lunedì 27 luglio 2015

INTEGRALISMO CATTOLICO E MASSONERIA

Annalisa Colzi, COME SATANA CORROMPE LA SOCIETA', Città Ideale, Prato, nuova ediz.aggiornata, 2011,pp.300


 Mi è capitato tra le mani un libretto che, nel suo piccolo, è una sorta di manifesto dell’integralismo cattolico. L’avrei subito cestinato, se non fosse che, sfogliandolo, vi ho trovato ampi riferimenti alla Massoneria. Ho cominciato a leggerlo dall’inizio. Trecento pagine di formato ridotto, per dire che?

 L’assunto principale, come si comprende dal titolo, è la personificazione del male nella figura di Lucifero, l’angelo ribelle e decaduto, invidioso dell’uomo, che l’autrice finisce con l’identificare con Satana. E sin qui nulla di particolare, perché la tesi è parte integrante della dottrina e dell’insegnamento cattolici. Dalla sua, la Colzi cerca l’appoggio delle Sacre Scritture, evocando Isaia [14, 12-15], ma tralasciando di dire che il profeta parla della caduta del re di Babilonia e non dell’angelo ribelle. Tant’è che nei versetti da lei riportati ci sono diverse omissioni, tra cui omessa significativamente è l’interrogazione che conclude il versetto 12:

   Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? [Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli?frase omessa con chiaro riferimento al re di Babilonia] Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo. Invece sei stato precipitato negli inferi, nella profondità dell’abisso” [Is 14,12-15].[p.12].

  Non nego certo l’esistenza del male, perché male e bene si corrispondono nell’economia dell’universo: un mondo – il mondo almeno così come lo conosciamo – nel quale tutto fosse bene sarebbe altrettanto invivibile di un mondo dove tutto fosse male. E non mi riferisco solo alle scelte e alla libertà degli esseri umani. La vita, considerata un bene, contiene in se stessa il male metafisico, rappresentato dalla morte. Poco importa, dunque, sotto certi riguardi, che le religioni abbiano finito per personificare il male, un’esigenza in fondo persino necessaria per le menti più semplici. Il problema sorge quando si vede il male quasi ovunque e per di più lo si ritiene un complotto gestito per conto terzi.

 E questo purtroppo è il caso del libro della Colzi. Nulla viene tralasciato e tutta la contemporaneità è vista come ricettacolo del Maligno. Si comincia con la televisione, per continuare con internet e la musica rock. La celebre canzone dei Beatles, Lucy in the sky with diamonds, altro non sarebbe che un invito a consumare droga [Per ascoltarla, clicca sul titolo del post: Lucy ovvero: “Da dove veniamo? Chi siamo?Dove andiamo?]. La denuncia della Colzi comprende anche i cartoons [persino i Simpson e Walt Disney], i libri [con una sorta di elenco dei libri proibiti, tra i quali figurano anche Harry Potter e Inchiesta su Gesù dell’ineffabile Corrado Augias], e le stesse librerie cattoliche dove si fa commercio impunemente di opere considerate diaboliche. Il perché di queste condanne da inquisizione ce lo spiega la nostra autrice: si tratta di veicoli ideati da Satana per corrompere la società spargendo veleni come il sesso, la droga, l’alcool, l’esoterismo, l’astrologia, la magia, il satanismo e le messe nere.

 Non nego l’abilità con cui sono fornite prove e dati statistici a conforto di tali argomentazioni. E neppure che i mezzi di comunicazione e quant’altro possano contribuire a corrompere i giovani, come purtroppo talora avviene. Ma il punto non è quello di proporre crociate o di voltare la faccia dall’altra parte nel nome di un integralismo fideistico e neppure quello di consigliare la lettura delle vite dei santi, come l’autrice fa a più riprese nelle sue pagine. Il fatto è che manca una qualsiasi critica di carattere storico per spiegare la degenerazione dei valori, manca un’analisi del Potere – di cui le Chiese sono state e continuano a essere tanta parte – che aiuti a comprendere interessi e finalità di oligarchie che controllano il mondo e che traggono energia e profitti dal progressivo spegnersi delle coscienze e dalla diffusione di bisogni indotti di qualsiasi genere e natura. Manca in sostanza un benché minimo approccio culturale che serva da discrimine per distinguere e comprendere. Come in ogni fondamentalismo, si condannano le altre religioni, si ha il terrore della libertà di pensiero, e l’unica scelta possibile è quella della sottomissione a ristretti gruppi di potere che sostengono di parlare per bocca di Dio. Tutto il male è attribuito al demonio, direttamente o indirettamente, e la teocrazia è la sola forma di governo possibile.

