidamente disporre delle adeguate cure

di Alberto Zei

Passato e presente
Dopo tanto brancolare nel buio della sorpresa di questa malattia e soprattutto in quello delle  terapie adottate per la guarigione del covid-19 si è arrivati, almeno così pare, alla conclusione della conoscenza fisiologica e biologica dell’aggressione virale.                 

Dall’inizio della pandemia sembrava noto che l’infezione attaccasse i polmoni delle persone colpite, causando la polmonite interstiziale. L’aggravamento nel corso della malattia comportava difficoltà respiratorie per la presenza di ostruzioni negli alveoli polmonari che compromettevano  la necessaria ossigenazione del sangue  a tutti gli organi. È chiaro infatti che se l’ossigeno si fa sempre più carente, la morte avviene per progressivo soffocamento.
In questi casi, si è tentato il metodo dell’intubazione con forzatura di ossigeno nei polmoni. Finché è stato possibile usufruire di un po’ di ossigeno in più,  rispetto a quello contenuto nella respirazione regolare, per alcuni malati che avevano già superato la fase critica, questo ossigeno supplementare potrebbe essere stato di aiuto nell’affrettare la guarigione. Ma il risultato  ottenuto in generale da tale metodo non ha mai corrisposto ad un autentico miglioramento della diagnosticata polmonite e le condizioni di molti malati si sono addirittura aggravate.

Una svolta
Finalmente si è appreso da varie fonti dell’informazione che alcuni medici come ad esempio, il Dott. Giampaolo Palma cardiologo titolare di un centro medico di Nocera Inferiore, avrebbe individuato la vera ragione dell’insorgenza della pseudo  polmonite da covid-19.
Spesso tutte le scoperte scientifiche hanno luogo in un tempo in cui le idee dei singoli ricercatori sembrano destinate ad una straordinaria coincidenza temporale dei risultati. Infatti anche il Prof. Maurizio Viecca, primario del reparto di cardiologia presso l’ospedale  Sacco di Milano ha scoperto autonomamente, così come il Dott. Palma, lo stesso meccanismo nell’infezione  del covid-19. Ecco che allora non desta meraviglia  come i due medici si siano accorti che la diagnosticata  polmonite interstiziale, che molto spesso causava la morte dei pazienti, era solo il risultato di una errata diagnosi  in quanto non si trattava di polmonite ma di  tromboembolia polmonare.  La   presunta polmonite infatti, non rispondeva  ad  alcun sostanziale miglioramento insufflando nei polmoni una quantità supplementare di ossigeno, come invece avrebbe dovuto, se fosse stata autentica.                                     
Le conseguenze di questo errore diagnostico sono note a tutti a fronte dei risultati terapeutici ottenuti  che è inutile commentare. Ma la cosa più importante per l’immediato futuro è che si prenda atto di questa gravissimo equivoco, adeguando la cura alla vera patologia che, presa in tempo,  può essere bloccata senza il ricorso alla terapia intensiva.

Le fasi della malattia
Il virus introdottosi nei polmoni con la respirazione, causa una “coagulazione intravascolare disseminata atipica, che coinvolge prevalentemente i capillari  polmonari, il cuore nonché le vene periferiche, soprattutto delle gambe.
L’infiammazione che ne deriva si propaga al tessuto adiacente, ossia al tessuto  vascolare venoso,  creando  infezione diffusa nelle zone colpite.
Lo  stato di infezione e di infiammazione circostante crea  la formazione di emboli nel sangue che si coagula nei vasi capillari,  formando una serie diffusa di piccoli trombi che ostruiscono  il passaggio.
La insufflazione  forzata di ossigeno attraverso le pompe polmonari (per le quali,  tranne qualche eccezione, si lamentava la insufficiente disponibilità nei centri di emergenza ospedalieri), quando il sangue  che alimenta gli alveoli  polmonari non arriva,  non serve  a niente.

