domenica 16 febbraio 2014

DIAMO A RENZI...QUEL CHE E' DI RENZI!




  Avevo invitato Renzi, novello Ulisse, a legarsi all’albero maestro della nave e a otturarsi le orecchie per non ascoltare il canto delle sirene e cedere alle loro lusinghe, durante la navigazione sino al porto delle riforme istituzionali e costituzionali [Post del 10 Febbraio 2014: Renzi, il canto delle sirene e Beppe Grillo]. Canto tanto più sospetto, perché proveniente anche dalla minoranza più consistente del suo partito, e nella prospettiva che il cosiddetto scoop di Alan Friedman e la concomitante chiamata di Renzi al Colle potessero non essere casuali [Post di Martedì 11 Febbraio 2014: Segreti di Pulcinella].

 Avevo però anche aggiunto che a spingere subito il sindaco di Firenze verso Palazzo Chigi, potesse essere la valutazione realistica della difficoltà di muoversi nel mare delle riforme senza essere al timone della nave, tenuto conto che la nuova legge elettorale è legata in modo indissolubile all’abolizione del Senato elettivo e legislativo [per il rischio di avere due diverse maggioranze tra Camera e Senato] e che, nella più rosea delle previsioni, occorrerebbero forse non meno di due anni per andare a votare con l’Italicum.

 Sempre che a complicare le cose non ci si metta la reintroduzione delle preferenze, invocata a gran voce dalle tante false vestali della democrazia rappresentativa, dagli stessi alleati di coalizione di NCD e persino da quella parte del PD che ha sempre osteggiato il voto di preferenza. Non solo con Bersani, ma sin dall’epoca in cui molti degli attuali democratici militavano nelle file del Partito Comunista. Con il rischio che Berlusconi faccia saltare l’accordo sulle regole, decretando per ciò stesso il fallimento di Renzi, prima ancora che s’insedi il suo governo per “rifare l’Italia”.

 Senza contare che i sondaggi, se oggi si andasse a votare con la legge elettorale uscita dal patto del Nazareno, considerano probabile la vittoria del Centro Destra, facendo persino a meno del premio di maggioranza. Con la relativa disfatta di Renzi, costretto a lasciare la segreteria del partito e forse la vita politica, per aver riportato al governo il nemico storico del Centro Sinistra.

 Un rischio troppo grosso. E che deve aver contribuito a far riflettere Renzi sull’assunzione di un rischio calcolato, anche se questo gli fa perdere di popolarità tra la sua gente, gli lascia intravedere l’improvvisa freddezza e persino l’ostilità di parte di quella stampa che sino a ieri lo aveva blandito [raro esempio di coerenza, restano costanti nei suoi confronti sia l’inquietudine manifesta di Eugenio Scalfari che l’atteggiamento palesemente “fastidito” di Massimo Franco, voci importanti del giornalismo e volti arcinoti dei talk show. Il che non può che giovare a Renzi, prefigurando una possibile discontinuità nell’azione di governo del sindaco fiorentino, rispetto alla recente “stabilità cimiteriale”]. E, soprattutto, lo costringe a difendersi da chi [e sono in tanti, dal M5S alla Lega Nord, passando per vari partiti e movimenti di opinione] lo indica come la nuova marionetta ad uso di noti burattinai nazionali e internazionali al servizio dei soliti poteri forti, nella consueta veste di impresari dello spettacolo planetario in scena nell’età della globalizzazione, dell’euro e dell’ascesa del capitale finanziario. Accuse che non sarebbero state risparmiate a Renzi neppure se fosse salito a Palazzo Chigi dopo aver vinto le elezioni, ma che inducono alcuni tra i più acuti osservatori a porsi la domanda “Perché ora?”.

 La questione non è di poco conto e viene affrontata sapientemente da Francesco Maria Toscano: Chi vuole subito Renzi a Palazzo Chigi? [www.ilmoralista.it]:

