[leggi il precedente post sull’argomento, cliccando su Qabbalah e simbolismo massonico (parte prima) ]
Il principe di
Sansevero e la Massoneria
Nella Lettera
Segretissima che Raimondo de Sangro, principe di Sansevero, invia al barone
Tschudy si
apprende che il dibattito nelle Logge napoletane della metà del ‘700 verte soprattutto sulla tradizione templare,
rosacrociana ed ermetica, ma che fondamento di ogni ulteriore scienza e
costruzione massonica sono, pur sempre, l’ebraismo e la Qabbalah.
Nella Lettera, volendo offrire la chiave
universale di ogni successiva speculazione, il Sansevero traccia nell’ordine un
punto, un cubo e le seguenti lettere dell’alfabeto ebraico: una Alef
nera, una Alef bianca, una Bet nera, una Resh nera,
una Alef nera, una Bet bianca, una Resh bianca e una Alef bianca. La Alef e la parola barà, (tracciata, peraltro, dal
Sansevero ignorando la scrittura ebraica che procede da destra a sinistra), che
significa creò, stanno qui a
rappresentare, col punto e col cubo, col bianco e col nero: il momento iniziale
della creazione o Bereshit (Genesi
1:1), il primo apparire della luce, lo I e h ì
Or, il
‘Che la luce sia’ di Genesi 1:3, e ancora: l’unità e la molteplicità della
manifestazione. Insomma, per dirla con Raimondo de Sangro, l’Alef bianco del principio presuppone l’Alef nero che
dimora in En Soph ‘Infinito’.
En Soph ‘Infinito’ è stato spesso confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro.
In realtà, l’Apeìron del filosofo
ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime solo il caos
originario della materia, la mescolanza primigenia di tutte le cose. L’En Soph dei cabbalisti ebrei, invece,
non è privativo di qualità ma di luogo e indica l’impossibilità di cogliere
l’origine e il fine e ha solo la funzione di far desistere il pensiero dalla
pretesa prometeica di voler essere ovunque e tutto risolvere in se stesso. E’
scritto in Zohar (1:21a): ‘En Soph, infinito: in lui non c’è alcuna
apertura, ogni interrogativo è vano, come ogni idea per le possibilità del
pensiero’ (la traduzione è mia ). Quando, nelle prime scuole medievali di
Qabbalah si nomina En Soph è più che
altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito. Si osservi che En Soph si scrive in ebraico con le lettere Alef-Yud-Nun-Samek-Waw-Pe e che il suo valore ghematrico è
207 come Raz segreto e Or luce.
L’analogia di Alef - En Soph è già contenuta
nel Sefer ha Bahir o Libro fulgido, cioè nel primo testo di
Qabbalah medievale. Testo fondamentale della Qabbalah, il Sefer ha Bahir appare in Provenza tra il 1150 e il 1200 proveniente
dalla Germania o direttamente dall’Oriente. Le sue fonti riconducono al Sepher
Yetzirah, alle opere dei Chassidìm tedeschi del XII e XIII secolo, al
misticismo della Merkavà e in
particolare al libro, andato perduto, ma
ripetutamente citato soprattutto da autori caraiti, il Razà
Rabbà o Il Grande Mistero,
composto tra il V secolo e il secolo VIII.
“… la alef – dice il Bahir – determina l’esistenza di tutte le lettere, a somiglianza
del cervello. Come per la alef, alla
cui menzione apri la bocca, così avviene per il pensiero, quando pensi a ciò
che non ha fine né limite. Dalla alef
escono tutte le lettere. Non vedi forse che essa è posta al loro inizio?…”
L’analogia di Alef e di En Soph è tanto evidente
che il Genesi o Bereshit inizia con
la seconda lettera dell’alfabeto ebraico: la
Bet una lettera aperta
solo da un lato a significare che unicamente gli eventi accaduti dopo il Bereshit o Principio sono accessibili all’indagine umana.
La stessa duplice colorazione, prima nera,
poi bianca, che il principe di Sansevero fa delle lettere della parola barà ‘creò’, sta a indicare un’essenza
originaria, immutabile e oscura, imperscrutabile, e una manifestazione per noi
conoscibile. Analogamente, in Zohar
è detto che una fiamma troppo oscura per essere vista, zampilla dall’Infinito:
si tratta di En Soph Or, luce
infinita che non si lascia vedere. Ma, su questa infinita pagina oscura e
velata come notte profonda, un minuscolo punto
di luce si inscrive improvviso .
