giovedì 27 gennaio 2022

27 GENNAIO 2022: IL GIORNO DELLA MEMORIA


 

 Il 27 gennaio dell’anno scorso pubblicavo un post con la lettera (datata nel giorno della memoria) di Emanuele Filiberto  alla Comunità Ebraica Italiana, in cui il discendente di Casa Savoia chiedeva scusa a nome della sua famiglia per le leggi razziali promulgate dal suo avo Vittorio Emanuele III. Pubblicavo altresì la ferma e giusta risposta della Comunità ebraica, nonché alcune delle leggi razziali contro gli ebrei approvate dal Parlamento italiano e promulgate dal re, da Mussolini e dagli altri ministri responsabili (Le leggi razziali preludio della Shoah clicca sopra per leggere)  

Ciò che pubblico oggi - nuova triste ricorrenza del giorno della memoria - è la lettera del Segretario di Stato agli Interni della Germania nazista che ha per tema “la soluzione finale” della questione ebraica. La lettera, nella sua aberrazione pseudoscientifica e umana, purtroppo si commenta da sola.

S.M.

 

LETTERA DI STUCKART

16 Marzo 1942

Lettera segreta del Segretario di Stato agli Interni Wilhelm Stuckart ai partecipanti alla conferenza del Wannsee, riguardante la “soluzione finale" della questione ebraica.

La questione discussa nella riunione del 20 gennaio 1942, relativa allo status da attribuire, nell'immediato futuro, ai Mischlinge ebrei di primo grado, mi induce a esaminare ancora una volta le possibilità prese in considerazione per la soluzione di questa questione, adottando l'unico criterio che non occorre sottolineare esplicitamente, rappresentato dall'interesse del popolo tedesco.

Vi è totale accordo sul fatto che il sangue ebraico, anche nel caso in cui i suoi portatori siano di sangue misto, debba essere espulso non solo dal sangue tedesco ma anche da quello Europeo. Dovrà essere assolutamente impedita, cioè, ogni mescolanza di sangue con i tedeschi o con le razze affini.

Tuttavia, a mio parere, non si può non prendere in considerazione il fatto che con il trasferimento dei mezzo-ebrei si sacrifica anche il cinquanta per cento di sangue tedesco. Dal punto di vista biologico ho sempre ritenuto estremamente pericoloso alimentare con sangue tedesco un fronte nemico.

Questo sangue è infatti in grado di produrre delle personalità in grado di utilizzare contro il sangue tedesco i preziosi caratteri ereditati da quello stesso sangue.
L'esperienza ci insegna che l'intelligenza e la cultura, insieme al patrimonio ereditario germanico, fanno dei mezzo-ebrei emarginati dal popolo tedesco, dei leader nati e quindi dei pericolosi nemici.

Questo aspetto acquista un peso ancora maggiore, se lo si considera in una ottica europea. Non ho alcun dubbio sul fatto che in Europa la soluzione di questo problema debba avvenire seguendo una linea sostanzialmente unitaria.

Tuttavia, se i mezzo-ebrei venissero separati anche dagli altri popoli europei e trasferiti altrove, ciò equivarrebbe a respingere centinaia di migliaia di detentori di un patrimonio ereditario tedesco o di razza affine che, sottratti alla nostra influenza, potrebbero in futuro schierarsi contro di noi.

Nell'interesse del popolo tedesco nutro a riguardo dubbi così forti da ritenere improponibile la strada della equiparazione tra mezzo-ebrei ed ebrei, e di conseguenza del loro trasferimento, privilegiando invece quella dell'estinzione naturale dei primi. A tal fine sarebbe però necessario un arco di tempo di 3-4 decenni.

E' tuttavia preferibile questa soluzione, che peraltro presenta il vantaggio di conservare della manodopera volenterosa, piuttosto che esporsi alle conseguenze estremamente pericolose dal punto di vista politico generale, derivanti da un improvviso trasferimento.

Per quanto riguarda il pericolo biologico rappresentato dai mezzo-ebrei, mi permetto di riproporre la proposta di sterilizzazione di tutti i Mischlinge di primo grado, che non si rivelassero già sterili per altri motivi, che è stata da me avanzata nella riunione del 20 gennaio 1942.

Sotto il profilo biologico-razziale con la sterilizzazione verrebbe meno ogni esigenza di affrontare diversamente la questione.