“ […] Chi, e perché, ha impresso una svolta destinata ad imporre Matteo Renzi a Palazzo Chigi? […] La prima delle ermeneusi proposte, che definiremmo per comodità di tipo politico-profano, è frutto esclusivo del libero ragionamento di chi scrive. La seconda, di tipo esoterico-iniziatico, è invece in gran parte debitrice delle suggestioni ricevute in dono da ambienti riconducibili al network massonico sovranazionale di Grande Oriente Democratico. Partiamo dal primo punto. Cosa spinge Renzi ad accettare la nomina a Premier senza passare per le urne? Il Rottamatore non rischia, così facendo, di  bruciarsi prematuramente? Io credo che a Renzi, molto più cinico e calcolatore di quanto comunemente non si creda, non sfuggano affatto i rischi coevi di una operazione che i suoi nemici avranno gioco facile nel bollare immediatamente come ennesima e oscura “manovra di Palazzo”. Allo stesso tempo però il sindaco di Firenze teme, non senza ragioni, di finire presto stritolato dalla inconcludenza di un governo molto impopolare che necessariamente cammina sulle gambe del “suo” Pd. Come se ne esce? La soluzione è tutt’altro che facile. In un Paese normale, con un Presidente della Repubblica normale, il popolo sovrano sarebbe chiamato alle urne per dirimere la spinosa vertenza. Ma l’Italia, ahimè, non è più un “Paese normale”. E’ un protettorato alla mercé di una oligarchia invisibile che vede (vedeva?) in Giorgio Napolitano il suo più efficiente terminale. A questo punto, scartata l’ipotesi di continuare a sostenere il governo Letta nel timore di logorarsi per nulla, impedita la possibilità di un immediato ricorso al voto democratico per la nota e risaputa idiosincrasia verso il popolo del monarca ben assiso sul Colle, quali opzioni restano al nostro arguto Matteuccio? Una sola. Ovvero “la manovra di Palazzo”. Rimane però sul tappeto un problema abbastanza ingombrante: come riuscire a conciliare l’immagine fresca e popolare che il sindaco di Firenze si è faticosamente costruito con l’accettazione di una investitura figlia dei soliti, logori e stantii giochini di potere? Ritengo che nella mente di Renzi frulli l’idea di provare a “sterilizzare” tale criticità presentandosi agli occhi degli italiani come risorsa, ultima e indispensabile, costretta ad accettare obtorto collo una nomina non voluta né richiesta, a patto però di ricevere un via libera pieno e incondizionato. Renzi, ne sono relativamente certo, se mai dovesse ricevere il mandato per formare il governo, non medierà con nessun partito. Al contrario formerà la sua squadra infarcendola di nomi difficilmente riferibili alle segreterie dei partiti che oggi sostengono il governo Letta. Dopodiché sottoporrà la sua squadra al giudizio del Parlamento. Sapendo che di fronte ad una eventuale bocciatura delle sue scelte, quindi, volente o nolente Napolitano, non rimarrebbe a quel punto altro da fare se non tornare alle urne. La seconda lettura, sintesi delle raffinate confidenze pervenutemi da ambienti di God, delinea invece un quadro alquanto differente. Il Venerabilissmo Maestro contro-iniziato Mario Draghi, vero regista del progressivo annichilimento della civiltà italiana ed europea, non a caso oggetto di recenti salamelecchi da parte dello stesso Renzi guarderebbe con fastidio all’ipotesi futuribile di un Renzi eletto premier sulla scia di un forte consenso popolare. Tale eventualità potrebbe in teoria accrescere il potere contrattuale del Rottamatore agli occhi dei soliti cenacoli, aumentandone il tasso di indipendenza in misura probabilmente incompatibile con la sadica prosecuzione del doloso processo di desertificazione attualmente in corso. Imbrigliare Renzi dentro una cornice compromissoria, al contrario, questa la ratio dissimulata della sottile e perfida strategia in atto, finirebbe giocoforza per limitarne di molto il potenziale “rivoluzionario”, trasfigurando cioè fin da subito un potenziale Gianburrasca in docile burattino da tenere al laccio finché serve.”

 Le due “ermeneusi” non sono così distanti e soprattutto sono più che compatibili tra loro. Dico subito che non condivido alcune delle analisi contenute nella “prima lettura”, circa le valutazioni sul presidente Napolitano e sulla opportunità di andare a votare oggi col “Consultellum” che prefigurerebbe di nuovo le “larghe intese”, questa volta direttamente tra Renzi e Berlusconi. Sulla “seconda lettura”, indubbiamente suggestiva, mi chiedo come si possa definire Mario Draghi il “vero regista del progressivo annichilimento della civiltà italiana ed europea”, quando ci sarebbe da chiedersi se le cose per il nostro Paese sarebbero andate meglio, tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2012, se nel delicato posto di Draghi ci fosse stato un non italiano. E se le responsabilità della decadenza europea non siano piuttosto da ricercare nella vocazione egemonica di Eurogermania gestita dai cosiddetti poteri forti, sempre richiamati, ma poi identificati sempre con voluta ed erronea approssimazione. E se in particolare, la decadenza italiana non sia stata causata da un sistema politico, corrotto e inconcludente che ha creduto di poter sfuggire alla resa dei conti semplicemente nascondendosi dietro l’euro.