Del resto, la stessa esperienza quotidiana
ci mostra che ogni nascita proviene dal buio e così è anche per l’iniziato
della Massoneria che entra nel buio del tempio per ricevere la luce, luce che
gli è concessa dalla Loggia che pure è immersa nell’oscurità o meglio che
‘brilla’ di una luce troppo oscura per essere vista…
Quel punto di luce, adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il
primo dei dieci “Dio disse” del Genesi ed è anche il primo istante della
creazione. Facendosi altro da sé,
l’Infinito si determina ad essere il finito illimitato. Ma il puntino da cui lo
yud
è tracciato è per noi invisibile. Dice lo Zohar: ‘Così, l’Infinito penetra la sua stessa aria e scopre un
punto, lo yud’
e ancora: “La luce che il Signore – benedetto il Suo Nome – aveva creato (…) fu
subito nascosta, perché gli impuri non potessero gioirne (…) Ella fu riservata
per i giusti (…) Ma sino al giorno stabilito (il giorno del ‘mondo a venire’) rimarrà nascosta,
custodita in segreto.”
Da che riconoscere allora la luce che
si diffonde da quel primo punto? Come
vedere per intero la lettera yud? La
risposta è nel successivo versetto del Genesi:
“Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.”
La separazione consentì all’uomo, per l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo istante della
creazione, di vedere finalmente la luce attraverso
le cose. Ciò che significa vedere la luce
nel contrasto con le tenebre.
E questo è esattamente ciò che il
massone vede riprodotto sul pavimento a mosaico della propria Officina: “Tenebre e Luce – scrive Jules Boucher – sono
intrecciate sul Pavimento a Mosaico; esse sono tessute insieme, se consideriamo
le file delle piastrelle; ma i tratti virtuali che le separano formano un
cammino rettilineo, avente il bianco e il nero ora a destra ora a sinistra.
Queste linee rappresentano il cammino dell’iniziato, il quale senza rigettare
la morale comune sa elevarsi al di sopra di essa (…) Le linee divisorie non
appaiono agli occhi dei profani: essi non vedono che le lastre bianche e nere e
(…) passano alternativamente dal bianco al nero e dal nero al bianco (…)
L’iniziato, al contrario, segue la ‘via esoterica’, la ‘via stretta’, ‘più
sottile del filo del rasoio’ e passa tra il bianco e il nero, che non
ostacolano il suo cammino…”
Naturalmente, l’oscurità del quaternario,
simboleggiata nella Loggia massonica dalle piastrelle nere del pavimento, non
ha nulla a che vedere con l’Oscurità originaria,
perché, come sostengono i testi della Qabbalah,
l’oscurità ‘di quaggiù’ è solo apparente e l’oscurità ‘di lassù’ non è altro
che l’infinita luce che si svela in un punto e subito si nasconde per
manifestarsi nel contrasto. La separazione della luce dalle tenebre è dunque
solo apparente come è detto in Zohar:
“Elohim separò la luce dalle tenebre (Genesi
1:4). Ora non bisogna credere che si tratti di una vera separazione. Infatti il
giorno scaturì dal fianco destro della luce, la notte da quello sinistro.
Entrambi nacquero insieme e poi furono separati…”
A fronte di ciò, tuttavia, non va dimenticato
che la polarità, sebbene apparente, non può essere eliminata. Non la elimina,
né chi segue solo la via delle ‘piastrelle bianche’ né chi segue solo la via
delle ‘piastrelle nere’, perché, in entrambi i casi, insorgerebbero presto
forze antagoniste e controiniziatiche,
quando non bastassero da sole, per chi cammina solo sulle piastrelle nere, le
comuni leggi civili e penali. Neppure elimina la dualità lo Zadik, il giusto della tradizione
ebraico-cabbalistica. Perché è vero, come dice lo Zohar, che la luce originaria
fu riservata per lui, ma gli fu riservata, com’è scritto, per il ‘mondo a venire’…
Il Principe di Sansevero s’incaricò anche di
tradurre, ad uso delle Logge napoletane, Il
Discorso cronologico dell’Ordine dei Liberi Muratori, documento diffuso
all’epoca delle Costituzioni di Anderson, ma che, in realtà, risale al XV
Secolo e alla Massoneria ‘operativa’. Ebbene, nel Catechismo di Compagno si legge, tra l’altro, questo dialogo:
“Domanda: Vi sono dei
Genji nel Tempio?