 


mercoledì 26 gennaio 2022

QUIRINAL SHOW: la guerra delle due rose


 

 Al terzo giorno di esibizione della politica, è previsto per oggi l’allestimento dell’opera semiseria La guerra delle due rose. La scelta dello spettacolo è giustamente rivendicata dal Centrodestra che lancia la sua rosa con Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera. Il Centrosinistra, in un barlume di saggezza improvvisamente ritrovata, evita al momento di contrapporre una sua rosa, ma c’è chi dice che alla fine dovrà farlo e che gli alfieri prescelti saranno Andrea Riccardi e Giuliano Amato (!).

 

Per la verità, i sempre bene informati sulle vicende del Quirinale dicono anche altro, e cioè che la vera candidata del Centrodestra è Maria Elisabetta Alberti Casellati, la senatrice laureata in Legge e specializzata in Diritto Canonico presso l’Università Pontificia Lateranense la quale, da funzionaria di Berlusconi, è assurta alla seconda carica dello Stato grazie all’accordo di inizio legislatura tra Movimento Cinque Stelle e Centrodestra.

 

Sempre secondo le stesse voci, la Casellati potrebbe riuscire nell’impresa che il suo Superiore Naturale ha dovuto abbandonare, giacché si ritiene che alla fine possa contare sui voti della stessa maggioranza che al momento sostiene il governo di Mario Draghi. E se proprio non dovesse farcela, c’è sempre il solito democristiano di turno (Pier Ferdinando Casini) che alla fine potrebbe spuntarla grazie alla mediazione di Matteo Renzi, il più bravo in questo ufficio.

 

D’altra parte, per il Presidente del Consiglio si configura sempre di più “la missione” di restare a Palazzo Chigi – come si sente ripetere da più parti – “per il bene del Paese”. Una maniera ipocrita per farlo fuori da tutto, restituendo la sovranità ad una classe politica che sembra avere il complesso del nano di fronte al gigante. Draghi al Quirinale è il solo italiano in grado di offrire sette anni di garanzia all’Europa e al mondo, Draghi a Palazzo Chigi, a capo di un governo che al massimo può avere otto mesi di vita è poco più di una presa in giro. Perché otto mesi? Perché dopo il 24 settembre di quest’anno verranno meno le ragioni che oggi impediscono lo scioglimento anticipato delle Camere: i parlamentari al primo mandato (e sono tanti in questo Parlamento!) avranno infatti (con quattro anni, sei mesi e un giorno) maturato il diritto alla pensione. A quel punto, la maggioranza si scioglierà come neve al sole e i partiti si dedicheranno alla campagna elettorale per le elezioni politiche del 2023.

 

Draghi a capo del nuovo esecutivo del “dopo-elezioni”? Improbabile, anzi addirittura impossibile, a meno che non esca fuori un Parlamento senza una maggioranza politica. Diversamente, questa sprovveduta classe politica tornerà ad occupare anche Palazzo Chigi, lieta di essersi definitivamente sbarazzata dell’ ”alieno” e poco sollecita, come al solito, delle sorti del Paese e del bene dei cittadini cosiddetti sovrani.

 

sergio magaldi


martedì 25 gennaio 2022

Massoneria Onair 27-01-22 N.9. La Spada Fiammeggiante

lunedì 24 gennaio 2022

Zibaldone Online N.17 24-01-22. Quirinale: buona la prima?

domenica 23 gennaio 2022

DEMOCRISTIANI INESAURIBILI PER IL COLLE


 


  Dopo il “pronunciamento” di Silvio Berlusconi, che – bontà sua – si ritira dalla corsa per il Quirinale lanciando un “opa” perché Mario Draghi resti alla Presidenza del Consiglio e quindi non salga al Colle, il nome che maggiormente risuona nelle stanze della politica è quello di Pier Ferdinando Casini, 66 anni, bolognese, che vanta il primato della maggiore anzianità parlamentare.

 

Da un democristiano di sinistra a un democristiano di destra, ancorché rieletto senatore nel 2017 con i voti della sinistra. Davvero inesauribile l’archivio del partito che ha governato l’Italia per cinquant’anni! Un altro nome che echeggia nel palazzo della politica è quello di Giuliano Amato, gradito al centrosinistra e al centrodestra ma poco amato nel Paese che ancora lo ricorda, per così dire, con le mani nei conto correnti degli italiani. Sullo sfondo, naturalmente, resta pur sempre il nome di Mario Draghi, malgrado o piuttosto grazie al suddetto pronunciamento del Cavaliere.

