lunedì 16 giugno 2014

QABBALAH E SIMBOLISMO MASSONICO (Parte seconda)



 [leggi il precedente post  sull’argomento, cliccando su Qabbalah e simbolismo massonico (parte prima) ]

Il principe di Sansevero e la Massoneria

 Nella Lettera Segretissima che Raimondo de Sangro, principe di Sansevero, invia al barone Tschudy [1] si apprende che il dibattito nelle Logge napoletane della metà del ‘700  verte soprattutto sulla tradizione templare, rosacrociana ed ermetica, ma che fondamento di ogni ulteriore scienza e costruzione massonica sono, pur sempre, l’ebraismo e la Qabbalah. 

 Nella Lettera, volendo offrire la chiave universale di ogni successiva speculazione, il Sansevero traccia nell’ordine un punto, un cubo e le seguenti lettere dell’alfabeto ebraico: una Alef  nera, una Alef  bianca, una Bet nera, una Resh nera, una Alef nera, una Bet bianca, una Resh bianca e una Alef  bianca. La Alef e la parola barà, (tracciata, peraltro, dal Sansevero ignorando la scrittura ebraica che procede da destra a sinistra), che significa creò, stanno qui a rappresentare, col punto e col cubo, col bianco e col nero: il momento iniziale della creazione o Bereshit (Genesi 1:1), il primo apparire della luce, lo  I e h ì  Or, il ‘Che la luce sia’ di Genesi 1:3, e ancora: l’unità e la molteplicità della manifestazione. Insomma, per dirla con Raimondo de Sangro, l’Alef bianco del principio presuppone l’Alef nero che dimora in En Soph ‘Infinito’.

  En Soph  ‘Infinito’ è stato spesso confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro. In realtà, l’Apeìron del filosofo ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime solo il caos originario della materia, la mescolanza primigenia di tutte le cose. L’En Soph dei cabbalisti ebrei, invece, non è privativo di qualità ma di luogo e indica l’impossibilità di cogliere l’origine e il fine e ha solo la funzione di far desistere il pensiero dalla pretesa prometeica di voler essere ovunque e tutto risolvere in se stesso. E’ scritto in Zohar (1:21a): ‘En Soph, infinito: in lui non c’è alcuna apertura, ogni interrogativo è vano, come ogni idea per le possibilità del pensiero’ (la traduzione è mia ). Quando, nelle prime scuole medievali di Qabbalah si nomina En Soph è più che altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito.  Si osservi che En Soph si scrive in ebraico con le lettere Alef-Yud-Nun-Samek-Waw-Pe e che il suo valore ghematrico è  207 come Raz segreto e Or luce.

  L’analogia di Alef - En Soph è già contenuta nel Sefer ha Bahir o Libro fulgido, cioè nel primo testo di Qabbalah medievale. Testo fondamentale della Qabbalah, il Sefer ha Bahir appare in Provenza tra il 1150 e il 1200 proveniente dalla Germania o direttamente dall’Oriente. Le sue fonti riconducono al Sepher Yetzirah, alle opere dei Chassidìm tedeschi del XII e XIII secolo, al misticismo della Merkavà  e in particolare al libro, andato perduto,  ma ripetutamente citato soprattutto da autori caraiti,  il Razà Rabbà o Il Grande Mistero, composto tra il V secolo e il secolo VIII.

  Il contenuto magico e angelologico del Bahir è attestato da tutti e sarebbe parte di quella Gnosi ebraica che – a giudizio dello Scholem (cfr., Le Grandi Correnti della Mistica Ebraica, trad., ital., ‘Il Saggiatore’, Mondadori, Milano, 1965 e editr.,‘il melangolo’ Genova, 1990) – deriverebbe dall’antico Gnosticismo. Analizzando il libro, tuttavia, si può osservare come il giudizio dello Scholem possa essere addirittura rovesciato e portare alla conclusione di una derivazione dello Gnosticismo dalla tradizione ebraica o piuttosto dalle ‘sette ebree’ (Esseni, Samaritani, Elkesaiti ecc…) che si distaccarono dall’ebraismo con violente polemiche.