Risposta:
Tre, cioè Salomone re d’Israele, Iram re di Tiro, Iram Abif Grand’Architetto.
Domanda: Chi sono gli emblemi della Sapienza,
Forza e Beltà ?
Risposta:
Salomone è l’Emblema della Sapienza, Iram re di Tiro delle Forza, attese le
Somministranze fatte a Salomone per la Costruzione del Tempio ed Iram Abif
della Bellezza.”
Le tre
luci della Loggia massonica si identificano, dunque, con le figure bibliche
di Salomone e dei due Hiram, e il Tempio di Salomone, i cui punti cardinali coincidono con quelli
della Loggia massonica, si può a buon diritto considerare come l’emblema stesso
della Massoneria, per ciò che la sua costruzione è destinata a non avere mai
termine e ben rappresenta lo slancio ideale e gli ostacoli materiali che i
massoni incontrano e ai quali cercano di far fronte con l’equilibrio interiore
e il mutuo soccorso.
La costruzione del Tempio
[L’argomento di questo paragrafo, come di quello che segue sono stati
ampiamente trattati nel post Il maestro e la Massoneria, clicca sopra
per leggere].
Che c’è di unico e peculiare nella leggenda
massonica di Hiram che si ispira alla fonte biblica e alla tradizione
ebraico-cabbalistica? La costruzione del
Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i massoni e per la
quale ognuno sa di dover portare la propria pietra sgrossata.
Un ideale cammino di perfezionamento, dunque,
e una pratica di vita necessaria all’acquisizione di innumerevoli virtù, come
il silenzio, il segreto, l’obbedienza, la fedeltà, il coraggio, la carità, la
santità, la giustizia. Virtù tutte senza le quali il Tempio non può essere costruito. Benché il massone debba sempre
conservare la necessaria umiltà, che lo fa consapevole che il Tempio non può essere terminato, senza
la quale umiltà egli cadrebbe nel dogma delle Chiese o peggio ancora finirebbe
come quel tale – citato da Kafka – che si stupiva della facilità con cui
seguiva la via dell’eternità solo perché la stava percorrendo in discesa.
Com’è noto,
la leggenda di Hiram si collega strettamente alla costruzione del Tempio di
Salomone. Il Compagno della Loggia azzurra sente parlare di Hiram allorché è
elevato al grado di maestro. Egli apprende dal ‘Venerabile’ Maestro della sua
Loggia che Hiram è il grande architetto prescelto dal re Salomone per la
costruzione del Tempio
Hiram aveva diviso gli operai in tre
categorie: apprendisti, compagni e maestri dando a ciascuna categoria precise parole di passo per farsi riconoscere e
riscuotere il salario dovuto. Un giorno, tre compagni invidiosi, ritenendo di
meritare il salario di maestro, chiedono minacciosi a Hiram la parola segreta. Il grande architetto,
naturalmente, si oppone gridando ai tre compagni parole che dovremmo meditare a
lungo e in ogni circostanza: ‘Non così io
l’ho ricevuta! Non così si deve chiederla!’. E sul punto di morire, per le
violenze inferte, egli così ammonisce i compagni:
‘Lavora,
persevera, impara. Solo così avrai diritto alla maggior ricompensa!’.
Il massone che è sul punto di ricevere la
maestria è condotto alla scoperta della tomba di Hiram presso un albero di
acacia e attraverso una drammatizzazione, che è il cuore stesso della cerimonia
iniziatica, prende coscienza dell’eterno ciclo della morte e della rinascita.
