Qualche
sera fa, a Otto e Mezzo, Lucio
Caracciolo, direttore di Limes, in
merito alle dichiarazioni programmatiche di Giorgia Meloni, faceva
un’osservazione, scontata finché si vuole ma pur sempre vera: un conto sono le
parole, un altro sono i fatti…
Come
a voler dire che il cammino del nuovo governo, almeno a parole, può anche
essere lastricato di buone intenzioni, ma che poi bisogna vedere cosa farà realmente.
È
così? Le proposte di Giorgia Meloni sono davvero “buone”? Vediamo:
1)
Riforma costituzionale e in particolare introduzione del presidenzialismo
o magari del semipresidenzialismo alla francese. Un bene per il Paese o, come
preferisce dire la Meloni, per la Nazione? Resta da vedere quali siano queste
riforme, quanto al semipresidenzialismo alla francese - basato sull’elezione a
doppio turno del Presidente della Repubblica e su un Primo Ministro da questi
nominato in base alla maggioranza parlamentare - occorre segnalare tre aspetti:
il primo denota l’altruismo (o l’ingenuità) della Meloni che non può ignorare
che l’elezione a doppio turno del Presidente (solo in apparenza simile a quella
di un sindaco) favorisce il candidato di centro escludendo, come peraltro è
sempre avvenuto in Francia e non solo, i candidati alternativi di destra e di
sinistra. Il secondo aspetto parla di una diarchia dell’esecutivo inutile quando
non è pericolosa. Inutile, se il Primo Ministro è espressione della stessa
maggioranza che ha portato all’elezione del Presidente della Repubblica (quanti
sanno che dal 16 maggio di quest’anno Presidente del Consiglio francese o Primo
Ministro è Elisabeth Borne, dello stesso partito di Macron? E non è la prima
volta di una donna in questa carica, come in Italia, anche se sono ormai passati
31 anni dall’ultima volta). Pericolosa, quando la maggioranza parlamentare sia
diversa da quella che ha portato all’elezione del Presidente. Il terzo aspetto
riguarda in particolare l’esperienza italiana. I padri costituenti vollero
evitare il pericolo dell’uomo solo al
comando per effetto di plebisciti e per questo dettero la preferenza alla
Repubblica Parlamentare.
2)
Autonomia differenziata, sempre tuttavia coniugata con elementi di
“sussidiarietà e di solidarietà”. Un riconoscimento alle esigenze della Lega,
certamente, ma che poco si concilia con il tradizionale “spirito nazionale” di Fratelli d’Italia: diversi elettori
consultati sul perché della loro appartenenza al partito hanno dato la stessa
risposta: “siamo patrioti”. Il che rende difficile e pericolosamente divisiva,
già nelle intenzioni, la sua reale applicazione.
3) Sovranità
alimentare, natalità, e merito. I
titoli aggiunti ai nomi di alcuni ministeri. Se il significato di sovranità alimentare è nella difesa del
“made in Italy”, più che di una buona intenzione, mi sembra trattarsi di un diritto-dovere del governo italiano che
però deve fare i conti con le delibere dell’Unione Europea. Come pure, se
l’incremento della natalità è un auspicio, non possiamo che prenderne atto
positivamente, ma se diventa uno strumento per elargire bonus, come nel cosiddetto “ventennio”, non mi sembra un’idea
geniale. Quanto al merito, aggiunto
alla denominazione del Ministero della Pubblica Istruzione, ne andava più che
mai chiarito il senso, onde evitare l’inutile “piagnucolio” dell’opposizione
(con l’eccezione di Renzi).
4) Reddito di
cittadinanza. Qui è guerra aperta
con il Movimento Cinquestelle che ne ha fatto uno strumento di “rinascita
elettorale”. Una buona intenzione la sua soppressione e/o riforma? Dipende, ma
se il governo tirerà troppo la corda, lo scontro sociale potrebbe farsi
incontrollato.
5) Riforma
fiscale, Flat Tax da 65.000 a 100.000 Euro
sulle partite IVA e Flat Tax incrementale. Premesso che la revisione delle
aliquote IRPEF attende ancora di veder realizzate le promesse dei governi
Berlusconi e di quelli di centrosinistra, il PNRR pone la riforma fiscale come
una delle condizioni per accedere al credito europeo. Riforma che non può
esaurirsi nell’individuazione del “Quoziente familiare” e nella Flat Tax più o
meno incrementata che porta alla solita discriminazione, tramite bonus, dei cittadini. Senza la revisione delle aliquote IRPEF per tutti
non c’è riforma fiscale ma il solito clientelismo. Nulla la Meloni ha detto su
questo.
