Avevo
invitato Renzi, novello Ulisse, a legarsi all’albero maestro della nave e a
otturarsi le orecchie per non ascoltare il canto delle sirene e cedere alle
loro lusinghe, durante la navigazione sino al porto delle riforme istituzionali
e costituzionali [Post del 10 Febbraio 2014: Renzi, il canto delle sirene e Beppe Grillo]. Canto tanto più
sospetto, perché proveniente anche dalla minoranza più consistente del suo
partito, e nella prospettiva che il cosiddetto scoop di Alan Friedman e la concomitante chiamata di Renzi al Colle
potessero non essere casuali [Post di Martedì 11 Febbraio 2014: Segreti di Pulcinella].
Avevo però anche aggiunto che a spingere
subito il sindaco di Firenze verso Palazzo Chigi, potesse essere la valutazione
realistica della difficoltà di muoversi nel mare delle riforme senza essere al
timone della nave, tenuto conto che la nuova legge elettorale è legata in modo
indissolubile all’abolizione del Senato elettivo e legislativo [per il rischio
di avere due diverse maggioranze tra Camera e Senato] e che, nella più rosea
delle previsioni, occorrerebbero forse non meno di due anni per andare a votare
con l’Italicum.
Sempre che a complicare le cose non ci si
metta la reintroduzione delle preferenze, invocata a gran voce dalle tante false
vestali della democrazia rappresentativa, dagli stessi alleati di coalizione di
NCD e persino da quella parte del PD che ha sempre osteggiato il voto di
preferenza. Non solo con Bersani, ma sin dall’epoca in cui molti degli attuali
democratici militavano nelle file del Partito Comunista. Con il rischio che
Berlusconi faccia saltare l’accordo sulle regole, decretando per ciò stesso il
fallimento di Renzi, prima ancora che s’insedi il suo governo per “rifare l’Italia”.
Senza contare che i sondaggi, se oggi si
andasse a votare con la legge elettorale uscita dal patto del Nazareno, considerano
probabile la vittoria del Centro Destra, facendo persino a meno del premio di
maggioranza. Con la relativa disfatta di Renzi, costretto a lasciare la
segreteria del partito e forse la vita politica, per aver riportato al governo
il nemico storico del Centro Sinistra.
Un rischio troppo grosso. E che deve aver
contribuito a far riflettere Renzi sull’assunzione di un rischio calcolato,
anche se questo gli fa perdere di popolarità tra la sua gente, gli lascia
intravedere l’improvvisa freddezza e persino l’ostilità di parte di quella
stampa che sino a ieri lo aveva blandito [raro esempio di coerenza, restano
costanti nei suoi confronti sia l’inquietudine manifesta di Eugenio Scalfari
che l’atteggiamento palesemente “fastidito” di Massimo Franco, voci importanti
del giornalismo e volti arcinoti dei talk show. Il che non può che giovare a
Renzi, prefigurando una possibile discontinuità nell’azione di governo del
sindaco fiorentino, rispetto alla recente “stabilità cimiteriale”]. E,
soprattutto, lo costringe a difendersi da chi [e sono in tanti, dal M5S alla
Lega Nord, passando per vari partiti e movimenti di opinione] lo indica come la
nuova marionetta ad uso di noti burattinai nazionali e internazionali al
servizio dei soliti poteri forti, nella consueta veste di impresari dello
spettacolo planetario in scena nell’età della globalizzazione, dell’euro e
dell’ascesa del capitale finanziario. Accuse che non sarebbero state
risparmiate a Renzi neppure se fosse salito a Palazzo Chigi dopo aver vinto le
elezioni, ma che inducono alcuni tra i più acuti osservatori a porsi la domanda
“Perché ora?”.
