mercoledì 26 febbraio 2014

RENZI... OVVERO DELL'INCREDULITA'



  L’Italia è un paese cattolico, anzi… è la culla  del cattolicesimo apostolico romano! Ma gli italiani, o almeno i politici e i loro commentatori  della stampa e delle TV, non credono ai miracoli o almeno a quelli annunciati da Matteo Renzi. Tanto più sorprendente in un Paese che confida nella verità del pianto di statue di santi e madonne di ogni contrada. Anche a volergli credere, c’è prima di tutto lo scoglio della forma irrituale con cui il sindaco fiorentino ha evocato tanti piccoli miracoli davanti al Senato della Repubblica. Con le mani in tasca, senza leggere programmi sonnolenti, scritti dai portaborse come si converrebbe alla dignità del luogo, ma parlando a braccio per più di un’ora e soprattutto annunciando ai senatori, già  nell’incipit, la loro prossima fine come legislatori elettivi e stipendiati.

 Come e più dei giorni scorsi, dopo l’intervento di Renzi al Senato, un unico fascio s’è andato compattando contro il rottamatore: integralisti di destra e di sinistra, leghisti, grillini, vendoliani, barnardiani, radicali e opinionisti di ogni sorta e colore. Senza contare che civatiani, cuperliani e lettiani gli votano la fiducia per disciplina di partito e nella velata [ma non tanto] speranza che per Renzi si verifichino al più presto le condizioni auspicate, con l’abbandono della segreteria politica del PD e il flop di governo, secondo quanto già paventavo nel post del 10 Febbraio u.s. [ clicca per leggere: Renzi, il canto delle sirene e Beppe Grillo ]. 

 Intendiamoci, non tutte le critiche all’interno del Partito Democratico sono state interessate o senza senso. Per esempio, la proposta di Pippo Civati che Renzi si limitasse a far approvare la riforma elettorale con Berlusconi [persino dopo aver esecrato il patto con il Cavaliere! Clicca per leggere: L’incontro del Nazareno, post del 18 Gennaio u.s.], per poi andare immediatamente al voto, è ragionevole, ma si scontra con il principio di realtà. Civati sembra fingere di sapere che un accordo soltanto con Forza Italia [giacché il Nuovo Centro Destra di Alfano, in una simile prospettiva, si sarebbe subito defilato] avrebbe nel migliore dei casi prodotto una nuova legge elettorale, non la riforma costituzionale [per la quale occorre la maggioranza dei 2/3] della soppressione del senato elettivo e legislativo, che è la condizione indispensabile per garantire governabilità, abolire il bicameralismo perfetto, con il rimbalzare delle leggi tra Camera e Senato in un eterno ping-pong, e interrompere finalmente l’inconcludenza del Parlamento italiano e i  governi dei decreti legge.

 Ciò che più colpisce è il tono conformistico e fastidito con cui la quasi totalità della stampa e dei media sottolinea l’arroganza con cui questo ragazzo che non ha ancora quarant’anni [non omettendo di sottolineare che l’unico precedente di un Presidente del Consiglio con meno di quarant’anni nella storia dell’Italia unita fu Benito Mussolini, peraltro con un paio di mesi in più di Renzi], si rivolge all’attuale classe politica [ma non era la casta?] per denunciarne l’impotenza almeno ventennale, per di più presentandosi a Palazzo Chigi con un governo di “mezze calzette”, come è stato detto da più parti, e un programma ambizioso dove vi sono solo titoli e poco più.

 Così, dopo le dichiarazioni fatte da Renzi a Palazzo Madama, “il fascio” di cui parlavo sopra si è impreziosito di tante chicche di politici e giornalisti di chiara fama. Fassina dichiara: “Dico sì, ma non vedo novità”, la Finocchiaro sottolinea la mancanza di dichiarazioni programmatiche nel discorso di Renzi e un eccesso di anticorformismo. Lucia Annunziata che quasi sempre, almeno in TV, legge  le domande fatte agli ospiti, forse per evitare che siano senza capo né coda, dichiara non senza usare il plurale maiestatico: “Diciamo la verità, è stato un discorso senza capo né coda, infarcito di storielle riciclate […] soprattutto da parte di chi non è stato nemmeno eletto […]”. E si potrebbe continuare a lungo, ma sarebbe perdita di tempo. Perché il coro anti-Renzi che si leva da buona parte degli abitanti del Palazzo e dai suoi frequentatori più assidui della stampa è pressoché unanime e, talora, si fa persino beffardo.