 

Si sente ripetere che l’indicazione di un nome e/o di una rosa per il Quirinale spetterebbe questa volta al Centrodestra per il maggior numero di grandi elettori. In realtà, considerando anche i voti di Italia Viva (ex Pd) e una buona parte di quelli appartenenti al Centro Democratico e al Gruppo misto, le forze in campo più o meno si bilanciano. Inoltre, i quattro delegati regionali in più del Centrodestra (30, contro i 26 del Centrosinistra e i 2  dell’Unione di centro) non modificano granché la situazione, anche considerando l’orientamento prevalente a sinistra dei 6 senatori a vita, se dovessero votare.

 

Ciò premesso, Salvini, dopo il ritiro di Berlusconi, ha annunciato una rosa di tre nomi. Se si tratta di Frattini, Casellati e Pera, difficilmente sarebbero accettati perché considerati troppo di parte (come lo sarebbe Franceschini per l’altra parte) e oltretutto poco popolari tra i cittadini (ammesso che questo conti per i professionisti della politica).

 

Più sottile l’atteggiamento del Centrosinistra, orientato per il momento a votare (con il quorum a 673 voti per le prime tre votazioni e 505 dalla quarta) un candidato di bandiera che potrebbe essere Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Con la riserva di prendere in mano la candidatura di Mario Draghi dalla quarta votazione in poi, togliendo l’opportunità al Centrodestra che resterebbe col cerino in mano, dovendo alla fine accodarsi o assumersi la responsabilità di spaccare il Paese. Ecco perché la candidatura  di Casini, e purtroppo quella di Amato, restano alternative possibili e comunque di ripiego per Salvini e soci.

 

Come al solito, il Centrodestra sbaglia i tempi e rischia di lasciare la candidatura del nome più prestigioso ai suoi avversari. L’esternazione di Berlusconi circa la necessità che Draghi resti alla Presidenza del Consiglio per completare la sua opera con le tre riforme (fisco, burocrazia e giustizia) chieste dall’Europa è fuorviante e pericolosa. Intanto perché il governo potrebbe cadere già dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, poi perché è comunque impossibile che resti in carica con questa maggioranza sino alla fine della legislatura, considerando la necessità dei partiti di differenziarsi tra di loro in vista delle elezioni: è soprattutto il caso della Lega che non può lasciare sino alla fine il primato dell’opposizione a Fratelli d’Italia. E dopo le elezioni è improbabile il ritorno di Draghi a Palazzo Chigi.

 

In conclusione, ci sono due modi soltanto per sottrarsi ai “ludi quirinalizi” che si annunciano al Colle per i prossimi giorni e che rischiano di rendere ancora più complicata la situazione di un Paese già stremato dalla pandemia e da una sorta di dittatura sanitaria. Il primo, ancorché forse poco democratico nella forma (ma sarebbe l’eccezione di questi tempi?) passa per un accordo che porti alla rielezione di Mattarella sino al termine della legislatura e alle sue successive dimissioni per eleggere Draghi al Colle, il quale nel frattempo avrebbe ancora un po’ di tempo per completare il suo lavoro alla Presidenza del consiglio. Ciò che, mutatis mutandis, capitò già con Napolitano, per intenderci ma, a parte il fatto che Mattarella ha manifestato ampiamente la sua ferma volontà di lasciare il Quirinale, circolano voci che, anche se alla fine dovesse cambiare idea, il Presidente non accetterebbe mai un mandato tacitamente condizionato. Detta diversamente, c’è minore voglia di sacrificarsi per il Paese di quanta ne ebbe Napolitano. A meno che non sussistano gravi problemi di salute.

 

Il solo altro modo – il più realistico e il più semplice – è l’accordo per portare Mario Draghi al Colle senza che uno schieramento politico di parte pretenda di assumersene il merito e rinsaldando l’accordo di governo sino al termine della legislatura o giù di lì. Non si tratta di essere, per così dire, ossessionati dal nome dell’ex governatore della BCE, ma di quello che, almeno in questa congiuntura, farebbe qualsiasi altro paese occidentale per garantirsi la fiducia dei mercati, la ripresa economica e la credibilità politica.