   “… la alef – dice il Bahir – determina l’esistenza di tutte le lettere, a somiglianza del cervello. Come per la alef, alla cui menzione apri la bocca, così avviene per il pensiero, quando pensi a ciò che non ha fine né limite. Dalla alef escono tutte le lettere. Non vedi forse che essa è posta al loro inizio?…”[2]
 
   L’analogia di Alef e di En Soph è tanto evidente che il Genesi o Bereshit inizia con la seconda lettera dell’alfabeto ebraico: la  Bet  una lettera aperta solo da un lato a significare che unicamente gli eventi accaduti dopo il Bereshit o Principio sono accessibili all’indagine umana.

   La stessa duplice colorazione, prima nera, poi bianca, che il principe di Sansevero fa delle lettere della parola barà ‘creò’, sta a indicare un’essenza originaria, immutabile e oscura, imperscrutabile, e una manifestazione per noi conoscibile. Analogamente, in Zohar[3] è detto che una fiamma troppo oscura per essere vista, zampilla dall’Infinito: si tratta di En Soph Or, luce infinita che non si lascia vedere. Ma, su questa infinita pagina oscura e velata come notte profonda, un minuscolo punto di luce si inscrive improvviso [4].

   Del resto, la stessa esperienza quotidiana ci mostra che ogni nascita proviene dal buio e così è anche per l’iniziato della Massoneria che entra nel buio del tempio per ricevere la luce, luce che gli è concessa dalla Loggia che pure è immersa nell’oscurità o meglio che ‘brilla’ di una luce troppo oscura per essere vista…

   Quel punto di luce, adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci “Dio disse” del Genesi ed è anche il primo istante della creazione. Facendosi altro da sé, l’Infinito si determina ad essere il finito illimitato. Ma il puntino da cui lo yud  è tracciato è per noi invisibile. Dice lo Zohar: ‘Così, l’Infinito penetra la sua stessa aria e scopre un punto, lo yud[5] e ancora: “La luce che il Signore – benedetto il Suo Nome – aveva creato (…) fu subito nascosta, perché gli impuri non potessero gioirne (…) Ella fu riservata per i giusti (…) Ma sino al giorno stabilito (il giorno del ‘mondo a venire’) rimarrà nascosta, custodita in segreto.”[6]

   Da che riconoscere allora la luce che si diffonde da quel primo punto? Come vedere per intero la lettera yud? La risposta è nel successivo versetto del Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.”[7] La separazione consentì all’uomo, per l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo istante della creazione, di vedere finalmente la luce attraverso le cose. Ciò che significa vedere la luce nel contrasto con le tenebre.[8]

  E questo è esattamente ciò che il massone vede riprodotto sul pavimento a mosaico della propria Officina: “Tenebre e Luce – scrive Jules Boucher – sono intrecciate sul Pavimento a Mosaico; esse sono tessute insieme, se consideriamo le file delle piastrelle; ma i tratti virtuali che le separano formano un cammino rettilineo, avente il bianco e il nero ora a destra ora a sinistra. Queste linee rappresentano il cammino dell’iniziato, il quale senza rigettare la morale comune sa elevarsi al di sopra di essa (…) Le linee divisorie non appaiono agli occhi dei profani: essi non vedono che le lastre bianche e nere e (…) passano alternativamente dal bianco al nero e dal nero al bianco (…) L’iniziato, al contrario, segue la ‘via esoterica’, la ‘via stretta’, ‘più sottile del filo del rasoio’ e passa tra il bianco e il nero, che non ostacolano il suo cammino…” [9]

 Naturalmente, l’oscurità del quaternario, simboleggiata nella Loggia massonica dalle piastrelle nere del pavimento, non ha nulla a che vedere con l’Oscurità originaria,[10] perché, come sostengono i testi della Qabbalah, l’oscurità ‘di quaggiù’ è solo apparente e l’oscurità ‘di lassù’ non è altro che l’infinita luce che si svela in un punto e subito si nasconde per manifestarsi nel contrasto. La separazione della luce dalle tenebre è dunque solo apparente come è detto in Zohar: “Elohim separò la luce dalle tenebre (Genesi 1:4). Ora non bisogna credere che si tratti di una vera separazione. Infatti il giorno scaturì dal fianco destro della luce, la notte da quello sinistro. Entrambi nacquero insieme e poi furono separati…” [11]

