martedì 11 gennaio 2011

"IL CIMITERO DI PRAGA" DI UMBERTO ECO








“Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria. L’odio è la vera passione primordiale. È l’amore che è una situazione anomala”.

Ecco l’unico credo del capitano Simonino Simonini, il protagonista dell’ultimo romanzo di Umberto Eco [IL CIMITERO DI PRAGA, Bompiani, Milano 2010, pp.523, Euro 19,50], il solo personaggio non vero dell’intera vicenda, ma sintesi emblematica di altrettanti individui reali. E di nemici, Simonino ne ha molti: i tedeschi: “[…] il più basso livello di umanità concepibile. Un tedesco produce in media il doppio delle feci di un francese. Iperattività della funzione intestinale a scapito di quella cerebrale, che dimostra la loro inferiorità fisiologica […]. E bastasse: è tipica del tedesco la bromidrosi, ossia l’odore disgustoso del sudore, ed è provato che l’orina di un tedesco contiene il venti per cento di azoto mentre quella delle altre razze solo il quindici […]. Si riempiono la bocca del loro Geist, che vuol dire spirito, ma è lo spirito della cervogia, che istupidisce sin da giovani, e spiega perché oltre il Reno non si sia mai prodotto niente d’interessante nell’arte, salvo alcuni quadri con ceffi ributtanti e poemi di una noia mortale” [cit. pp. 12-13].

Che dire poi dei francesi? Non amano i propri simili, sono cattivi e uccidono per noia: "È l’unico popolo che ha tenuto occupati per vari anni i suoi cittadini a tagliarsi reciprocamente la testa, e fortuna che Napoleone ha deviato la loro rabbia su quelli di un’altra razza, incolonnandoli a distruggere l’Europa. Sono fieri di avere uno stato che dicono potente ma passano il tempo a cercare di farlo cadere: nessuno come il francese è bravo a far barricate […]".

I transalpini, inoltre, credono che tutto il mondo parli francese e sono divorati da spocchia nazionale. In più, loro vizio preclaro è l’avarizia che chiamano parsimonia: “L’avarizia la si vede dai loro appartamenti polverosi, dalla tappezzeria mai rifatta, dalle bagnarole che risalgono agli antenati, dalle scale a chiocciola in legni malfermo per sfruttare grettamente il poco spazio”. [cit. pp.15-17].
Per non parlare degli abitanti del Bel Paese, a cominciare dai siciliani: “mulatti […]non per errore di una madre baldracca ma per storia di generazioni, nati da incroci di levantini malfidi, arabi sudaticci e ostrogoti degenerati, che hanno preso il peggio di ciascuno dei loro ibridi antenati, dei saraceni l’indolenza, degli svevi la ferocia, dei greci l’inconcludenza e il gusto di perdersi in chiacchiere sino a spaccare un capello in quattro”.

Per continuare con gli italiani in generale e coi preti in particolare: “L’italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento […]. È che gli italiani si sono modellati sui preti, l’unico vero governo che abbiano mai avuto […]. I preti…Come li ho conosciuti? A casa del nonno, mi pare, ho il ricordo oscuro di sguardi fuggenti, dentature guaste, aliti pesanti, mani sudate che tentavano di accarezzarmi la nuca. Che schifo. Oziosi, appartengono alle classi pericolose, come i ladri e i vagabondi […]. Ti parlano con orrore del sesso ma tutti i giorni li vedi uscire da un letto incestuoso senza neppure essersi lavati le mani, e vanno a mangiare e bere il loro signore, per poi cacarlo e pisciarlo”. [cit.pp.17-18].

Sono molti i nemici di capitan Simonini, comprese le donne che odia senza essere omosessuale, il primato dell’odio spetta però ai gesuiti e ai massoni, considerati alla stregua di fratelli carnali [“I gesuiti sono massoni vestiti da donna”, cit. p.20] e soprattutto e naturalmente agli ebrei!

