martedì 9 luglio 2024

Le Linee del Drago




“Le linee del Drago” sono presunte vie energetiche e magnetiche che attraversano la Terra e ne costituiscono una sorta di sistema circolatorio. Si tratta di un sapere molto antico che viene dalla Cina dei tempi di Confucio (551-479 a.C.) e che è alla base del Feng Shui, una teoria mistica e una pratica da sempre alla ricerca dei luoghi più propizi per posizionare abitazioni e altri edifici. Alla metà del secolo scorso il medico tedesco Ernst Hartmann, studiando i luoghi migliori dove collocare i letti dei malati rivelò di aver scoperto la rete di energia che attraversa la Terra ma anche i cosiddetti nodi che si formerebbero alla congiunzione delle linee rette orizzontali con quelle verticali. Nodi che possono rivelarsi pericolosi in presenza di elementi sotterranei “inquinanti” come corsi d’acqua, resti di animali, ferro etc… Prima ancora di Hartmann, il medico italiano Giuseppe Calligaris (1876-1944) rivelò nei suoi studi ed esperimenti quelle che chiamò “le catene lineari del corpo e dello spirito" con la presenza nel corpo umano di altrettanti nodi, una costellazione complessa di linee e placche in corrispondenza con le radiazioni dell’intero universo. Con queste consapevolezze Marco Dofer, il protagonista principale del romanzo, rabdomante più per hobby che per mestiere, si accinge ai suoi rilevamenti con tanto di bacchetta o biotensor, prima cercando di individuare gli eventuali spazi e oggetti “inquinanti” di un locale pubblico, poi al servizio di ufficiali dei carabinieri nei luoghi di ritrovamento di diversi resti umani. Le sue scoperte si riveleranno utili per comprendere le “ragioni” del dualismo cosmico, ma soprattutto la funzione del male e della paura da parte di chi controlla il potere.

domenica 30 giugno 2024

GLI AZZURRI AGLI EUROPEI E IL SENSO DEL RIDICOLO


 

 

 

 Ieri, alla vigilia di Svizzera-Italia, avevo parlato di mancanza di senso della realtà da parte di chi, vista l’apparente facilità del Tabellone in cui era finita Italia, vagheggiava già l’approdo in finale. Oggi parlo piuttosto di senso del ridicolo dei protagonisti fuori e dentro il campo.

Per la verità, nei primi venti minuti dell’incontro, qualcosa sembrava cambiato rispetto alle precedenti esibizioni degli azzurri, ma forse era solo il timore reverenziale degli avversari di fronte ai campioni d’Europa in carica. Quando gli elvetici si sono resi conto di che pasta era fatta la nostra nazionale hanno preso in mano il pallino della partita (si fa per dire) senza più mollarlo: Di Lorenzo letteralmente saltato ha dato il via al primo goal degli svizzeri, quando subito dopo è partito un tiro intercettato a rete da uno stordito ancorché incolpevole Mancini; buchi al centro della difesa e ampio spazio lasciato libero all’altro marcatore svizzero per segnare da lontano appena all’inizio del secondo tempo, proprio quando si sperava in una reazione degli azzurri dopo la delusione dell’ultima mezzora del primo tempo. Una squadra quella italiana che camminava e non indovinava due passaggi di fila e che nelle rare occasioni in cui ha tirato in porta, lo ha fatto per così dire con delle incredibili mezze “ciabattate”; giocatori che allargavano le braccia non sapendo cosa fare con la palla, nessuna carica agonistica tanto da far pensare ai maligni che c’era tra i nostri un solo desiderio: andare in vacanza al più presto! Su questo non sono d’accordo, perché il peggio si era già visto contro la Spagna e nessuno può ragionevolmente pensare che gli azzurri pensassero al ritorno a casa già alla seconda partita degli Europei! Parlerei dunque più di senso del ridicolo che di senso della vergogna. Ma è tutta colpa dei giocatori (escludendo il solo Donnarumma)?

Non direi, perché è vero che Spalletti ha cambiato qualcosa in questa partita decisiva, ma sembra averlo fatto a caso e senza avere in mente un’organizzazione di gioco appena plausibile. Testardo come sempre nel riproporre “suo figlio” Di Lorenzo che ha puntualmente confermato il rendimento delle tre precedenti prestazioni e quelle di tutto l’anno nel Napoli; dietro ha giocato a quattro, con un incerto Darmian terzino a sinistra (?!), un Mancini apparso spossato già nelle ultime di Campionato al posto di Calafiori (non Gatti come sarebbe stato auspicabile) e con Bastoni che alla vigilia aveva avuto la febbre. A centrocampo l’unica vera novità è stata aver lasciato (finalmente?) fuori Jorginho ma non poteva bastare, nonostante l’impegno mostrato da Fagioli, vista la lentezza di Cristante, l’eccessivo individualismo di Barella, dolente anche per un infortunio subito nella prima parte della gara, e lo scarso rendimento complessivo della difesa. Il capolavoro Spalletti l’ha poi perfezionato in attacco rinunciando a Zaccagni e schierando per la prima volta Al Shaarawy (peraltro, si è saputo dopo, poco in condizione) però non in sostituzione di Chiesa a sinistra, magari nel secondo tempo, quando il bianconero fosse stato stanco come spesso gli accade, ma sin dall’inizio.

Perché cambiare ancora modulo? Perché le idee sono state così poche e confuse? Perché non giocare a tre dietro come nella precedente partita contro la Croazia, mettendo finalmente da parte “suo figlio” e con due esterni veri come Bellanova e Di Marco o Cambiaso? Perché far fuori Zaccagni che pure Spalletti aveva abbracciato e baciato dopo il goal salvezza contro i croati? Perché insistere per la quarta volta con Chiesa a destra? Interrogativi che resteranno senza risposta, ma che lasciano l’amaro in bocca e più di una inquietudine in vista delle prossime qualificazioni ai mondiali, dove sarebbe clamorosa la terza esclusione di fila degli azzurri.