 Le pagine più inquietanti sono comunque quelle finali, allorché la nostra autrice si dichiara in possesso di un’intuizione originale. Così come Eva per l’azione del Maligno tentò e indusse Adamo al peccato, il “principe di questo mondo” si serve della Massoneria per indurre in tentazione. Insomma, la Massoneria è “l’abile regista” dello spettacolo allestito da Satana per corrompere la società.







 Scrive in proposito l’ineffabile autrice:

 “Molte volte mi chiedo se gli avvenimenti succedutesi, nel corso degli anni, e che hanno portato alla rovina di tante anime, soprattutto giovani, fossero dovuti al caso o ad una regia vera e propria. Dopo aver a lungo pensato e letto qualche libro, mi sono fatta una opinione del tutto personale, che tale rimarrà, anche se desidero condividerla con voi che leggerete queste mie parole.
 Ho buone ragioni di credere che ai vertici del mondo mediatico, vi sia un regista abile, scaltro, pronto a tutto. Egregiamente manovrato dal principe di questo mondo, riesce ad orientare il pensiero di tante anime, anche cattoliche.
 Il suo non è un nome personale, bensì il nome di una società segreta chiamata Massoneria.” [p.270].

  A riprova degli ideali luciferini della Massoneria, l’autrice cita una nota contenuta nel libro I Papi e la massoneria [Ares, Milano, 2007, p.126, nota 196] della cosiddetta storica Angela Pellicciari. Qui si trova – scrive la Colzi – la notizia che nel 1985 sarebbe stata rinvenuta, all’interno del Palazzo Borghese di Roma, preso in affitto dal G.O.I [Grande Oriente d’Italia], una stanza chiusa a chiave, adibita a loggia e contenente un grande arazzo rosso e nero con la figura di Lucifero. La notizia, riportata dalla nostra autrice a pagina 271 dell’edizione aggiornata del suo libro contiene almeno un errore del proto[?!], come si diceva una volta. La data non è il 1985 ma il 1895, secondo quanto riferisce un sito insospettabile quale http://destatevi.org/satanismo-magia-ed-esoterismo-nella-massoneria/ :

«A conferma della presenza del Satanismo nella Massoneria, c’è anche questa notizia: Nel 1893, il palazzo Borghese, a Roma, fu dato in affitto al Grand’Oriente d’Italia. Due anni più tardi, in virtù d’una clausola inscritta nel contratto di locazione, la Frammassoneria ricevette l’intimazione di sloggiare la parte del palazzo che occupava. Il Corriere Nazionale pubblicò allora quanto segue: “L’incaricato d’affari della famiglia Borghese, essendosi presentato per visitare quegli appartamenti e porli in condizione d’essere occupati da D. Scipione Borghese e dalla duchessa de Ferrari, una sala rimaneva chiusa e non fu potuta aprire che dietro minaccia d’invocare la forza pubblica per sfondare la porta. Essa era trasformata in tempio satanico! Il giornale ne fece questa descrizione: “I muri erano coperti di damasco rosso e nero; nel fondo vi era un grande arazzo sul quale spiccava la figura di Lucifero. Lì vicino, era una specie d’altare o di rogo; qua e là dei triangoli ed altre insegne massoniche. All’intorno erano collocate delle magnifiche sedie dorate aventi ciascuna sopra la spalliera una specie di occhio trasparente e illuminato da luce elettrica. Nel mezzo di questo tempio eravi qualche cosa somigliante ad un trono” (Riportato nel libro di Enrico Delassus: Il problema dell’ora presente, Desclée e C. Tipografia-Editori, Roma, 1907, Vol. I, p. 486; citato in L’eletta del dragone http://www.chiesaviva.com/eletta.htm). »