Dove si
trova nella Bibbia la vicenda del tradimento degli operai e dell’assassinio di
Hiram? Nell’episodio dei tre levìti Core, Dathan e Abiron. In quale contesto
s’inserisce la loro ribellione? E’ il momento del passaggio degli ebrei nel
deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Ed è anche il periodo di un’abitazione, sia
pure mobile e rudimentale, elevata al Signore, prima della costruzione del
Tempio di Salomone, com’è detto nel II
Libro di Samuele, 7, 6-7:
“Io non ho abitato in una casa dal giorno in
cui condussi i figli d’Israele fuori dalla terra d’Egitto e fino a questo
giorno, ma ho camminato in un tabernacolo e in una tenda. In tutti i luoghi per
i quali sono passato con tutti i figli di Israele, ho forse io detto ad alcuna
delle tribù a cui ho ordinato di pascere il mio popolo: perché non mi avete
fabbricato una casa di cedro?”
E infatti il legno di questa
primordiale ‘casa di Dio’ non è di cedro ma di acacia (dal greco a-kakìa, cioè puro
e senza macchia, il simbolo per
eccellenza della Massoneria, rappresentato dal ramoscello della pianta)
come è attestato nel Libro dell’Esodo.
Dio aveva detto a Mosè, (Esodo, 25,8): “Ed
essi mi costruiranno un Santuario e Io risiederò in mezzo a loro”. Dio
aveva poi indicato nei dettagli i criteri e il materiale per la costruzione.
Così, il Tempio mobile degli ebrei sarà fatto con assi di legno di acacia
collocati in posizione eretta (Es.,26,15), l’Arca sarà di legno d’acacia,
ricoperto d’oro puro sia all’interno che all’esterno (Es.,25,10-11), di acacia
sarà la tavola dei pani (Es., 25,23) come pure l’altare del Tempio (Es., 27,1), quello per l’olocausto (Es.,
38,1) e quello per bruciare l’incenso
e i profumi (Es., 30,1). Di legno d’acacia saranno le quattro
colonne della ‘tenda dell’incontro’ (Es.,
26, 31-32) e così via continuando.
L’episodio della ribellione di Core, Dathan
e Abiron è contenuto nella Torah e si
sostanzia delle parole che Mosè rivolge ai ribelli:
“ Non vi basta il fatto che il Signore, il
Dio d’Israele, ha scelto voi fra tutti gli altri israeliti? Vi concede di
avvicinarvi a Lui, per prestare servizio nella sua Abitazione e per celebrare
il culto in nome di tutta la comunità d’Israele. Il Signore ha permesso a te,
Core, e a tutti i fratelli levìti di avvicinarvi a lui e voi ora pretendete
anche il sacerdozio? ”.
Analogamente, i tre operai della leggenda
massonica che, pure, hanno il privilegio di lavorare alla costruzione del
Tempio, pretendono la maestria senza averne diritto e la loro avidità e
superbia li spinge al delitto.
Che significa ‘Hiram’? Hiram rappresenta lo
‘spirito dell’uomo’. E, in effetti, il nome è composto dalla radice ebraica ‘Chi’, formata dalle lettere Chet e Yud che significa vita, vitale ecc… e da una seconda radice: Ram, formata da una Resh
e una Mem (lettera che in finale di parola ‘si chiude’ ) e che indica particolari
stati di elevazione. “Vita elevata”, dunque è il significato letterale di
Hiram, e ciò è per noi comprensibile perché sappiamo che ciò che è elevato
appartiene di necessità allo spirito.
Quanto alla leggenda, diversi autori
hanno tentato di ricostruirne la sua prima apparizione nella tradizione
massonica. In proposito, c’è chi ricorda la citazione che del nome di Hiram fa Il Manoscritto di Cooke, circa alla metà
del Quattrocento e nell’ambito della Massoneria ‘operativa’ del XV secolo,
senza peraltro alludere alla sua uccisione ma solo per ricordare che Hiram, ‘il figlio di Tiro era il capo’ degli
80.000 muratori al servizio di Salomone per la Costruzione del Tempio, iniziato
da re David. E,
nella tradizione orale, vi sarebbero testimonianze dell’introduzione, nel
rituale del terzo grado della Gran Loggia di Londra, della figura di un
‘maestro costruttore’ e della sua morte e rinascita iniziatica.
Siamo nel 1725 e bisogna attendere sino al 1733 perché la leggenda di Hiram
compaia nel rituale del terzo grado delle Logge londinesi e altri cinque anni
perché venga inserita nella ristampa delle Costituzioni inglesi del 1723.
