L’Italia è un paese cattolico, anzi… è la culla del cattolicesimo apostolico romano! Ma gli
italiani, o almeno i politici e i loro commentatori della stampa e delle TV, non credono ai
miracoli o almeno a quelli annunciati da Matteo Renzi. Tanto più sorprendente
in un Paese che confida nella verità del pianto di statue di santi e madonne di
ogni contrada. Anche a volergli credere, c’è prima di tutto lo scoglio della
forma irrituale con cui il sindaco fiorentino ha evocato tanti piccoli miracoli
davanti al Senato della Repubblica. Con le mani in tasca, senza leggere
programmi sonnolenti, scritti dai portaborse come si converrebbe alla dignità
del luogo, ma parlando a braccio per più di un’ora e soprattutto annunciando ai
senatori, già nell’incipit, la
loro prossima fine come legislatori elettivi e stipendiati.
Come e più dei giorni scorsi, dopo
l’intervento di Renzi al Senato, un unico fascio s’è andato compattando contro
il rottamatore: integralisti di destra e di sinistra, leghisti, grillini,
vendoliani, barnardiani, radicali e opinionisti di ogni sorta e colore. Senza
contare che civatiani, cuperliani e lettiani gli votano la fiducia per
disciplina di partito e nella velata [ma non tanto] speranza che per Renzi si verifichino
al più presto le condizioni auspicate, con l’abbandono della segreteria
politica del PD e il flop di governo, secondo quanto già paventavo nel post
del 10 Febbraio u.s. [ clicca per leggere: Renzi, il canto delle sirene e Beppe Grillo ].
Intendiamoci, non
tutte le critiche all’interno del Partito Democratico sono state interessate o
senza senso. Per esempio, la proposta di Pippo Civati che Renzi si limitasse a
far approvare la riforma elettorale con Berlusconi [persino dopo aver esecrato
il patto con il Cavaliere! Clicca per leggere: L’incontro del Nazareno,
post del 18 Gennaio u.s.], per poi andare immediatamente al voto, è
ragionevole, ma si scontra con il principio di realtà. Civati sembra fingere di
sapere che un accordo soltanto con Forza Italia [giacché il Nuovo Centro Destra
di Alfano, in una simile prospettiva, si sarebbe subito defilato] avrebbe nel
migliore dei casi prodotto una nuova legge elettorale, non la riforma
costituzionale [per la quale occorre la maggioranza dei 2/3] della soppressione
del senato elettivo e legislativo, che è la condizione indispensabile per
garantire governabilità, abolire il bicameralismo perfetto, con il rimbalzare
delle leggi tra Camera e Senato in un eterno ping-pong, e interrompere
finalmente l’inconcludenza del Parlamento italiano e i governi dei decreti legge.
Ciò che più
colpisce è il tono conformistico e fastidito con cui la quasi totalità della
stampa e dei media sottolinea l’arroganza con cui questo ragazzo che non
ha ancora quarant’anni [non omettendo di sottolineare che l’unico precedente di
un Presidente del Consiglio con meno di quarant’anni nella storia dell’Italia
unita fu Benito Mussolini, peraltro con un paio di mesi in più di Renzi], si
rivolge all’attuale classe politica [ma non era la casta?] per
denunciarne l’impotenza almeno ventennale, per di più presentandosi a Palazzo
Chigi con un governo di “mezze calzette”, come è stato detto da più parti, e un
programma ambizioso dove vi sono solo titoli e poco più.
Così, dopo le
dichiarazioni fatte da Renzi a Palazzo Madama, “il fascio” di cui parlavo sopra
si è impreziosito di tante chicche di politici e giornalisti di chiara fama.
Fassina dichiara: “Dico sì, ma non vedo novità”, la Finocchiaro
sottolinea la mancanza di dichiarazioni programmatiche nel discorso di Renzi e
un eccesso di anticorformismo. Lucia Annunziata che quasi sempre, almeno in TV,
legge le domande fatte agli ospiti,
forse per evitare che siano senza capo né coda, dichiara non senza usare il
plurale maiestatico: “Diciamo la verità, è stato un discorso senza capo né
coda, infarcito di storielle riciclate […] soprattutto da parte di chi non è
stato nemmeno eletto […]”. E si potrebbe continuare a lungo, ma sarebbe
perdita di tempo. Perché il coro anti-Renzi che si leva da buona parte degli
abitanti del Palazzo e dai suoi frequentatori più assidui della stampa è
pressoché unanime e, talora, si fa persino beffardo.
Oltre al tono
irriverente con cui s’è presentato nel Palazzo dove echeggia il ricordo di
tanta storia patria, e alla faciloneria e superficialità con cui ha accennato
al programma di governo, cosa si rimprovera esattamente al sindaco di Firenze?