   A fronte di ciò, tuttavia, non va dimenticato che la polarità, sebbene apparente, non può essere eliminata. Non la elimina, né chi segue solo la via delle ‘piastrelle bianche’ né chi segue solo la via delle ‘piastrelle nere’, perché, in entrambi i casi, insorgerebbero presto forze antagoniste e controiniziatiche, quando non bastassero da sole, per chi cammina solo sulle piastrelle nere, le comuni leggi civili e penali. Neppure elimina la dualità lo Zadik, il giusto della tradizione ebraico-cabbalistica. Perché è vero, come dice lo Zohar, che la luce originaria fu riservata per lui, ma gli fu riservata, com’è scritto, per il ‘mondo a venire’…

  Il Principe di Sansevero s’incaricò anche di tradurre, ad uso delle Logge napoletane, Il Discorso cronologico dell’Ordine dei Liberi Muratori, documento diffuso all’epoca delle Costituzioni di Anderson, ma che, in realtà, risale al XV Secolo e alla Massoneria ‘operativa’. Ebbene, nel Catechismo di Compagno si legge, tra l’altro, questo dialogo:

“Domanda: Vi sono dei Genji nel Tempio?
 Risposta: Tre, cioè Salomone re d’Israele, Iram re di Tiro, Iram Abif Grand’Architetto.
 Domanda: Chi sono gli emblemi della Sapienza, Forza e Beltà ?
 Risposta: Salomone è l’Emblema della Sapienza, Iram re di Tiro delle Forza, attese le Somministranze fatte a Salomone per la Costruzione del Tempio ed Iram Abif della Bellezza.” [12]

   Le tre luci della Loggia massonica si identificano, dunque, con le figure bibliche di Salomone e dei due Hiram, e il Tempio di Salomone, i cui punti cardinali coincidono con quelli della Loggia massonica, si può a buon diritto considerare come l’emblema stesso della Massoneria, per ciò che la sua costruzione è destinata a non avere mai termine e ben rappresenta lo slancio ideale e gli ostacoli materiali che i massoni incontrano e ai quali cercano di far fronte con l’equilibrio interiore e il mutuo soccorso.

 
La costruzione del Tempio

[L’argomento di questo paragrafo, come di quello che segue sono stati ampiamente trattati nel post Il maestro e la Massoneria, clicca sopra per leggere].


  Che c’è di unico e peculiare nella leggenda massonica di Hiram che si ispira alla fonte biblica e alla tradizione ebraico-cabbalistica? La costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i massoni e per la quale ognuno sa di dover portare la propria pietra sgrossata.

  Un ideale cammino di perfezionamento, dunque, e una pratica di vita necessaria all’acquisizione di innumerevoli virtù, come il silenzio, il segreto, l’obbedienza, la fedeltà, il coraggio, la carità, la santità, la giustizia. Virtù tutte senza le quali il Tempio non può essere costruito. Benché il massone debba sempre conservare la necessaria umiltà, che lo fa consapevole che il Tempio non può essere terminato, senza la quale umiltà egli cadrebbe nel dogma delle Chiese o peggio ancora finirebbe come quel tale – citato da Kafka – che si stupiva della facilità con cui seguiva la via dell’eternità solo perché la stava percorrendo in discesa. [13]

 Com’è noto, la leggenda di Hiram si collega strettamente alla costruzione del Tempio di Salomone. Il Compagno della Loggia azzurra sente parlare di Hiram allorché è elevato al grado di maestro. Egli apprende dal ‘Venerabile’ Maestro della sua Loggia che Hiram è il grande architetto prescelto dal re Salomone per la costruzione del Tempio

 Hiram aveva diviso gli operai in tre categorie: apprendisti, compagni e maestri dando a ciascuna categoria precise parole di passo per farsi riconoscere e riscuotere il salario dovuto. Un giorno, tre compagni invidiosi, ritenendo di meritare il salario di maestro, chiedono minacciosi a Hiram la parola segreta. Il grande architetto, naturalmente, si oppone gridando ai tre compagni parole che dovremmo meditare a lungo e in ogni circostanza: ‘Non così io l’ho ricevuta! Non così si deve chiederla!’. E sul punto di morire, per le violenze inferte, egli così ammonisce i compagni:

   ‘Lavora, persevera, impara. Solo così avrai diritto alla maggior ricompensa!’.