La matrice di questo odio robusto se non addirittura feroce [ma sempre vissuto con lucida e spietata ironia] è rintracciabile sin dall’infanzia. Simonino è vissuto con il nonno, Giovan Battista Simonini, ufficiale dell’esercito sabaudo e nostalgico dell’Ancien Régime. Personaggio vero, ricordato per una lettera all’abate Barruel, autore dei Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme… dove si sostiene che la rivoluzione francese è stato il più recente capitolo di una cospirazione universale condotta dai templari contro il trono e l’altare. Nella lettera che il nonno rilegge ossessivamente al nipote c’è però dell’altro: “ […] Oh! Quanto bene avete smascherato queste sette infami che preparano le vie dell’Anticristo […] Ve ne è una però che voi non avete toccato che leggermente […]. Voi ben capite, Signore, che io parlo della setta giudaica. Essa sembra del tutto separata e nemica delle altre sette; ma realmente non l’è. Infatti, basta che una di queste si mostri nemica del nome cristiano perché essa la favorisca, la stipendi, la protegga. E non l’abbiamo noi vista, e non la vediamo prodigare il suo oro e il suo argento per sostenere e guidare i moderni sofisti, i framassoni, i Giacobini, gl’Illuminati? Gli ebrei, dunque, con tutti gli altri settari, non formano che una sola fazione, per distruggere, se è possibile, il nome cristiano. E non crediate, Signore, che tutto questo sia una mia esagerazione. Io non espongo alcuna cosa che non mi sia stata detta dagli ebrei stessi…” [cit.pp.64-65].
A chi si riferisce il nonno di Simonino? A tale Mordechai, un ebreo conosciuto nel ghetto di Torino, dove da giovane era stato costretto a nascondersi per sfuggire ai soldati di Napoleone. E quanto costui fosse stato descritto come personaggio poco raccomandabile, lo si desume dal costante ammonimento del nonno al nipote: “Se non fai il buono e non vai a dormire subito questa notte ti visiterà l’orribile Mordechai.” [cit. p.73]

La personalità di Simonino Simonini, tuttavia, si nutre in gioventù di altre pietanze: la memoria e i libri di suo padre, carbonaro caduto per la libertà, l’esperienza di assistente-notaio e poi di notaio che lo porterà ad apprendere ed esercitare “l’arte” di falsificare i documenti. Ciò che gli varrà più tardi l’incarico da parte dei servizi segreti dello Stato sabaudo di seguire Dumas e Garibaldi durante l’impresa dei Mille, allo scopo di cavarne notizie utili contro le minacce d’indipendenza e di repubblica dei mazziniani. E Simonino scopre più che altro che la spedizione in Sicilia è voluta dai massoni: quelli al governo del Piemonte, Cavour in testa, e quelli che combattono in Sicilia al fianco di Garibaldi, per non parlare dei massoni inglesi che la sostengono con milioni di ducati! E naturalmente tra costoro molti sono gli ebrei, perché se è vero che “non tutti i massoni sono ebrei, tutti gli ebrei sono massoni” e inoltre tutti i riti massonici hanno origini cabalistiche[cit. p.154 e p.370] e tutto ciò che ha a che fare con la massoneria ha anche a che fare con l’ebraismo. Non a caso nel 1885, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia [G.O.I.], fu eletto Adriano Lemmi che unificò tra loro varie Obbedienze massoniche. Ma il Narratore ci ricorda che tale Domenico Margiotta in una sua opera ha fatto del Lemmi questo quadro edificante: “[…] raccontava che avrebbe iniziato la sua carriera facendo il ladro[…] aveva falsificato una lettera di credito[…] sottratto una borsa di perle e 300 franchi d’oro alla moglie di un medico suo amico […]. Dopo un periodo di galera era sbarcato a Costantinopoli, dove si era messo al servizio di un vecchio erbaiolo ebreo, dicendo che era pronto a rinnegare il battesimo e a farsi circoncidere. Aiutato dagli ebrei aveva poi fatto la carriera che sappiamo all’interno della massoneria” [cit. p.437].

Le informazioni del Margiotta – osserva ancora il Narratore – ebbero l’effetto di coinvolgere gran parte del mondo politico italiano. Perché in Italia tutto va bene se ci si limita a pubblicare notizie fantasiose sui riti massonici, male se ci si sofferma troppo sui rapporti tra massoneria e potere politico.

