martedì 22 settembre 2020

IL VOTO ITALIANO AI TEMPI DEL COVID-19


 

 Niente di nuovo sotto il sole. Tutto è andato come era facile prevedere secondo una lettura neppure complessa dei tempi che stiamo vivendo da un anno a questa parte: il Sì al taglio dei parlamentari vince con circa il 70% dei consensi e raggiunge le percentuali più alte nel Mezzogiorno dove è più forte – giusta o sbagliata che sia – la percezione di rappresentanti del popolo spesso assenteisti e che tutto fanno tranne che occuparsi dei propri rappresentati. E nelle elezioni regionali non c’è stato il 6-0 o il 5-1 del Centrodestra astutamente temuto e sbandierato dal PD e ingenuamente sostenuto dalla coppia Meloni-Salvini. Il pareggio per 3 a 3 (Toscana, Campania e Puglia ai candidati del PD; Veneto, Liguria e Marche al Centrodestra) segna così, dal punto di vista mediatico che fa opinione, la vittoria di Zingaretti e la sconfitta di Salvini, nonostante l’acquisizione di una regione in più (Marche) da parte del Centrodestra rispetto alle precedenti elezioni regionali.

Tutto si spiega a partire da un anno fa, quando il leader della Lega con motivazioni che parvero anche plausibili (l’impossibilità di realizzare le riforme per l’immobilismo dei Cinquestelle, l’ostilità dell’Europa ai piani di spesa e il malumore dei suoi) decise di gettare la spugna ritenendo possibile andare a nuove lezioni senza tener conto (quanto ingenuamente?!) del Capo dello Stato, della volontà di sopravvivere dei parlamentari Cinquestelle, della inaspettata e fortunosa opportunità per il PD di tornare al governo, sapendosi poco attrezzato per fare opposizione. L’ostentata ingenuità di Salvini nascondeva comunque la convinzione che un eventuale governo giallorosso poco avrebbe combinato e che la via delle elezioni sarebbe stata alla fine l’unica soluzione possibile per il Paese. È a questo punto che entra in scena il Covid-19 e che si allargano di necessità i cordoni della borsa dell’Unione Europea. Tutta la strategia del leader leghista ne risulta sconvolta: i Cinquestelle ad un passo dall’estinzione si riprendono grazie alle trasfusioni di Conte e preparano l’arma del taglio dei parlamentari con cui sopravvivere e addirittura gridare vittoria, come ieri ha fatto Di Maio; il PD boccheggiante dopo le elezioni politiche si rianima e si ricompatta nell’alleanza Zingaretti-Renzi-Franceschini; Fratelli d’Italia cresce del 50% grazie ai delusi della Lega e ai fuoriusciti di Berlusconi; l’opinione pubblica terrorizzata dal virus si rifugia sotto l’ala di un governo e di un Presidente del Consiglio che si auto-elogia di continuo in TV per come combatte la battaglia contro la pandemia e un’altra convinzione si fa strada presto fra la gente: l’Europa finalmente si dimostra madre e non matrigna mettendoci a disposizione centinaia di miliardi e tutto questo per merito del governo, anzi di Conte, anzi del PD. Ed ecco arrivare “il compagno Boh”, quel Nicola Zingaretti cresciuto alla scuola di un partito vero, maestro nell’arte di temporeggiare ma anche di tessere la tela delle strategie e delle alleanze. Il segretario del PD conosce i suoi: sa che le figure più illustri del passato e del presente del suo partito sono le vestali della democrazia rappresentativa e che voteranno No al taglio dei parlamentari, ma sa che il governo ha bisogno del Sì per sopravvivere e che comunque il Sì stravincerà e allora dice ufficialmente Sì solo negli ultimi giorni e gli elettori del suo partito, se non i dirigenti, lo seguono, mentre continua a tessere la rete delle alleanze che lo inducono a sostenere che il PD è forse già il primo partito del Paese.

Dal canto suo, il Centrodestra cerca ora di usare il voto referendario, che modifica almeno quantitativamente la nostra Istituzione più importante (riducendo il numero dei parlamentari da 945 a 600), per chiedere lo scioglimento anticipato delle Camere e le sempre auspicate elezioni politiche, nella convinzione di essere ancora maggioranza nel Paese. Attenzione, però, perché non tener conto dei timori dei cittadini, d’après il Coronavirus, potrebbe rivelarsi un boomerang per i partiti del Centrodestra. E, ad ogni modo, è poco probabile che Zingaretti si lasci illudere dalla sirena elettorale rischiando di togliere al suo partito l’opportunità di gestire gli ingenti prestiti europei. Quanto a Salvini, al quale va riconosciuto in ogni caso il merito di aver portato la Lega dal 4 a oltre il 30% dei consensi, consiglierei di rivedere la strategia di un’alleanza strettissima con Fratelli d’Italia e Forza Italia che ha significato: 1) rinunciare a quella relativa autonomia dal Centrodestra che gli aveva fatto toccare percentuali persino del 35% 2) registrare un travaso di voti a favore di Fratelli d’Italia 3) assistere alla manovre non sempre limpide dei superstiti di Berlusconi, ora disponibili per un’alleanza di centrodestra, ora adescabili, come per il passato, a supportare un governo di cosiddetto centrosinistra.

 sergio magaldi


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