6) Bollette
luce e gas. Si è solo appreso che
il governo interverrà per alleggerire il carico di imprese e famiglie. Sul
come, neanche una parola. Chiaro invece il discorso che per tutte le altre
misure a vantaggio dei cittadini (o di loro corporazioni) si dovranno attendere
tempi migliori.
7) Blocco
partenza dei barconi di migranti dal Nord Africa. Più che valutare se si tratti di una buona o
cattiva idea, mi sembra di poter dire che è un’utopia.
8) Covid. Poche parole per dire che non ha condiviso la
politica del governo precedente. Sarebbe stato auspicabile l’annuncio della
soppressione delle multe per i non-vaccinati.
9) Lotta alla
criminalità organizzata. E qui
bisogna riconoscere alla Meloni molta determinazione, naturalmente però neppure
un accenno sul come renderla effettiva.
10)Legalità
e certezza della pena. Detta così
può sembrare persino una buona idea, purché non si risolva in “accanimento
giudiziario”.
11)Fascismo. La Meloni si limita a dire di non avere simpatia
per i totalitarismi e dunque anche per il fascismo. Nulla dice sul fascismo
mussoliniano ma, come ebbe ad esprimersi in altre occasioni, c’è da ritenere
che lo “consegni alla Storia”, il che poi, a prima vista, non significa molto,
almeno che non nasconda il detto adusato e inquietante che “la Storia la
scrivono i vincitori”. Insomma, nulla di troppo distante da quanto ha sostenuto
Ignazio Benito La Russa, nel discorso di insediamento come Presidente del
Senato: evolversi, senza tradire e senza ripudiare. Sincera, per contro, appare
la sua condanna delle Leggi Razziali (o “razziste” come ebbe a dire giustamente la senatrice Liliana Segre
in apertura dei lavori parlamentari).
12)Antifascismo. Il termine
le esce di bocca una sola volta per ricordare chi facendosene scudo colpiva con
la chiave inglese gli avversari! Neppure una parola sulla Resistenza. Il che, tuttavia, non deve sorprendere. Pretendere che Fratelli d’Italia sconfessi apertamente
le proprie origini mi sembra eccessivo e anche un po’ ipocrita. Il partito
viene dal Movimento Sociale Italiano (di
cui conserva nel simbolo la fiamma tricolore) fondato nel 1946 da militanti e
dirigenti della Repubblica Sociale
Italiana e nonostante la Costituzione Italiana si proclami antifascista non fu mai messo al bando,
probabilmente per ragioni di convenienza di altri partiti politici, sinistra compresa.
Detto ciò, appare oggi pretestuoso pretendere da Fratelli d’Italia condanne postume eccessive, tanto più che la maggioranza dei cittadini italiani votanti (chi non ha votato, oggi non può
recriminare e del resto la percentuale di votanti in Italia è in linea con le
percentuali di tutte le democrazie occidentali) ha dato il primato proprio agli
eredi del Movimento Sociale: a) o non conoscendone le origini b) o non
ritenendole influenti c) o manifestando nostalgia del lontano passato. Dal suo
punto di vista, dunque, Fratelli d’Italia
fa bene a lasciare nel proprio simbolo la fiamma tricolore.
Tutto ciò premesso, non mi pare si possa dire che
le intenzioni programmatiche di Giorgia Meloni siano buone in sé, prescindendo
poi dal fatto che siano realizzate o meno. In realtà, non sono né buone né
cattive, possono cioè piacere ad alcuni e dispiacere ad altri, tutto qui. Quel
che mi sembra di poter dire è che, almeno per ora, sono in linea con l’Establishment, così come lo erano quando
governavano il PD e i Cinquestelle. L’unico vero argomento in favore della
Meloni, tuttavia, mi sembra il suo essere donna, la sua determinazione, la
sincerità del suo impegno e il suo dichiarato pragmatismo. Se da ciò ne
trarranno vantaggio gli italiani e non solo l’astratto “prestigio della
Nazione”, non potremo che gioirne tutti.
sergio magaldi