Provo a riassumere:
1) Il
tradimento, innanzi tutto, il “peccato originale” che è alla base
della sua ascesa a Palazzo Chigi e che lo “marcherà” a vita, quale che potrà
essere il risultato della sua azione di governo. Il giudizio è pressoché
unanime, condiviso persino da chi nutre più di una simpatia nei suoi confronti.
Tradimento illustrato e rammentato, tra gioco e malizia, con il tweet “Enrico
sii sereno!” inviato da Renzi a
Letta, il compagno di partito poi “pugnalato alle spalle”, nonché dalle
affermazioni del neosegretario del PD che mai avrebbe preteso di andare al
governo senza passare prima per le urne. La verità è un’altra ed è incredibile
che ora si voglia far passare Letta per un eroe e Renzi per un traditore!
Soprattutto dopo aver preso atto che nei dieci mesi di governo, l’impegno del
governo Letta si può riassumere nell’aumento dell’IVA, nel logorio della
vicenda IMU, risolta alla fine con un pasticcio oneroso per i cittadini e
nell’elargizione di denaro fresco alle banche [come ha ricordato ieri alla
Camera il grillino Di Maio a Renzi in risposta ad un cosiddetto pizzino, salvo
poi il Movimento Cinque Stelle rimpiangere Letta contro il sindaco fiorentino,
come ha fatto di recente la senatruce Taverna]. Quando Renzi ha capito
che le riforme elettorali e
istituzionali non sarebbero state approvate, non tanto forse per la volontà del
Presidente del Consiglio, quanto per l’interesse oggettivo del Nuovo Centro
Destra e che contemporaneamente la sua immagine di neosegretario del PD si
sarebbe logorata nella scarsa propensione del governo Letta ad agire sul
terreno della riforma del lavoro, degli investimenti produttivi e delle altre riforme strutturali, ha rotto
ogni indugio e preteso di metterci la faccia, come si suol dire. Nessun
tradimento, dunque, e neppure un rimangiarsi la parola data di non andare a
Palazzo Chigi prima di nuove elezioni. Lo ha fatto sapendo di correre molti
rischi, ma consapevole che il pericolo per lui e per il Paese sarebbe stato
maggiore se avesse atteso ancora. È ciò che ho cercato di chiarire nel post
del 16 Febbraio u.s., Diamo a Renzi… quel che è di Renzi [clicca per leggere], con ciò non facendo
personalmente una giravolta, come taluno ha osservato, forse fraintendendo, ma
semplicemente nel tentativo chiarire e di capire, io per primo, le motivazioni
dell’apparente voltafaccia di Matteo Renzi.
2) Congiura
di Palazzo e disprezzo della democrazia. Accuse che rappresentano il
corollario del tradimento. Si continua in malafede a ripetere che Renzi, dopo
Monti e Letta, è il terzo Presidente del Consiglio che sale a Palazzo Chigi
privo di “unzione popolare”. È il ritornello intonato a destra come a sinistra,
da chi finge di dimenticare che gli italiani sono andati a votare appena un
anno fa e che nuove elezioni fatte col “Consultellum”, oltre a comportare la
paralisi istituzionale e legislativa all’insegna del solito “tanto peggio tanto
meglio”, avrebbe come conseguenza un nuovo governo delle larghe intese e il
proliferare di tanti piccoli partiti, alimentati di denaro pubblico e lieti
dello scampato pericolo, rappresentato dalla mancata approvazione della legge
elettorale, frutto del patto del Nazareno, che li escluderebbe dal
raggiungimento della soglia minima per avere rappresentanza parlamentare.