 

sergio magaldi      


venerdì 21 gennaio 2022

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte quindicesima e ultima)


 

SEGUE DA:

 

LE FORME   DEL PENSIERO: CRITICITA’ E  DOGMATISMO (Parte prima)

 

LE FORME  DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO: CRITICITA’ E  DOGMATISMO (Parte terza)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO  (Parte quinta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte sesta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte settima)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte ottava)

 

LE FORME    DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte nona)

 

LE  FORME   DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte decima)

 

LE  FORME   DEL  PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte undicesima)

 

LE  FORME   DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte dodicesima)

 

LE  FORME  DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte tredicesima)

 

LE  FORME  DEL    PENSIERO:  CRITICITA’   E  DOGMATISMO (Parte quattordicesima)

 

 Il cabbalista fa di tutto per attrarre la Shekinah nel mondo. Lo Zohar assegna simbolicamente alla Shekinah la figura femminile. Al contrario, la donna nella tradizione ebraica è talora vista come immagine di Lilith. La stessa ambivalenza c'è nelle donne dei romanzi di Kafka, egli, tuttavia, non può fare a meno di notare che da loro deriva spesso un grande aiuto.

Il primo ‘aiuto’ di Leni, la segretaria dell'avvocato Huld nel Processo, è il gran fracasso con cui attira l’attenzione di Josef K. per sottrarlo alla noia dei discorsi tra lo zio, l’avvocato e il cancelliere capo del tribunale. E’ lei che lo introduce nello studio dell’avvocato ed è ancora lei a suggerirgli la giusta strategia da adottare durante il processo:

«Non stia a domandare nomi, ma guarisca di questo suo errore, non sia più così ostinato, contro questo tribunale non si può difendersibisogna finire per confessare. Alla prossima occasione confessi tutto. Solo quando si è confessata la colpa si ha la possibilità di sfuggire, solo allora. Ma anche questo non è possibile senza aiuto di altri, però non deve preoccuparsi per questo aiuto, penserò io stessa ad aiutarlo» (Ibid., p104).

Seguirà poi la scena della seduzione, quando K. è trascinato sul tappeto e Leni gli sussurra: ‘Ora sei mio’. Poco prima, tuttavia, Kafka, che non smette mai di divertirsi, non perde occasione per alludere al ghilghul e al molteplice ‘scambio’ che intercede tra vita animale e vita umana: tra i due si parla di difetti fisici e Leni dice: «

‘io per esempio ne ho uno, guardi qua’ e stese il medio e l’indice della destra che erano congiunti fra loro da una membrana fin quasi all’ultima falange. Nel buio K. non capì subito quello che gli voleva far vedere, ed essa perciò gli guidò la mano perché sentisse la sua. ‘Che scherzo di natura!’ esclamò K., E quando ebbe esaminata tutta la mano aggiunse: ‘Che bella zampetta!’ » (Ibid. pp.105-106).

Anche Frida nel Castello si rivela un aiuto speciale e una presenza soccorritrice. Anche lei, come Leni, è in contatto con l’Alto e per certo tempo si propone come efficace intermediario tra l’agrimensore K. e il suo diretto superiore, l’invisibile signor Klamm. L’amore di Frida è ricambiato dall’agrimensore con riluttanza e senza abbandono e benché si avveda che in lei ‘c’è qualcosa di allegro, di libero’, egli ha come l’impressione di smarrirsi nell’abbraccio con la donna e teme che le sue speranze di ascesa vadano in fumo.

La verità è che nessun aiuto è efficace né per giungere sino al Signore del Castello né per mitigare la sentenza del Giudice del Tribunale. Ne sa qualcosa il cabbalista Eliya de Vidas che in Reshit Chokhmà  parla di un tribunale sempre presente, che in ogni momento può intervenire nella vita umana concreta con malattie e sofferenze di ogni tipo e il cui verdetto può essere rinviato, ma può anche portare subito a morte. Ne sa qualcosa Giobbe nel gridare a Dio il suo dolore: "Signore perché dai importanza all'uomo? Perché lo controlli  ogni giorno e ogni momento lo metti alla prova ? (Giobbe,7, 18)

In conclusione, dunque, vorrei dire che il pensiero sapienziale della tradizione occidentale, pur nelle continue interferenze col pensiero religioso, appare in grado di rivendicare una propria peculiare elaborazione anche e nonostante la presenza del divino, la cui imperscrutabile lontananza, come nel monoteismo ebraico e la cui costante presenza, come nel politeismo greco, nulla possono sulla libertà umana e sull'umano sapere.

 sergio magaldi


lunedì 17 gennaio 2022

giovedì 13 gennaio 2022

Massoneria On Air N.7 13-01-22 La Stregoneria

lunedì 10 gennaio 2022

lunedì 3 gennaio 2022

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte quattordicesima)


 

SEGUE DA:

 