   Il massone che è sul punto di ricevere la maestria è condotto alla scoperta della tomba di Hiram presso un albero di acacia e attraverso una drammatizzazione, che è il cuore stesso della cerimonia iniziatica, prende coscienza dell’eterno ciclo della morte e della rinascita.

    Dove si trova nella Bibbia la vicenda del tradimento degli operai e dell’assassinio di Hiram? Nell’episodio dei tre levìti Core, Dathan e Abiron. In quale contesto s’inserisce la loro ribellione? E’ il momento del passaggio degli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Ed è anche il periodo di un’abitazione, sia pure mobile e rudimentale, elevata al Signore, prima della costruzione del Tempio di Salomone, com’è detto nel II Libro di Samuele, 7, 6-7:

  “Io non ho abitato in una casa dal giorno in cui condussi i figli d’Israele fuori dalla terra d’Egitto e fino a questo giorno, ma ho camminato in un tabernacolo e in una tenda. In tutti i luoghi per i quali sono passato con tutti i figli di Israele, ho forse io detto ad alcuna delle tribù a cui ho ordinato di pascere il mio popolo: perché non mi avete fabbricato una casa di cedro?”
  
   E infatti il legno di questa primordiale ‘casa di Dio’ non è di cedro ma di acacia (dal greco a-kakìa, cioè puro e senza macchia, il simbolo per eccellenza della Massoneria, rappresentato dal ramoscello della pianta) come è attestato nel Libro dell’Esodo. Dio aveva detto a Mosè, (Esodo, 25,8): “Ed essi mi costruiranno un Santuario e Io risiederò in mezzo a loro”. Dio aveva poi indicato nei dettagli i criteri e il materiale per la costruzione. Così, il Tempio mobile degli ebrei sarà fatto con assi di legno di acacia collocati in posizione eretta (Es.,26,15), l’Arca sarà di legno d’acacia, ricoperto d’oro puro sia all’interno che all’esterno (Es.,25,10-11), di acacia sarà la tavola dei pani (Es., 25,23) come pure l’altare del Tempio (Es., 27,1), quello per l’olocausto (Es., 38,1) e quello per bruciare l’incenso e i profumi (Es., 30,1). Di legno d’acacia saranno le quattro colonne della ‘tenda dell’incontro’ (Es., 26, 31-32) e così via continuando.

    L’episodio della ribellione di Core, Dathan e Abiron è contenuto nella Torah e si sostanzia delle parole che Mosè rivolge ai ribelli:
  
   “ Non vi basta il fatto che il Signore, il Dio d’Israele, ha scelto voi fra tutti gli altri israeliti? Vi concede di avvicinarvi a Lui, per prestare servizio nella sua Abitazione e per celebrare il culto in nome di tutta la comunità d’Israele. Il Signore ha permesso a te, Core, e a tutti i fratelli levìti di avvicinarvi a lui e voi ora pretendete anche il sacerdozio? ”.[14]
 
   Analogamente, i tre operai della leggenda massonica che, pure, hanno il privilegio di lavorare alla costruzione del Tempio, pretendono la maestria senza averne diritto e la loro avidità e superbia li spinge al delitto. 

  Che significa ‘Hiram’? Hiram  rappresenta lo ‘spirito dell’uomo’. E, in effetti, il nome è composto dalla radice ebraica ‘Chi’, formata dalle lettere Chet  e Yud  che significa vita, vitale ecc… e da una seconda radice: Ram, formata da una Resh  e una Mem  (lettera che in finale di parola ‘si chiude’ ) e che indica particolari stati di elevazione. “Vita elevata”, dunque è il significato letterale di Hiram, e ciò è per noi comprensibile perché sappiamo che ciò che è elevato appartiene di necessità allo spirito.