 Oltre al tono irriverente con cui s’è presentato nel Palazzo dove echeggia il ricordo di tanta storia patria, e alla faciloneria e superficialità con cui ha accennato al programma di governo, cosa si rimprovera esattamente al sindaco di Firenze? Provo a riassumere:

1)  Il tradimento, innanzi tutto, il “peccato originale” che è alla base della sua ascesa a Palazzo Chigi e che lo “marcherà” a vita, quale che potrà essere il risultato della sua azione di governo. Il giudizio è pressoché unanime, condiviso persino da chi nutre più di una simpatia nei suoi confronti. Tradimento illustrato e rammentato, tra gioco e malizia, con il tweet “Enrico sii sereno!” inviato da Renzi  a Letta, il compagno di partito poi “pugnalato alle spalle”, nonché dalle affermazioni del neosegretario del PD che mai avrebbe preteso di andare al governo senza passare prima per le urne. La verità è un’altra ed è incredibile che ora si voglia far passare Letta per un eroe e Renzi per un traditore! Soprattutto dopo aver preso atto che nei dieci mesi di governo, l’impegno del governo Letta si può riassumere nell’aumento dell’IVA, nel logorio della vicenda IMU, risolta alla fine con un pasticcio oneroso per i cittadini e nell’elargizione di denaro fresco alle banche [come ha ricordato ieri alla Camera il grillino Di Maio a Renzi in risposta ad un cosiddetto pizzino, salvo poi il Movimento Cinque Stelle rimpiangere Letta contro il sindaco fiorentino, come ha fatto di recente la senatruce Taverna]. Quando Renzi ha capito che  le riforme elettorali e istituzionali non sarebbero state approvate, non tanto forse per la volontà del Presidente del Consiglio, quanto per l’interesse oggettivo del Nuovo Centro Destra e che contemporaneamente la sua immagine di neosegretario del PD si sarebbe logorata nella scarsa propensione del governo Letta ad agire sul terreno della riforma del lavoro, degli investimenti produttivi  e delle altre riforme strutturali, ha rotto ogni indugio e preteso di metterci la faccia, come si suol dire. Nessun tradimento, dunque, e neppure un rimangiarsi la parola data di non andare a Palazzo Chigi prima di nuove elezioni. Lo ha fatto sapendo di correre molti rischi, ma consapevole che il pericolo per lui e per il Paese sarebbe stato maggiore se avesse atteso ancora. È ciò che ho cercato di chiarire nel post del 16 Febbraio u.s., Diamo a Renzi… quel che è di Renzi  [clicca per leggere], con ciò non facendo personalmente una giravolta, come taluno ha osservato, forse fraintendendo, ma semplicemente nel tentativo chiarire e di capire, io per primo, le motivazioni dell’apparente voltafaccia di Matteo Renzi.
2)  Congiura di Palazzo e disprezzo della democrazia. Accuse che rappresentano il corollario del tradimento. Si continua in malafede a ripetere che Renzi, dopo Monti e Letta, è il terzo Presidente del Consiglio che sale a Palazzo Chigi privo di “unzione popolare”. È il ritornello intonato a destra come a sinistra, da chi finge di dimenticare che gli italiani sono andati a votare appena un anno fa e che nuove elezioni fatte col “Consultellum”, oltre a comportare la paralisi istituzionale e legislativa all’insegna del solito “tanto peggio tanto meglio”, avrebbe come conseguenza un nuovo governo delle larghe intese e il proliferare di tanti piccoli partiti, alimentati di denaro pubblico e lieti dello scampato pericolo, rappresentato dalla mancata approvazione della legge elettorale, frutto del patto del Nazareno, che li escluderebbe dal raggiungimento della soglia minima per avere rappresentanza parlamentare. Richiesta di andare a votare subito che si giustifica unicamente da parte del M5S che, pur essendo un partito di massa, ha scarse possibilità di vincere con il cosiddetto Italicum, dal momento che la sua forza elettorale consiste proprio nel presentarsi da solo e senza coalizione e che il suo timore più grande è che Renzi, “il cartone animato”, riesca a combinare davvero qualcosa per questo infelice Paese. Come mostra il fatto che Beppe Grillo si sia recato personalmente alle consultazioni con Renzi, rinfacciando al neo presidente incaricato di avergli rubato mezzo programma. Continuo a pensare che la vera soluzione, almeno politica, ai mali dell’Italia, sarebbe un accordo di governo Renzi-Grillo, ma so anche che questo purtroppo non può accadere e la ragione apparente è nella terza accusa fatta a Renzi:
3)  Renzi burattino nelle mani dei poteri forti: ecco il leitmotiv che unisce tra loro forze tanto diverse. Dai nazionalisti agli antieuropeisti, dai sedicenti europeisti che si accontenterebbero dell’uscita dall’euro, quasi che i politici italiani fossero inglesi e non fossero entrati nell’euro per nascondere le proprie malefatte. Da chi invoca il ritorno alla sovranità monetaria dell’Italia che permetterebbe di dilatare a piacimento il debito pubblico, nella convinzione che questo salverebbe il Paese, grazie ai maggiori consumi e agli investimenti pubblici e privati, dimenticando che le politiche keynesiane presuppongono una realtà produttiva non basata sulla globalizzazione, sulla delocalizzazione delle imprese e sulle scommesse del capitale finanziario. Con la conseguenza che alla breve espansione dei consumi interni, farebbe subito riscontro un’inflazione non troppo dissimile da quella che si verificò in Germania tra il 1914 e il 1923, quando per acquistare beni di mera sopravvivenza occorrevano milioni e miliardi di marchi. E infine dagli europeisti convinti e democratici, certi che, se i nostri governanti andassero a battere i pugni sui tavoli di Bruxelles e di Francoforte, dove batte il cuore di Eurogermania, sarebbero ascoltati e nascerebbe di sicuro l’Europa democratica dei popoli e degli eurobond. Una visione non si capisce se più ingenua o più astuta. Come pretendere che Hitler avrebbe risparmiato gli ebrei se qualche rabbino fosse andato a  chiederglielo a brutto muso, e non ci fosse voluta la terza guerra mondiale e soprattutto l’intervento americano per sconfiggere il dittatore tedesco e liberare l’Europa dal nazismo. In conclusione, secondo quest’ottica,  Renzi sarebbe solo un “figlio di troika” [secondo l’espressione coniata ieri dai grillini] e il burattino più adatto, dopo Monti e Letta, per portare a termine il lavoro sporco, con la svendita dei gioielli nazionali, cioè delle aziende pubbliche ancora non decotte, e introdurre la completa cinesizzazione del lavoro salariato. A nessuno di costoro viene in mente di domandarsi se per caso Renzi non sia in grado di ritagliarsi un piccolo spazio tra l’America di Obama e l’Eurogermania della Merkel. Stati Uniti e Inghilterra sembrano stanchi di questa Unione Europea a conduzione franco-germanica, i cui confini di mercato si dilatano sempre più ad est del Continente e in tutto il Globo. C’è un interesse oggettivo degli anglosassoni: ridimensionare la Russia di Putin senza dilatare oltre misura lo strapotere tedesco.