Richiesta di andare a votare subito che si giustifica unicamente da parte del
M5S che, pur essendo un partito di massa, ha scarse possibilità di vincere con il
cosiddetto Italicum, dal momento che la sua forza elettorale consiste proprio
nel presentarsi da solo e senza coalizione e che il suo timore più grande è che
Renzi, “il cartone animato”, riesca a combinare davvero qualcosa per questo
infelice Paese. Come mostra il fatto che Beppe Grillo si sia recato
personalmente alle consultazioni con Renzi, rinfacciando al neo presidente
incaricato di avergli rubato mezzo programma. Continuo a pensare che la vera
soluzione, almeno politica, ai mali dell’Italia, sarebbe un accordo di governo
Renzi-Grillo, ma so anche che questo purtroppo non può accadere e la ragione
apparente è nella terza accusa fatta a Renzi:
3) Renzi
burattino nelle mani dei poteri forti: ecco il leitmotiv che
unisce tra loro forze tanto diverse. Dai nazionalisti agli antieuropeisti, dai
sedicenti europeisti che si accontenterebbero dell’uscita dall’euro, quasi che
i politici italiani fossero inglesi e non fossero entrati nell’euro per
nascondere le proprie malefatte. Da chi invoca il ritorno alla sovranità
monetaria dell’Italia che permetterebbe di dilatare a piacimento il debito
pubblico, nella convinzione che questo salverebbe il Paese, grazie ai maggiori
consumi e agli investimenti pubblici e privati, dimenticando che le politiche
keynesiane presuppongono una realtà produttiva non basata sulla
globalizzazione, sulla delocalizzazione delle imprese e sulle scommesse del
capitale finanziario. Con la conseguenza che alla breve espansione dei consumi
interni, farebbe subito riscontro un’inflazione non troppo dissimile da quella
che si verificò in Germania tra il 1914 e il 1923, quando per acquistare beni
di mera sopravvivenza occorrevano milioni e miliardi di marchi. E infine dagli
europeisti convinti e democratici, certi che, se i nostri governanti andassero
a battere i pugni sui tavoli di Bruxelles e di Francoforte, dove batte il cuore
di Eurogermania, sarebbero ascoltati e nascerebbe di sicuro l’Europa
democratica dei popoli e degli eurobond. Una visione non si capisce se più
ingenua o più astuta. Come pretendere che Hitler avrebbe risparmiato gli ebrei
se qualche rabbino fosse andato a
chiederglielo a brutto muso, e non ci fosse voluta la terza guerra
mondiale e soprattutto l’intervento americano per sconfiggere il dittatore
tedesco e liberare l’Europa dal nazismo. In conclusione, secondo
quest’ottica, Renzi sarebbe solo un “figlio
di troika” [secondo l’espressione coniata ieri dai grillini] e il burattino
più adatto, dopo Monti e Letta, per portare a termine il lavoro sporco, con la
svendita dei gioielli nazionali, cioè delle aziende pubbliche ancora non
decotte, e introdurre la completa cinesizzazione del lavoro salariato. A
nessuno di costoro viene in mente di domandarsi se per caso Renzi non sia in
grado di ritagliarsi un piccolo spazio tra l’America di Obama e l’Eurogermania
della Merkel. Stati Uniti e Inghilterra sembrano stanchi di questa Unione
Europea a conduzione franco-germanica, i cui confini di mercato si dilatano sempre più
ad est del Continente e in tutto il Globo. C’è un interesse oggettivo degli anglosassoni:
ridimensionare la Russia di Putin senza dilatare oltre misura lo strapotere
tedesco.
Tra gli
oppositori di Renzi non mancano poi i “dialoganti” o pseudo tali, da annoverare
soprattutto, come dicevo sopra, tra i tessitori dell’opinione pubblica,
disposti anche ad accantonare nel dibattito le accuse pregiudiziali di cui
sopra. Sono le vestali del Gattopardo [vedi il post del 22 Dicembre 2013: Cambiare…perché tutto resti come prima], quello che gli italiani delle corporazioni,
delle rendite, dell’evasione fiscale e dei privilegi non vogliono ammazzare,
come direbbe Alan Friedman, perché tutto in questo Paese resti identico a se
stesso. Anche qui la gamma è vasta: si va da chi parla di “dilettante allo
sbaraglio” e si domanda se Renzi “c’è o
ci fa”, a chi gli sussurra garbatamente e col sorriso sulle labbra dove ha
intenzione di prendere i soldi [circa cento miliardi] per fare tutte le
cose confusamente accennate nel discorso programmatico per ottenere la fiducia.
Dov’è il colpo di
genio? Ecco Matteo tirare fuori i primi sessanta miliardi dei famosi
cento, nell’incredulità nazionale ai piccoli miracoli, eccolo annunciare agli
scettici che il denaro servirà a rimborsare immediatamente i crediti che le
imprese vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Immettendo
denaro fresco in un sistema produttivo privo di liquidità. In che modo? Grazie
alla Cassa Depositi e Prestiti, sul modello di quanto già fece la Germania
all’epoca della riunificazione tedesca. Si stenta a crederlo, se fosse così
semplice, Berlusconi, Monti e Letta l’avrebbero fatto prima di lui! Di sicuro è
un’altra delle bugie di Renzi! Finché non è lo stesso Bassanini, presidente
della Cassa Depositi e Prestiti, a comparire in TV, a notte alta, per
confermare tutto!
Ciò non
significa naturalmente che Renzi salverà il Paese, gli si conceda però che ci
sta provando in buona fede. Insomma, crediamogli, almeno per il momento, e diamo
a Renzi… quel che è di Renzi!
sergio magaldi