 Ciò premesso, Renzi non ignora affatto il rischio che gli viene dalla diffusione, tra i suoi stessi sostenitori, di una lettura del suo operato di tipo “esoterico-iniziatico”, come la definisce Toscano. Ma sa anche di non avere scelta e/o forse presume – come già dicevo nel citato post del 10 Febbraio – di essere più astuto di chi l’ha voluto a Palazzo Chigi anzitempo. Sa di giocarsi una partita, dove è chiamato a “rifare l’Italia”, senza tuttavia scontentare i padroni europei e i loro mandanti, e crede di potercela fare. Il primo tassello sarà la riforma costituzionale con la fine del bicameralismo perfetto e la modifica del titolo V della Costituzione per ridurre il potere e la corruzione delle Regioni. Seguirà la nuova legge elettorale e anche su questo Eurogermania lo lascerà pedalare senza mettergli i bastoni tra le ruote. Problemi sulle nuove politiche del lavoro, sul taglio della spesa e sulla riduzione del costo della politica potrebbe averle solo in Italia. Con l’Europa, il problema ci sarà quando e se cercherà di trovare denaro fresco per ridurre il cuneo fiscale e abbassare le tasse, per rilanciare i consumi, aumentando la produttività e diminuendo la disoccupazione. Perché dovrebbe al tempo stesso tassare la rendita finanziaria [si veda in proposito il post del 23 Gennaio u.s., Capitale umano e capitale finanziario], sforare il famoso tetto del 3%, tra PIL e debito pubblico, e ottenere una proroga del Fiscal compact. Obiettivi difficili da raggiungere ma non impossibili, anche se sulla tassazione della rendita finanziaria incontrerà l’opposizione degli alleati del Nuovo Centro Destra. Ostacolo che potrà essere superato, anche con l’aiuto dell’opinione pubblica,  bilanciando la tassazione con la riduzione del prelievo fiscale sul reddito delle persone e delle imprese. Più difficile sarà su questo punto vincere l’ostilità del capitale finanziario, ma se gli riuscirà avrà vinto la sua battaglia e lo sforamento del famoso 3%, già concesso a Francia, Spagna e non solo, ne verrà di conseguenza. Come pure la proroga del Fiscal compact.

 Insomma, per l’obiettivo minimale [riforme costituzionali e istituzionali], Renzi si è già assicurato una doppia maggioranza, mentre per il progetto ambizioso di legislatura, a conti fatti, egli ha molte frecce al suo arco e qualcuna potrebbe davvero raggiungere il bersaglio. In questa prospettiva fanno ridere davvero le minacce del Nuovo Centro Destra di prendersi ancora 48 ore per decidere se appoggiare il governo. A beneficio dei propri elettori e/o per il solito valzer delle poltrone? Renzi fa sapere giustamente che non intende subire ricatti. È già pronta una maggioranza alternativa e se Napolitano e una fetta del PD porranno ostacoli, saranno costretti a mandare il Paese alle urne. A questo punto, s’indovina facilmente quale potrà essere la soluzione. Nuovo Centro Destra e Popolari, formazioni neonate in Parlamento e non nel Paese, sono avvertite.

 In definitiva, se in precedenza ho messo in guardia il sindaco di Firenze contro il canto delle sirene, era soprattutto per due motivi: il timore che la minoranza del PD ne approfittasse per riguadagnare la segreteria del partito e lasciare che dopo Letta si bruciasse anche Renzi e che, soprattutto, fosse impossibile “rifare l’Italia” con Alfano e i suoi fratelli. Timori non del tutto sopiti, ma circoscrivibili in un rischio forse minore di quello che costerebbe sia a Renzi che al Paese continuare con un leader che in dieci mesi non è riuscito a presentare neppure una proposta di legge elettorale - che è stato anche il motivo principale in base al quale Napolitano gli ha conferito l’incarico di governo - e che solo alla vigilia della sua decadenza ha indetto una conferenza stampa, per sventolare il libretto delle buone intenzioni, con fare giocondo e fingendo che nulla fosse accaduto.

sergio magaldi   


2 commenti:

  1. Non è colpa di Letta se Impegno Italia non ha visto la luce prima. In tipografia l'han tirata per lunghe. Ciao Prof.

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  2. Che peccato! Pensa a come tutto sarebbe stato diverso senza il ritardo dei tipografi!

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