LE FORME  DEL  PENSIERO: CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte prima)

 

LE FORME  DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)

 

LE FORME  DEL PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte terza)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO  (Parte quinta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte sesta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte settima)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte ottava)

 

LE FORME    DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte nona)

 

LE  FORME   DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte decima)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte undicesima)

 

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte dodicesima)

 

LE  FORME  DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte tredicesima)

 

 

 L’En Soph, il Nulla che fa disperare i discepoli di Isacco il Cieco perché a Lui si deve guardare ma senza parlarne, diventa in Kafka il Dio che quando pensa a noi è perché in lui affiorano pensieri nichilistici, pensieri di suicidio. C’è di più: chi prenderebbe le righe iniziali del piccolo racconto Il nuovo avvocato (il dottor Bucefalo) per la trasposizione romanzesca del Libro della trasmigrazione delle anime della scuola di Luria, chi crederebbe seriamente che qui si stia parlando della dottrina del Gilgul? Ecco allora la grande comicità di Kafka, messa giustamente in luce da Thomas Mann, la sua geniale capacità di fare incursione nel sacro per trarne argomento di riso. Ma Kafka non dissacra, al contrario! Ci mostra invece che il grottesco finisce per essere, fatalmente, la modalità umana, inconsapevole e sapienziale, di vivere il sacro.

 

Ma ci sono altri esempi: la fisiognomica o arte di leggere i segni del viso e del corpo, è oggetto di specifici trattati cabbalistici (come il Sefer Chokhmat ha-Parzuf ) e costituisce una importante sezione dello Zohar. L’esito di un processo, dice il commerciante Block a Josef K., nel romanzo di Kafka, può spesso dipendere dal viso dell’accusato, specialmente dalla linea delle sue labbra. Il lettore, anche quello meno distratto, non si sognerebbe mai di pensare che si stia parlando di Qabbalah, egli è piuttosto attratto dalla garbata comicità che traspare dal colloquio e dal fondo quasi surreale della narrazione su cui si staglia prepotente e improvvisa una verità di cui il lettore è certamente a conoscenza: la lunghezza dei processi. Ma, per l’ennesimo paradosso, tale lunghezza è un bene più che un male per l’imputato, visto che nei tribunali del Processo i giudizi definitivi e favorevoli sono rari o addirittura inesistenti, a prescindere, naturalmente, dall’innocenza o dalla colpevolezza dell’imputato.

 

Ecco un modo per sorridere di un’antica dottrina e portarla dal cielo alla terra. Persino quando si parla del ‘posto’ che la Torah riserva ad ogni ebreo non muta la modalità kafkiana di sorridere in faccia al destino. Nel breve racconto Davanti alla legge, ripreso anche nelle ultime pagine del Processo, rivive la leggenda del guardiano della soglia:

 

 «Davanti alla Legge sta un usciere. A lui si rivolge un campagnolo e chiede di entrare nella Legge. Ma l’usciere dice che per il momento non gli può consentire l’accesso. L’uomo riflette, poi chiede se potrà entrare più tardi. ‘Forse’, dice l’usciere, ‘ma non ora’ (…) L’usciere gli offre uno sgabello e la fa sedere vicino alla porta. Lì quello siede, giorni e anni. Compie parecchi tentativi per essere ammesso nell’interno, stanca l’usciere con le sue preghiere (…) L’uomo, che per il viaggio s’era provvisto d’un gran corredo, ricorre a tutto, non importa se sono cose di valore, per corrompere l’usciere. Quello non respinge i doni, ma dice: ‘Accetto solo perché tu non creda di avere lasciato qualcosa d’intentato’. Per anni e anni, l’uomo non cessa d’osservare l’usciere (…) Infine la sua vista s’indebolisce (…) Non ha più molto da vivere. Prima della morte, tutte le vicende degli ultimi tempi, concentrate nella sua testa, si traducono in una domanda che ancora non ha rivolto all’usciere (…) ‘Se tutti aspirano alla Legge’, dice l’uomo, ‘come mai, in tanti anni, nessuno, oltre me, ha chiesto di entrare?’. Il guardiano capisce che l’uomo è agli estremi e per farsi intendere ruggisce contro il suo orecchio ormai chiuso: ‘Qui nessuno poteva entrare, la porta era destinata solo a te. Ora me ne vado e la chiudo’. » (F.Kafka, Racconti, tr.it., Feltrinelli, VI Ed., Milano, 1965, pp.137-139)

 

S E G U E

 

sergio magaldi