  Quanto alla leggenda, diversi autori hanno tentato di ricostruirne la sua prima apparizione nella tradizione massonica. In proposito, c’è chi ricorda la citazione che del nome di Hiram fa Il Manoscritto di Cooke, circa alla metà del Quattrocento e nell’ambito della Massoneria ‘operativa’ del XV secolo, senza peraltro alludere alla sua uccisione ma solo per ricordare che Hiram, ‘il figlio di Tiro era il capo’ degli 80.000 muratori al servizio di Salomone per la Costruzione del Tempio, iniziato da re David. [15] E, nella tradizione orale, vi sarebbero testimonianze dell’introduzione, nel rituale del terzo grado della Gran Loggia di Londra, della figura di un ‘maestro costruttore’ e della sua morte e rinascita iniziatica. [16] Siamo nel 1725 e bisogna attendere sino al 1733 perché la leggenda di Hiram compaia nel rituale del terzo grado delle Logge londinesi e altri cinque anni perché venga inserita nella ristampa delle Costituzioni inglesi del 1723. Tuttavia, la leggenda di Hiram, nelle sue diverse versioni, sarebbe di fatto già presente nella Massoneria ‘operativa’ dell’Europa medievale e in particolare negli archivi dei vari Compagnonnages francesi. Tutti i testi, nel collegarsi al racconto biblico della costruzione del Tempio di Salomone, fanno poi riferimento a vicende che si differenziano poco le une dalle altre, concordi tutte, comunque, nel sottolineare che la morte di Hiram, frutto dell’invidia, dell’avidità e della violenza di alcuni operai, ebbe come effetto di ritardare i lavori di costruzione del Tempio.

  Nella Bibbia, Hiram è citato nel I Libro delle Cronache (14:1) e nel II libro di Samuele (5:11) solo per dire che era re di Tiro. Se ne parla poi soprattutto nel I Libro dei Re, allorché Salomone informa Hiram re di Tiro di voler costruire un tempio – secondo gli accordi che suo padre David aveva preso direttamente con Dio – e perciò gli chiede operai fenici per tagliare gli alberi e legname di cedro necessario alla costruzione del tempio. Hiram acconsente di buon grado allo scambio commerciale e concede, oltre ai cedri e agli operai, oro in abbondanza e pietre preziose in cambio di 6000 tonnellate di grano, 8000 litri di olio purissimo ogni anno e 20 villaggi della Galilea. D’ora in poi Fenici ed Ebrei lavoreranno insieme, cominciando con lo squadrare le pietre necessarie alla fondazione del Tempio.

  L’altro Hiram del racconto biblico è sempre di Tiro, ma è un artigiano, figlio di una vedova, non un architetto. Egli è sommamente esperto nella lavorazione del bronzo: vasche, carrelli, gli oggetti bronzei all’interno del tempio e ogni tipo di arredo e soprattutto le due colonne erette nel portico del Tempio: Jachin e Boaz  [altro chiaro simbolismo massonico]. Di questi stessi fatti si parla anche nei Libri delle Cronache.

   Non sarà inutile soffermarci su qualcuno dei versetti più significativi del racconto biblico. A cominciare da quando Salomone si rivolge ad Hiram re di Tiro:
 “…Ora ho intenzione di costruire un tempio consacrato al Signore, mio Dio…” (I Re, 5:19) e Hiram osserva: “Sia lodato il Signore che ha dato a David un figlio tanto saggio per governare il numeroso popolo di Israele” (5:21). Poco dopo è detto dell’alleanza che da allora intercorse tra Hiram e Salomone: “Come aveva promesso, il Signore diede grande saggezza a Salomone. Così Salomone mantenne sempre buoni rapporti con Hiram: i due fecero anche un’alleanza” (5:26)


Le Tre luci massoniche e l’Albero delle sephiroth


   A guardar bene, l’alleanza di cui si parla nella Bibbia tra i due Hiram e Salomone non è altro che l’alleanza tra Saggezza, Forza e Bellezza di cui troviamo testimonianza nel Catechismo di Compagno prima citato. Nella sua sapienza, infatti, Salomone percepì l’idea di costruire il Tempio e gli Hiram gli dettero la forza per costruirlo, e la bellezza per arredarlo, inviando strumenti, oro, pietre preziose ed operai rigorosamente disciplinati e solidali tra loro. Questa, però, è anche l’alleanza che nella Qabbalah si esprime tra le sephiroth ‘Hokmah Sapienza,  Gheburah  Forza e rigore e Tiphereth, bellezza e armonia.

   In un successivo versetto della Bibbia (I Libro dei Re, 6:1) si precisa che i lavori di costruzione del Tempio ebbero inizio allorché erano trascorsi 400 anni dall’uscita degli Ebrei dall’Egitto.