 Tra gli oppositori di Renzi non mancano poi i “dialoganti” o pseudo tali, da annoverare soprattutto, come dicevo sopra, tra i tessitori dell’opinione pubblica, disposti anche ad accantonare nel dibattito le accuse pregiudiziali di cui sopra. Sono le vestali del Gattopardo [vedi il post del 22 Dicembre 2013: Cambiare…perché tutto resti come prima], quello che gli italiani delle corporazioni, delle rendite, dell’evasione fiscale e dei privilegi non vogliono ammazzare, come direbbe Alan Friedman, perché tutto in questo Paese resti identico a se stesso. Anche qui la gamma è vasta: si va da chi parla di “dilettante allo sbaraglio” e si domanda se Renzi  “c’è o ci fa”, a chi gli sussurra garbatamente e col sorriso sulle labbra dove ha intenzione di prendere i soldi [circa cento miliardi] per fare tutte le cose confusamente accennate nel discorso programmatico per ottenere la fiducia.

 Dov’è il colpo di genio? Ecco Matteo tirare fuori i primi sessanta miliardi dei famosi cento, nell’incredulità nazionale ai piccoli miracoli, eccolo annunciare agli scettici che il denaro servirà a rimborsare immediatamente i crediti che le imprese vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Immettendo denaro fresco in un sistema produttivo privo di liquidità. In che modo? Grazie alla Cassa Depositi e Prestiti, sul modello di quanto già fece la Germania all’epoca della riunificazione tedesca. Si stenta a crederlo, se fosse così semplice, Berlusconi, Monti e Letta l’avrebbero fatto prima di lui! Di sicuro è un’altra delle bugie di Renzi! Finché non è lo stesso Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, a comparire in TV, a notte alta, per confermare tutto!

  Ciò non significa naturalmente che Renzi salverà il Paese, gli si conceda però che ci sta provando in buona fede. Insomma, crediamogli, almeno per il momento, e diamo a Renzi… quel che è di Renzi!

sergio magaldi


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