Nell'ambito della
psicologia fenomenologica il pensiero di Sartre ha profondamente influenzato le
analisi degli specialisti. Mi riferisco in particolare agli studi dedicati
all'immaginario e all'emozione, nonché alla fortuna di cui tali studi hanno
goduto soprattutto nei paesi anglosassoni. Significativo a tale riguardo mi
pare il tentativo di Hidé Ishiguro volto a sottolineare i punti di contatto
esistenti, per l’analisi dell'immaginazione, tra fenomenologia sartriana e
filosofia analitica inglese, vale a dire tra filosofie che dichiarano di usare
metodi completamente opposti.
Ishiguro, dopo aver
ricordato come l'immaginazione sia stata sempre considerata «il brutto
anatroccolo del mondo filosofico», osserva come la situazione sia profondamente
mutata: «Eminenti filosofi, in Inghilterra e in Europa, hanno cercato di
mostrare come lo studio filosofico dell'immaginazione costituisca una parte
importante, e del tutto degna di considerazione, della filosofia della mente.
In effetti, lo studio della immaginazione è uno dei campi in cui i problemi
posti dai filosofi di questi due mondi a sé stanti — Europa e Inghilterra —
hanno maggiori punti di contatto. La differenza tra l'Imaginaire (1940) di Sartre e le note sulla immaginazione di
Wittgenstein in Blue and Brown Books (1934-36),
o il capitolo sull’immaginazione nel libro di Ryle Concept of Mind (1949) è senza dubbio minore di quella che esiste
fra L'Imaginaire e le opere dei
predecessori di Sartre in Francia, o fra l'indagine di Ryle e quella condotta
dagli empiristi inglesi che si rifanno a Hume».
I punti di contatto
tra Ryle (che Ishiguro nell’opera da lui citata definisce il più comportamentista
dei filosofi analitici inglesi) e Sartre possono così riassumersi: l'oggetto
d'immaginazione non è un'entità mentale (pp.197 e 206), immagini e percezioni
non interferiscono tra loro ma si escludono a vicenda (p.200), «farsi delle
immagini» è per Ryle come per Sartre «uno dei molti modi di far finta, e far finta
è uno dei molti modi in cui esercitiamo la nostra immaginazione, che, a sua
volta, è un modo in cui facciamo uso delle nostre cognizioni e della nostra intelligenza»
(p.201).
Infine la concezione
del sapere nell'immaginazione, nel senso che immaginare un oggetto non
significa propriamente accrescere la conoscenza che si ha dell’oggetto stesso (pp.202-203).
Una sostanziale affinità c'è inoltre tra l'osservazione di Wittgenstein che
«vedere come...» è simile all'«avere un’immagine di...» e l'opinione quasi
assolutamente identica che si trova in tutta l'opera di Sartre quando esamina
in dettaglio ritratti, caricature, mimiche, simboli ed altri fenomeni specifici
(p.222).
Mi riferisco inoltre
al fatto che la psicologia statunitense e la psicologia inglese ed europea
hanno fatto largo uso, nella descrizione e nella valutazione di casi clinici,
del metodo e degli strumenti forniti dalle analisi teoriche di Sartre. Per
tutti basti ricordare l'inglese Ronaid Laing, il più noto in Italia tra gli
psichiatri che si richiamano alla fenomenologia, il quale, nel descrivere forme
d'ansia quali il «risucchio», l'«implosione», la «pietrificazione», o forme di
insicurezza nei confronti di se stesso e/o di altri come l'«evasione»,
l'«elusione», la «collusione» ecc…, ricorre con frequenza alle analisi
contenute nelle opere di Sartre.
Il «risucchio», in
quanto si definisce come una sensazione minacciosa che il soggetto avverte
soprattutto nel rapporto con l'altro (anche se dipende dalla perdita del senso
della propria autonomia e della propria identità), rimanda alle analisi
sartriane del «per altri» contenuta nella Parte III di L'Etre et le Néant.
L'«implosione», in
quanto è una forma d'ansia per la quale la realtà per se stessa si presenta
come minacciosa, ricorda il comportamento magico nei confronti del reale del
soggetto emozionato che Jean Paul
Sartre descrive ampiamente nel saggio Esquisse d'une théorie des émotions.
La
«pietrificazione», nel duplice senso di «vedere» ed «essere visto» cioè di
«trasformare» ed «essere trasformati » in pietra, come pure l'atteggiamento di
indifferenza nei confronti dell'altro sono particolari forme d'ansia derivanti
dall'esistenza dell'altro come libertà: «il risucchio consiste in questo: se si
sente l'altro come un libero agente, si è esposti alla possibilità di sentire
se stessi come un oggetto della sua esperienza, e quindi di sentirsi
prosciugare la propria soggettività. Si è minacciati dal pericolo di diventare
un semplice oggetto del mondo dell'altro, senza più vita propria, senza più un
essere proprio. Sotto l'effetto di questa ansia l'atto stesso di sentire
l'altro come persona viene vissuto come un atto potenzialmente suicida. Questa
esperienza viene brillantemente descritta da Sartre nella terza parte di
L'essere e il nulla».