 Non manca nel libro della Colzi il riferimento al massone Giosuè Carducci e al suo Inno a Satana. Dimenticando naturalmente di riportare il commento che il poeta fa all’amico Giuseppe Chiarini nell’inviargli il testo del componimento:

«È inutile - egli scrive - che io avverta aver compreso nel nome di Satana tutto ciò che di nobile e bello e grande hanno scomunicato gli ascetici e i preti con la formola "Vade retro Satana"; cioè la disputa dell'uomo, la resistenza all'autorità e alla forza, la materia e la forma degnamente nobilitate. È inutile che io segni al tuo giudizio le molte strofe tirate giù alla meglio per finire: nelle quali è il concetto dilavato ma non la forma. Bisogna tornarci su, su questa poesia, e con molta attenzione. Ma non ostante mi pare che pel concetto e pel movimento lirico, io possa contentarmene. Pigliala adesso com'è [...] Dopo letto ricorda che è il lavoro di una notte.»

 Satana nell’inno del Carducci è solo un simbolo per risvegliare gli uomini dal sonno della ragione, per rivendicare la libertà del pensiero di fronte all’oscurantismo di cui per secoli fu portatrice la religione cattolica, per esaltare il coraggio di Lutero nel ribellarsi a Roma, annunciando all’Occidente cristiano la religione riformata. Eccone appena qualche verso:

 A te, dell’essere /principio immenso, /materia e spirito,/ ragione e senso; [vv.1-4]
 Gittò la tonaca/ Martin Lutero:/ gitta i tuoi vincoli,/ uman pensiero, [vv.161-164]
 Salute, o Satana, /o ribellione,/o forza vindice/della ragione! [vv.193-196].

 Il complotto satanico-massonico ha origini remote ma il progetto di corrompere la società cominciò ad avere successo con la Rivoluzione Francese, con la dichiarazione dei diritti umani, con Napoleone, e per continuare, solo restando in Italia, con quelli che l’autrice del libro chiama i cosiddetti eroi del nostro Risorgimento: Cavour, Mazzini, Garibaldi, D’Azeglio, tutti massoni e dunque agenti di Satana. Sin troppo evidente il suo rimpianto del Papa-Re. La Massoneria, conclude tra l’altro la Colzi, è riuscita a infiltrare anche l’ambiente ecclesiastico.

 A nobilitare la materia trattata e le proprie risibili concezioni, l’autrice pubblica in calce al libretto un'intervista [pp. 282-298] col noto esorcista, padre Gabriele Amorth. Figura di tutto rispetto, a 18 anni entrò nei partigiani cattolici della Brigata Italia col soprannome di Alberto e si distinse per il valor militare, sino a vedersi assegnare una medaglia. Legato al gruppo politico dei La Pira, Dossetti, Fanfani e Lazzati, fu nel 1947 vice delegato nazionale del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana. Ordinato presbitero nel 1954, solo dal 1986 iniziò la sua attività di esorcista nella Diocesi di Roma per mandato dell’allora cardinal vicario Ugo Poletti.

 Dal suo punto di vista, le argomentazioni di padre Amorth hanno una certa consequenzialità e se non altro sono prive di rozzezza. Gli scarsi e ossessivi concetti contenuti nelle domande sono abilmente ampliati e/o lasciati cadere nelle risposte. Così, per esempio, alla domanda: “Il 1968 è stato un anno forte per la società, e lo è stato anche per il clero. Possiamo affermare che è stato l’anno in cui satana è uscito allo scoperto?”, padre Amorth risponde:

 “No, penso di no, perché l’azione del demonio è un’azione sempre lenta, furba, nascosta, continua, che non cessa mai. Quindi potrà avere dei momenti in cui ha maggior successo, esplode di più. Il 1968 è stato sicuramente uno di questi momenti, un’esplosione di idee anche lanciate dal demonio, ma non un anno in cui il demonio abbia avuto un’attività più forte che in altre epoche […]”. [p.287].