È un fatto che le varie relazioni del capitano-notaio piacciano sempre meno ai servizi segreti e che la sua stessa figura rischi di diventare compromettente per il governo sabaudo. Ecco allora Simonini lavorare a Parigi, prima per i servizi segreti di Napoleone III, poi per quelli della Repubblica. Ma l’esperienza con lo stato sabaudo gli ha insegnato una massima preziosa: non è tanto importante nel suo mestiere avere segreti reali da vendere quando dare l’impressione di averne! E Simonino Simonini si arricchisce inventando e falsificando documenti, collaborando con i cattolici a corrompere un massone [Léo Taxil] e poi con i massoni a compromettere i cattolici, incastrando l’ufficiale ebreo Dreyfus con un documento falso, partecipando a riti satanici e uccidendo, sino al colpo suo più geniale, quello che ha sempre sognato di compiere, da quando era bambino, forse per compiacere il nonno. Un documento concepito per incarico contro gli ebrei russi: nel cimitero di Praga, presso la tomba di rabbi Löw, alla mezzanotte convengono12 individui avvolti in mantelli scuri, rappresentanti delle dodici stirpi d’Israele. Un tredicesimo personaggio sbucato all’improvviso evoca lo spirito di rabbi Löw. Si salutano e fanno il punto, dopo cento anni, sul progetto di conquista del mondo da parte degli ebrei… Poco a poco, il documento del convegno del cimitero di Praga, concepito dal Simonini si arricchirà di ulteriori contenuti e falsificazioni sino ad approdare nel 1905 nel manoscritto dei Protocolli degli Anziani di Sion, il libro più tradotto al mondo, dopo la Bibbia. Denunciati come falsi nel 1921, i Protocolli sono citati nel Mein Kampf [I,11] di Hitler e diventano la giustificazione teoretica della soluzione finale: “Come l’esistenza di questo popolo poggi su una continua menzogna, appare nei famosi Protocolli dei Savi di Sion. Essi si fondano su una falsificazione, piagnucola ogni settimana la Frankfurter Zeitung: e in ciò sta la migliore prova che sono veri…Quando questo libro diventerà patrimonio comune di tutto il popolo, il pericolo ebraico potrà considerarsi eliminato” [cit.p.521].

Che dire di questo ultimo romanzo di Umberto Eco? L’intreccio è certamente complesso e di difficile lettura e l’idea di raccontarlo attraverso le figure di un Narratore, del Simonini e del suo alter ego, l’abate Dalla Piccola, non sempre si rivela la più adatta a facilitarne la comprensione. Anche se ha il pregio di sottrarre la narrazione al solito espediente del manoscritto ritrovato e anche se nella dialettica Simonini-Dalla Piccola si può osservare il conflitto del capitano-notaio-spia-falsario e terrorista con se stesso, forse con quella parte di sé che più gli ricorda il nonno e l’infanzia. Perché, se è vero che Simonino Simonini rappresenta un soggetto collettivo che opera nella storia a più riprese e che è sempre attuale, non si può non rilevare la sua sostanziale singolarità al di dentro dell’unità narrativa. Quanto ai lettori, Eco non se ne preoccupa molto. Chi lo ha letto in passato continuerà a leggerlo. Chi non lo ha mai fatto, certo non comincerà dal Cimitero di Praga. Poi c’è sempre la vasta gamma di chi acquista, ma non legge e che forse rappresenta la percentuale più alta dei cosiddetti consumatori. A me personalmente il libro è piaciuto e a tratti anche divertito. Restano tuttavia alcune considerazioni non marginali. La prima è il riferimento all’attualità. Perché i servizi segreti esistono in tutto il mondo e l’abitudine a confezionare con grande spreco di denaro pubblico documenti e dossier, veri e più spesso falsi, a scopo politico, è sempre e più che mai attuale: “Simonino Simonini è ancora tra noi”, osserva Umberto Eco. La seconda è il risentimento che il romanzo ha suscitato in Vaticano. Su L’Osservatore Romano del 30 Ottobre u.s., Lucetta Scaraffia giudica il romanzo “noioso, farraginoso, di difficilissima lettura” dove “Naturalmente i cattolici, nel ruolo di persecutori – soprattutto i gesuiti, che sarebbero adusi ad ogni bassezza – sono rappresentati come caricature mostruose”. La Scaraffia, tuttavia, ammette che Eco non ha una speciale antipatia per la Chiesa, visto che “tutti coloro che compaiono a vario titolo nel romanzo, sono orrendi, sporchi e compromessi con il male. Anche i mazziniani, i socialisti, i repubblicani, i massoni”.

Dove tuttavia la storica cattolica è certa di colpire [anche se Umberto Eco si dice convinto che “la presa di posizione” del Vaticano gli varrà almeno cinquecentomila lettori in più!] è quando osserva che ciò che preme all’autore “è fare sfoggio di una sterminata erudizione storico-letteraria e dare prova di abilità intellettuale nel mettere insieme dei pezzi di storia con episodi inventati”. O quando, facendosi paladina degli ebrei, insinua che “Non si può negare, invece, che le continue descrizioni della perfidia degli ebrei facciano nascere un sospetto di ambiguità, certo non voluta da Eco ma aleggiante in tutte le pagine del libro. A forza di leggere cose disgustose sugli ebrei, il lettore rimane come sporcato da questo vaneggiare antisemita, ed è persino possibile che qualcuno pensi che forse c’è qualcosa di vero se tutti, proprio tutti, i personaggi paiono certi di queste nefandezze”.