Inutile ripetere i discorsi di sempre, forse però vale la pena di ricordarne le tematiche ancora una volta: pochi anzi pochissimi i giocatori italiani impiegati nel Campionato di serie A e persino di B, scarso o nullo in particolare lo spazio lasciato ai giovani, nessuna politica per integrare nel calcio le minoranze etniche, africane e non, ciò che pure è avvenuto per l’atletica dove non è necessario, come nel calcio, frequentare costose scuole per farsi notare.

 

sergio magaldi


venerdì 28 giugno 2024

Europei di calcio 2024: gli azzurri e il senso della realtà


 


 

 

 Dopo la qualificazione agli ottavi grazie al goal segnato al settimo di otto minuti di recupero nella partita contro la Croazia, l’ottimismo è diventato contagioso, soprattutto tra gli addetti ai lavori della Rai (con l’eccezione di Tony Damascelli, giornalista di rango, e tuttavia anche lui meno pessimista del solito), nel ritenere possibile che l’Italia disputi addirittura la finale. Si fanno calcoli guardando il Tabellone nel quale gli azzurri sono finiti dalla parte considerata più facile dal momento che – si dice –  comprende sette squadre che sono alla nostra portata: Svizzera (che incontreremo subito), Inghilterra (probabilmente nei quarti di finale), Austria (forse in semifinale), Turchia, Slovacchia, Olanda e Romania, mentre dall’altro lato del Tabellone se la vedranno Spagna, Georgia, Belgio, Francia, Portogallo, Slovenia, Germania e Danimarca.

Una lettura questa, forse in altri tempi possibile, non oggi dopo aver visto la squadra azzurra all’opera, prima contro l’Albania dove subisce un goal dopo 24 secondi e con un pareggio evitato all’ultimo minuto, poi contro la Spagna perdendo senza nemmeno giocare, infine con la Croazia in una partita mal giocata e fortunosamente recuperata all’ultimo minuto con il pareggio di Zaccardi su assist di Calafiori, celebrato come un grande campione, lui che pure aveva rischiato l’autogol del pareggio contro l’Albania, sventato da una prodezza di Donnarumma, e che l’autogol della sconfitta l’ha fatto nella partita successiva contro la Spagna.

L’unico rammarico sembra proprio la squalifica di Calafiori – un calciatore che, per il gioco complessivamente espresso e per l’assist che ha evitato di buttarci fuori dagli Europei già prima degli ottavi, considero anch’io una risorsa per la nazionale del futuro – mentre sale forte l’interrogativo su chi sia in grado di sostituirlo: Mancini o Buongiorno? Nessuno pensa a Gatti che pure è quello che per caratteristiche: carica agonistica, velocità, attacco all’area avversaria (e paradossalmente persino per goal e autogol!), più somiglia all’azzurro squalificato anche se di lui è meno elegante. Eppure di un giocatore così c’è bisogno in campo dove tutti o quasi tutti viaggiano a velocità ridotta e con scarso vigore. Spalletti, però, Gatti non lo vede neppure, tant’è che l’ha portato in Germania solo all’ultimo minuto in sostituzione dell’infortunato Acerbi.

Purtroppo altre cose non vede il nostro commissario tecnico e di sicuro negli ottavi contro la Svizzera schiererà ancora, dopo tre partite inguardabili, “suo figlio” Di Lorenzo, ignorando Bellanova utile soprattutto come esterno se dietro, come sembrerebbe più logico, si dovesse giocare a tre. Per inciso, stento a credere che la nuova Juve scambierebbe Chiesa (27 anni a ottobre) con un difensore che il 4 agosto avrà 31 anni e che ha alle spalle un campionato di serie A a dir poco sconcertante! Fortuna, pare, che Conte lo consideri incedibile. Ecco, ci lavori lui per farlo tornare quello dello scudetto!

A centrocampo Spalletti riproporrà Jorginho, il “suo regista” in campo, che poco ha giocato quest’anno nell’Arsenal e che purtroppo appare sempre più lento. Si guarderà bene dall’utilizzare Fagioli prima degli ultimi minuti, visto che lo considera il vice di Jorginho, laddove secondo me l’alternativa all’italo brasiliano è Cristante, neanche lui velocissimo ma almeno dotato di potenza fisica e talora pericoloso per l’area avversaria. Né farà giocare di sicuro Folorunsho l’altro centrocampista veloce che vedrei bene in coppia con Fagioli per dare maggiore dinamismo. E neppure farà scendere in campo El Shaarawy, l’unico degli attaccanti sin qui mai utilizzato, che è un’ottima alternativa a Chiesa (se il bianconero giocasse nel suo ruolo naturale!) nell’ultima mezzora di partita quando lo juventino è ormai stanco. E molto probabilmente all’inizio vedremo di nuovo Pellegrini e non Zaccagni. Insomma la solita nazionale senza capo né coda con giocatori fuori ruolo e che tanto ha ben meritato nelle tre partite sin qui disputate!

Tutto ciò premesso, spero invece che Spalletti consideri tutte le alternative possibili per il riscatto di questa nazionale, perché senza qualche improvvisa illuminazione del nostro tecnico, il ritorno a casa degli azzurri si può dare per scontato già da domenica.

Forse è persino superfluo aggiungere che l’augurio è quello di sbagliarmi!

 

sergio magaldi       


lunedì 24 giugno 2024

ITALIA FLOP AGLI EUROPEI DI CALCIO




 Sperando che il flop non sia definitivo, dopo l’incredibile partita contro la Spagna in cui raramente siamo usciti dalla nostra metà campo, abbiamo conquistato un corner a pochi minuti dalla fine e fatto un solo tiro sbilenco fuori della porta degli iberici. Eppure, ci sono tutte le premesse perché questa sera le cose non migliorino contro la Croazia:

 

1)   Non abbiamo mai battuto questa nazionale: 8 partite con 3 sconfitte e 5 pareggi.