 In conclusione, un lavoro, quello della Colzi, che fa più male al Cattolicesimo di quanto non ne faccia a Satana. Fortunatamente, si può essere cattolici in modo diverso da quello proposto dall’autrice di questo libro.

sergio magaldi







domenica 19 luglio 2015

LE CANZONI DELL' AGLIO E LA RIVOLTA CINESE

Mo Yan, Le canzoni dell'aglio, Einaudi, 2014
Edizioni Mondolibri, 2015, pp.361

Tra le prime opere di Mo Yan, il romanzo Le canzoni dell’aglio del 1988 [Titolo originale: Tiantang suantai zhi ge, dove Tiantang che significa “Paradiso”, è un immaginario villaggio della provincia dello Shandong], preceduto solo da Sorgo Rosso di un anno prima, fa presagire gran parte dei contenuti dei successivi lavori, sino al romanzo, forse il più bello, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao pubblicato del 2006, sei anni prima di ricevere il meritato Nobel per la letteratura.

 La cultura di riferimento è la civiltà contadina, colta a distanza di circa un decennio dalla morte di Mao, dopo il governo di transizione di Hua Guofeng e l’avvento al potere di Deng Xiaoping, leader della fazione riformista. La natura non è ancora avvolta nel realismo magico delle opere successive [Si veda in proposito il post: Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, cliccando sul titolo per leggere], ma è descritta, nella sua bellezza come nella sua cruda realtà, con la maestria del pittore che si accinge a rappresentarla sulla tela:

 “Nei due mesi che non era uscita di casa, la campagna si era trasformata. Le spighe di sorgo si stavano seccando e avevano preso un colore rosso scuro; le pannocchie erano secche e le foglie dei fagioli ingiallite. Il cielo era azzurro e la vista sconfinata; la collina Zhou, simile a un ventaglio capovolto e aperto a metà, formava una macchia scura all’orizzonte. Gli uccelli mandavano i loro richiami volando a mezza altezza, un canto lugubre che la rattristò.” [Ediz. Mondolibro, p.76].

 Spettatrice di questa lenta e inesorabile metamorfosi della natura è Jinju, infelice protagonista – così come Gao Ma, l’uomo che ama – di questa vicenda, in cui anche la speranza sembra negata, persino quando nelle pagine finali Mo Yan cerca di ricondurre i drammatici avvenimenti che hanno colpito gli abitanti di Tiantang entro la linea consapevole e giusta del Partito. Qui, in luogo della consueta ironia con cui spesso egli descrive le relazioni umane, mi sembra che lo scrittore faccia buon uso di sarcasmo:

 “Vi do l’ultima notizia: il compagno Zhong Weimin, ex vice segretario del comitato del partito e capo del distretto, e il compagno Ji Nancheng, ex segretario del comitato  del partito di Tiantang, macchiatisi di gravi colpe nel corso dei fatti di Tiantang, dopo aver diligentemente studiato la linea, le direttive e la politica del partito ed esaminato a fondo la sua ideologia, hanno riconosciuto i loro errori e preso la risoluzione, d’ora in avanti, di correggerli e di riparare i danni provocati. Pertanto, il comitato del partito e il governo di Cantian, dopo aver esaminato la situazione, hanno fatto rapporto al comitato del partito e al governo provinciali e chiesto di nominare il compagno Ji Nancheng vice segretario del comitato del partito e capo del distretto di Yuecheng, e di nominare il compagno Zhong Weimin vice segretario del comitato del partito e capo del distretto di Sanhe.” [cit. pp.360-361].

 I fatti di Tiantang – che in realtà non sono immaginari, perché si riferiscono alla rivolta di Cangshan del maggio 1987 – sono narrati dal cantore cieco Zhang Kou, in 21 canzoni che costituiscono altrettanti capitoli di cui si compone il libro, a cominciare dalla prima:

 “Prestate ascolto compaesani!
  Zhang Kou racconterà del paradiso in terra
  Migliaia di ettari di terreno fertile
  Acque fresche che scorrono gorgogliando
  Patria di tanti uomini belli e di belle donne
  Dove cresce un aglio famoso in tutto il mondo” [cit.p.3]

 Ben presto però Tiantang – Il Paradiso – si trasforma in Inferno. Il Partito aveva imposto ai contadini di coltivare l’aglio abbandonando ogni altra coltivazione. Quando l’aglio è maturo, i contadini affrontano il viaggio per andare a venderlo al distretto ma troveranno i magazzini chiusi. E Zhang Kou intona la sua quinta canzone:

 “I girasoli ad agosto guardano verso il sole
  I bambini che piangono vengono dati alle madri
  Il popolo confida nel Partito comunista
  Se l’aglio non si vende si va a cercare il capo distretto” [cit.p.83]

 Esemplare il caso di Gao Yang, un altro tra i protagonisti della narrazione. Diverse volte farà il viaggio a vuoto nel tentativo di vendere il suo aglio, con l’unico risultato di dover pagare ai burocrati la tassa sul traffico, su un commercio mai avvenuto e infine sull’igiene, allorché l’asino che trasporta il carro fa i suoi bisogni sulla strada. Canta Zhang Kou nella sua sesta canzone:

 “Prefetti e sottoprefetti possono distruggere clan e famiglie
  I grandi funzionari non scherzano
  Mi ordinate di piantare l’aglio e io obbedisco
  Perché allora poi non me lo comprate?” [cit.90].

 Tutto sembra girare attorno all’aglio in questo romanzo di Mo Yan, tanto che si ha quasi l’impressione  di sentirne l’odore e di percepirne il tocco. In realtà, lo scrittore ci sta dicendo altro. A distanza di mezzo secolo dalla rivoluzione di Mao, non soltanto il Partito è spesso in mano ai burocrati e ai funzionari corrotti, ma neppure è cambiata la mentalità dei contadini. La toccante vicenda dell’amore “impossibile” tra Jinju e Gao Ma, ne è la drammatica testimonianza. Promessa sposa dai genitori a un anziano malandato perché suo fratello zoppo possa a sua volta sposare la bella cognata diciassettenne Cao Wenling, Jinju si ribella, ma è percossa e rinchiusa in casa dal padre Fang Yijun [“È mia figlia – egli dice – se voglio l’ammazzo, chi può impedirmelo?], senza che né la madre Fang Sishen, né i prepotenti fratelli mostrino un barlume di pietà. La condizione di vita dei contadini è spesso simile a quella delle bestie con cui vivono. Tutto ubbidisce alla più bieca materialità e i rari sentimenti sono ispirati dalla necessità e dalla convenienza. Le prigioni, nelle quali saranno rinchiusi i presunti responsabili della rivolta – sulla carta luoghi di “rieducazione” comunista – sono gestite al limite del subumanità, tanto che si ha l’impressione che Mo Yan, nel suo esasperato linguaggio crudo e naturista, talora esageri.

  Ecco il lamento e la denuncia di Zhang Kou nella sua nona canzone:

 “Nella vecchia società i funzionari si proteggevano
  e il popolo subiva
  Nella nuova società dovrebbe regnare la giustizia
  Chi poteva immaginare che il capo distretto Wang fosse
  al di sopra della legge? […] [cit.p.150].

  Ma il cantore cieco non si rassegna e incita i contadini alla ribellione:

  “Compaesani, gonfiate il petto, stringete l’addome
   Tenetevi per mano e irrompete nella sede del governo
   Il capo distretto Zhong non è una stella del cielo
   E il popolo non è composto di bestie da cortile” [cit.p.187]

 Le conseguenze saranno tragiche e Zhang Kou nella sua ultima canzone, prima che qualcuno gli chiuda la bocca per sempre, invoca la giustizia per il popolo:

   “Canto i fatti avvenuti a Tiantang
   Nel maggio del 1987
  Convergendo da varie direzioni i poliziotti
   Hanno arrestato novantatre persone
 Alcuni sono morti, altri sono stati processati
  Quando avrà giustizia il popolo?” [cit.p.331]   

  E la giustizia verrà, sottoforma di una serie di riflessioni e “con pene severe” come annuncia il 30 luglio 1987 “Il quotidiano delle masse”. Si parla di “Grave burocratismo”, si sostiene che “Per dirigere l’economia di mercato bisogna averne una chiara nozione” e che “Senza avere consapevolezza delle masse non si può dirigere bene la produzione agricola” e infine che “Il burocratismo va combattuto, ma non con l’anarchia”.