La tesi è senz’altro suggestiva ancorché arcinota, ma si resta perplessi conoscendo il pulpito dal quale si leva la predica. Inoltre un cattolico come Massimo Introvigne, nel suo intervento a L’infedele di Gad Lerner, dichiara esplicitamente di non condividere il rischio di “antisemitismo involontario”denunciato sull’Osservatore romano. Nella stessa prospettiva di Lucetta Scaraffia, anche se in toni diversi e problematici, si muove invece Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma. Nella Conversazione tra Umberto Eco e Riccardo Di Segni, moderata da Wlodek Goldkorn [L’espresso – Conversazione tra Umberto Eco e il rabbino Riccardo Di Segni], il rabbino capo mostra di aver letto il romanzo con attenzione, a differenza del moderatore che assegna al libro 600 pagine, quando l’autore ne utilizza 512 per narrare l’intera vicenda e 525, indice compreso, in tutto. A giudizio di Riccardo Di Segni il messaggio di Eco è pericoloso per la sua ambiguità e il lettore può finire per chiedersi se non ci sia qualcosa di vero nei delitti attribuiti agli ebrei e nel loro progetto di governare il mondo. Inoltre, osserva ancora il rabbino capo, se nei complotti orditi dai gesuiti e dai massoni emergono sempre figure poco raccomandabili, perché - può domandarsi il lettore - la stessa cosa non dovrebbe valere anche quando si parla dei cosiddetti complotti degli ebrei? Umberto Eco ammette che a tale proposito possa nascere un problema di coscienza, ma il suo lettore dovrebbe capire che nulla è vero e che si tratta solo di “dossieraggio”. Il fine del libro è proprio quello di mostrare come si costruisca in modo persuasivo un falso storico. Ciò che va bene per oggi come per ieri. C’è infatti una forma trascendentale del complotto che vale sempre e c’è una tesi che si dimostra universalmente vera: qualsiasi “verità” se ben costruita può essere data in pasto efficacemente all’opinione pubblica. Il potere si serve del complotto e del segreto. Ma i complotti, se veri, sono subito smascherati, quando non lo sono è perché sono falsi e si alimentano di segreti inesistenti e tuttavia utili a tenere desta la fantasia dei popoli contro i propri nemici. Insomma, per dirla con Armando Torno sul Corriere della Sera: “È sufficiente parlare di una cosa per farla esistere”.

Sull’ultima domanda posta dal moderatore e riguardante “l’antisemitismo oggi”, Umberto Eco e Riccardo Di Segni convergono nel ritenere che anche coloro che si dichiarano attualmente amici di Israele, unicamente per questioni di potere e di finanza, possano in realtà essere imbevuti di concetti antisemiti.

Cattolici ed Ebrei hanno detto la loro. E i Massoni? Lo fanno all’ Infedele di Gad Lerner, con l’intervento del Gran Maestro del G.O.I. Gustavo Raffi che parla giustamente di una massoneria vista nel romanzo di Eco come grande tentacolo dell’ebraismo, per scardinare, attraverso il libero pensiero, il cristianesimo dalle coscienze. Mentre Erasmo notizie, Bollettino d’informazione del Grande Oriente d’Italia, del 15 Novembre u.s., gli dedica due pagine. Nell’articolo, l’atteggiamento sul lavoro di Eco appare genericamente favorevole, anche perché molti sono i riferimenti alla massoneria, ma dietro le parole si ha come l’impressione di un rammarico per non aver lasciato parlare la “vera” massoneria: “Della Massoneria il romanzo ne parla, eccome. Solo di citazioni esplicite, cioè di parole ‘massoneria’ o ‘logge’, si contano 106 ricorrenze in 516 pagine. Ovviamente, come scriveva Giordano Bruno, ‘non basta guardare il cielo per conoscere davvero le stelle’. E così lo sguardo sulla massoneria è spesso solo fenomenologico”. [Erasmo, Anno XI, n.19, 2010, p.5]. Sorprende, tuttavia, il mancato riferimento ad Adriano Lemmi, capo storico e Gran Maestro del G.O.I. dal 1885 al 1895, laddove, nel romanzo, di lui si parla in modo certo non lusinghiero, probabilmente utilizzando fonti cattoliche e antimassoniche. Tanto più sorprende, proprio mentre il Comune di Livorno e il Comitato livornese per la promozione dei valori risorgimentali, in collaborazione con il Grande Oriente d’Italia, ha recentemente organizzato un convegno in suo onore: Adriano Lemmi fra politica, economia e fratellanza.

sergio magaldi


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