2) L’insistenza nello schierare  Di Lorenzo, sistematicamente scavalcato in campo da Williams, semisconosciuto ai più e tuttavia apparso come un gigante, e che Spalletti farà giocare terzino destro anche contro i croati, dichiarando che per lui è “un figlio”, con ciò facendo pensare che lo ritenga intoccabile in questa formazione!

3) Tenere fuori Fagioli e Folorunsho, gli unici della rosa di centrocampo portata in Germania, che sembrano capaci di correre e di verticalizzare.

4)  Schierare sempre a centrocampo giocatori lenti come Cristante e Jorginho e magari Pellegrini, più lento di tutti e due e considerato dal selezionatore azzurro un centrocampista.

5)  Insistere con Calafiori centrale difensivo, il quale avrà pure giocato meno peggio di altri come si sente ripetere ma che, forse anche per inesperienza, stava per farci pareggiare al 95’ contro l’Albania e che con l’autogol ha dato alla Spagna l’unica rete della vittoria, grazie alle tante parate di Donnarumma. Due prove fanno un indizio, ma Spalletti non sembra farci caso e, a quanto pare, terrà fede sino alla fine al suo sin qui velleitario progetto di calcio per la nazionale.

È vero d’altra parte che per andare agli ottavi all’Italia basta un pareggio ma è altrettanto vero che ai croati serve una vittoria. Si spera che Spalletti riveda almeno la posizione di Chiesa in campo, schierandolo finalmente a sinistra e che porti qualche altra correzione ai suoi tanti errori che per la verità iniziano già dalla scelta dei 26 da portare in Germania, non tenendo conto del rendimento tenuto in campo da alcuni giocatori durante tutto l’anno. Tanto per fare solo un esempio, dei suoi dello scudetto ha portato Di Lorenzo e Raspadori e tenuto fuori Politano!

In caso di sconfitta contro la Croazia, resta la speranza che la Spagna, già qualificata come prima per gli ottavi, faccia il suo contro l’Albania, ma anche qui nulla è scontato, intanto perché gli albanesi potrebbero fare il pieno contro una Spagna ampiamente rimaneggiata e poi perché l’eventuale terzo posto a 3 punti potrebbe non bastare per il ripescaggio delle quattro terze su sei.

Comunque vadano le cose, le prospettive italiane di andare avanti in questi Europei sono tutt’altro che rosee dopo aver visto gli azzurri completamente in balia degli spagnoli, in quella che può essere definita in assoluto la più brutta partita giocata dalla nostra nazionale, persino peggiore di quella che determinò la storica sconfitta contro la Corea.

 

sergio magaldi   

 




 

venerdì 7 giugno 2024

QABBALAH: Il 32°Sentiero dell’Albero della vita: Malkhuth-Yesod


Una volta collocate le dieci Sephiroth sull’Albero - che costituiscono già i primi dieci sentieri - tracciamo ora, seguendo il percorso della discesa della luce, i restanti ventidue sentieri a partire dalla prima Sephirah. L’undicesimo sentiero sarà allora Kether – Chokhmah, il dodicesimo Kether – Binah, il tredicesimo Kether – Da’at (consapevoli che Da’at non è una Sephirah, che è ancora tutta da scoprire e che sarà possibile conoscerla solo durante l’ascesa lungo l’Albero a partire da Malkhuth). Continuando poi dalla seconda Sephirah, tracciamo il quattordicesimo sentiero Chokhmah – Binah, il quindicesimo Chokhmah – Da’at e il sedicesimo Chokhmah – Chesed. Proseguendo così con le restanti Sephiroth tracciamo tutti gli altri sentieri sino al trentaduesimo. A questo punto non resta che collocare su ciascun sentiero la lettera che gli appartiene secondo le indicazioni del Sepher Yetzirah [3:3]: le tre lettere madri sui sentieri orizzontali, le sette lettere doppie sui sette sentieri verticali e le dodici lettere semplici sui dodici sentieri diagonali. Dobbiamo poi fare la stessa cosa con i 7 pianeti della tradizione e i 12 segni zodiacali che, sempre seguendo il Sepher Yetzirah [4:7 e 5:5], troveranno posto rispettivamente sui 7 sentieri verticali e sui 12 sentieri diagonali. Possiamo ora iniziare la risalita dell’Albero, percorrendo il 32° sentiero Malkhuth-Yesod, caratterizzato dalla presenza della lettera Taw e illuminato dai raggi della Luna. Nel Midrash di un maestro del I-II sec. d.C., noto appunto come Alfabeto di Rabbi Aqiva, si rivela la duplice natura della lettera Taw che va letta anche come Taew, desiderio, nel senso di ricercare ogni bene terreno ma anche inteso come desiderio dello spirito di risalire in alto. Se la Taw ha valore 400, numero che nella tradizione ebraico-cabbalistica simboleggia tutto quello che di bene e di male c’è nell’universo, nel suo “riempimento” o “plenitudine” la lettera si scrive con una Taw seguita da una Waw per un valore numerico di 406, di cui una ghematria è rappresentata dal cosiddetto “Segreto di Purim”, le cui lettere ebraiche sommate tra di loro danno appunto lo stesso valore di 406. A Purim è consuetudine ancora oggi presso gli ebrei leggere la Meghillah (Rotolo o Libro) di Ester, e anche la vicenda di Purim ci aiuterà a comprendere meglio il luogo nel quale ci troviamo. Procedendo tra luci e ombre e cogliendo i significati del sentiero, giungeremo infine sino a Yesod.

