SEGUE DA:
NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia (clicca sul titolo per
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NOTE SULLA QABBALAH: parte II, antecedenti storici dello Zohar (clicca sul titolo per leggere)
NOTE SULLA QABBALAH: parte III, astrologia cabbalistica (clicca sul titolo per leggere)
NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo per leggere)
NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato
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NOTESULLA QABBALAH: parte VI, qabbalah e gnosticismo (clicca sul titolo per
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NOTESULLA QABBALAH: parte VII, il giardino dell’Eden (clicca sul titolo per
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Avvertenza: per leggere le lettere ebraiche occorre il font hebrew
Così come non c’è che un solo albero, anche le acque, benché
distinte in superiori e inferiori, provengono entrambe da una sola fonte. Com'è
detto in Tiqqune ha-Zohar (Gli ornamenti dello splendore): "Invero
le pietre di marmo puro sono le due yud, comprese nell'Alef,[1] l'una superna e l'altra
inferiore, e perciò non vi è impurità [...] né (vera e propria) distinzione tra
acqua e acqua, poiché tutto è unito assieme e proviene dall'albero della vita
che è la Waw posta al centro dell'Alef". E in Zohar (II, 84b) è detto che
queste due Yud sono le stesse due gocce di Tal, rugiada l
f che il signore rese solide come pietre
preziose e con un soffio appiattì per farne le tavole della Legge. Solo
allorché il Signore decide di punire l’umanità indegna e di distruggere il
mondo, le due acque divengono incompatibili tra di loro. Perché l’Altissimo scelse l’acqua e non, per
esempio, il fuoco per distruggere l’umanità indegna? Una risposta è contenuta
nel trattato Noah dello Zohar. Il Tetragramma è il nome del
Signore nella manifestazione ed è formato da quattro lettere dell’alfabeto
ebraico: una Yud iniziale e una Wav, separati da una prima He e da una seconda He finale. Quando sulla terra ogni ordine fu sovvertito, le lettere
maschili, Yud e Wav, si ritirarono dalla realtà manifesta e lasciarono le
lettere femminili, le due He, da
sole: la conseguenza fu che le acque superiori e le acque inferiori, che Adonai
aveva separato nei giorni della creazione, si riunissero e distruggessero il
mondo.
Nella Qabbalah luriana, la sostanziale
unicità dell'albero è sostenuta esplicitamente. Vital, il più famoso dei
discepoli di Itzach Luria, in Etz Chayyim, “L'albero della vita”,
assegna per entro l’unico albero delle Sephiroth, la destra all'albero della
vita e la sinistra all'albero della conoscenza. Insomma,
Adamo vuole mangiare il frutto proibito per rendersi immortale, ignorando che
Dio ha già predisposto per lui l’immortalità, alla sola condizione che egli
sappia attendere la maturazione del frutto. Lo assapora quando è ancora acerbo
e ciò che ne ricava non è l’immortalità, bensì la consapevolezza del bene e del
male, l’allontanamento dalla condizione edenica e l’ingresso nel tempo e nella
storia. E ciò trova conferma ancora in un riferimento a Noè, il
patriarca biblico che reitera il gesto di Adamo e che come Adamo ne paga le
conseguenze. Queste saranno di minore entità, rispetto a quelle che il primo
uomo è costretto a pagare, ma solo perché egli agisce in buona fede e non per
il desiderio di rendersi immortale come Dio. In Zohar (I, 36a) è detto
che nel giardino di Eden, Eva avrebbe pigiato grappoli d'uva per darli poi ad
Adamo e poco dopo (I,73a) che Noé si sarebbe ubriacato di quel vino non per
ripetere il peccato di Adamo ma "per investigare sul peccato che era
stato del primo uomo; non quindi per aderire ad esso ma per averne conoscenza e
restaurare il mondo. Ma non vi riuscì. Pigiò i grappoli per esaminare quella
vite ma quando giunse a quel punto si ubriacò e si scoperse..."
Il senso occulto dell'ubriachezza di Noè è
appunto da ricercare nel tentativo di entrare nello stesso stato di coscienza
di Adamo, ripristinando la condizione edenica, ma ancora una volta la bevanda
dell’immortalità si rivela troppo forte per i limiti umani. Tutto il
segreto di Noè si riassume in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che Noè, uomo
di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e
si scoprì all’interno della sua tenda mentre Cam, suo figlio e padre di
Canaan, vide la sua nudità. Su questo episodio mi sembra assai
illuminante l’interpretazione del Sepher Zohar. Qui, si comincia col
discutere tra due personaggi, Rabbi Juda e Rabbi Yossi, circa l’origine di
questa vigna. Rabbi Juda sostiene che la vigna facesse parte, una volta, del
giardino dell’Eden e che da questo ne fosse stata scacciata, mentre
Rabbi Yossi sostiene che la vigna si trovasse sulla terra prima del diluvio e
che Noè l’avesse sradicata per poi ripiantarla. Ora, è abbastanza
evidente che nella tesi di Rabbi Juda si parli della vigna come se si
parlasse di Adamo ed Eva, altrimenti come si sarebbe potuto scacciare
una vigna? Quanto alla tesi di Rabbi Yossi, se è vero che è possibile sradicare
le viti di una vigna per ripiantarle, appare ben difficile poterlo fare quando
sia trascorso un anno, cioè più o meno il tempo in cui Noè rimase nell’arca.