La questione non è di poco conto e viene affrontata
sapientemente da Francesco Maria Toscano: Chi
vuole subito Renzi a Palazzo Chigi? [www.ilmoralista.it]:
“
[…] Chi, e perché, ha impresso una svolta destinata
ad imporre Matteo Renzi a Palazzo Chigi? […] La prima delle ermeneusi
proposte, che definiremmo per comodità di tipo politico-profano, è
frutto esclusivo del libero ragionamento di chi scrive. La seconda, di tipo esoterico-iniziatico,
è invece in gran parte debitrice delle suggestioni ricevute in dono da ambienti
riconducibili al network massonico sovranazionale di Grande Oriente
Democratico. Partiamo dal primo punto. Cosa spinge Renzi ad
accettare la nomina a Premier senza passare per le urne? Il Rottamatore
non rischia, così facendo, di bruciarsi prematuramente? Io credo che a
Renzi, molto più cinico e calcolatore di quanto comunemente non si creda, non
sfuggano affatto i rischi coevi di una operazione che i suoi nemici avranno
gioco facile nel bollare immediatamente come ennesima e oscura “manovra di
Palazzo”. Allo stesso tempo però il sindaco di Firenze teme, non senza
ragioni, di finire presto stritolato dalla inconcludenza di un governo molto
impopolare che necessariamente cammina sulle gambe del “suo” Pd. Come se ne
esce? La soluzione è tutt’altro che facile. In un Paese normale, con un Presidente
della Repubblica normale, il popolo sovrano sarebbe chiamato alle urne per
dirimere la spinosa vertenza. Ma l’Italia, ahimè, non è più un “Paese
normale”. E’ un protettorato alla mercé di una oligarchia invisibile che
vede (vedeva?) in Giorgio Napolitano il suo più efficiente terminale. A
questo punto, scartata l’ipotesi di continuare a sostenere il governo Letta
nel timore di logorarsi per nulla, impedita la possibilità di un immediato
ricorso al voto democratico per la nota e risaputa idiosincrasia verso il
popolo del monarca ben assiso sul Colle, quali opzioni restano al nostro
arguto Matteuccio? Una sola. Ovvero “la manovra di Palazzo”. Rimane però
sul tappeto un problema abbastanza ingombrante: come riuscire a conciliare
l’immagine fresca e popolare che il sindaco di Firenze si è faticosamente
costruito con l’accettazione di una investitura figlia dei soliti, logori e
stantii giochini di potere? Ritengo che nella mente di Renzi frulli
l’idea di provare a “sterilizzare” tale criticità presentandosi agli
occhi degli italiani come risorsa, ultima e indispensabile, costretta ad
accettare obtorto collo una nomina non voluta né richiesta, a patto però
di ricevere un via libera pieno e incondizionato. Renzi, ne sono relativamente
certo, se mai dovesse ricevere il mandato per formare il governo, non medierà
con nessun partito. Al contrario formerà la sua squadra infarcendola di nomi
difficilmente riferibili alle segreterie dei partiti che oggi sostengono il
governo Letta. Dopodiché sottoporrà la sua squadra al giudizio del Parlamento.
Sapendo che di fronte ad una eventuale bocciatura delle sue scelte, quindi,
volente o nolente Napolitano, non rimarrebbe a quel punto altro da fare se non
tornare alle urne. La seconda lettura, sintesi
delle raffinate confidenze pervenutemi da ambienti di God, delinea invece un
quadro alquanto differente. Il Venerabilissmo Maestro contro-iniziato Mario
Draghi, vero regista del progressivo annichilimento della civiltà italiana
ed europea, non a caso oggetto di recenti salamelecchi da parte dello stesso Renzi
guarderebbe con fastidio all’ipotesi futuribile di un Renzi eletto premier
sulla scia di un forte consenso popolare. Tale eventualità potrebbe in teoria
accrescere il potere contrattuale del Rottamatore agli occhi dei soliti
cenacoli, aumentandone il tasso di indipendenza in misura probabilmente
incompatibile con la sadica prosecuzione del doloso processo di
desertificazione attualmente in corso. Imbrigliare Renzi dentro una cornice
compromissoria, al contrario, questa la ratio dissimulata della sottile
e perfida strategia in atto, finirebbe giocoforza per limitarne di molto il
potenziale “rivoluzionario”, trasfigurando cioè fin da subito un potenziale Gianburrasca
in docile burattino da tenere al laccio finché serve.”
Le
due “ermeneusi” non sono così distanti e soprattutto sono più che compatibili
tra loro. Dico subito che non condivido alcune delle analisi contenute nella “prima
lettura”, circa le valutazioni sul presidente Napolitano e sulla opportunità di
andare a votare oggi col “Consultellum” che prefigurerebbe di nuovo le “larghe
intese”, questa volta direttamente tra Renzi e Berlusconi. Sulla “seconda
lettura”, indubbiamente suggestiva, mi chiedo come si possa definire Mario
Draghi il “vero regista del progressivo annichilimento della civiltà italiana
ed europea”, quando ci sarebbe da chiedersi se le cose per il nostro Paese
sarebbero andate meglio, tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2012, se nel
delicato posto di Draghi ci fosse stato un non italiano. E se le responsabilità
della decadenza europea non siano piuttosto da ricercare nella vocazione
egemonica di Eurogermania gestita dai cosiddetti poteri forti, sempre
richiamati, ma poi identificati sempre con voluta ed erronea approssimazione. E
se in particolare, la decadenza italiana non sia stata causata da un sistema
politico, corrotto e inconcludente che ha creduto di poter sfuggire alla resa
dei conti semplicemente nascondendosi dietro l’euro.