La spirale perversa
La formazione di occlusioni diffuse nei capillari  all’interno dei polmoni che impedisce  la circolazione del sangue a valle delle stesse occlusioni, crea la necrosi, ossia la morte del tessuto non più alimentato. Il tessuto morto  si disgrega formando pus e aumentando l’infiammazione  della parte colpita che a sua volta, aggrava l’insufficienza respiratoria in quanto quella stessa zona di polmone non funziona più.
Quando la diffusione di questi micro emboli interessa una parte considerevole del tessuto polmonare ecco che l’insufficienza respiratoria compie il resto, se prima non ci pensa il cuore. Quindi la polmonite interstiziale che si supponeva  subentrasse nell’ultima fase della malattia  non c’entrerebbe  per nulla.

Il merito
A chi va il merito della scoperta?  Ai  due medici sicuramente e tutti  gli altri che hanno già saputo individuare la giusta cura del covid-19.  
Allo stato dei fatti,  parrebbe ora necessario ed urgente  prendere coscienza  di quanto questi illuminati professionisti hanno constatato, soprattutto per sospendere quella terapia sbagliata che non ha saputo impedire una buona parte di quanto di negativo è già avvenuto. La nuova  diagnosi del Prof. Viecca e del Dott. Palma, riguardante  la  reale patologia causata dal  covid-19, fa ritenere che soprattutto i  pazienti più gravi potrebbero essere sottoposti a differenti e più efficaci terapie.
Sarebbe pertanto opportuno accertare  prima possibile  la valenza delle differenti cure  che si rendono necessarie. Già da adesso potrebbero essere utilizzate quelle stesse già adottate dai due medici per salvare, senza  le conseguenze devastanti di questa infiammazione diffusa,  il maggior numero di  malati.

Si spera pertanto che d’ora in poi una cura adatta per la diagnosticata tromboflebite, che, a quanto pare, è l’autentica minaccia del Coronavirus, risolva rapidamente la malattia senza attendere, a fronte di morti quasi certe, il tempo burocratico richiesto, per la  cosiddetta “prova scientifica”. 



venerdì 1 maggio 2020

PRIMO MAGGIO





Fu l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, meglio conosciuta come Prima Internazionale, fondata a Londra il 28 settembre 1864 da Karl Marx e Friedrich Engels a gettare le basi per la futura Festa del Lavoro, dichiarando aperta la lotta per limitare la durata della giornata lavorativa a 8 ore. 
    
                     Limitation of the working day
A preliminary condition, without which all further attempts at improvement and emancipation must prove abortive, is the limitation of the working day.
It is needed to restore the health and physical energies of the working class, that is, the great body of every nation, as well as to secure them the possibility of intellectual development, sociable intercourse, social and political action.
We propose 8 hours work as the legal limit of the working day. This limitation being generally claimed by the workmen of the United States of America,'40 the vote of the Congress will raise it to the common platform of the working classes all over the world.
For the information of continental members, whose experience of factory law is comparatively short-dated, we add that all legal restrictions will fail and be broken through by Capital if the period of the day during which the 8 working hours must be taken, be not fixed. The length of that period ought to be determined by the 8 working hours and the additional pauses for meals. For instance, if the different interruptions for meals amount to one hour, the legal period of the day ought to embrace 9 hours, say from 7 a.m. to 4 p.m., or from 8 a.m. to 5 p.m., etc. Nightwork to be but exceptionally permitted, in trades or branches of trades specified by law. The tendency must be to suppress all nightwork.
This paragraph refers only to adult persons, male or female, the latter, however, to be rigorously excluded from all nightwork whatever, and all sort of work hurtful to the delicacy of the sex, or exposing their bodies to poisonous and otherwise deleterious agencies. By adult persons we understand all persons having reached or passed the age of 18 years.
La festa fu successivamente proclamata dalla Seconda Internazionale nel 1889, scegliendo il 1° maggio in memoria del giorno della repressione subita dagli operai di Chicago che tre anni prima avevano lottato per ottenere la riduzione della giornata lavorativa.

«Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria. Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e per riprodurre la sua vita, così deve fare anche l’uomo civile, e lo deve fare in tutte le forme della società e sotto tutti i possibili modi di produzione. A mano a mani che egli si sviluppa il regno delle necessità naturali si espande, perché si espandono i suoi bisogni, ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni. La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa. Ma questo rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa». [Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1970, vol. III, sez. VII, cap. 48, p. 933]