 Le conseguenze saranno quelle già note: il carcere duro e inumano per i rivoltosi sino al termine della “rieducazione” e alla successiva, consueta povertà. Il riconoscimento degli errori commessi da parte dei funzionari sino ai nuovi prestigiosi incarichi.

 Per amore della verità, occorre riconoscere che l’opera di denuncia sociale di Mo Yan non ha mai conosciuto censure e che, anzi, il regime di Pechino ha sempre tenuto lo scrittore come il proprio fiore all’occhiello. Ciò potrebbe far sospettare una buona dose di opportunismo, in realtà dimostra soltanto che la dialettica è stata sempre il cuore pulsante del partito comunista cinese, anche nei suoi periodi peggiori. E questo, al di là di quello che si pensa in Occidente, non può che fare onore al popolo cinese e ai suoi massimi rappresentanti.


sergio magaldi

sabato 11 luglio 2015

I DICIANNOVE ANGELI

Zoe Ferraris, I diciannove angeli, trad. Capuani M., Piemme, Milano, 2013, pp.399
Edizione Mondolibri


 Un giallo intrigante questo Kingdom of Strangers [tradotto più propriamente nell’edizione italiana di Piemme con il titolo di I diciannove angeli] della scrittrice americana Zoë Ferraris, non solo per l’intreccio coinvolgente, ma per le implicazioni esoteriche, religiose e sociologiche che fanno da sfondo alla narrazione.

 Diciannove cadaveri di donne immigrate [per lo più filippine] vengono ritrovati nel deserto di Jeddah, porto di intenso traffico e seconda città per grandezza dell’Arabia Saudita, con oltre tre milioni di abitanti. I corpi delle donne hanno tutti le mani mozzate e sono sepolti secondo uno schema che, nel corso delle indagini, si rivelerà all’intuizione di Katya Hijazi – una ragazza intraprendente, aspirante detective, e già presente nei romanzi della Ferraris – : disposti in forma geometrica, descrivono lettere dell’alfabeto arabo che si lasciano ricomporre nella frase Bism’Allah, ar-rahman, ar-rahim [“In nome di Allah, il compassionevole, il misericordioso”] e che lasciano intuire anche il disegno di tre mele. Il serial killer, che da almeno dieci anni va uccidendo queste donne, è un fanatico religioso che si ispira ai diciannove angeli che il profeta Maometto concepì a guardia dell’Inferno o, al contrario, è un laico, per giunta blasfemo, che allude alla cassa ritrovata con dentro una fanciulla tagliata in 19 pezzi, come nella “Storia delle tre mele”, la novella che fa parte delle Mille e una notte, il celebre capolavoro della letteratura araba?

 È quel che l’ispettore capo Ibrahim Zahrani e la collaboratrice di polizia Katya Hijazi cercheranno di scoprire. Ma ai due protagonisti, Zoë Ferraris assegna un ruolo persino più importante: quello di proporsi come un uomo e una donna portatori di principi alternativi ai valori correnti della società saudita, caratterizzata per di più da una notevole presenza di immigrati, soprattutto donne destinate ai servizi domestici e talora preda di padroni rapaci e violenti. Entrambi fedeli della religione islamica e che sempre, nelle loro ricorrenti preghiere, si rimettono alla volontà di Allah, Ibrahim e Katya non cessano tuttavia di apparire critici di fronte al conformismo imperante. Meno Ibrahim, vittima delle sue stesse contraddizioni, con maggior vigore Katya, che affronta e supera gli ostacoli che di volta in volta gli si parano davanti, nella vita privata e nel lavoro, anche grazie all’aiuto e alla comprensione di Nayir, il suo promesso sposo, un personaggio nel complesso positivo agli occhi della scrittrice americana.

 L’inchiesta sul serial killer è denominata “Il caso dell’Angelo”, con riferimento al significato che il numero 19 assume nel Corano. Premesso che nel libro sacro dell’islamismo ogni persona ha due angeli sempre con sé, perché gli rammentino le opere buone e le cattive, e che i tre angeli più importanti sono Jibrael, messaggero di Allah presso Maometto, Azrael [Malak-ul-Maut] che toglie la vita e A(I)srafeal che suonerà la tromba del giudizio, diciannove angeli, secondo la Sura 74, sono posti a guardia e custodia dell’Inferno:


26 Lo getterò nel Calore che brucia.   


27 Chi mai ti dirà cos'è il Calore che brucia?   



28 Nulla risparmia, non lascia nulla;   



29 carbonizza gli uomini.   