Allora qui cominciamo a sospettare che si tratti di una vigna speciale.
C’è di più: nel giardino di Eden, da cui la vigna proverrebbe, secondo rabbi
Juda, sappiamo esserci un fiume che serve ad abbeverare il giardino (Genesi
2,10), ed è grazie a questo fiume che ogni cosa nasce. Nel significato
cabbalistico dello Zohar, il giardino è la sephirah Malchuth, che
significa Regno o Terra, mentre il fiume è la sephirah Yesod che
significa Fondamento. Il sospetto che non di una comune vigna si tratti
ci viene anche dall’osservazione che il versetto 9,20 del Genesi,
in cui si dice che “Noè iniziò a piantare una vigna”, prosegua col
versetto 9,21 in
cui si dichiara che Noè bevve il vino. Sembrerebbe che Noè non abbia quasi da
aspettare tra il piantare e il bere, ma la cosa più interessante
è il commento di Rabbi Simeone del già citato passo dello Zohar:
“In questo versetto (Genesi 9,21) si trova
uno dei segreti relativi alla Saggezza. Quando Noè si propose di indagare
sull’errore del primo uomo, non certo nell’intenzione di ripetere lo stesso
errore, ma, al contrario, al fine di liberarne il mondo, egli non ci riuscì subito,
allora schiacciò i chicchi d’uva per proseguire la sua ricerca sulla vigna. Ma,
non appena raggiunto questo scopo, si ritrovò nudo e ubriaco” (Sepher-ha Zohar,
73a-b. )
Insomma, apprendiamo che
Noè piantò la vigna per indagare sull’errore di Adamo. E semmai
ci siano ancora dubbi che si stia parlando di una vigna e di un vino speciali,
conviene ascoltare ancora Rabbi Simeone:
“Accadde qui come per i figli di Aronne
che, noi lo sappiamo, bevvero vino sul monte Sinai. Chi offrì loro del vino in
un tal luogo perché ne bevessero? Se ti passa per la mente che essi ebbero
voglia di ubriacarsi di vino in un luogo simile, disingannati! Per la verità fu
del vino di Noè che essi si ubriacarono” (Ibid.)
In Esodo,
il peccato di Adamo è nuovamente richiamato, allorché è detto (15,23-25): "Giunsero
a Marah ma non poterono bere l'acqua perché era amara. Il popolo mormorò contro
Mosè dicendo: 'Che berremo?'. Allora Mosè gridò al Signore e il Signore gli
mostrò un legno. Mosè lo gettò nell'acqua e l'acqua divenne dolce".
Allorché il popolo
accusa Mosè è presente il demonio che viene per tenere lontano l'uomo
dall'albero della vita. Egli istiga Israele a bere acqua amara, altrimenti
tutti morranno, perché nel deserto non si trova altra acqua. Ma il Signore
ascolta l'invocazione di Mosè e gli mostra un legno che muterà la natura della
stessa acqua. Quel legno è lo stesso legno dell'albero della vita che in
origine circondava le acque. Insomma, se non fosse stato per Mosè, il popolo
impaziente avrebbe bevuto senza attendere la trasformazione delle acque. E fu l'impazienza
– osserva Gikatila – a causare la caduta di Adamo, il suo non aver saputo
attendere che il frutto dell'albero fosse maturo, prima di cibarsene. Fu
dunque l'impazienza a perdere il genere umano, precipitandolo nel regno, del
bene e del male, della vita e della morte. Scrive Gikatila in Cha 'aré Orah
(Le Porte della Luce):
"Il serpente
primordiale...inflisse un danno alla luna (la sephirah Malkhout) per via del
primo uomo, il quale...non attese che (il serpente) mangiasse la propria
parte...nel qual caso l'albero sarebbe stato chiamato del bene e non del male e
lui avrebbe potuto mangiarne tanto quanto ne desiderasse: ne avrebbe mangiato e
avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22), secondo il segreto dell'albero della
vita collegato a quello della conoscenza..." (f. 105a).
Scrive ancora Gikatila
in Sod ha - Nahach (Il Segreto del Serpente):
"... E'
per questo motivo che Dio comanda al primo uomo di non toccare l'albero della
conoscenza, fin quando il bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno
fosse all'interno e l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse
staccato il prepuzio, com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio
(Levitico,19:23), ora è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6).
Introdusse un idolo nel Palazzo (T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò
all'interno." (f. 276a-b). Il prepuzio è la scorza dura, assimilabile alla
terra (Adamah) di cui è fatto Adamo. Solo quando la scorza fosse caduta,
il frutto, ormai maturo, avrebbe potuto essere mangiato e la terra di Adamo si
sarebbe mutata nell'oro dello spirito.