  Per chi conosca appena la tradizione cabbalistica  ‘uscire dall’Egitto’ e ‘400’ hanno un preciso significato. Uscire dall’Egitto significa abbandonare la via ‘consueta e profana’ per intraprendere un cammino iniziatico. Quanto al 400, lo sappiamo corrispondere al valore numerico dell’ultima lettera dell’alfabeto ebraico: la Taw.

   Settima lettera doppia e ultima delle 22 lettere dell' alfabeto ebraico, la Taw  è collocata tra le sephiroth  Malchut e Yesod sul trentaduesimo e ultimo sentiero [17] dell’Albero della vita, detto anche sentiero di Saturno.

   Dio pose questo sigillo, la lettera Taw, sulla fronte di Caino a testimoniare la caduta e insieme la possibilità della risalita. Il suo valore numerico, il 400, simboleggia tutto ciò che di bene e di male c'è nel quaternario. Il simbolo si spiega con l’essere, questa, l’ultima delle lettere con cui Dio creò il mondo.

  Ad Esau che gli viene incontro con 400 mercenari che rappresentano le forze del male, Giacobbe dice: Yesh Li Kol  “Ho tutto”, frase il cui valore numerico è ancora 400, ad indicare che Giacobbe, detto  Israele, dispone di tutto ciò di cui ha bisogno per risalire.

   Per lasciare l'Egitto occorrono agli Ebrei 400 anni e soprattutto occorre  la Techinnah che si scrive con la Taw iniziale e che significa amicizia e clemenza. Per qualcuno, la forma della lettera è l' ideogramma di due braccia che stanno aprendosi ad accogliere un amico. Nel Midrash noto come Alfabeto di Rabbi Aqiva si rivela la duplice natura della lettera Taw  allorché è detto di  non leggerla come  Taw  bensì come Taev  desiderio. Desiderio di ogni bene terreno ma anche desiderio dello spirito di risalire in alto.

  Questa è la verità della Taw ed Emet-verità si scrive Alef Mem Taw. In questa parola,   E m (e) t, lettera mediana tra la Alef iniziale e la Taw finale è la  Mem, simbolo di ogni singolo aspetto della manifestazione divina. Ove si dimentichi che il Tutto della manifestazione, rappresentato dalla Taw, si collega all' Uno che è nella  Alef,  Emet si muta in Met Mem-Taw che significa morte. Senza la Alef o principio creativo, la realtà non è altro che vuota forma, apparenza, illusione e morte.

 Ce n’è dunque abbastanza per dimostrare che l’edificazione del Tempio, alla quale si accingono insieme i due Hiram e Salomone, non è soltanto un monumento elevato a gloria del Signore o Grande Architetto dell’Universo. E’ in realtà un tracciato da compiere, una via da seguire. E’ su questa via che gli Hiram e Salomone si trovano insieme.

  Il richiamo della tradizione cabbalistica ci consente ancora qualche piccola scoperta:

  Hiram non solo rappresenta lo spirito, per i significati delle due radici ebraiche ‘Hi e Ram. Formato dalle lettere Chet-Yud-Resh-Mem (40+200+10+8=258), Hiram è la ghematria di Arazim Aleph-Resh-Zain-Yud-Mem (40+10+7+200+1=258) che significa CEDRI. Ricordando che nella tradizione ebraica ogni lettera è numero e ogni numero è lettera, Hiram e Arazim hanno perciò lo stesso valore numerico (258) e dunque si corrispondono.

  E ancora:  Zahav, oro in ebraico, ha valore numerico 14 (2+5+7) come Yad mano  (4+10=14) e come David (la promessa del Tempio)  (4+6+4=14).

 Ciò significa che senza i cedri del Libano, senza gli operai e senza l’oro, in una parola senza Hiram nessuna mano avrebbe innalzato il tempio suggellando il patto che il Signore aveva concluso con David, padre di Salomone (I Re, 9, 1-10).

 Cosa rappresenta il cedro nella tradizione biblico-ebraica? Innanzi tutto il soffitto del Tempio era fatto di travi e assi di cedro, i pavimenti di legno di cedro, l’altare di cedro rivestito d’oro, le colonne tutte di cedro come pure i soffitti della Sala del Giudizio (I Re). Nel II libro di Samuele, 7,7 è Dio stesso a chiamare ‘Casa di cedro’ il Tempio che gli deve essere costruito.