Tuttavia, la leggenda di Hiram, nelle sue diverse versioni, sarebbe di fatto
già presente nella Massoneria ‘operativa’ dell’Europa medievale e in
particolare negli archivi dei vari Compagnonnages francesi. Tutti i testi, nel
collegarsi al racconto biblico della costruzione del Tempio di Salomone, fanno
poi riferimento a vicende che si differenziano poco le une dalle altre,
concordi tutte, comunque, nel sottolineare che la morte di Hiram, frutto
dell’invidia, dell’avidità e della violenza di alcuni operai, ebbe come effetto
di ritardare i lavori di costruzione del Tempio.
Nella Bibbia, Hiram è citato nel I Libro delle Cronache (14:1) e nel II libro di Samuele (5:11) solo per dire
che era re di Tiro. Se ne parla poi soprattutto nel I Libro dei Re, allorché Salomone informa Hiram re di Tiro di voler
costruire un tempio – secondo gli accordi che suo padre David aveva preso
direttamente con Dio – e perciò gli chiede operai fenici per tagliare gli
alberi e legname di cedro necessario alla costruzione del tempio. Hiram
acconsente di buon grado allo scambio commerciale e concede, oltre ai cedri e
agli operai, oro in abbondanza e pietre preziose in cambio di 6000 tonnellate
di grano, 8000 litri
di olio purissimo ogni anno e 20 villaggi della Galilea. D’ora in poi Fenici ed
Ebrei lavoreranno insieme, cominciando con lo squadrare le pietre necessarie
alla fondazione del Tempio.
L’altro Hiram del racconto biblico è
sempre di Tiro, ma è un artigiano, figlio
di una vedova, non un architetto. Egli è sommamente esperto nella
lavorazione del bronzo: vasche, carrelli, gli oggetti bronzei all’interno del
tempio e ogni tipo di arredo e soprattutto le due colonne erette nel portico
del Tempio: Jachin e Boaz [altro chiaro
simbolismo massonico]. Di questi stessi fatti si parla anche nei Libri delle Cronache.
Non sarà inutile soffermarci su qualcuno dei
versetti più significativi del racconto biblico. A cominciare da quando
Salomone si rivolge ad Hiram re di Tiro:
“…Ora
ho intenzione di costruire un tempio consacrato al Signore, mio Dio…” (I Re, 5:19) e Hiram osserva: “Sia lodato il Signore che ha dato a David un
figlio tanto saggio per governare il numeroso popolo di Israele” (5:21).
Poco dopo è detto dell’alleanza che da allora intercorse tra Hiram e Salomone:
“Come aveva promesso, il Signore diede
grande saggezza a Salomone. Così Salomone mantenne sempre buoni rapporti con
Hiram: i due fecero anche un’alleanza” (5:26)
Le Tre luci massoniche e l’Albero delle
sephiroth
A guardar bene, l’alleanza di cui si parla
nella Bibbia tra i due Hiram e Salomone non è altro che l’alleanza tra Saggezza, Forza e Bellezza di cui troviamo testimonianza nel Catechismo di Compagno
prima citato. Nella sua sapienza, infatti, Salomone percepì l’idea di costruire
il Tempio e gli Hiram gli dettero la forza per costruirlo, e la bellezza per
arredarlo, inviando strumenti, oro, pietre preziose ed operai rigorosamente
disciplinati e solidali tra loro. Questa, però, è anche l’alleanza che nella
Qabbalah si esprime tra le sephiroth ‘Hokmah
Sapienza, Gheburah Forza e rigore e Tiphereth,
bellezza e armonia.
In un successivo versetto della Bibbia
(I Libro dei Re, 6:1) si precisa che
i lavori di costruzione del Tempio ebbero inizio allorché erano trascorsi 400
anni dall’uscita degli Ebrei dall’Egitto.
Per chi conosca appena la tradizione
cabbalistica ‘uscire dall’Egitto’ e ‘400’
hanno un preciso significato. Uscire dall’Egitto significa abbandonare la via
‘consueta e profana’ per intraprendere un cammino iniziatico. Quanto al 400, lo
sappiamo corrispondere al valore numerico dell’ultima lettera dell’alfabeto
ebraico: la Taw.