30 Gli stanno a guardia diciannove [angeli].  

31 Non ponemmo che angeli a guardia del fuoco, fissando il loro numero solo per tentare i miscredenti, affinché credessero con fermezza quelli cui è stato dato il Libro e aumentasse la fede dei credenti e non dubitassero coloro cui è stata data la Scrittura e i credenti, e affinché coloro che hanno morbo nel cuore e i miscredenti dicessero: « Cosa vuol significare Allah con questa metafora?». E' così che Allah travia chi vuole e guida chi vuole.  Non conosce le truppe del tuo Signore altri che Lui.  Questo non è altro che un Monito per gli uomini.  


[Il Corano, Sura 74, vv.26-31, trad. a cura di Hamza Roberto Piccardo, Edizioni Newton & Compton].


 Sarà un sogno a guidare Katya sulla strada della verità. La ragazza ha appreso da sua madre che i sogni sono di tre tipi: i nafsani, che nascono dalla paura e dal desiderio; i rahmani, messaggi veritieri che vengono da Allah e che recano visioni del futuro e gli shaytani, ispirati dal diavolo. Prima di addormentarsi, Katya  rivolge la sua preghiera ad Allah:

 “O Allah. Ti chiedo di scegliere in virtù della Tua conoscenza. Ti domando la capacità e la virtù del Tuo potere. Ti chiedo, o Allah, di accordarmi la Tua grande grazia. Tu puoi e io non posso. Tu sai e io non so. O Allah, se nella Tua conoscenza sai che questa informazione è un bene per le mie necessità presenti e future, fa’ in modo che io la ottenga facilmente. E benedicimi in essa. E se nella Tua conoscenza sai che è un male per me,allora allontanami da essa e determina per me il bene ovunque esso sia, così che io possa esserne soddisfatta.” [p.195]

 Ma il sogno, pieno di incubi e popolato di Efreet  e di Djinni, le fa temere che il diavolo si sia impadronito del suo sonno. Gli Efreet sono gli spiriti del fuoco, particolarmente potenti e astuti, menzionati nella Sura 27 del Corano. I Djinni, di cui si parla nella Sura 72, sono i demoni della “possessione”. Assumono forme sempre diverse e sono in grado di esercitare il controllo psichico delle persone. In realtà, sarà proprio questa discesa onirica all’Inferno a darle, al momento opportuno, l’intuizione che permetterà alla polizia di arrestare il serial killer.

 Un libro da leggere anche per i non amanti del giallo, ancorché di questo genere conservi tutte le caratteristiche migliori, compresa quella della soluzione finale, sempre un po’ deludente rispetto alla aspettative dell’intreccio.

sergio magaldi




sabato 4 luglio 2015

IL 5 LUGLIO DEGLI EUROPEI




   Ormai a poche ore dal voto,  tutti i cittadini europei si chiedono con qualche apprensione quali saranno le conseguenze del referendum greco. Prevedere in anticipo la vittoria del o del no è praticamente impossibile. I sondaggi che sino a qualche giorno fa davano un punto e mezzo di vantaggio ai , ora sembrano attestarsi sulla perfetta parità.

 Viene da chiedersi perché Tsipras e Varoufakis abbiano scelto questa strada. La vittoria elettorale di Syriza e la relativa formazione di un esecutivo legittimato dai cittadini davano al governo il potere democratico di scegliere quale via intraprendere: la trattativa ad oltranza o il rifiuto di cedere alle richieste dell’Unione Europea. E per quanto ci si sforzi di credere che proprio dal Paese che inventò la democrazia venga una lezione all’Europa – attraverso una scelta che non ha precedenti nel rapporto con le istituzioni europee che mai hanno avvertito la necessità di chiamare alle urne i cittadini, né al momento di introdurre l’euro, né per l’adozione di politiche di austerità – , resta in molti la convinzione che la scelta del referendum, con tutti i rischi che comporta, sia stata determinata da contrasti interni al governo e al partito di maggioranza.