 Il cedro, inoltre, è nella Bibbia di volta in volta simbolo di FORZA (Isaia, 9,9: ‘…Le fragili travi di fico sono state abbattute ma noi useremo robuste travi di cedro…’) di BELLEZZA (Salmo 92,13-14: ‘… Bello come un cedro del Libano piantato nel cortile del Tempio’; Cantico dei cantici 5,15: ‘… Egli ha l’aspetto delle montagne del Libano, è magnifico come gli alberi di cedro’) di SAPIENZA (Siracide 24,13 ‘… Elogio della sapienza’: ‘sono cresciuta ( io, la sapienza) come un cedro del Libano’). Inoltre, nella tradizione ebraica il cedro è simbolo di Dio nella sua veste di gloria, è simbolo di Abramo, del Sinedrio, dell’intero popolo ebraico e del cuore dell’uomo.

  Infine, il frutto del cedro (etrog) è detto il frutto di un albero di bell’aspetto: Perì ’Etz Hadar:

 “Prenderete il primo giorno di Sukkoth un frutto di bell’aspetto, rami di palme e rami dell’albero di mirto e rami di salice e vi rallegrerete davanti al Signore vostro Dio” (Levitico, 33:40).

 Si prende il Lulav (mazzo composto di 1 ramo di palma, 2 di salice, 3 di mirto) con la destra, il cedro con la sinistra, li si agita ai 4 punti cardinali, in alto e in basso, dopo aver detto la relativa benedizione.   

 Così si compie la mitzwah del Lulav durante la festa di Sukkoth o festa delle Capanne. [18] 

  Altri riferimenti biblici ad Hiram si trovano nel I Libro dei Re, dove egli è un valente artigiano figlio di una vedova della tribù di Neftali, dunque un discendente di Giacobbe e di Bila, la schiava che Rachele concesse al marito per avere discendenza.

  Nel II libro delle Cronache, è invece citato l’artigiano che Hiram re di Tiro invia a Salomone. Questa volta però lo si chiama  Hiram-Abi, lo si dice esperto di costruzioni e figlio di un’ebrea della tribù di Dan (2:12-13). [19]
 
  Inoltre, l’intero settimo capitolo del I Libro dei Re è dedicato alla descrizione di tutto l’arredo per l’abbellimento del Tempio che l’artigiano Hiram costruì.
  
 Ed ecco, dunque - come ho già detto - dopo la Sapienza e la Forza, la terza luce che illumina il Tempio massonico: la Bellezza, la cui sephirah corrispondente è Tiphereth, vero e proprio cuore dell’Albero della vita [leggi il post L'albero della vita, cliccando sul titolo] espressione dell’armonia in cui si manifesta l’equilibrio di ogni energia.

 Così intese le due figure dell’Hiram biblico, non stupisce certo che entrino a far parte della leggenda massonica inserita nelle Costituzioni, fuse insieme nell’unica figura di Hiram grande architetto di Salomone. Su questa linea interpretativa concorda uno studioso come il Vaillant, anche se poi egli finisce per ricondurre tutto, simbologia massonica e leggende del popolo ebraico, ad una comune matrice egizia. Scrive in proposito: “La tradizione massonica che si ricava dai rituali adottati da tutti i riti al terzo grado è ebraica (…) Nel secondo libro dei Paralipomeni, il re di Tiro fa dire a Salomone che ‘Hiram è un uomo intelligente, abilissimo; che ha servito suo padre, che sa lavorare l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legno e perfino la porpora, il giacinto, il fine lino e lo scarlatto; egli sa ancora incidere tutte le immagini e inventare quello che occorre per ogni lavoro’ Ecco, senza dubbio, ciò che gli è valsa la denominazione di architetto nelle tradizioni ebraiche e tra i Liberi Muratori, malgrado le asserzioni rispettabilissime che non vogliono vedere in lui che un fonditore di metalli.”  [20]  [segue].