Settima lettera doppia e ultima delle 22
lettere dell' alfabeto ebraico, la Taw è
collocata tra le sephiroth Malchut e
Yesod sul trentaduesimo e ultimo sentiero
dell’Albero della vita, detto anche sentiero di Saturno.
Dio pose questo sigillo, la lettera Taw, sulla fronte di Caino a
testimoniare la caduta e insieme la possibilità della risalita. Il suo valore
numerico, il 400, simboleggia tutto ciò che di bene e di male c'è nel
quaternario. Il simbolo si spiega con l’essere, questa, l’ultima delle lettere
con cui Dio creò il mondo.
Ad Esau che gli viene incontro con 400
mercenari che rappresentano le forze del male, Giacobbe dice: Yesh Li Kol “Ho tutto”, frase il cui valore numerico è
ancora 400, ad indicare che Giacobbe, detto
Israele, dispone di tutto ciò
di cui ha bisogno per risalire.
Per lasciare l'Egitto occorrono agli Ebrei
400 anni e soprattutto occorre la Techinnah che si scrive con la Taw
iniziale e che significa amicizia e clemenza. Per qualcuno, la forma della
lettera è l' ideogramma di due braccia che stanno aprendosi ad accogliere un
amico. Nel Midrash noto come Alfabeto di
Rabbi Aqiva si rivela la duplice natura della lettera Taw allorché è detto di non leggerla come Taw
bensì come Taev desiderio. Desiderio di ogni bene terreno ma
anche desiderio dello spirito di risalire in alto.
Questa è la verità della Taw ed Emet-verità si scrive Alef Mem Taw. In
questa parola, E m (e) t, lettera mediana tra la Alef iniziale e la Taw finale è
la Mem, simbolo di ogni singolo aspetto
della manifestazione divina. Ove si dimentichi che il Tutto della
manifestazione, rappresentato dalla Taw, si collega all' Uno che è nella Alef, Emet si muta in Met Mem-Taw che significa morte. Senza la Alef o principio
creativo, la realtà non è altro che vuota forma, apparenza, illusione e morte.
Ce n’è dunque abbastanza per dimostrare che
l’edificazione del Tempio, alla quale si accingono insieme i due Hiram e
Salomone, non è soltanto un monumento elevato a gloria del Signore o Grande
Architetto dell’Universo. E’ in realtà un tracciato da compiere, una via da
seguire. E’ su questa via che gli Hiram e Salomone si trovano insieme.
Il richiamo della tradizione cabbalistica ci
consente ancora qualche piccola scoperta:
Hiram non solo rappresenta
lo spirito, per i significati delle
due radici ebraiche ‘Hi e Ram. Formato dalle lettere
Chet-Yud-Resh-Mem (40+200+10+8=258), Hiram
è la ghematria di Arazim Aleph-Resh-Zain-Yud-Mem (40+10+7+200+1=258) che significa
CEDRI. Ricordando che nella tradizione ebraica ogni lettera è numero e ogni numero è lettera, Hiram e Arazim hanno
perciò lo stesso valore numerico (258) e dunque si corrispondono.
E ancora:
Zahav, oro in ebraico, ha valore numerico 14 (2+5+7) come Yad mano
(4+10=14) e come David (la
promessa del Tempio) (4+6+4=14).
Ciò significa che senza i cedri del Libano, senza gli operai e senza l’oro, in una parola senza Hiram
nessuna mano avrebbe innalzato il
tempio suggellando il patto che il Signore aveva concluso con David, padre di Salomone (I Re, 9, 1-10).
Cosa rappresenta il cedro nella tradizione
biblico-ebraica? Innanzi tutto il soffitto del Tempio era fatto di travi e assi
di cedro, i pavimenti di legno di cedro, l’altare di cedro rivestito d’oro, le
colonne tutte di cedro come pure i soffitti della Sala del Giudizio (I Re). Nel II libro di Samuele, 7,7 è Dio stesso a chiamare ‘Casa di cedro’ il Tempio che gli deve
essere costruito.