 Solo così si spiega un ricorso al voto il cui esito, se prevarrà il , sarà esiziale per il governo e che, se prevarrà il no, avrà come conseguenza probabile il default della Grecia e inevitabili ricadute per la maggior parte dei paesi europei. Si ha un bel dire che l’eventuale vittoria del no non impedirà la ripresa delle trattative con la Troika, né comporterà l’uscita dall’euro. Proprio su questi argomenti si basa la propaganda del , con il timore della classe media che il no faccia precipitare definitivamente il Paese nel baratro. Ed è questa una strategia che potrebbe risultare vincente, con buona pace di tutte le aspettative che non solo in Grecia, ma anche altrove in Europa, aveva suscitato la formazione di un governo capace di tener testa alla Merkel e ai “signori dell’austerità”.

 La vittoria del sarebbe infatti, almeno in un certo senso, una sconfitta per Podemos in Spagna e, per certi aspetti, anche per Cinque Stelle in Italia. Rafael Mayoral, segretario per le Relazioni con la Società Civile di Podemos, ha dichiarato di condividere le scelte del governo greco. Non si è schierato apertamente per il no, nel rispetto della democrazia e delle scelte dei cittadini greci [quasi  evocando lo spirito e i principi del 1789, in un linguaggio diversamente comune con altri esponenti di Podemos che parlano di ghigliottina per fermare la corruzione pubblica in Spagna], ma ha sostenuto che “È venuta l’ora di non fare calcoli elettorali, ma di difendere i diritti umani di fronte all’austericidio”. Analogamente, sia pure in toni più defilati, Beppe Grillo ha manifestato il suo appoggio al governo greco. Sarà ad Atene in questi giorni e attende rispettoso le scelte dei cittadini. Perché Mayoral, Pablo Iglesias, leader di Podemos, e Beppe Grillo non sostengono apertamente il no contro il ricatto di Bruxelles? Ragioni di politica interna, evidentemente. Il Movimento Cinque Stelle sta crescendo in Italia al ritmo in cui cala il consenso verso il PD di Renzi e Podemos, appoggiato dal PSOE e da Izquierda Unida, si accinge a governare le più importanti città della Spagna. E le elezioni nel paese iberico sono vicine: il 27 Settembre si vota in Catalonia e il 20 Dicembre in tutto il Paese. E c’è chi dice che Rajoy vorrebbe addirittura giocare d’anticipo, votando il più presto possibile, prima che si allarghi il consenso attorno a Podemos e il PP si veda sfilare voti anche da parte di Ciudadanos, una formazione di centrodestra, ma critica verso il Partido Popular. Non a caso, Rajoi si sta affrettando a fare approvare la riforma fiscale che, a giudizio degli avversari, è solo una manovra elettorale e per di più “classista” perché, mentre prevede minori aliquote dell’uno per cento per i redditi sino a 12450 euro [dal 20 al 19%], per quelli sino a 20200 euro [dal 25 al 24%] e per quelli sino a 35200 euro [dal 31 al 30%], per i redditi sino a 60000 euro prevede un’aliquota minore del 2% [dal 39 al 37%] e analogamente per quelli oltre i 60000 euro [dal 47 al 45%].

 Il 5 Luglio sarà comunque una data decisiva per i cittadini europei: per la prima volta saranno di fronte, da una parte la cricca che governa l’Europa, nel nome della Merkel, dell’austerità e dell’alta finanza, dall’altra coloro che lottano per l’avvento di un’Europa che sia davvero espressione della volontà popolare. E per quanto questo referendum mi lasci perplesso, per i motivi che dicevo sopra, non c’è dubbio che solo la vittoria del no – pur con tutti i rischi di “colpi di coda”, cui i maggiorenti europei ricorreranno per incutere timore nelle classi medie – può rappresentare il primo tassello di una Europa alternativa a quella che purtroppo conosciamo.

 In questa prospettiva, c’è un lontano precedente di buon auspicio. Quando, il 28 Ottobre del 1940, il popolo, chiamato al referendum, disse no all’occupazione del suolo greco da parte dell’Italia di Mussolini. Ne seguì una guerra, ma da quel no nacque la resistenza greca contro l’Europa nazifascista.


sergio magaldi