sergio magaldi


[1] Sul  barone Tschudy,  figura di grande prestigio della Massoneria europea della seconda metà del XVIII secolo, sulla condanna e sulla scomunica della Massoneria in questo stesso periodo, ad opera rispettivamente del re Carlo di Borbone del Regno delle due Sicilie e del papa Benedetto XIV, cfr. C.Miccinelli, E Dio creò l’uomo e la Massoneria, E.C.I.G., Genova, 1985, pp. 25 e ss.
[2] Cfr. Sefer ha-Bahir, prg 70 (48) in   Mistica ebraica, a cura di G. Busi ed E. Loventhal, Einaudi 1995, Ediz. CDE spa, Milano, 1996, pp. 168-169.
[3] Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Sugli argomenti, la data di composizione, l’autore: cfr. G.G. Scholem, La Cabala, trad.it., Roma 1989, pp.215-244 e G.Busi, La Qabbalah, Laterza, Bari, 1998, pp. 70-75. Per un maggiore approfondimento cfr. i capitoli V e VI di Le grandi correnti della mistica ebraica, cit., di G.G. Scholem. L’edizione dello Zohar più nota è quella della versione francese a cura di C. Mopsik pubblicata dalla casa editrice Verdier.
[4] cfr. Le Zohar, cit., Berescith I, 16 b, pp. 99-100.
[5] Cfr. Le Zohar, cit. 16 b, p.100.
[6]  Cfr. Le Zohar, cit., Berescith II, 31 b-32 a, p.179. 
[7] cfr. Genesi 1:4
[8] ‘Questa luce scaturì dal cuore dell’Oscurità (…) dalla luce nascosta prese forma una segreta via d’accesso grazie all’oscurità del mondo di quaggiù e la luce poté manifestarsi.’ Cfr. Le Zohar, cit., 32 a, p.179. 
[9] cfr. J. Boucher, La Simbologia Massonica, Atanor, Roma, 1997, 5.a Rist., trad.it., Editions Dervy, Parigi, 1948, pp.151-152.
[10] cfr. le Zohar, cit., 32a, p.180
[11] cfr. Le Zohar, cit.,Berescith II, 30 b, t.I, p.175.
[12] citato in C. Miccinelli, Op.cit, p.293
[13] Cfr. F. Kafka, Trentottesima Considerazione, in Confessioni e immagini, trad.it., Mondadori, Milano 1960, p.62
[14] Cfr. Numeri, 16, 9-10
[15] Cfr. Il Manoscritto di Cooke, in Op.cit., p.171
[16] Cit. a proposito di un lavoro di A. Reghini, in  E. Bonvicini, I Gradi della massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato, Bastogi, Foggia, 1996, p.17
[17] Cfr. Sepher Yezirah o Libro della  formazione, la cui data di composizione secondo gli studiosi oscilla tra il II e il VI secolo d.C., nel libro (analizzato da G.G. Scholem in Le Origini della Kabbalah, cit., pp.32-44 e in La Cabala, cit., pp. 14, 30-61, 70-72, 96, 101 e ss.) è detto, all’inizio, che Dio formò il mondo con ‘32  misteriosi sentieri di saggezza’. I 32 Sentieri dell’Albero della Vita collegano tra loro le 10 Sephiroth e sono 32 in tutto perché, alle 10 Sephiroth, si aggiungono le 22 lettere dell’alfabeto ebraico. 
[18] Il 15 del mese ebraico di Tishrì (settembre-ottobre) ricorre la festa di Sukkoth in memoria delle capanne costruite dagli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Nella Torah è conosciuta anche col nome di Chag Ha-Asif o festa del raccolto, perché con lei terminava la stagione del raccolto. E’ una festa di gioia e di allegria, come comanda la Torah. Dura sette giorni, durante i quali l’ebreo è chiamato a vivere nella Sukkah (capanna), costruita all’aria aperta ad imitazione di quella che gli antenati edificarono nel deserto.
[19] Proprio in riferimento al II Libro delle Cronache ( 2:12 ) che dice Hiram ‘esperto di costruzioni’, sarebbe potuta nascere la leggenda massonica di Hiram, maestro architetto (cfr. in proposito C. Jacq, La Massoneria. Storia e iniziazione, Mursia, Milano, 1998, pp. 240 e ss.)
[20] Cfr. A.Vaillant, I tre gradi della Libera Muratoria, Bastogi, Foggia, 1994, rist. anast., Milano, 1959, pp.163 e 169. Sulla questione della ‘matrice egizia’ comune sia alla Massoneria che alla tradizione ebraica,cfr. Ibid., l’intero cap. V, pp.163-186. 

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