lunedì 27 maggio 2024

Qabbalah: i 32 Sentieri dell'Albero della Vita



Nel ciclo delle puntate dedicate ad un viaggio nella Qabbalah, ci siamo imbattuti nelle dieci Sephiroth dell’Albero: «Dieci sehiroth beli-mah (cioè: ‘dieci sephiroth senza ulteriore determinazione’), dieci e non nove, dieci e non undici, comprendi con sapienza e sii saggio con intelligenza: esamina servendoti di loro e su di loro indaga, conosci, conta e scrivi…». Nel paragrafo del Sepher Yetzirah appena citato (S.Y.,I,4) c’è un riferimento preciso a Chokhmah (Sapienza) e a Binah (Intelligenza), le due Sephiroth necessarie per conoscere tutti gli altri frutti dell’Albero e in particolare per apprendere che il Signore “in 32 misteriosi sentieri di saggezza ha scolpito e formato il mondo attraverso il numero (Sephar), la lettera (Sepher) e la parola (Sippur)”, come dice il Sepher Yetzirah proprio al suo esordio (S.Y.,I,1). In quel viaggio di nove tappe, ci siamo soffermati su ciascuna delle dieci Sephiroth e anche su quella che, proprio al di sotto e al centro delle tre superne (Kether-Chokhmah-Binah), sembra una undicesima Sephirah (Da’at) ma non lo è, perché dicemmo allora che non fa parte del progetto divino ma rientra solo nel progetto umano di conoscenza. Ci proponiamo ora di salire da Malkhuth a Kether in un cammino molto più lungo perché per giungere alla meta occorre passare per i 32 misteriosi sentieri di cui si diceva sopra. Per tale impresa, la prima cosa da fare è costruire un albero e pazientemente riempirlo di tutto ciò che gli appartiene e che è indicato in S.Y.,3.3, S.Y.,4.7 e S.Y.,5.5. Dopo di che, prima di iniziare l’ascesa, sarà bene confrontare l’Albero così ottenuto con quello della discesa della luce primordiale.

domenica 19 maggio 2024

LO STILE JUVENTUS


 

  Lo stile Juventus non è compatibile con il comportamento di un allenatore che si è lasciato andare, magari forse esagerando, in una polemica con i giudici di gara dopo l’ennesimo torto subito. Perché, a parte il rigore, punizioni e calci d’angolo non concessi, a parte il goal annullato a Vlahovic che aveva un piede assolutamente indietro rispetto a quello del difendente ma teneva un braccio più avanti e forse un ginocchio che fino a prova contraria è tutt’uno con  gamba e  piede; tutto l’arbitraggio della finale di Coppa Italia 2024, Var compreso, deve essere sembrato all’allenatore della Juve sbilanciato e di parte.

Nulla di nuovo sotto il sole per quanto si è già visto sui campi di calcio anche da parte di nomi illustri tra gli allenatori e infatti la gravità della protesta, più che altro appariscente e teatrale, è stata sanzionata con due sole giornate di squalifica.

Lo stile Juventus non è compatibile con il battibecco che ne è seguito in campo e che poi è proseguito nei corridoi dello stadio nei confronti di giornalisti e addetti ai lavori, con cui peraltro risulta che Allegri si sia scusato.

C’ è di più: a leggere le poche righe del comunicato del licenziamento si resta di sasso: una stringata cronologia del lungo rapporto di Allegri con la Juve, senza parlare dei trofei vinti e per annunciare soltanto che la sua attività con la squadra cessa con la finale di Coppa Italia 2024, senza neanche menzionare la vittoria. E’ questo lo stile Juventus? 

Ma qual è lo stile Juventus? Quello dell’avvocato Agnelli? Siamo certi che lui avrebbe – non semplicemente esonerato a fine campionato e senza tanto clamore – licenziato in tronco un allenatore che ha vinto 5 scudetti 5 coppe Italia, 2 supercoppe e che per ben due volte ha portato la Juve alla finale di Champions?!

Corre voce da più parti – ma forse si tratta solo di malignità – che il cosiddetto stile Juventus abbia trovato nel “licenziamento in tronco” dell’allenatore, che insieme a Trapattoni e Lippi è tra i più vincenti della storia bianconera, un espediente per risparmiare sull’ultimo anno di contratto di Allegri.

Tutto ciò premesso, devo aggiungere che non sono mai stato un ammiratore del tecnico livornese [vedi di seguito il post  del 21 novembre 2021 dal titolo “La filosofia di Allegri”, cliccando sul link seguente: https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2021/11/l-filosofia-di-allegri.html  ] anche se gli sono stato grato per i tanti trofei. Ho spesso pensato – e non sono il solo – che negli ultimi tre anni, nonostante le numerose vittorie di “corto muso”, il gioco espresso dalla Juve fosse il più brutto della Serie A, ma occorre riflettere che anche in questi anni della “seconda volta” di Allegri alla Juve gli obiettivi sono stati sempre raggiunti e che, in particolare lo scorso anno,  l’allenatore  ha saputo mantenere dritta la barra delle squadra nell’infuriare di una crisi societaria non indifferente, raggiungendo ugualmente il 3° posto nella classifica, utile per partecipare alla Champions, salvo poi la penalizzazione nel punteggio e la squalifica UEFA che ha estromesso la squadra dalle competizioni europee per i noti fatti di bilancio. Realizzati tutti gli obiettivi anche quest’anno, con l’ultimo raggiunto proprio nel giorno del licenziamento in tronco: qualificazione alla Champions 2024-2025, al primo Mondiale per Club, e vittoria della Coppa Italia contro una squadra come l’Atalanta, prossima finalista di  Europa League e che, alla vigilia, davano tutti per favorita.

 sergio magaldi


sabato 11 maggio 2024

Dal Golem all’Intelligenza Artificiale (parte 2ª)