Occorre tuttavia
rilevare che mentre in Sartre l'insicurezza ontologica è un fatto originale
della condizione umana, in Laing è piuttosto l'atteggiamento cui si lascia
andare l'individuo schizoide: «Nessuno, più dell'individuo schizoide, si sente
vulnerabile ed esposto allo sguardo di un'altra persona. Se non prova un acuto
imbarazzo, una "consapevolezza" di essere guardato dagli altri, vuol
dire soltanto che ha temporaneamente evitato il manifestarsi dell'ansia, e ciò
con due possibili modi: o ha trasformato in oggetto l'altra persona,
spersonalizzando quindi i suoi sentimenti nei suoi confronti, o ha assunto
un'aria indifferente» . E
ancora: «essere un oggetto agli occhi di qualcuno non rappresenta, per la
persona "normale", un pericolo spaventoso. Ma per l'individuo
schizoide ogni paio di occhi di un suo simile significa una testa di Medusa,
dotata del potere effettivo di uccidere e spegnere quel po' di vita che è in
lui. Egli cerca perciò di prevenire la sua pietrificazione pietrificando gli
altri, e gli pare, così facendo, di poter raggiungere una certa sicurezza» .
Va detto tuttavia
che lo stesso Laing, in definitiva, sembra piuttosto restio a parlare di una
normalità standardizzata e le sue stesse esperienze cliniche vanno piuttosto
nel senso di mettere in crisi, anche sotto questo profilo, le tesi classiche
della psichiatria. E' nota peraltro la collaborazione tra Ronaid Laing e David
Cooper, autore quest'ultimo, tra l'altro, di Psychiatry and Anti-Psychiatry, (Tavistock, Londra, 1967),
un’opera che tutto è tranne un riconoscimento della tradizione psichiatrica e
della sua concezione di normalità.
L'influenza di
Sartre è inoltre visibile nella descrizione che Laing fa della condizione
schizofrenica, sia dal punto di vista del paziente, sia dal punto di vista del
mondo nel quale il paziente vive: «Ma se una persona non agisce nella realtà,
ma solo nella fantasia, diviene essa stessa irreale. Il "mondo"
affettivo di questa persona si immiserisce e si dissecca; la "realtà"
del mondo fisico e delle altre persone cessa di essere usata come palestra per
l'esercizio creativo dell'immaginazione, e perciò perde sempre più il suo stesso
significato. La fantasia, non essendo né immersa in qualche misura nella
realtà, né ricevendo iniezioni di "realtà" che possano arricchirla,
si svuota e si volatilizza sempre più. E l'io, la cui relazione con la realtà
è già tenue, perde sempre più il suo carattere reale e ne acquista uno sempre
più fantastico, occupato com'è sempre di più in rapporti fantastici con i suoi
fantasmi (immagini)»
Come pure la
spiegazione che il Laing da del fenomeno allucinatorio, in quanto questo
consiste nella confusione che interviene a livello del rapporto io-non io,
rivela chiaramente la matrice sartriana. Così Laing descrive l'esperienza di
una allucinata: «Insieme con la tendenza a percepire aspetti del suo essere
come dei non-lei, si aveva un'incapacità di discriminare fra ciò che
«oggettivamente» era lei o non-lei. Questo è semplicemente l'altro aspetto
della mancanza di una frontiera ontologica generale. Per esempio la paziente
poteva credere che le gocce di pioggia che le cadevano sul viso fossero le sue
lacrime» .
La ricerca degli
influssi sartriani nella psichiatria di Laing potrebbe continuare a lungo: mi
limito a riportare ciò che lo stesso Laing riferisce esplicitamente come
contributo di Sartre o ciò che sottintende chiaramente il discorso sartriano.
Per il comportamento
elusivo, che è una manovra del soggetto, mediante simulazione, tendente a
modificare la propria posizione originaria verso se stessi e/o gli altri e le
cose , Laing
richiama come esemplificativi due comportamenti di malafede descritti da Sartre
in L'Etre et le Néant: il cameriere
che gioca ad essere cameriere e la ragazza che seduta al caffè con un uomo
discute con lui della teoria platonica dell'amore e che improvvisamente si
sente prendere una mano dal suo interlocutore.
Per il comportamento
collusivo, che è una manovra interpersonale «in cui ciascuno gioca
volontariamente al gioco altrui, magari senza rendersene completamente conto», Laing
si richiama alla situazione descritta da Sartre nella pièce Huis Clos.
Infine, per la
relazione amorosa che, in un certo senso, è la comunicazione più completa tra
l'io e l'altro, Laing può scrivere sulla scia di Sartre: «Nessuna teoria dei
rapporti fra uomo e donna, per esempio, può consentire che si trascuri il fatto
che ciascuno non cerca nell'altro solo un oggetto dal quale possa ottenere gratificazione,
ma anche una persona da gratificare, che l'uomo e la donna ricercano
nell'altro, in una relazione amorosa, non solo un mero oggetto grazie al quale
possano raggiungere, più o meno sinceramente, lo stato di tumescenza e
detumescenza, ma una esperienza unitaria, fisicamente intima ed eccitante,
dalla quale ciascuno possa trarre la consapevolezza non solo di possedere il
mondo intero attraverso il possesso dell'altro, ma anche quella di costituire,
se pure per pochi istanti, il mondo intero
per l’altro».Laing
utilizza poi questa analisi per mostrare come la maggior parte dei soggetti si
sforzi «di occupare il primo posto, se non l'unico posto di rilievo, nello
schema del mondo di almeno un'altra persona» sino
agli eccessi del paranoide, per il quale non si tratta più di vivere nel
proprio mondo, ma «per proiezione magica nel mondo degli altri» .
sergio magaldi
Cfr. H. Ishiguro, L'immaginazione in AA.V.V., Filosofia analitica
in-glese, Lerici, Roma, 1967, p. 192.
Cfr. J.P. Sartre, L'essere e il
nulla, II Saggiatore, Milano, 1964, p. 100 e 95-96 e R.D. Laing, L'io e gli
altri, pp. 42-46.