Ciò premesso, Renzi non ignora affatto il
rischio che gli viene dalla diffusione, tra i suoi stessi sostenitori, di una
lettura del suo operato di tipo “esoterico-iniziatico”,
come la definisce Toscano. Ma sa anche di non avere scelta e/o forse presume – come già dicevo nel citato
post del 10 Febbraio – di essere più astuto di chi l’ha voluto a Palazzo Chigi
anzitempo. Sa di giocarsi una partita, dove è chiamato a “rifare l’Italia”, senza tuttavia scontentare i padroni europei e i
loro mandanti, e crede di potercela fare. Il primo tassello sarà la riforma
costituzionale con la fine del bicameralismo perfetto e la modifica del titolo
V della Costituzione per ridurre il potere e la corruzione delle Regioni.
Seguirà la nuova legge elettorale e anche su questo Eurogermania lo lascerà
pedalare senza mettergli i bastoni tra le ruote. Problemi sulle nuove politiche
del lavoro, sul taglio della spesa e sulla riduzione del costo della politica
potrebbe averle solo in Italia. Con l’Europa, il problema ci sarà quando e se
cercherà di trovare denaro fresco per ridurre il cuneo fiscale e abbassare le
tasse, per rilanciare i consumi, aumentando la produttività e diminuendo la
disoccupazione. Perché dovrebbe al tempo stesso tassare la rendita finanziaria
[si veda in proposito il post del 23 Gennaio u.s., Capitale umano e capitale finanziario], sforare il famoso tetto del 3%, tra PIL e
debito pubblico, e ottenere una proroga del Fiscal
compact. Obiettivi difficili da raggiungere ma non impossibili, anche se
sulla tassazione della rendita finanziaria incontrerà l’opposizione degli
alleati del Nuovo Centro Destra. Ostacolo che potrà essere superato, anche con
l’aiuto dell’opinione pubblica,
bilanciando la tassazione con la riduzione del prelievo fiscale sul
reddito delle persone e delle imprese. Più difficile sarà su questo punto
vincere l’ostilità del capitale finanziario, ma se gli riuscirà avrà vinto la
sua battaglia e lo sforamento del famoso 3%, già concesso a Francia, Spagna e
non solo, ne verrà di conseguenza. Come pure la proroga del Fiscal compact.
Insomma, per l’obiettivo minimale [riforme
costituzionali e istituzionali], Renzi si è già assicurato una doppia
maggioranza, mentre per il progetto ambizioso di legislatura, a conti fatti,
egli ha molte frecce al suo arco e qualcuna potrebbe davvero raggiungere il
bersaglio. In questa prospettiva fanno ridere davvero le minacce del Nuovo
Centro Destra di prendersi ancora 48 ore per decidere se appoggiare il governo.
A beneficio dei propri elettori e/o per il solito valzer delle poltrone? Renzi
fa sapere giustamente che non intende subire ricatti. È già pronta una
maggioranza alternativa e se Napolitano e una fetta del PD porranno ostacoli,
saranno costretti a mandare il Paese alle urne. A questo punto, s’indovina
facilmente quale potrà essere la soluzione. Nuovo Centro Destra e Popolari, formazioni
neonate in Parlamento e non nel Paese, sono avvertite.
In definitiva, se in precedenza ho messo in
guardia il sindaco di Firenze contro il canto delle sirene, era soprattutto per
due motivi: il timore che la minoranza del PD ne approfittasse per riguadagnare
la segreteria del partito e lasciare che dopo Letta si bruciasse anche Renzi e
che, soprattutto, fosse impossibile “rifare l’Italia” con Alfano e i suoi
fratelli. Timori non del tutto sopiti, ma circoscrivibili in un rischio forse
minore di quello che costerebbe sia a Renzi che al Paese continuare con un leader che in dieci mesi non è riuscito
a presentare neppure una proposta di legge elettorale - che è stato anche il
motivo principale in base al quale Napolitano gli ha conferito l’incarico di
governo - e che solo alla vigilia della sua decadenza ha indetto una conferenza
stampa, per sventolare il libretto delle buone intenzioni, con fare giocondo e
fingendo che nulla fosse accaduto.
sergio magaldi
Non è colpa di Letta se Impegno Italia non ha visto la luce prima. In tipografia l'han tirata per lunghe. Ciao Prof.
RispondiEliminaChe peccato! Pensa a come tutto sarebbe stato diverso senza il ritardo dei tipografi!
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