Se è vero che tutte le narrazioni circa la costruzione del Golem – in quanto si richiamano all’uso di lettere dell’alfabeto ebraico con cui è detto che Adonai avesse formato il mondo (“22 lettere fondamentali fissate in un cerchio con 231 Porte”, S.Y, 2.4) – riconducono al "Sepher Yetzirah" o “Libro della Formazione”, solo in alcune versioni, talora con accenni a magia e astrologia, si trova il riferimento puntuale all’utilizzo di tutte le lettere, alla completa declinazione di ciascuna lettera con tutte le altre e, in aggiunta, anche con le lettere del Tetragramma. Si osservi, tuttavia, che il Sepher Yetzirah non parla assolutamente della creazione di esseri artificiali bensì soltanto della formazione dell’universo ad opera di Adonai. Un rapporto tra Golem, Robot e Intelligenza Artificiale (IA) esiste certamente e non è solo nell’idea di fondo che si sostanzia nel desiderio umano di rendersi simili ad Adonai nel formare altri esseri. Tale rapporto si configura per altri versi come il passaggio da una concezione magica ad una concezione scientifica del sapere, dove per mago s’intende il significato che ne dava Giordano Bruno: “Magus significat sapientem cum virtute agendi”. Ci si riferisce insomma alla magia naturale che anticipa e prepara le conquiste della scienza e della tecnologia. Nel corso della puntata racconteremo di un test con CLAUDE 3 (chatbot di Anthropic) che pone affascinanti domande sul futuro dell'IA. ---------------------------------------- - Link alla puntata precedente: https://www.youtube.com/live/uSjwaNQp... ---------------------------------------- Riferimenti a video e libri trattati in trasmissione: Canale YouTube 'Figure01' OpenAI    / @figureai   --- "Irriducibile. La coscienza, la vita. i computer e la nostra natura" di Federico Faggin, Mondadori, 2022 --- "L'era dell'intelligenza artificiale. Il futuro dell'identità umana" AAVV, Mondadori, 2023 --- "Né intelligente né artificiale. Il lato oscuro dell'IA" di Kate Crawford, Il Mulino, 2021 --- "Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri" di Shoshana Zuboff, Luiss University Press, 2023

giovedì 25 aprile 2024

GOLEM - La Leggenda del Golem, i Robot e l'IA (p. 1ª)



Il tema del Golem si diffonde in Occidente relativamente tardi grazie alla leggenda di Yehuda Löw, Maharal di Praga, che nella seconda metà del XVI secolo ne avrebbe costruito uno per difendere la comunità ebraica della città dai continui attacchi dei cristiani e degli uomini dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo. In realtà, precedenti relativi alla costruzione di un androide erano già noti in ambiente ebraico – segnatamente, ricorrono spesso nella letteratura del Chassidismo tedesco del XII e XIII secolo – grazie al Talmud che in uno dei suoi trattati riporta la storia di Rava che lo costruì e di Zeira che lo distrusse, nonché grazie al Sefer-ha-Ghematri’ot che racconta la vicenda della creazione di un Golem da parte di Geremia e di suo figlio. Tutte queste narrazioni, circa la costruzione di un uomo artificiale, si basavano sulle complesse tecniche contenute nel Sefer Yetzirah o “Libro della Formazione”, scritto attribuito ad Abramo e che costituisce il testo originario e fondamentale di ogni successiva speculazione cabbalistica. Quanto c’è di comune tra il Golem e il Robot dei giorni nostri? In che misura e in quale direzione si svilupperà l’intelligenza artificiale (IA)? Quali vantaggi apporterà all’umanità, al netto degli svantaggi già resi evidenti dal cosiddetto “Capitalismo della sorveglianza”?

venerdì 19 aprile 2024

RILEGGERE SARTRE (P.7.a Il ruolo di Sartre negli studi di psicologia)


 

Circa un anno fa, Riccardo De Benedetti su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.

Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È  certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.

A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.

Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).

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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.

Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post: 



Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:






ASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di  L’essere e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023

 

La riscossa esistenzialista

il manifesto

07 maggio 2023

 

Un'esistenza che precede l'essenza

Il Sole 24 Ore

05 marzo 2023

 

Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo

Avvenire

19 febbraio 2023

 

Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre

Critica Letteraria

18 febbraio 2023

 

Siamo condannati alla libertà.



la Repubblica

25 gennaio 2023

 

 SEGUE DA:

















IL RUOLO DI SARTRE NEGLI STUDI DI PSICOLOGIA

 Nell'am­bito della psicologia fenomenologica il pensiero di Sartre ha profondamente influenzato le analisi degli specialisti. Mi riferisco in particolare agli studi dedicati all'immaginario e all'emozione, nonché alla fortuna di cui tali studi hanno goduto soprattutto nei paesi anglosassoni. Significativo a tale riguardo mi pare il tentativo di Hidé Ishiguro volto a sottolineare i punti di contatto esistenti, per l’analisi dell'immaginazione, tra fenomenologia sartriana e filosofia analitica inglese, vale a dire tra filosofie che dichiarano di usare metodi completamente opposti.

Ishiguro, dopo aver ricordato come l'immaginazione sia stata sempre considerata «il brutto anatroccolo del mondo filosofico», osserva come la situazione sia profondamente mutata: «Eminenti filosofi, in Inghil­terra e in Europa, hanno cercato di mostrare come lo studio filo­sofico dell'immaginazione costituisca una parte importante, e del tutto degna di considerazione, della filosofia della mente. In effetti, lo studio della immaginazione è uno dei campi in cui i problemi posti dai filosofi di questi due mondi a sé stanti — Europa e Inghilterra — hanno maggiori punti di contatto. La differenza tra l'Imaginaire (1940) di Sartre e le note sulla immaginazione di Wittgenstein in Blue and Brown Books (1934-36), o il capitolo sull’immaginazione nel libro di Ryle Concept of Mind (1949) è senza dubbio minore di quella che esiste fra L'Imaginaire e le opere dei predecessori di Sartre in Francia, o fra l'indagine di Ryle e quella condotta dagli empiristi inglesi che si rifanno a Hume»[1].

I punti di contatto tra Ryle (che Ishiguro nell’opera da lui citata definisce il più com­portamentista dei filosofi analitici inglesi) e Sartre possono così riassumersi: l'oggetto d'immaginazione non è un'entità mentale (pp.197 e 206), immagini e percezioni non interferiscono tra loro ma si escludono a vicenda (p.200), «farsi delle immagini» è per Ryle come per Sartre «uno dei molti modi di far finta, e far finta è uno dei molti modi in cui esercitiamo la nostra immaginazione, che, a sua volta, è un modo in cui facciamo uso delle nostre cognizioni e della nostra in­telligenza» (p.201).

