giovedì 15 settembre 2022

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA (Parte XII)


 

SEGUE DA:

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte I

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte II

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte III

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte IV

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte V

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte VI

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte VII

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte VIII

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte IX

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte X

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte XI

 

 Non è un caso dunque che entrambi gli dei, Saturno e Giano bifronte, siano presenti nel simbolismo di diverse tradizioni a rappresentare la possibilità stessa di una nuova iniziazione, di un percorso nuovo da compiere, di un passaggio da una condizione di vita ordinaria ad una esistenza in cui si sceglie di procedere in modo alternativo e diverso, per rettificare se stessi, alla luce di una nuova consapevolezza o, se si vuole, di una illuminazione che prospetti la liberazione dalla prigionia della vita profana.

 La fusione di due figure mitologiche come quella di Ploutos, dio della ricchezza e quella di Hades, signore del mondo sotterraneo e dell’inconscio, erede della Grande Madre e di Eros cosmico, non crea ambivalenze nel Plutone astrologico. Ploutos è cieco e dispensa a caso le proprie ricchezze ma così facendo – tale lo rappresenta con ironia Aristofane (450-385 a.C.) nella sua commedia Pluto – egli finisce con l’arricchire i peggiori tra gli uomini. Vero o falso che sia l’assunto dal quale prende forma la satira di Aristofane (in realtà poco cambia – come mostra la commedia – quando le ricchezze vengono date ai poveri), non c’è dubbio che questa fosse la percezione della realtà nella tradizione popolare già ai tempi del grande commediografo greco. Non a caso una canzone conviviale di Timocreonte da Rodi, poeta lirico del V secolo a.C., attribuiva a Ploutos, a causa del denaro, la responsabilità di tutti i mali che capitano agli esseri umani:

 «Deh!, se mai, cieco Pluto,

né in terra, né sul pelago

t’avessimo veduto,

ma l’Acheronte e il Tartaro

fossero stati ognora

l’unica tua dimora!

Ché da te tutti i mali

Provengono ai mortali!» ([1] )

 Come Ploutos cieco, Hades non guarda in faccia nessuno e ci mostra la realtà per quello che è, senza illusioni. Scrivevo in un precedente post sull’argomento: 

 «[…] Insomma la morte non solo è parte della nostra natura sin dalla nascita, ma è anche il progetto finale di ogni essere vivente e Hades-Plutone ci svela senza infingimenti la nostra rimozione più grande: l’essere per la morte»

Diverso il caso di Saturnus-Kronos, il primo appartenente alla mitologia romana, il secondo a quella greca. Nella fusione resta un’ambivalenza di fondo che il Saturno astrologico mantiene, ancorché le due divinità siano poi accomunate dai festeggiamenti in loro onore: Il Saturno latino nei Saturnalia, il Kronos greco nelle Kronia di Atene che secondo la testimonianza del poeta romano Lucio Accio (II Secolo a.C.) consistevano nella celebrazione di un tempo altro, con il totale rovesciamento dell’ordine costituito e la sospensione del lavoro, mentre si banchettava per le strade e gli schiavi sedevano a tavola con i padroni. Ciò accadeva, naturalmente, quando Kronos era ormai considerato dai Greci come Signore del Tempo. Per onorare il dio si pensò di dedicargli una giornata speciale, diversa da tutte le altre, una grande festa che per la sua eccezionalità finiva col rinsaldare il potere costituito e la stabilità del tempo della quotidianità. I Romani ripresero questa tradizione quando il mito di Saturno si era ormai fuso con quello del Kronos greco. Nacquero i Saturnali sull’onda della leggenda di Giano che accoglie il fuggitivo Saturno e ne ottiene in cambio i doni dell’agricoltura e della preveggenza, inaugurando con lui la felice età dell’oro. Se le Kronia ebbero una motivazione ufficiale quasi metafisica, con il tempo che sembra fermarsi per un giorno prima di riprendere la solita routine, i Saturnalia ne ebbero una molto più concreta, in linea con lo spirito dei Romani. Entrambe le feste tuttavia raggiungevano il medesimo scopo di consolidare l’ordine costituito, partendo dal presupposto che l’eccezione non può mai essere la regola. In età imperiale, i Romani  festeggiavano Saturnus dal 17 al 23 dicembre, nei giorni cosiddetti solstiziali in cui il Sole sembra morire, Sol sistium o Sole fermo, quando l’astro raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale, invertendo il proprio moto e la notte sulla Terra si fa più lunga. I Saturnali rappresentano la prova generale della scomparsa del Sole, il rovesciamento dell’ordine naturale, il sovvertimento di ogni regola: è la felice età dell’oro di Giano e Saturno che riappare e che per essere celebrata degnamente deve consentire tutto ciò che normalmente è impossibile oppure è vietato e/o addirittura punito con la morte: cibo e vino in abbondanza per tutti, padroni che diventano servi e viceversa, schiavi in libertà, gioco d’azzardo e licenziosità di ogni genere.

 S E G U E

 sergio magaldi



[1] Aristofane Commedie, trad. di Ettore Romagnoli, Zanichelli, Bologna, 1971, p.1005


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