Il cedro, inoltre, è nella Bibbia di volta
in volta simbolo di FORZA (Isaia, 9,9: ‘…Le fragili travi di fico sono state
abbattute ma noi useremo robuste travi di cedro…’) di BELLEZZA (Salmo 92,13-14: ‘… Bello come un cedro del Libano piantato nel cortile del
Tempio’; Cantico dei cantici 5,15: ‘… Egli ha l’aspetto delle montagne
del Libano, è magnifico come gli alberi di cedro’) di SAPIENZA (Siracide 24,13 ‘… Elogio della sapienza’:
‘sono cresciuta ( io, la sapienza) come un cedro del Libano’). Inoltre, nella
tradizione ebraica il cedro è simbolo di Dio nella sua veste di gloria, è
simbolo di Abramo, del Sinedrio, dell’intero popolo ebraico e del cuore dell’uomo.
Infine, il frutto del cedro (etrog) è detto il frutto di un albero di
bell’aspetto: Perì ’Etz Hadar:
“Prenderete il primo giorno di Sukkoth un
frutto di bell’aspetto, rami di palme e rami dell’albero di mirto e rami di
salice e vi rallegrerete davanti al Signore vostro Dio” (Levitico, 33:40).
Si prende il Lulav (mazzo composto di 1 ramo di palma, 2 di salice, 3 di mirto)
con la destra, il cedro con la sinistra, li si agita ai 4 punti cardinali, in alto
e in basso, dopo aver detto la relativa benedizione.
Così si compie la mitzwah del Lulav durante la festa di Sukkoth o festa delle Capanne.
Altri riferimenti biblici ad Hiram si trovano
nel I Libro dei Re, dove egli è un
valente artigiano figlio di una vedova
della tribù di Neftali, dunque un discendente di Giacobbe e di Bila, la schiava
che Rachele concesse al marito per avere discendenza.
Nel II libro delle Cronache, è invece citato l’artigiano che Hiram re
di Tiro invia a Salomone. Questa volta però lo si chiama Hiram-Abi, lo si dice esperto di costruzioni e figlio di un’ebrea della tribù di Dan
(2:12-13).
Inoltre, l’intero settimo capitolo del I Libro dei Re è dedicato alla
descrizione di tutto l’arredo per l’abbellimento del Tempio che l’artigiano
Hiram costruì.
Ed ecco, dunque - come ho già detto - dopo la
Sapienza e la Forza, la terza luce che illumina il Tempio
massonico: la Bellezza, la cui sephirah
corrispondente è Tiphereth, vero e
proprio cuore dell’Albero della vita [leggi il post L'albero della vita, cliccando sul titolo] espressione dell’armonia in cui si
manifesta l’equilibrio di ogni energia.
Così intese le due figure dell’Hiram biblico,
non stupisce certo che entrino a far parte della leggenda massonica inserita
nelle Costituzioni, fuse insieme nell’unica figura di Hiram grande architetto
di Salomone. Su questa linea interpretativa concorda uno studioso come il
Vaillant, anche se poi egli finisce per ricondurre tutto, simbologia massonica
e leggende del popolo ebraico, ad una comune matrice egizia. Scrive in proposito:
“La tradizione massonica che si ricava dai rituali adottati da tutti i riti al
terzo grado è ebraica (…) Nel secondo libro dei Paralipomeni, il re di Tiro fa dire a Salomone che ‘Hiram è un uomo
intelligente, abilissimo; che ha servito suo padre, che sa lavorare l’oro,
l’argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legno e perfino la porpora, il
giacinto, il fine lino e lo scarlatto; egli
sa ancora incidere tutte le immagini e inventare quello che occorre per ogni
lavoro’ Ecco, senza dubbio, ciò che gli è valsa la denominazione di architetto nelle tradizioni ebraiche e
tra i Liberi Muratori, malgrado le asserzioni rispettabilissime che non
vogliono vedere in lui che un fonditore di metalli.” [segue].
sergio magaldi
Cfr.
A.Vaillant, I tre gradi della Libera
Muratoria, Bastogi, Foggia, 1994, rist. anast., Milano, 1959, pp.163 e 169.
Sulla questione della ‘matrice egizia’ comune sia alla Massoneria che alla
tradizione ebraica,cfr. Ibid.,
l’intero cap. V, pp.163-186.