Infine la concezione del sapere nell'immaginazione, nel senso che immaginare un oggetto non significa propriamente accrescere la conoscenza che si ha dell’oggetto stesso (pp.202-203).
Una sostanziale affinità c'è inoltre tra l'osservazione di Wittgenstein che «vedere come...» è simile all'«avere un’immagine di...» e l'opinione quasi assolutamente identica che si trova in tutta l'opera di Sartre quando esamina in dettaglio ritratti, caricature, mimiche, simboli ed altri fenomeni specifici (p.222).

Mi riferisco inoltre al fatto che la psicologia statunitense e la psicologia inglese ed europea hanno fatto largo uso, nella descrizio­ne e nella valutazione di casi clinici, del metodo e degli strumenti forniti dalle analisi teoriche di Sartre. Per tutti basti ricordare l'inglese Ronaid Laing, il più noto in Italia tra gli psichiatri che si richiamano alla fenomenologia, il quale, nel descrivere forme d'ansia quali il «risucchio», l'«implo­sione», la «pietrificazione», o forme di insicurezza nei confronti di se stesso e/o di altri come l'«evasione», l'«elusione», la «col­lusione» ecc…, ricorre con frequenza alle analisi contenute nelle opere di Sartre.

Il «risucchio», in quanto si definisce come una sensazione minacciosa che il soggetto avverte soprattutto nel rapporto con l'altro (anche se dipende dalla perdita del senso della propria auto­nomia e della propria identità), rimanda alle analisi sartriane del «per altri» contenuta nella Parte III di L'Etre et le Néant.

L'«implosione», in quanto è una forma d'ansia per la quale la realtà per se stessa si presenta come minacciosa, ricorda il comportamento magico nei confronti del reale del soggetto emo­zionato che Jean Paul  Sartre descrive ampiamente nel saggio Esquisse d'une théorie des émotions.

La «pietrificazione», nel duplice senso di «vedere» ed «essere visto» cioè di «trasformare» ed «essere trasformati » in pietra, come pure l'atteggiamento di indifferenza nei confronti dell'altro sono particolari forme d'ansia derivanti dall'esistenza dell'altro come libertà: «il risucchio consiste in questo: se si sente l'altro come un libero agente, si è esposti alla possibilità di sentire se stessi come un oggetto della sua esperienza, e quindi di sentirsi prosciugare la propria soggettività. Si è minacciati dal pericolo di diventare un semplice oggetto del mondo dell'altro, senza più vita propria, senza più un essere proprio. Sotto l'effetto di questa ansia l'atto stesso di sentire l'altro come persona viene vissuto come un atto potenzialmente suicida. Questa esperienza viene brillantemente descritta da Sartre nella terza parte di L'essere e il nulla»[2].

Occorre tuttavia rilevare che mentre in Sartre l'insicurezza ontologica è un fatto originale della condizione umana, in Laing è piuttosto l'atteggiamento cui si lascia andare l'individuo schizoide: «Nessuno, più dell'individuo schizoide, si sente vulnerabile ed esposto allo sguardo di un'altra persona. Se non prova un acuto imbarazzo, una "consapevolezza" di essere guardato dagli altri, vuol dire soltanto che ha temporaneamente evitato il manifestarsi dell'ansia, e ciò con due possibili modi: o ha trasformato in og­getto l'altra persona, spersonalizzando quindi i suoi sentimenti nei suoi confronti, o ha assunto un'aria indifferente» [3]. E ancora: «essere un oggetto agli occhi di qualcuno non rappresenta, per la persona "normale", un pericolo spaventoso. Ma per l'individuo schizoide ogni paio di occhi di un suo simile significa una testa di Medusa, dotata del potere effettivo di uccidere e spegnere quel po' di vita che è in lui. Egli cerca perciò di prevenire la sua pie­trificazione pietrificando gli altri, e gli pare, così facendo, di poter raggiungere una certa sicurezza» [4].

Va detto tuttavia che lo stesso Laing, in definitiva, sembra piut­tosto restio a parlare di una normalità standardizzata e le sue stesse esperienze cliniche vanno piuttosto nel senso di mettere in crisi, anche sotto questo profilo, le tesi classiche della psichiatria. E' nota peraltro la collaborazione tra Ronaid Laing e David Cooper, autore quest'ultimo, tra l'altro, di Psychiatry and Anti-Psychiatry, (Tavistock, Lon­dra, 1967), un’opera che tutto è tranne un riconoscimento della tradizione psichiatrica e della sua concezione di normalità.

L'influenza di Sartre è inoltre visibile nella descrizione che Laing fa della condizione schizofrenica, sia dal punto di vista del paziente, sia dal punto di vista del mondo nel quale il paziente vive: «Ma se una persona non agisce nella realtà, ma solo nella fantasia, diviene essa stessa irreale. Il "mondo" affettivo di questa persona si immiserisce e si dissecca; la "realtà" del mondo fisico e delle altre persone cessa di essere usata come palestra per l'esercizio creativo dell'immaginazione, e perciò perde sempre più il suo stesso significato. La fantasia, non essendo né immersa in qualche misura nella realtà, né ricevendo iniezioni di "realtà" che possano arricchirla, si svuota e si volati­lizza sempre più. E l'io, la cui relazione con la realtà è già tenue, perde sempre più il suo carattere reale e ne acquista uno sempre più fantastico, occupato com'è sempre di più in rapporti fantastici con i suoi fantasmi (immagini)»[5]

Come pure la spiegazione che il Laing da del fenomeno allucinatorio, in quanto questo consiste nella confusione che interviene a livello del rapporto io-non io, rivela chiaramente la matrice sartriana. Così Laing descrive l'esperienza di una allucinata: «Insieme con la tendenza a percepire aspetti del suo essere come dei non-lei, si aveva un'incapacità di discriminare fra ciò che «oggettivamente» era lei o non-lei. Questo è semplicemente l'altro aspetto della man­canza di una frontiera ontologica generale. Per esempio la paziente poteva credere che le gocce di pioggia che le cadevano sul viso fossero le sue lacrime» [6].