Se si guarda ora al secondo atto del mito
cosmogonico, allorché il Signore nomina nuovamente l'albero della vita e si
decide la sorte di Adamo ed Eva (Genesi III, 21-24), si comprende che al
centro del giardino di Eden non c’è che un albero:
"Il Signore Dio fece ad Adamo e ad
Eva una tunica di pelle e li vestì, poi disse: 'Ecco Adamo è diventato come uno
di noi,[2]
conoscitore del bene e del male! Badiamo ora che non stenda la mano e prenda
anche dell'albero della vita, per mangiare e vivere in eterno'. Quindi Dio lo
cacciò via dal Gan Eden perché coltivasse la terra da cui era stato tratto.
Scacciato Adamo, collocò a oriente del Gan Eden Cherubini che roteavano la
spada fiammeggiante per custodire la via che portava all'albero della vita
".
Questi versetti
starebbero proprio a dimostrare, secondo alcuni, l'esistenza di due distinti
alberi. Quel che c’è di vero è invece che dell'albero della conoscenza d’ora in
avanti non si parla più, perché un albero della conoscenza distinto dall'albero
della vita in realtà non c'è mai stato. Dio lo ha fatto credere all'uomo per
saggiarlo, per metterlo alla prova, ma nel momento in cui l'uomo si è reso colpevole
di ubris, ha voluto cioè rendersi identico a Dio, anche l'illusione è
scomparsa. Sin dal primo momento non c'è stato che un solo albero, come ha ben
visto Tiziano nella sua tela ad olio dove l'albero, il cui frutto Eva riceve in
dono dal serpente, costituisce l'asse centrale che divide la composizione,
creando l'effetto che ciò che è UNO venga visto come duplice.
Ancora una volta il Sepher Bahir
c'illumina sull’intera questione (97-8 e 66-7): ci sono 32 sentieri che l'uomo
deve percorrere per giungere in cima all'albero della vita, e l'albero con i
suoi sentieri, è una metafora del corpo umano. Cosa è in realtà accaduto nel
momento in cui l'uomo, preso da impazienza e dal desiderio di essere come Dio,
ha mangiato del frutto proibito? Da quel momento egli, come si è già detto,
entra nel tempo e nella condizione umana attuale, tant'è che il Signore lo
riveste con una tunica di pelle ed egli non può più cibarsi, al pari di tutti
gli animali, degli effluvi e dei sapori della vegetazione (Genesi, I,
29-30). Ora l'uomo è carne che desidera carne e in quanto tale non potrà più
godere di immortalità. C'è ancora una possibilità, perché il germe della vita
immortale è ancora dentro di lui, ma egli deve fare i conti con i cherubini
armati della spada fiammeggiante per poter entrare nei sentieri e compiere
l'ascesa lungo l’albero-colonna. Anche qui non sarà inutile ricorrere alle
ghematrie: Etz, albero si scrive da destra a sinistra { u (70+90)=160=7; Ammud, colonna
con
d w m u (70+40+6+4)=120=3. Sommando 7 con 3 si ha 10, oppure, se si preferisce, sommando 160 con 120 si ha 280, quindi per riduzione teosofica si ha ugualmente 2+8=10, cioè le dieci sephiroth dell’albero della vita o albero delle sephiroth. L’uomo deve a questo punto iniziarsi, deve cioè percorrere il cammino all'inverso [Teshuvah] per tornare alla condizione originaria, per realizzare il Tiqqun, la restaurazione. Ma, soprattutto, non deve essere impaziente e deve accettare la morte fisica. In proposito si osserva in Zohar (I, 130b): "Al tempo in cui il Santo, benedetto egli sia, risusciterà i morti, Egli farà scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie alla quale tutti si leveranno dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio del termine, composta cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli infonderà vita nel mondo, poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa vitale che mai non cessa".
d w m u (70+40+6+4)=120=3. Sommando 7 con 3 si ha 10, oppure, se si preferisce, sommando 160 con 120 si ha 280, quindi per riduzione teosofica si ha ugualmente 2+8=10, cioè le dieci sephiroth dell’albero della vita o albero delle sephiroth. L’uomo deve a questo punto iniziarsi, deve cioè percorrere il cammino all'inverso [Teshuvah] per tornare alla condizione originaria, per realizzare il Tiqqun, la restaurazione. Ma, soprattutto, non deve essere impaziente e deve accettare la morte fisica. In proposito si osserva in Zohar (I, 130b): "Al tempo in cui il Santo, benedetto egli sia, risusciterà i morti, Egli farà scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie alla quale tutti si leveranno dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio del termine, composta cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli infonderà vita nel mondo, poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa vitale che mai non cessa".
Del resto, l'uomo può in ogni
momento tornare a compiere il peccato di Adamo, come si è visto accadere
ingenuamente a Noé. Reso presuntuoso dalla conoscenza, consapevole della linfa
vitale che scorre all’interno dell'albero, egli ancora una volta impaziente,
avrà l’illusione di vincere la guardia dei cherubini per cibarsi dei frutti e
guadagnare l’immortalità, ma ciò che otterrà, credendo di aver eluso la
sorveglianza dei cherubini, sarà una ubriacatura simile a quella di Noé.
[ S E G U E]
sergio magaldi