Se, a
questo punto, ci si chiede quali siano le ragioni della nascita di “Democratici
e Progressisti”, si rimane perplessi. Non è un divorzio tra le due anime del PD,
tra ex cattolici ed ex comunisti e neppure tra epigoni del PCI e della DC, come
si è tentato di farlo apparire. Di sicuro è il pronunciamento di parte di una
minoranza [che fino a poco tempo fa era maggioranza nel PD] contro il legittimo
segretario del partito, un frazionismo impensabile, non tanto nella tradizione
della sinistra, ma di sicuro in quella di ispirazione comunista, in cui il
dissenso era possibile, ma comportava poi, nel rispetto delle regole
democratiche, che ci si conformasse alle scelte della maggioranza. C’è di più,
di che si alimenta il dissenso di questa nuova minoranza frazionista? Quali
sono gli ideali che la animano? Quali nuove e decisive riforme sta per proporre
al governo del Paese, di cui al momento continua a far parte? Quali alleanze
prospetta per il futuro? Quale utilità arreca all’Italia con questa scissione?
L’unico ideale che accomuna gli scissionisti mi sembra l’antirenzismo. Le riforme
proposte in questi giorni vanno dalla scuola, all’abolizione dei voucher, alla
messa in stato di accusa del Jobs Act, ai vaghi provvedimenti annunciati in
favore della povertà, alla nuova introduzione dell’IMU sulla prima casa. In
particolare, gli scissionisti sembrano avere a cuore soprattutto questa misura,
peraltro condivisa anche da altri che rimangono nel PD. Nello spazio di 48 ore,
Bersani e Rossi [scissionisti], in differenti talk show, hanno condiviso con la
Bindi [che resta nel PD] l’esigenza di ripristinare questa tassa per far fronte
ai 3,4 miliardi che ci chiede indietro Eurogermania. E Speranza [scissionista],
il delfino di Bersani, invoca da mesi la reintroduzione di questa tassa a
beneficio dei lavoratori [?!], cioè ancora “un calcio” contro la classe piccola
e media che ormai va scomparendo, con una lettura del sociale almeno
anacronistica e intrisa di masochismo, perché finirebbe col far precipitare
quel che sopravvive ancora di questo ceto nelle bracce della Lega e/o di
Cinquestelle. Sui voucher, le posizioni degli scissionisti oscillano tra chi
vuole abolirli del tutto e chi vuole riformarli per contenerne l’espansione e
mettere un freno al mercato nero, una posizione che non è molto distante da
quella del PD, ancorché la dirigenza di questo partito riconosca al voucher,
per piccoli lavori non continuativi, un’importanza strategica, utile anche a
far circolare “moneta” alternativa all’euro.
Al posto del renziano Jobs Act, i
neoscissionisti chiedono misure alternative per incentivare l’occupazione e la
crescita e che, allo stato, non è dato conoscere quali siano. Sulla povertà, sembrano in
linea con lo spirito evangelico, piuttosto che animati dalla reale volontà di
combattere la crescente emarginazione sociale, quanto alla richiestissima,
ennesima riforma della scuola, le proposte per ora si mantengono sul generico
appello a poter disporre di una scuola “veramente formatrice”. Circa le
alleanze politiche per il futuro, non se ne fa parola ma è facile intuire che
potranno esserci con Sinistra Italiana, per tentare di raggiungere una
percentuale in doppia cifra oppure, com’è più probabile – in una prospettiva di
governo alla quale sono ormai abituati – con lo stesso PD dal quale oggi se ne
vanno sbattendo la porta. Utilità per l’Italia? Innanzi tutto rendere difficile
la governabilità del Paese, più di quanto già non lo sia, dopo la bocciatura
del ballottaggio da parte della Corte Costituzionale, rendere inoltre meno
improbabile la vittoria del centrodestra, facendo un regalo prima di tutto a
Berlusconi che avrà a disposizione, per così dire, la politica dei “due forni”:
da una parte l’alleanza con il PD [anche a prescindere da Renzi], dall’altra
quella con Salvini e con la Meloni. Infine fare un regalo anche ai Cinquestelle
che di fatto si accingono a diventare il partito di maggioranza relativa e le
cui percentuali tornano a salire nei sondaggi, dopo che la Raggi, mascherando
al momento tutta la sua debolezza e la perdurante inefficienza, pronuncia il
fatidico sì al progetto dello stadio della Roma calcio – opportunamente
rimodellato o ingenuamente dimezzato anche nella realizzazione di opere di
pubblica utilità, secondo i punti di vista – che ricompatta se non proprio
tutta la base, di sicuro la dirigenza romana dei Cinquestelle.
Con quali credenziali “Democratici e
Progressisti” si presentano oggi agli elettori? Al di là dell’introduzione di
nuove tasse che è sempre stato il biglietto da visita di tanta parte della
sinistra, a cominciare dalla richiesta di reintrodurre l’IMU sulla casa di
abitazione principale degli italiani, ciò che parla per loro sono i
provvedimenti di cosiddetta macelleria sociale che il PD, allora guidato da
Bersani, oggi scissionista, votò a sostegno del governo Monti. E per quanto
riguarda la scuola, gli scissionisti rivendicano una verginità che non hanno
mai avuto: sin dai decenni passati alcuni dei principali protagonisti della
scissione, che parteciparono direttamente o indirettamente, con o senza
l’Ulivo, al governo del Paese, permisero che della scuola si facesse il luogo
della burocrazia, degli sprechi e della fatiscenza delle strutture; e degli
insegnanti, un proletariato intellettuale a basso costo ma ad alto rendimento
politico, mediante una politica di assunzioni generalizzate che immise nei
ruoli delle segreterie delle scuole di ogni ordine e grado, bidelli semianalfabeti, e nel ruolo docente,
e senza concorso, chi a malapena aveva vissuto nelle aule scolastiche un paio
di anni da supplente. Come si può pretendere, oggi, anche solo di parlare di
una scuola “veramente formativa”, partendo da queste premesse?
Quel che resta da chiedersi è verso chi si
rivolga la nuova offerta politica rappresentata dai “Democratici e
Progressisti”. E una risposta convincente non c’è, perché dai suoi dirigenti,
così come li conosciamo da anni, non vengono proposte veramente alternative e
si ha netta l’impressione che questa nuova scissione sia la scelta più inutile
che il frazionismo di sinistra abbia mai prodotto nel corso della sua storia,
non solo perché si è ormai perso qualsiasi collegamento con la classe
lavoratrice, con i giovani disoccupati e con l’elettorato d’opinione che ancora
oggi si orienta a sinistra, ma soprattutto perché gran parte degli scissionisti
sembrano motivati solo da vicende personalissime e dal tentativo di riappropriarsi
del potere, una volta che, da maggioranza sono divenuti minoranza all’interno
del Partito Democratico, per la manifesta incapacità di preparare nuovi quadri
all’altezza della situazione sempre più difficile e complessa che il Paese è
chiamato a vivere.
sergio
magaldi