La ricerca degli influssi sartriani nella psichiatria di Laing po­trebbe continuare a lungo: mi limito a riportare ciò che lo stesso Laing riferisce esplicitamente come contributo di Sartre o ciò che sottintende chiaramente il discorso sartriano.

Per il comportamento elusivo, che è una manovra del soggetto, mediante simulazione, tendente a modificare la propria posizione originaria verso se stessi e/o gli altri e le cose [7], Laing richiama come esemplificativi due comportamenti di malafede descritti da Sartre in L'Etre et le Néant: il cameriere che gioca ad essere cameriere e la ragazza che seduta al caffè con un uomo discute con lui della teoria platonica dell'amore e che improvvisamente si sente prendere una mano dal suo interlocutore[8].

Per il comportamento collusivo, che è una manovra interpersonale «in cui ciascuno gioca volontariamente al gioco altrui, magari senza rendersene completamente conto»[9], Laing si richiama alla situazione descritta da Sartre nella pièce Huis Clos.

Infine, per la relazione amorosa che, in un certo senso, è la comunicazione più completa tra l'io e l'altro, Laing può scrivere sulla scia di Sartre: «Nessuna teoria dei rapporti fra uomo e donna, per esempio, può consentire che si trascuri il fatto che ciascuno non cerca nell'altro solo un oggetto dal quale possa ottenere gra­tificazione, ma anche una persona da gratificare, che l'uomo e la donna ricercano nell'altro, in una relazione amorosa, non solo un mero oggetto grazie al quale possano raggiungere, più o meno sin­ceramente, lo stato di tumescenza e detumescenza, ma una esperienza unitaria, fisicamente intima ed eccitante, dalla quale ciascuno possa trarre la consapevolezza non solo di possedere il mondo intero attraverso il possesso dell'altro, ma anche quella di costituire, se pure per pochi istanti, il mondo intero  per l’altro»[10].Laing utilizza poi questa analisi per mostrare come la mag­gior parte dei soggetti si sforzi «di occupare il primo posto, se non l'unico posto di rilievo, nello schema del mondo di almeno un'altra persona» [11] sino agli eccessi del paranoide, per il quale non si tratta più di vivere nel proprio mondo, ma «per proiezione magica nel mondo degli altri» [12].

sergio magaldi

 

 

 



[1] Cfr. H. Ishiguro, L'immaginazione in AA.V.V., Filosofia analitica in-glese, Lerici, Roma, 1967, p. 192.

 

[2] Cfr. R.D. Laing, L'io diviso, Einaudi, Torino, 1969, p. 56.

[3] Ibidem, p. 87.

[4] Ibidem, pp. 87-88.

[5]  R. Laing, op. cit., pp. 97-98.

[6] Ibidem, p. 222.

[7]  Cfr. R.D. Laing, L'io e gli altri. Sansoni, Firenze, 1969, p. 44.

[8]  Cfr. J.P. Sartre, L'essere e il nulla, II Saggiatore, Milano, 1964, p. 100 e 95-96 e R.D. Laing, L'io e gli altri, pp. 42-46.

 

 

[9] Cfr. R.D. Laing, L'io e gli altri, p. 126.

[10] Ibidem, p. 159 (Cfr. J.P. Sartre, L'essere e il nulla,trad.it., p. 453).

[11] Ibidem.

 

[12] Ibidem, p.160


lunedì 15 aprile 2024

La tradizione celtica nei romanzi di Orio Giorgio Stirpe – Druidi, Bardi...




“DOPO ROMA” è un progetto di Orio Giorgio Stirpe per raccontare – tra storia e leggenda – i cosiddetti “secoli bui” che seguirono la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.). Due cicli narrativi indipendenti e tuttavia connessi tra loro che hanno come protagonisti rispettivamente il soldato romano Marco Valerio e l’elfa Deirdre d’Armorica, nata cioè nella regione costiera a nord dell’antica Gallia. Ed è proprio attraverso la narrazione delle avventure della giovane guerriera celtica che una tradizione – peraltro mai scomparsa del tutto – viene riportata alla luce soprattutto nei suoi momenti salienti caratterizzati dalle quattro grandi feste del fuoco: Samhain, Capodanno dei Celti che, “mutatis mutandis”, ricorda da vicino – e non solo per la data – la “nostra” Halloween. Imbolc, la festa degli inizi di febbraio che annuncia già il prossimo avvento della primavera. Beltane che è la festa della vita e della fertilità e che rappresenta, nel mese di maggio, il culmine della primavera. E infine Lughnasad che nella pienezza dell’estate celebra il momento fondamentale del raccolto.

mercoledì 27 marzo 2024

Le quattro libertà fondamentali – Per un Mondo come ‘dovrebbe essere’




Le quattro libertà sono quelle proclamate il 6 gennaio 1941 dal 32° Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt ai membri del Settantasettesimo Congresso appena costituitosi. Sono le stesse libertà che saranno fatte proprie dalla Costituzione Italiana sette anni dopo (1 gennaio 1948). Intervenendo, mentre in Europa infuria la Seconda Guerra Mondiale, il Presidente Roosevelt - dopo aver rassicurato le democrazie occidentali che gli americani impiegheranno tutte le proprie energie e tutti i propri mezzi per riconquistare e mantenere le libertà perdute - annuncia per l’immediato futuro “un mondo fondato su quattro libertà umane essenziali”: libertà di parola e di espressione, libertà religiosa, libertà dal bisogno e libertà dalla paura, intesa quest’ultima non solo come impegno a combattere la violenza all’interno di uno stato ma come il fermo proposito di ridurre gli armamenti in tutto il mondo a un tale punto da scoraggiare atti di aggressione di una nazione sulle altre.

domenica 24 marzo 2024

RILEGGERE SARTRE (P.6a: Sartre e il maggio francese)


 

Circa un anno fa, Riccardo De Benedetti su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.

Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È  certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.

A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.

Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).

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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.

Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post: 

 https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2019/08/le-ultime-interviste-di-sartre-lespoir.html

 

Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:

 

 https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2022/03/zibaldone-online-n-23-280322-sartre.html

 

https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2022/04/zibaldone-online-n-24-04-04-22-sartre.html

 

 https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2022/04/zibaldone-online-n-25-11-04-22-sartre.html

 

 

RASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di  L’essere e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023

 

La riscossa esistenzialista

il manifesto

07 maggio 2023

 

Un'esistenza che precede l'essenza

Il Sole 24 Ore

05 marzo 2023

 

Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo

Avvenire

19 febbraio 2023

 

Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre

Critica Letteraria

18 febbraio 2023

 

Siamo condannati alla libertà.

la Repubblica

25 gennaio 2023

 

 SEGUE DA:

 https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/02/rileggere-sartre-p5a-sartre-nella.html

 

 https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p4a-sartre-nella.html

 

 https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p3a-sartre-nel-teatro.html


https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p2a-sarte-filosofo.html


https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p-1a-sartre-narratore.html



Sartre e il Maggio francese

Come è stato giustamente osservato, né «dai rapporti di produzione assunti solo come ambito oggettivo di relazioni» né «dalla negazione della temporizzazione sembra possibile giungere alla spiegazione di un evento la cui dinamica è risultata sostanzial­mente fondata sopra la interiorizzazione del futuro»[1]

Althusserismo e strutturalismo — benché quest'ultimo si pro­ponga soltanto come una metodologia delle scienze umane — ap­paiono inadeguati come discorso complessivo a reggere il confronto con la nuova Weltanschauung che il maggio, come affermazione dialettica della lotta di classe, imprevedibile secondo una pura analisi strutturale, è in grado di offrire. In questo senso taluni han­no parlato della rivoluzione di maggio come di una rivoluzione sartriana.

Ciò che, forse, non è nelle intenzioni e nelle dichiarazioni degli studenti [2], ma se si può parlare di una filosofia» del maggio, questa — si è osservato — è la filosofia di Sartre; per spiegare l'esplosione rivoluzionaria del maggio non c'è bisogno di ricorrere a Marx o a Marcuse. Una filosofia che lo strutturalismo si era affrettato a sotterrare aveva profetizzato il maggio francese otto anni prima, e questa era la filosofia di Jean Paul Sartre [3]:

«Sartre ha descritto dap­prima nel suo libro le forme passive, anonime dove gli individui sono alienati — è cioè che egli chiama il «pratico inerte» — poi egli ha mostrato come un gruppo introduce la negazione della storia e si forgia da se stesso invece di essere forgiato, s'inventa in rottura con questa società passiva ed anonima, che un sociologo americano chiamava nelle medesime circostanze «la folla solitaria». Gli studenti che hanno fatto scoppiare la rivoluzione della primavera del '68 erano formati, se non a questa seconda filosofia sartriana, almeno a un pensiero dialettico della storia. Maggio '68, è l’insur­rezione d'una negazione «selvaggia» nella storia. L'incursione della libertà «sartriana», non della libertà dell'individuo isolato, ma la libertà creatrice dei gruppi [4].

Così, non si tratta tanto di riconoscere a Sartre il merito di moralizzatore della lotta politica rivoluzionaria, come pure osserva efficacemente Rossana Rossanda: «L'impegno politico di Sartre è una lezione di moralità politica rivoluzionaria. La sola che a un intellet­tuale, nelle condizioni di separatezza e negli anni vissuti da Sartre, fosse consentito di sperimentare e trasmettere. Ogni altra scelta sarebbe ricaduta nell'opportunismo: o quello di chi, con vari alibi, s'è venuto staccando da un rapporto diretto, per disperato che fosse, col movimento operaio, o quello di chi si sente assolto dal pensare e ripensare per avere aderito al partito comunista. Sartre insegna a non contentarsi: la sua intransigenza si esprime nel bisogno inacquietato di verificare volta a volta quale è, dove si trova il fronte di classe, e là collocarsi, insieme libero e solidale. Nel rifiutare dele­ghe o discipline, ma nel cercare uno schieramento, intendere i bisogni e i doveri. Nel rifiutare i tatticismi, ma nel cercare una unità. Nell'intendere insomma il fare politico come una rimessa in questione permanente di sé, saper ricominciare daccapo, ricostruire a ogni passo senza residui un im­pegno. Difficile separare le sue "impasses" e i suoi fallimenti da quelli di tutta la sinistra rivoluzionaria da quarant'anni a questa parte; speranze e sconfitte della rivoluzione occidentale hanno in lui, come in pochi altri, non un testimone o uno storico, ma un punto singolare di precipitazione, sono diventate una vita che tempestosamente le ha precorse e riflesse»[5].

Si tratta piuttosto quanto, senza che si possa parlare di identificazione tra ideologia sartriana e ideologia dei «gruppi», di sottolineare come il pensiero sartriano — in quanto tentativo storicamente fondato di «soggettivizzare» il marxismo — rappresenti, per entro il materialismo dialettico, l'unica alternativa al marxismo ortodosso, sia in pro­spettiva rivoluzionaria, sia per la critica del potere socialista nelle forme storicamente esistenti.

S E G U E

 

sergio magaldi



[1] Cfr. P.A. Rovatti, Sartre e il marxismo strutturalistico, in Aut Aut n.136-137, luglio-ottobre 1973.



[2] Cfr. Les animateurs parlent in La Révolte étudiante, Seuil, Parìs, 1968.

 

[3]  Cfr. Epistemon, Ces idées qui ont ébranlé la France, Fayard, Paris, 1968, p. 76.

 

[4] Le. Monde, 30 novembre 1968.

[5]R. Rossanda, Sartre e la pratica politica, in Aut Aut n. cit., p. 40